Il probabile falsificatore della Quaestio de aqua et terra/I

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Il probabile falsificatore della Quaestio de aqua et terra/II

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II


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I.


Curiosa invero la storia del trattatello De aqua et terra!

In sul principio del 1320 Dante si trova, non si sa come, in Mantova, ove sorge una disputa intorno alla posizione de’ due elementi, l’acqua e la terra, pretendendo alcuni che l’acqua fosse in qualche parte della sua sfera più alta della terra emergente. Dante invece crede che la terra sia sempre più elevata della superficie del mare, e sa per quali motivi avvenga tale emersione. Egli ne discute, ma tuttavia la questione «indeterminata restabat», onde l’altero poeta, educato alla verità sin dall’infanzia, non tollera che vi sian dubbi in proposito, e si propone di risolvere il quesito definitivamente1. Si direbbe che dovesse risolverlo in Mantova, dove se n’era discusso; ma no. Per cause misteriose va a tener la sua concione in Verona, «in sacello Helenae gloriosae, coram universo clero veronesi», il 20 genn. di quell’anno 13202. Si crederebbe che di quella disputa solenne dovesse rimanere ricordo presso i contemporanei e che qualcuno [p. 2 modifica]di que’ tanti sacerdoti intervenuti dovesse sentir la curiosità di possedere quella dissertazione. Habent sua fata, non solo libelli, ma anche quaestiones. Quantunque l’Alighieri nel 1320 non fosse certo un ignoto, quantunque l’argomento fosse ghiotto, quantunque le città ove si agitò la disputa si distinguessero entrambe pel culto a’ buoni studî, quantunque in Verona v’assistesse così gran pubblico, non uno degli storici o degli scienziati del tempo serbò memoria di quel fatto, non uno dei biografi di Dante, neppur coloro che come Mario Filelfo ebbero vaghezza di donare all’Alighieri quante più opere fosse possibile, non uno, ripetiamo, dei biografi antichi di Dante ebbe contezza di quella disgraziata Quaestio. Di codici che la rechino non v’è neppure da parlare. Ma a dir le fortune che toccano a certuni! Quasi due secoli dopo, il padre Benedetto Moncetti da Castiglione Aretino, agostiniano, scopre l’autografo della Quaestio, sepolto in non si sa quali scrigni impenetrabili, ed egli lo pubblica in Venezia, co’ tipi di Manfredo da Monferrato, in sullo scorcio del 1508. Nota peraltro vanità ed imbecillità d’editore! Non contento d’aver tra le mani un autografo sicuro dell’Alighieri (il che anche in sull’alba del cinquecento non sembra accadesse tutti i giorni), il Moncetti, lungi dal comunicarci tal quale quello scritto, si prende l’arbitrio di correggerlo «diligenter et accurate», come dice nel titolo, di castigarlo ed elucubrarlo, come confessa nella seguente ciarlatanesca nota finale:


([Ad Lectorem

Habes, candide lector, questionem perpulchram Dantis Poetae Florentini de duobuos elementis, videlicet aquae et terrae diserentis, castigatam, limatam, elucubratam a Reverendo patre magistro Benedicto de Castilione Arretino artium liberalium excellentissimo: ex hoc opusculo mirificam doctrinam carpes, que (ut autumo) mentem tuam oblectabit. Nocte et diu hoc opusculum perlege; non fronte coperata sed vultu sereno diligenter hoc opusculum evolve, quo perlecto animus tuus variis rebus saturabitur. Quemadmodum principes non uno ferculo, sed plurimis eduliis opiperatis satiantur, eapropter Dantes poeta florentinus et philosophus divinis laudibus est extollendus, qui non solum lingua vernacula sed etiam litteratura monumenta scitu digna posteritati reliquit: ideo Grammatici Poetae Oratores celeberrimique philosophi Dantem Poetam clarissimum atque philosophum excellentissimum elloquio pierio deberent extollere, qui Tonantis, Purgatorii, Plutonis, terra et aquae sedes, ingenio divino exaravit3. [p. 3 modifica]

La irriverenza del padre Agostiniano è tanto più deplorevole, inquantochè l’autografo, naturalmente, sparì, e rimase soltanto quel povero trattato, con le sue limature ed elucubrazioni, delle quali davvero faremmo volentieri a meno.

Ma la storia non è finita, anzi è appena cominciata. L’opuscolo edito dal Moncetti, senza sparger di sè molta fama, divien ben presto rarissimo4, nè giova che nel 1576 lo ristampi in Napoli, in mezzo ad altri opuscoli di scienza, Francesco Storella5. Si continua ancora per secoli a non rammentare la Quaestio fra le opere di Dante. La cita qualche bibliografo, più per tradizione, che per conoscenza diretta. Il Pelli ne vede l’esemplare Marucelliano, che poi rimane per lunghi anni introvabile6; [p. 4 modifica]lo Zeno accenna alla Quaestio come ad opera non conosciuta e che «bisognerebbe rinvenire»7. Poco appresso il Tiraboschi, con la sua critica guardinga, la menziona, dubitando che sia «un’impostura»8, e questo dubbio ripete l’Arrivabene e rincalza il Foscolo, affermando che la Quaestio «va tenuta con molti per impostura indegna d’esame»9. A tali dubbî accenna il Troya e aggiunge dal canto suo schiettamente che per l’autenticità di quell’operetta non vuole stare «punto mallevadore»10. Il Balbo non si pronuncia, perchè non ha veduto il libro e teme non «sia superstite»11. Altri propone l’ipotesi destituita di fondamento che autore della Quaestio non sia il poeta della Commedia, ma un suo pronipote, assai reputato per dottrina, che abitò in Mantova, Dante III Alighieri12.

Di contro a questi scettici o dubitosi si levano, pieni d’ingiustificata baldanza, i credenti. Nel 1842 Alessandro Torri ristampa l’opuscolo sull’esemplare Trivulziano, corredandolo d’una cattiva versione di Francesco Longhena. Egli ne reputa indiscutibile la autenticità; cita in appoggio le autorità così poco autorevoli del [p. 5 modifica]Corniani, dell’Orelli, del Missirini; fa dei confronti inconcludentissimi, ma a cui egli attribuisce gran peso, col De Monarchia e con le epistole13. Alla edizione della Quaestio data dal Torri, di cui furono tirati a parte 56 esemplari 14, successe la prima del Fraticelli, con la quale ricompare la traduzione del Longhena. È una ristampa destituita di critica, con in capo copiate le osservazioni del Torri e l’asserzione sbalorditoia e impudente: «Rispetto all’autenticità di questo scritto, giudico ... tempo perduto il sostenerla contro i pochi oppositori, dappoichè la massima parte de’ biografi ed espositori di Dante sono concordi nel riconoscerlo per lavoro di lui». È il caso di dire: chi si contenta gode! Più coscienzioso il terzo ed ultimo editore moderno, Giambattista Giuliani, volle nel II vol. delle Opere latine di Dante corredare il testo del De aqua d’un larghissimo commentario e fargli seguire un nuovo e molto più esatto volgarizzamento. Il commentario senza dubbio, nella immensa quantità di riscontri che reca, rivela la rara conoscenza che delle opere tutte di Dante ebbe il Giuliani; ma per la questione dell’autenticità è, al contrario di quanto egli credette, di valore quasi nullo. Fra tutti i suoi riscontri, alcuni dei quali indeterminatissimi15, [p. 6 modifica] non ve n’ha uno solo che possa persuadere chi non sia già prima persuaso dell’autenticità, perchè non uno solo accenna a fatto o ad idea che non potessero essere pensati o scritti da chi avesse qualche famigliarità con le opere di Dante e seguisse la maniera di filosofare che gli fu propria16.

Naturalmente l’acquisto di un nuovo scritto dantesco dovette riuscire ai più una novella graditissima, massime ai tempi nei quali il culto dell’Alighieri rifioriva, non solo nella penisola, ma in tutt’Europa. I Mantovani ben volentieri si persuasero che il sommo poeta, peregrinante per tante terre, avesse soggiornato anche in Mantova, e tramutarono in certezza qualche vago accenno nei biografi, e s’industriarono a trovarne conferma nel poema17. Ai Veronesi non parve vero di poter affermare che anche un’altra volta, poco prima della morte, l’esule illustre trovasse ospitalità nella città loro18; e per iniziativa di quel valentuomo che fu mons. Giuliari, volle nel 1865 il Capitolo della [p. 7 modifica]Cattedrale veronese che fosse posta un’epigrafe commemorativa nel sacello di S. Elena, ch’era antica chiesa domestica di quei canonici19. Così la memoria della discussione sull’acqua e sulla terra, ignota ai contemporanei, veniva acquistando pei posteri tanta celebrità da essere rammentata da una lapide come una gloria cittadina! E la fama dell’opuscolo crebbe, crebbe; e s’aumentò di pari passo la reputazione del sapere cosmologico di Dante Alighieri. Il Bœhmer, considerando la Quaestio come opera sicura di Dante, propose varie emendazioni al testo20, che furono accolte dal Giuliani; lo Scheffer-Boichorst, così diffidente in tanti casi, prese le mosse dal nostro trattatello per sciogliere un inno alla versatilità dell’ingegno dantesco, che paragona a quello del Goethe21. Tra noi lo Stoppani scrisse una lettera al Giuliani22 nella quale esalta il valore cosmografico della Quaestio. La lettera del dotto e compianto geologo è tutta una meraviglia per i veri affermati o presagiti da Dante, tutt’un’ammirazione per la sua mente divinatoria. Alcuni infatti tra quei veri, dice egli, sono cosa compiutamente nuova, come la teoria del sollevamento dei continenti, l’ipotesi della forza elastica dei vapori e l’affermazione dell’attrazione planetaria; di qualcuna tra queste verità non si credeva che la scienza avesse avuto sentore prima di Leonardo da Vinci. All’entusiasta geologo fu ragionevolmente osservato che sono appunto quelle straordinarie divinazioni meglio atte d’ogni altra cosa a confermare i sospetti circa l’autenticità del trattato. Ed oltracciò (non possiamo dissimularlo, quantunque sia lontana da noi la pretesa di perigliarci su terreno non nostro) ci sembra che lo Stoppani abbia straordinariamente gonfiato l’importanza della Quaestio, e ne abbia discorso senza una preparazione storica sufficiente. Tra i nove veri da lui rilevati, non occorre essere geologi per sapere che alcuni, come per es. l’azione della luna sulle maree e la sfericità della terra, erano da lungo tempo patrimonio scientifico quando Dante scriveva. Infatti L. Gaiter fece osservare con bel garbo allo Stoppani che tutti quei veri, all’infuori dei due sul[p. 8 modifica]l’aggruppamento boreale dei continenti e sul sollevamento di essi, si trovano tali e quali, prima di Dante, nel Tresor di Brunetto Latini23, libro che a sua volta, aggiungiamo noi, non è che una compilazione, ove nulla è scoperto di nuovo. Ed un giovane scienziato tedesco, Guglielmo Schmidt, educato all’ottima scuola del Peschel, sottoponendo sei anni prima la Quaestio ad un esame molto più serio di quello dello Stoppani, vale a dire considerandola in relazione con tutto ciò che di cosmografia seppe il medioevo24, fu ben lungi dal trovarvi i veri stupefacenti che fecero andare in visibilio lo Stoppani; anzi ravvisò molti riscontri delle teorie credute dantesche nei cosmografi e naturalisti anteriori, segnatamente in Ristoro d'Arezzo, la cui Composizione del mondo è davvero un libro mirabile per molti rispetti25. Tuttavia anche lo Schmidt non esita a riconoscere nella Quaestio un precursore, rimasto senz'efficacia, di successivi progressi26Un nuovo esame del trattatello dal punto di vista scientifico ci sembra tuttavia quasi indispensabile, se non altro per misurare l’abilità del falsificatore, al quale certamente non dovette mancare l’accortezza di far intravvedere a Dante delle verità non chiarite ai tempi suoi ed insieme di non fargli dire [p. 9 modifica]cosa alcuna che fosse, anche in bocca d’un uomo superiore, assolutamente inverosimile. Se il falsificatore fu veramente il Moncetti, ciò dovette riuscirgli meno arduo che ad altri, perchè egli era tutto imbevuto di scienza medievale27.

In questi ultimi tempi i sospetti si aggravarono sul capo dell’editore cinquecentista, che scopre un autografo dantesco ignoto e poscia non più veduto da alcuno, che comunica al pubblico uno scritto di Dante di cui nessuno aveva prima avuto notizia, che abusando della propria fortuna ha l’ardire di metter le mani in quel testo prezioso e di rimaneggiarlo, facendosene bello come d’una benemerenza. In cinque densissime pagine il Bartoli espose, con la consueta lucidità ed efficacia, le ragioni per cui ritiene la Quaestio un apocrifo dovuto al Moncetti28, e la sua argomentazione convinse interamente lo Scartazzini, che passò a questo riguardo dalla fede più inconcussa29 al più deciso scetticismo30. Dopo aver riferito le parole del Bartoli, egli conclude che se la Quaestio non fosse stata così rara ed i dotti avessero avuto agio d’esaminarla «si sarebbe senza dubbio sciupato meno carta per commentarla e farvi sopra delle dissertazioni». Aggiunge che se anche venisse fuori qualche ms. del sec. XV, la questione non sarebbe decisa in favore dell’autenticità, giacchè «per ammettere che la Quaestio sia un lavoro di Dante bisognerebbe ammettere un miracolo». Apertamente negativo è pure Corrado Ricci, che ripete, allargandoli, gli argomenti del Bartoli31 e cerca di dimostrare l’alibi, giacchè ritiene che Dante dimorasse stabilmente in Ravenna negli ultimi anni suoi. [p. 10 modifica]

Come i lettori si saranno accorti nel leggere lo schizzo storico sinora tracciato, noi pure propendiamo a ritenere il De aqua una falsificazione, e siccome alcuni documenti da noi rinvenuti e l’esame delle cose fatte stampare dal Moncetti ci persuasero viemmaggiormente della sua capacità a delinquere, vogliamo considerarne la figura un po’ più d’appresso che sinora non si sia fatto. Gioverà forse quest’esame ad affrettare la desiderata conclusione.

Note

  1. «Unde quum in amore veritatis a pueritia mea continue sim nutritus, non sostinui quaestionem praefatam linquere indiscussam: sed placuit de ipsa verum ostendere, nec non argumenta facta contra dissolvere, tum veritatis amore, tum etiam odio falsitatis». De aqua, § 1.
  2. De aqua, § 24.
  3. A c. 12 r dell’ediz. principe, prima dell’Impressum fuit Venetiis per Manfredum de Monferrato sub inclyto principe Leonardo Lauredano Anno domini MDVIII sexto. Calen. Novembris. Nel riprodurre dall’antica stampa, sciogliamo i nessi e poniamo a suo luogo l’interpunzione.
  4. Oggi se ne conoscono tre esemplari. Uno si trova nella Marucelliana, segnato 4. F. V. 31, del quale noi ci serviamo. È in ottimo stato di conservazione, legato in pergamena, con scioglimenti di nessi e correzioni a penna di molti errori tipografici praticate da mano esperta. Un secondo esemplare, su cui fu condotta la ediz. moderna di Aless. Torri, è nella Trivulziana, con una nota bibliografica ms. di Pietro Mazzucchelli che il Torri, Opere di Dante, vol. V, Livorno, 1842, p.165, e poi il Giuliani, Opere lat. di Dante, Firenze, 1882, II, 379-81 stamparono. La terza copia, appartenuta ad Ulisse Aldrovandi, è nell’Universitaria di Bologna, e ne diede notizia C. Ricci L'ultimo rifugio di Dante, Milano, 1891, p. 41, n. 2. Descrizioni, più o meno minute, del libro non mancano nei recenti bibliografi: noi rimandiamo a quella del Torri, V, 166. Il Libri, nel Journal des savants, 1844, p.559-60, riprodusse il recto della prima carta, ove frammezzo a due epigrammi latini sta il lungo titolo, tante volte riferito, disposto a triangolo, o a cul-de-lampe, come dicono i bibliografi francesi. Il Libri si valeva d’un esemplare da lui posseduto, che figura nel suo Catalogue di vendita del 1847, sotto il n° 609. Il Brunet, nella più recente ediz. del Manuel, ci avverte che quell’esemplare fu allora venduto per L. 715 e poi rivenduto nel 1855 per L. 530, ma non dice ove oggi si trovi. Riuscendo difficile l’identificarlo coi tre menzionati, sarà forse quell’esemplare in qualche grande deposito straniero.
  5. Di quella ristampa napoletana, divenuta anch’essa rarissima, si suol citare soltanto un esemplare dell’Ambrosiana. La descrive il Torri nelle cit. Opere di D., V, 167; poi meno ampiamente il Fraticelli, Opere minori di D., Firenze, 1873, II, 415.
  6. Memorie per la vita di D. p. 202, n. 74. L’esemplare Marucelliano era smarrito anche quando il Fraticelli curò la prima edizione delle Opere minori; ma fu trovato poi, e giovò alla seconda.
  7. Lettere, Venezia, 1785, III, 411.
  8. Storia, ediz. Antonelli, V, 650.
  9. Cfr. Arrivabene, Il secolo di D., Firenze, 1830, II, 308, ov’è la nota del Foscolo. Il Giuliani, Op. lat., II, 423 non si perita a dare al Foscolo dell’avventato e poco manca dell’insensato.
  10. Veltro allegorico, Firenze, 1826, p. 175.
  11. Vita di Dante, Firenze, 1853, p. 409.
  12. Gregorio Ottoni, in certa sua appendice parecchio sconclusionata su Dante in Mantova, che si legge nella Gazzetta di Mantova, anno II, 1864, n. 70 e 72, scrive: «Fuvvi alcuno che leggendo di un Dante Alighieri, morto a Mantova nel 1510, pensò che a costui si dovesse attribuire la Quistione». Ignoriamo chi abbia avuto questa bizzarra idea; ma certo ei non vide l’opuscolo, a meno che non ritenesse Dante III un falsificatore, il quale volesse far passare l’opera propria come scritta dal suo grande antenato. Dante III fu, del resto, uomo dotto, poeta latino e volgare, sicchè Scip. Maffei ne diede notizia nella Verona illustrata. Tenne cariche in Verona e Peschiera, e poi si ritirò in Mantova, ove il Valeriano, nel De infelicitate literatorum, lo dice morto nel 1510. Lo combatte L. Passerini (Della famiglia di D., in Dante e il suo secolo, Firenze, 1865, pp. 74-75), il quale cita un documento d’onde risulta ancora vivo nel febbr. del 1514, mentre era trapassato senza dubbio nel novembre del 1515. Il Reumont (Dante’s Familie, in Jahrbuch der deutsch. Dante-Gesellshaft, II, 345) fraintendendo una nota del Passerini, che del resto compendia, lo fa vivere sino al 1517.
  13. Vol. V, p. xxi. Nel § 22 del De aqua sono addotti alcuni passi della Scrittura a conferma del consiglio «desinent homines quaerere quae supra eos sunt, et quaerant usque quo possunt». Il Torri osserva che di passi biblici D. fa uso spessissimo nelle epistole. Ma degli scrittori medievali e scolastici chi non ne faceva uso? Ed il consiglio dato ai filosofanti, che nella Commedia più volte si trova e corrisponde precisamente a quello del Purg., III, 37, non è forse comune nei cultori della filosofia dommatica, che al di sopra della scienza e della ragione umana ponevano sempre la verità rivelata? I riscontri del § 18 del De Monarchia e con le lettere sono del tutto vani, perchè si tratta d’una semplice ripetizione di concetti comunissimi e di quella tecnica, a dir così, del ragionamento, che per tanti secoli fiorì e sopravvisse nelle scuole. Del resto, come fu osservato, quest’argomento dei riscontri ha nel caso nostro pochissimo valore. Data la falsificazione, è elementare l’ammettere che il falsario, prima di porsi all’opera, studiasse con qualche cura gli scritti del suo autore, cercando di ritrarne l’intonazione e qualche tratto, per poter parlare con verosimiglianza in persona di lui.
  14. Ferrazzi, Encicl. Dantesca, IV, 528-29. Il Witte, che per lunghi anni fu scettico rispetto all’autenticità della Quaestio, rimase meno dubitoso dopo la edizione del Torri. Vedi Dante Forschungen, I, 499.
  15. Basti questo esempio. Nel § 5 si legge: «Omnis opinio, quae contradicit sensui, est mala opinio». Il Giuliani reca in mezzo passi del Convivio e del Paradiso (Op. lat., II, 386). Ma quella sentenza, nel medioevo, poco mancò non la si scrivesse sui boccali di Montelupo, poichè era illazione diretta del principio aristotelico famosissimo Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu.
  16. I passi più rilevanti del commento del Giuliani sono quelli alle pp. 383, 389, 391, 396-97, 422-23, 426; ma chi li esamini vedrà quanto agli occhi di quell’illustre cultore di cose dantesche facesse velo la persuasione di aver a che fare veramente con uno scritto di Dante. Nella medesima condizione d’animo è scritta la memoria di G. Poletto, L’opuscolo di D.A. «De aqua et terra» in raffronto al moderno progresso delle scienze fisiche, negli Atti del R. Istit. Veneto, Serie VI, Vol. I (1883), pp. 843 sgg. Tanto è vero che oggi, sbollito quel primo entusiasmo, il Poletto medesimo dubita forte che quello scritto sia di Dante, nel recente vol. Alcuni studi su D. A., Siena, 1892, p. 314. Anche quando egli lesse la sua menzionata memoria nell’Istituto veneto, sorse a confutarla R. S. Minich, che accampò molte ragioni contro l’autenticità. Il discorso del Minich può vedersi sunteggiato nel cit. vol. degli Atti, pp. 864-68.
  17. Vedi il cit. artic. dell’Ottoni, nella Gazz. di Mantova del 1864. La dimora di Dante in Mantova era stata congetturata dall’Arrivabene (Secolo di Dante, I, 429), e poi dal Balbo (Vita di D., pp. 271-72), come una cosa semplicemente possibile nel suo viaggio del 1306 da Padova alla Lunigiana. Il Fraticelli (Storia della vita di D., Firenze, 1861, p. 167), copia il Balbo; ma reputa poi cosa certa (p. 245) una seconda dimora di D. in Mantova nel 1320, fondandosi sulla Quaestio, e così, dopo di lui, molti altri.
  18. Vedi Belviglieri, Dante a Verona, in Scritti storici, Verona-Padova, 1881, p. 149.
  19. Cfr. Albo dantesco veronese, Milano, 1865, p. 336, ed anche Ferrazzi, IV, 529 e Giuliani, Op. lat., II, 428.
  20. Jahrbuch der deutschen Dante-Gesellschaft, I, 1867, 395-96.
  21. Aus Dantes Verbannung, Strassburg, 1882, pp. 99-101.
  22. Prima comparsa nel periodico torinese La Sapienza, vol. V, 1882, p. 116; poi nelle Op. lat. di D., ediz. Giuliani, II, 451, sgg.
  23. Lettera al prof. A. Stoppani, nel Propugnatore, XV, P. I, 430 sgg.
  24. Curioso il rimprovero che gli muove a questo riguardo il Giuliani, Op. lat., II, 418, d’aver confuso la scienza di Dante con quella del tempo suo. Certamente per crearsi di Dante un idolo non è questa la vera via: convien invece sempre chiosare Dante col solo Dante. In questo modo, non vedendo ciò che gli sta intorno, egli grandeggia isolato anche per merito delle idee non sue, che trovò belle e fatte ne’ pensatori antecedenti e contemporanei.
  25. Vedi la prima parte, unica comparsa, dell’opera dello Schmidt, Ueber Dante’s Stellung in der Geschichte der Kosmographie, Graz, 1876, specialmente a p. 32, n. 1. Lo Schmidt fu preceduto, fin dal 1867, dal Günther, in un artic. della Beilage zur allgem. Zeitung, che non ci riuscì di vedere. Il Marinelli indicò questo scritto al Poletto, insieme con un libro posteriore del Günther (1879), ove pure si discorre del De aqua. Vedi per le citazioni esatte gli Atti del R. Istit. Veneto, Serie VI, Vol. I, p. 845, n. 4. Del valore di Ristoro parlò assai bene il Bartoli, Storia, III, 163 sgg. Il Malfatti lo chiama «precursore della fisica e della geologia odierna», in un erudito discorso, ove nel De aqua è ravvisato solo un «nuovo e più largo sapere geografico». Cfr. Della parte che ebbero i Toscani all’incremento del sapere geografico, Firenze, 1879, pp. 18-20.
  26. Op. cit., p. 35
  27. Questa, a parer nostro, è la principal ragione per cui egli «potè scrivere così nel senso di Dante e con le parole di Dante», ciò che faceva inclinare il Gaspary, Storia, I, 462., a ritener autentica la Quaestio. Del resto la innegabile identità di molti concetti rimarrebbe pur sempre strana in uno scritto che fra Benedetto conferma d’aver corretto ed elucubrato.
  28. Storia, V, 293 sgg.
  29. Dante, Milano, 1883, II sgg. e I, 122 e 124.
  30. Prolegomeni della Div. Commedia, Leipzig, 1890, pp. 409-415. I concetti ivi esposti sono da lui ripetuti nel Dante-Handbuch, Leipzig, 1892, pp. 370-74.
  31. L’ultimo rifugio di D., Milano, 1891, pp. 40-47. Nei Commentari dell’Ateneo di Brescia, 1890, pp. 54-76, Emilio Lodrini inserì una memoria intitolata Se l’opuscolo «Questio de aqua et terra» sia da attribuirsi a Dante Alighieri. Egli viene a conclusioni del tutto negative, adducendo anche argomenti intrinseci nuovi e mettendo in chiaro la meschinità dell’opuscolo, vuoi in riguardo al contenuto, vuoi nella forma. Della memoria del Lodrini noi conosciamo solo il riassunto che ne diede G.L. Passerini nel periodico L’Alighieri, an. II, pp. 489 sgg.