Io cerco moglie!/XXV
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XXV.
COSE EROICHE.
Melai cominciò:
— Sedendo su questa poltrona, mangiando queste buone cose, bevendo questo vino così buono.... (era il mio champagne).
— Le pare un sogno. È mo’ vero? — interruppe madama Caramella. — Poverini, poverini, poverini!
L’avvocato ammonì la sua signora che è sconveniente chiamare gli eroi “poverini„.
Ma Melai fece un gesto come per allontanare quella parola eroi; e poi disse: — Mi pare di perdere l’anima che io avevo lassù.
Capì che noi non capivamo, e disse: — Lassù, vicino alla morte, si acquista un’altra anima. Si ha la sensazione che nel mondo non c’è nulla. Se anche avessi cento milioni, non avrei nulla! Si sente la rinuncia di tutto, anche alla giovinezza, anche all’amore.
— Oh, è terribile! — disse l’avvocato.
— No, è piacevole — disse Melai. — Si diventa come i frati che hanno rinunciato a tutto. Eppure si possiede tutto, perchè si sente l’anima. Sarà forse perchè io ero sul Cadore, una zona relativamente tranquilla. Lassù, sul Cadore, luce, selve odorose, monti, neve, orizzonti divini. Lassù a quelle altezze — io non so come — trovavo da per me certe idee che credevo non esistessero se non nei sogni dei poeti. Sanno che ciccavo lassù? Ho imparato a mordere tutte le erbe amare dei monti. Di notte attendevo il sole; quando c’era il sole, attendevo le stelle. Non ho mai avuto la sensazione della meraviglia del giorno, come lassù. Il sole e le stelle rotavano insieme come una giostra. Che cosa meravigliosa il giorno! Non ve ne siete mai accorti che è una cosa meravigliosa il giorno? Un verso di Dante mi nasceva in mente e bagnava l’anima: l’ora del tempo e la dolce stagione. Lo ciccavo anche quello come le erbe amare. Mi pareva che ogni mattina al sorger del sole, Iddio lavasse, in silenzio, la terra insanguinata. Fisicamente ero immondo, puzzavo. Ma dentro sentivo una gran purità, sentivo la gioia del cuore che batte. Se si muore, si muore bene.
Domandai io allora:
— Molte bestioline è vero, lassù?
— Oh, sì, tante! Io portavo la testa rasa come i frati. Eppure, veda stranezza! Avevo con me questo tubetto di profumo, e mi dava la sensazione di cose pulite, un’ebbrezza quasi sensuale. Eccolo!
Guardo. — Oh! Fornito da noi! Nostra fabbricazione. (Che caro giovane!)
— Certo — continuò Melai — bisognerebbe non ritornare in Italia! Sanno che io nei primi giorni avevo la nostalgia dei tremila metri? A Torino, a Milano, caffè aperti, cinematografi aperti, la luce elettrica, la gente che vi guarda con occhi strani. Batte le mani, guarda con curiosità. Non sanno che andiamo a morire? Gli amici vi riconoscono e dicono: “Oh, chi si vede!„ Come dire: “Non sei ancora morto?„ No, il paese non sente la guerra! Quegli altri sì, la sentono! Anche il nostro soldato non sente la guerra; si batte bene, muore; ma per lui la guerra è disgrazia. Chi sa? Forse per questo siamo eroi. Ma i giornali questo non l’han detto.
— Ma non interessano i giornali? — domandò l’avvocato.
— Non interessano.
— E chi vincerà la guerra?
— Non interessa! Interessa a chi poi scriverà la storia; a chi, dopo, dividerà la terra; ma a chi deve morire non interessa.
— Ma la patria? ma la gloria? — domandò l’avvocato.
— Sì, certo — disse Melai. — Ma non so perchè: tutti quelli che sentono la patria o la gloria se li porta via la morte. Sono come dei predestinati.
Madama Caramella era con la gola aperta, come avesse dentro una domanda che voleva venir fuori. E venne fuori.
— Fanno molta paura i morti?
— Molta paura? No. Un po’ di notte che sembrano guardare la luna, ma paura, no. Sono morti. Un po’ di puzzo.
— Così che lei non avrebbe paura — domandai io — ad ammazzare una persona.
— Perchè dovrei aver paura?
— Ma non siamo tutti cristiani? — uscì dalla bocca aperta di madama Caramella.
— Si dice: ma nella guerra si domanda la mia pelle, e io gli domando la sua.
Soltanto una volta Melai aveva provato un certo senso....
Lo preghiamo di raccontare.
Raccontò.
— C’erano, lassù, in una villetta due signorine molto gentili, che erano rimaste sole: parlavano veneto con grazia, accoglievano a trattenimento i nostri ufficiali. Una notte, il capitano scoprì che dalla villetta partivano segnalazioni. Non c’era dubbio: le signorine avevano gli apparecchi in casa. Del resto la sorella maggiore ha confessato, e si è presa la responsabilità anche per la più piccola.
— Ed è stata messa in prigione? — domandò Oretta.
— No, la abbiamo fucilata.
Oretta guarda smarrita Melai. Lo guardiamo anche noi. Melai sorride: — E come si fa?
Silenzio.
— Ed è morta?
— Eh, già.
— E come è morta?
— Molto bene: avanzò, gridò: “Franz Joseph, Urrà! Urrà!„. Caduta, pareva una rondine.
Silenzio.
Oretta trema; l’avvocato aveva il sigaro spento.
In quel punto nel silenzio della campagna si sentì tin tin, dolcemente. Era l’Ave Maria.
Oretta fece il segno della croce. Quasi ci segnavamo anche noi.
*
Abbiamo accompagnato Melai al tram per la partenza definitiva. La signora mia suocera lo ha avvertito che in fondo alle calze troverà la sorpresa di una caramella.
Io gli ho detto affettuosamente:
— Lei, signor Melai, è un po’ alto di statura. Veda di non sporgere con la testa. E se mi permette, eviti le azioni cavalleresche. Io, intanto, le manderò della polvere di nostra creazione contro le bestioline.
Il ritorno fu molto eloquente fra me e l’avvocato; monosillabico con la signorina Oretta.
— Si ha da vedere — dice l’avvocato — dopo tanti anni che è stato fabbricato il mondo, dopo Grozio, dopo Alberigo Gentile, che gli uomini si devano scannare, massacrare! Chi l’avrebbe mai detto?
— Qualche cosa, però, si capiva — dico io. — Mi ricordo dell’esposizione di Milano, nel 1906. Qui c’era il padiglione della Francia: era l’arte de se déshabiller. Di fronte c’era il padiglione della Germania. Bene, sa lei che cosa ci avevan messo all’ingresso principale? Due bocche di cannone. “Ohi là!„ mi ricordo che ho detto. E l’anno scorso, un commesso di una casa di Lipsia mi diceva: “Fate buoni acquisti, signor Sconer, perchè quando nostro imperatore darà il segnale, la Germania si muoverà come un serpente d’acciaio„. Cosa vuole? Non avevano più soldi, e l’imperatore ha detto: “Ragazzi miei, perchè volete rubare in casa del vostro buon papà? Andiamo a rubare in casa degli altri„. È stata una festa per tutti i partiti. Se la va, la va! La guerra è un affare.
— Ah, — esclama forte madama Caramella — è perchè non c’è più religione.
— Brava! — dico io. — Quello che diciamo noi a Milano: non c’è più religione.
Ma ecco che l’avvocato dà fuori da matto, e dice:
— Se non ci fosse quest’angioletto, andrei a farmi ammazzare anch’io.
Allora l’angioletto dà fuori da matta anche lei, e dice:
— No, papà! no, papà, anche tu.
— Ma ci sarà bene la Divina Provvidenza! — dice ancora madama Caramella.
— Già, ma non si muove — le dico io. — Ma sa, avvocato, che ora abbiam fatto? Oramai è mezzanotte. E domattina devo essere a Genova. Parto con l’automobile.
*
Mentre lo chauffeur metteva in ordine la macchina, l’avvocato diceva:
— Guarda che luna!
Gli alberelli, fermi nella luna, parevano d’argento.
— E pensare, in una notte così serena, quella povera Francia, quel povero Belgio....
— E anche questa povera Italia, caro avvocato — dico io — , perchè non si sa mai! — Ma tu — dissi allo chauffeur — non guardare la luna e non pensare al Belgio, perchè vogliamo arrivare a Genova: e non a Vega, o in fondo a qualche burrone.