Istituzioni di diritto romano/Introduzione/Sezione III/Quarto periodo/Capitolo II

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Quarto periodo - Capitolo II - Fonti del diritto.

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CAPITOLO II.

Fonti del Diritto.

A) Avanti il sesto Secolo

(a) Diritto Antico.

§. 166 Lo scadimento del Diritto Romano comincia a manifestarsi in maniera palese con l’opera Legislativa degli Imperatori, che ressero le diverse parti dell’Impero: giunge al suo colmo quando il Diritto viene rinchiuso in compilazioni officiali, rivestite del carattere di Legge. Dopo Costantino, gli Imperatori regolavano a loro senno la Legislazione, ma per qualche tempo ancora ne rispettarono i fondamenti; e se ne occuparono principalmente per facilitarne l’applicazione ai bisogni [p. 116 modifica]della pratica. La vera riforma radicale della medesima, nell’Occidente fu opera dei Re Barbari, nell’Oriente di Teodosio II e di Giustiniano.

§. 167. Prima di questa sostanziale riforma, e così al principiare del 5. Secolo, le Fonti del Diritto erano:

1.° In teoria, gli antichi Decreti del Popolo, i Senatusconsulti, gli Editti dei Magistrati, le Costituzioni degli Imperatori; la legge delle XII Tavole era tuttavia la base della Legislazione; il rimanente si considerava come aggiunta o modificazione di quella Legge.

2.° In pratica, le opere dei Giureconsulti classici, e le Costituzioni dei Principi.

§. 168. Le antiche fonti del Diritto, cioè la Legge Decemvirale, gli Editti, i Plebisciti, i Senatusconsulti etc., erano sempre in realtà la Legislazione che regolava i civili negozj; ma pel decadimento degli studj Giuridici, non si sapeva applicarla convenientemente; attalchè i Pratici si valevano degli scritti dei Giureconsulti Classici sulla Legislazione stessa, e delle relative Costituzioni dei Principi; incapaci di attingere alle vive fonti del Diritto, ricorrevano a raccoglierle di seconda mano dagli interpreti delle medesime. In questo vergognoso sistema, i Giudici ed i Causidici si trovavano di fronte a molte difficoltà. E valga il vero, i Giureconsulti Classici avevano composto sul Diritto opere stupende; avevano spiegato, commentato, conciliato le fonti del Diritto, sceverato il Diritto vigente da quello divenuto lettera morta; ma pur troppo spesso non erano stati concordi nelle loro interpretazioni, nei loro commenti, nelle loro conciliazioni; e nei casi non infrequenti di divergenza fra le loro opinioni, per l’ignoranza dei veri principj giuridici, divenuta generale in quest’epoca, non si sapeva a quale opinione appigliarsi. Aggiungasi, che rari e costosi erano i manoscritti contenenti le opere dei Giureconsulti più famigerati; difficile era dunque possederli per consultarli e confrontarli. A superare questi ostacoli, fu pensato di comporre delle Raccolte di opinioni dei Giureconsulti Classici sulle parti più importanti [p. 117 modifica]della Legislazione. Lavori di questo genere giunti, sebbene incompleti, fino ai nostri tempi, sono i seguenti:

(a) Dei frammenti di una Collezione di passi importanti, tratti dalle opere di Giureconsulti di gran nome, come Papiniano, Ulpiano, Paolo, Celso, Giuliano, Pomponio etc., e da Costituzioni Imperiali. Abbiamo 7 titoli soltanto di questa compilazione, i quali furono trovati nella Biblioteca Vaticana dal celebre Cardinale Angelo Mai, e pubblicati per la prima volta da lui in Roma nel 1823, sotto il Titolo di Juris Civilis Ante-justinianei reliquiæ ineditæ, e ristampati poi a Parigi (1823), ed a Berlino (1828) sotto il titolo di Vaticana juris fragmenta, col quale sono più comunemente oggi conosciuti.

(b) Un Opera divisa in 16 titoli, chiamata comunemente, Lex Dei, seu Mosaicarum et Romanarum Legum Collatio, ma che nei manoscritti porta il titolo di: Lex Dei, quam Deus præcepit ad Moysen. Essa è un confronto delle Leggi Mosaiche con le Romane, scritto alla fine del 4°, o al principio del 5.° Secolo. L’autore sconosciuto di quest’opera, trattando i diversi argomenti, riferisce da prima il disposto del Diritto Mosaico, poi espone le opinioni dei Giureconsulti Romani, e le Costituzioni Imperiali sulla materia, per mostrare l’accordo fra i due Diritti, e così per accreditare sempre più il Diritto Romano. Pithou, celebre scolare del Cujacio, pubblicò il primo questo libro (nel 1573), ma non è stato più trovato il Manoscritto dal quale l’aveva tratto; in seguito ne furono rinvenuti due altri manoscritti, l’uno a Vercelli dal Blume, l’altro a Vienna dal Lancizolle. Blume pubblicò una bella Edizione di questo libro a Vienna nel 1828.

3. Una raccolta di Responsa di un autore ignoto, che viveva probabilmente al principio del sesto Secolo. L’autore risolvendo molte questioni giuridiche, cita letteralmente alcuni frammenti delle Sententiæ di Paolo, e di altri Giureconsulti, e riferisce altresì alcune Costituzioni. Si suole denominare questo libro col titolo, che gli diede il Cujacio, di Consultatio Veteris Jureconsulti; il Cujacio lo pubblicò per la prima volta nel 1577 [p. 118 modifica]sopra un Manoscritto, che andò smarrito. È stato ristampato a Bonn nel Corp. jur. civ. antejust.

Ma queste compilazioni delle diverse opinioni dei Giureconsulti sopra punti litigiosi, questi dottrinali insomma, come oggi gli chiamerebbero i nostri pratici, non conciliavano le opinioni diverse; e rimaneva sempre la grande difficoltà di scegliere fra esse.

§. 169. Fu allora, che gli Imperatori reputarono ben fatto di regolare con disposizioni Legislative l’uso che si doveva fare delle opere dei Giureconsulti Classici, e di fissare l’autorità che si doveva attribuire alle loro opinioni. Di già Costantino aveva pubblicato due Costituzioni, con l’una delle quali (dell’anno 321) tolse ogni valore alle Note, che Paolo ed Ulpiano avevano fatto a Papiniano, in cui spesso confutandolo, avevano aumentato le ambagi dei Causidici e dei Decidenti; e con l’altra (dell’anno 327), volendo mostrare il suo rispetto per tutti gli altri lavori di Paolo e specialmente per le sue Sententiæ, che nell’Occidente godevano di credito graditissimo, espressamente confermò l’autorità di tutte le opere di lui, all’infuori di quella contemplata dalla sua Costituzione antecedente.

§. 170. Il passo più importante in questa falsa e vergognosa strada, per la quale gli Imperatori avevano incamminato i Pratici, fu fatto per opera di una Costituzione di Teodosio II e di Valentiniano III, la quale comunemente chiamasi Legge delle Citazioni, o Legge Citatoria. Era invalso assai prima di questa Costituzione l’uso di limitarsi a studiare e citare un certo numero di libri, che pel contenuto e per la forma meglio si addicevano alle condizioni dei tempi e specialmente quei libri che servendo all’insegnamento nelle scuole si trovavano per le mani di tutti. E nelle Scuole pubbliche, gli Studj si cominciavano con le Istituzioni di Gajo, poi si faceva percorrere agli alunni i Commentarj di Ulpiano e di Paolo all’Editto; in seguito i Responsa e le Quæstiones di Paolo; finalmente gli scritti di Papiniano, che era reputato il principe dei Giureconsulti, venivano studiati insieme con quelli di Modestino, l’ultimo e così il più recente dei Giureconsulti Classici. Le opere di [p. 119 modifica]questi cinque Scrittori, erano dunque quelle più familiari, quelle che si trovavano nelle librerie di tutti, e quelle avute in maggior conto. La citata Costituzione di Teodosio II e di Valentiniano III, seguitando l’opinione pubblica, e rincarando sulla medesima, ordinò che quando occorressero questioni giuridiche trattate da questi cinque Giureconsulti (Papiniano, Paolo, Ulpiano, Modestino, e Gajo), i Giudici si conformassero alla risoluzione che costoro ne davano, trascurando quella di qualunque altro Giureconsulto; che se quei cinque non fossero stati unanimi nel risolvere la questione, si contasse il numero dei voti, e si seguitasse l’opinione della maggiorità; che in caso di parità di voti contrarj, dovesse prevalere quella opinione per la quale stava Papiniano (la cui autorità doveva cedere soltanto a quella contraria di due, fra i cinque Giureconsulti surricordati); che se finalmente, Papiniano non avesse trattato la questione, e gli altri quattro Giureconsulti fossero stati divisi, due per una parte, due per l’altra; il Giudice potesse seguitare l’opinione, che in sua coscienza reputava migliore. Con la Istituzione di questa specie di Tribunale di morti, presieduto per così dire da Papiniano, fatto unico nella Storia del Diritto, non si venne già a vietare ai Causidici ed ai Giudici di consultare le opere di altri Giureconsulti, diversi da questi cinque, nè di valersi delle loro dottrine, e di seguitare quelle teoriche che il maggior numero professava, quando quelle teoriche e quelle dottrine fossero relative a questioni che i cinque prescelti non trattavano. Soltanto era inibito di dare autorità alle dottrine dei Giureconsulti privi dell’jus respondendi; e di contare i voti, di quelli aventi quel Diritto, nelle questioni trattate da Papiniano, Paolo, Ulpiano, Modestino e Gajo. E siccome Gajo durante la sua vita, non aveva goduto dall’jus respondendi, la Costituzione di Teodosio II. e di Valentiniano III, tante volte citata, accordò autorità ai suoi scritti, con separata e particolare menzione. Questa Costituzione conferisce autorità uguale a quella conceduta all’opere di Papiniano, Paolo, Ulpiano, Modestino e Gajo, anche alle opere dei Giureconsulti, che erano [p. 120 modifica]adottate o spiegate da questi cinque; ma non potevano essere citate, che sopra manoscritti approvati.

§. 171. Oltrechè agli Scritti dei Giureconsulti Classici, fu detto poc’anzi, che si ricorreva alle Costituzioni degli Imperatori. Queste venivano allegate per i casi analoghi a quelli in esse contemplate, e venivano considerate quasi fossero leggi generali, quando gli Imperatori avevano dichiarato che tale era il loro intendimento; in mancanza di siffatta espressa dichiarazione non potevano valere come una lex generalis. Se poi la Costituzione aveva il nome di Editto (inserto edicto vocabuli), si considerava per questo solo qual legge generale. Laonde, adesso non era più rimesso all’arbitrio dei giudici il decidere, se una data Costituzione avesse da considerarsi qual lex generalis, o piuttosto come una delle constitutiones personales.

§. 172. L’uso di queste Costituzioni Imperiali era reso difficile dal loro numero, dalla rarità delle copie di esse, e dalla mancanza di una raccolta delle medesime. Ai tempi di Marco Aurelio fu tanto sentita tal difficoltà, che Papirio Giusto fece una Collezione dei Rescritti di quell’Imperatore; e le Pandette contengono diversi passi di una opera di Paolo, che sembra fosse una Collezione dei Decreti Imperiali. Ma lavori di questo genere, e più comprensivi, furono fatti da Gregorio ed Ermogene, Giureconsulti che vissero alla fine del Regno di Diocleziano, od al principio di quello di Costantino. Questi lavori furono chiamati Codici; essi contenevano dei Rescritti degli Imperatori che precederono Costantino, ma a frammenti; che nel Codice Gregoriano erano distribuiti in un certo numero, a noi ignoto, di libri e titoli, con l’ordine dell’Editto Perpetuo; e nel Codice Ermogeniano, in un certo numero di titoli e rubriche. Del resto, poche notizie abbiamo su questi due Codici; quello che ci rimane dei medesimi, è l’estratto brevissimo che ne occorre nel Breviarium Alaricianum, e li troviamo talora citati nei frammenti Vaticani, nella Collatio Mosaicarum et Romanarum legum, e nella Consultatio veteris Jurisconsulti. Ma possediamo molte delle Costituzioni che racchiudevano, le quali stanno riferite nel Codice Giustinianeo. Comunemente il Codice Gre[p. 121 modifica]goriano è citato prima dell’Ermogoniano, e pare il più antico; anzi si vuole, che l’Ermogeniano fosse del Gregoriano un supplemento od una aggiunta. Ambedue questi Codici ebbero molto credito ed uso; venivano annoverati fra le fonti principali del Diritto, sia in Oriente, sia in Occidente, sebbene non sappiamo, che fossero rivestiti di carattere officiale.

(b) Diritto Nuovo.

§. 173. Dopo avere trattato di quella parte del Diritto, che era tradizione del passato, e che chiamavasi Diritto Antico, dobbiamo ora dire delle costituzioni Imperiali da Costantino in poi, le quali compongono la Nuova Legislazione, il Diritto Nuovo.

§. 174. L’Imperatore Teodosio II concepì il disegno di riuniure quello Leggi Imperiali insieme con le proprie, in un solo corpo, e di darò a questa Raccolta un carattere officiale. Per colorire questo disegno, creò una commissione (nell’anno 429) composta di nove Membri, dei quali otto erano Ufficiali Pubblici, ed uno Avvocato, incaricandola di raccogliere quelle costituzioni Imperiali, aventi forza di legge generale, emanate da Costantino fino ai suoi tempi, di ordinarle per ragione di materia in libri ed in titoli, riportando di esse, soltanto le parole che racchiudevano dei principj giuridici. Questa Commissione non eseguì il Mandato ricevuto, laonde nell’anno 435, ne fu nominata un altra, (composta di sedici membri, parte illustres, parte spectabiles, presieduta da Antioco ex Console e ex Prefetto del Pretorio), che condusse a termine l’opera affidatale in circa tre anni. Nel Febbrajo del 438 fu pubblicato il suo lavoro, sotto il titolo di Codice Teodosiano, con la dichiarazione che dovesse aver forza di legge soltanto dal 1.° Gennajo 409. Teodosio ordinò che questo suo Codice dovesse, da quest’epoca in poi, essere considerato come la sola fonte del diritto Imperiale in Oriente; e Valentiniano III nel medesimo anno (438), gli diede forza Legislativa nell’Occidente.

§. 175. Il Codice Teodosiano è diviso in 16 libri, ed in ogni libro le leggi sono disposte per ordine cronologico. Nei [p. 122 modifica]primi 5 libri è seguito l’ordinamento dell’Editto, dal sesto libro fino all’ottavo, occorrono disposizioni del Diritto Amministrativo e Costituzionale; il libro nono è relativo al Diritto Penale; il decimo e l’undecimo riguardano le Finanze e la Procedura, i seguenti fino al sedicesimo l’Amministrazione delle Città e dei Corpi Morali, il sedicesimo concerne la Religione. Al principiare del secolo nostro si conoscevano i primi 5 libri e mezzo del Codice Teodosiano, unicamente per l’estratto che dei medesimi riscontrasi nella legge Romana dei Visigoti; da metà del sesto fino al sedicesimo per manoscritti genuini più o meno completi, adoperati dal Tilius (Du Tillet) e dal Cujacio. Fu questo il Codice Teodosiano, sul quale il Gotofredo scrisse un eccellente Commentario in 6 volumi in fol. (1665) aumentato e corretto dal Ritter professore a Wittemberg. Ma nel 1817, il Peyron scuoprì nel Museo Reale di Torino in un palinsesto, novantanove Costituzioni non alterate, che appartengono ai primi sei libri, e le pubblicò a Torino nel 1824. Nello stesso anno, Clossius pubblicò altre Costituzioni parimente non alterate, che egli trovò nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, le quali si riferiscono alla pubblicazione del Codice, od appartengono al 1° libro. L’Haenel fece una magnifica edizione del Codice Teodosiano, per queste scoperte così migliorato, destinata al Corpus Juris Civilis Antejust. di Bonn; essa è superiore per critica e comprensione a tutte le altre; non escluse quelle del Puggé (Bonn 1825), e del Wenck (Lipsia 1825).

§. 176. Il Codice Teodosiano era inteso a stabilire l’unità nella Legislazione, ma come avviene di qualunque Codice, lungi dall’arrestare l’attività Legislativa, l’eccitò; ed un gran numero di nuove Costituzioni per schiarire, completare, migliorare il Codice furono promulgate dagli Imperatori di Oriente e di Occidente. Essi, giusta l’accordo fra loro fatto, se le spedivano a vicenda perchè l’uno elevasse presso i proprj popoli, quelle dell’altro al grado di legge, lochè non fu fatto prontamente, nè sempre in Oriente. Queste: Novæ Constitutiones furono dette anche Novellæ. Ne abbiamo 35 di Teodo[p. 123 modifica]sio II, 84 di Valentiniano III, 4 di Marciano, 8 di Majorano, 2 di Severo, 3 di Antemio. È probabile che altre più ne esistessero, a noi sconosciute, alcune se ne trovarono nelle Raccolte di Leggi Ecclesiastiche; Giustiniano nel suo Codice ci somministra degli estratti di queste Novelle, ma è notevole che quelli estratti, lo sono di Novelle appartenenti tutte agli Imperatori di Oriente. Le Novelle sono divise in Titoli e Rubriche; nel Breviarium ne esiste una Collezione, ma ne abbiamo dei manoscritti genuini più completi. La migliore Edizione che di queste Novelle sia stata fatta, è quella dell’Haenel pel Corpus Juris. Civ. Antejust, che si pubblica a Bonn.

B) Fonti del Diritto nel VI Secolo.
Il Diritto Romano nelle Provincie sottoposte ai Barbari.

§. 177. I Barbari conquistando le Provincie Occidentali dell’Impero, non toglievano agli abitanti di quelle, la loro legislazione; non essendo intesi a fondersi coi vinti, non volevano uniformità di Leggi. I Re barbari fecero redigere delle Leggi pei loro seguaci (leges barbarorum), ma non obbligatorie per i popoli conquistati, ai quali era lasciato il Diritto Romano. Di quì ebbe origine quel singolare sistema di Diritto Personale, pel quale nel medesimo Stato vedevansi applicate più legislazioni a seconda della nazione, cui appartenevano i sudditi. Tuttavolta, alcuni di quei Re Barbari fecero redigere delle Leges Romanæ, cioè leggi compilate con elementi di Diritto Romano, per loro sudditi Romani. Alcune di questo compilazioni, che noi possediamo, meritano una speciale menzione, come l’Edictum Theodorici, la lex Romana Visigothorum, e la lex Romana Burgundionum.

1.° L’Edictum Theodorici, l’Editto di Teodorico non fu a vero dire, una legge destinata pei soli sudditi Romani; essa era destinata a reggere questi, ed insieme gli Ostrogoti; imperocchè Teodorico, che si considerava quasi come un rappresentante degli Imperatori (col consenso dei quali aveva invaso l’Italia, e dai quali era stato riconosciuto il suo acquisto) credè bene di fare una sola legge attinta alle fonti del Diritto Romano, ed obbligatoria e pei suoi seguaci, e per gli Italiani. Questo Editto, [p. 124 modifica]che pare di poco posteriore al 506, fu composto di 154 Capitoli, i quali contengono frammenti presi dalle Receptæ Sententiæ di Paolo, dai Codici Gregoriano, Ermageniano, Teodosiano, e dalle Novelle posteriori a Teodosio. Il Diritto Romano è in queste lavoro legislativo molto alterato, e nella forma e nella sostanza, attalchè non è sempre facilmente riconoscibile.

Il Breviarium Alaricianum, è la lex Romana dei Visigoti, fatta compilare da Alarico II, per governare quei Romani, che abitavano una parte delle Gallie e della Spagna. Gojarico, Comes palatii, insieme, ad una commissione di Giureconsulti da lui presieduta, compose quest’opera, e poi la sottopose ad un comitato di Notabili, Vescovi e Laici, in posti eminenti, affinchè la discutessero e la approvassero. Una ordinanza (Commonitorium) del Re Alarico II, che si trova in fronte all’opera, contiene la Storia della sua compilazione. Nessuno esemplare di questo Breviarium poteva avere forza di legge, se non era munito della firma di Aniano, referendario particolare di Alarico, e per questo, da taluno fu chiamato Breviarium Aniani. Ma Aniano, nella sua sottoscrizione, lo denomina Codex de Theodosiani Legibus, atque Sententiis juris, vel diversis libris electum. Il Breviario di Alarico contiene

a) Un estratto del Codice Teodosiano, in 16 libri.

b) Le Novelle degli Imperatori Teodosio II, e suoi successori.

c) Le Istituzioni di Gajo mutilate e ridotte a due libri, nuovamente distese in un latino barbaro, quale era quello che si parlava allora nelle Gallie. Oggi dal volgo queste si chiamano brevemente Gajo Visigoto, in contrapposto al Gajo genuino scoperto a Verona.

d) Cinque libri delle Receptæ Sententiæ di Paolo; ugualmente mutilate, ma non alterate nella redazione.

e) Un estratto in 13 Titoli, del Codice Gregoriano, ed in 12 Titoli, dell’Ermogeniano.

f) Un piccolo frammento, che si crede essere estratto dal libro I. Responsorum di Papiniano. Tutte le parti di questa Compilazione; all’infuori delle Istituzioni di Gajo, sono arric[p. 125 modifica]chite di una Interpretatio, specie di Commentario scritto dagli stessi Compilatori, in latino Barbaro, e che nel Medio Evo fu copiato talora, senza il testo. Il Breviario ci fu trasmesso in molti manoscritti più o meno completi, alcuni dei quali contengono materie estranee al medesimo.

3.° La lex Romana Burgundionum, è la legge per i sudditi Romani della Borgogna, ordinata dal Re Sigismondo nel 517. Questa Compilazione è fatta per la massima parte sulle vere e legittime fonti del Diritto Romano; contiene 47 titoli, i quali accolgono frammenti generalmente inalterati e genuini; e perciò cotal Raccolta è stimata più delle altre, di consimile genere. Questa Lex Romana è stata chiamata lungamente, e da taluno è chiamata tuttora, con l’improprio titolo di Papiani liber Responsorum o Responsa Papiani, nome attribuitole per errore dal Cujacio. Egli aveva un Breviarium Alaricianum completo, il quale per conseguenza terminava con un piccolo frammento di Papiniano, il cui nome per abbreviatura o per shaglio era scritto Papiano; in seguito a questo frammento, e senza indicazione alcuna che cominciasse ua altra opera, stava la lex Romana Burgundionum: il Cujacio pensò che quel frammento e questa Lex, fossero un opera sola di un Giureconsulto Papiano (che taluno pretese essere vissuto nel 6.° Secolo,) e la pubblicò nel 1556, col titolo erroneo sopraindicato. Ben presto riconobbe il suo errore, e lo corresse in una nuova edizione (del 1586), ma il nome sbagliato rimase.