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Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo XXI

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CAPO XXI.

Martino ed Uliare comandati di soccorrere Milano temporeggiano al Po. Ripresi da Paolo con pungente discorso. Lettere di Martino a Belisario, e di Belisario a Narsete. — Mundila esorta vanamente i suoi a non darsi al nemico. Miserando sterminio di Milano.

I. Belisario avvertito dell’assedio posto da Uraia e dagli altri barbari a Milano vi spedì Martino ed Uliare con molte truppe, i quali pervenuti sino al Po, fiume distante un giorno di cammino da quella città, e piantatevi le tende consumarono assai tempo nel deliberare [p. 225 modifica]sul passaggio di quelle acque. Venuta la mena all’orecchio di Mundila vi spedisce un romano di nome Paolo, il quale giunto inosservato dal nemico alla riva del fiume, nè trovatavi barca si trasse le vesti da dosso e valicollo a nuoto con molto pericolo; quindi arrivato al campo de’ suoi vi tenne il seguente discorso: «Operate, o duci Martino ed Uliare, contro il dovere e l’onor vostro, i quali pervenuti qui all’uopo di salvare apparentemente l’imperiale repubblica, procacciate col fatto accrescere la potenza de’ Gotti. Conciossiachè e pe’ violenti assalti del nemico e per la negligenza vostra giace Milano con Mundila e colle romane truppe in gravissimo pericolo; Milano forse la prima di tutte le italiane città per grandezza, popolazione e ricchezze; propugnacolo di più eretto a guarentire tutto quasi direi il nostro imperio dalle offese de’ Germani e degli altri barbari. Ommetto di qui esporre l’immenso danno apportato da voi all’imperatore, non consentendo il tempo a più lunghi discorsi, ma pressandoci ad arrecare prontissimo aiuto a quelle mura sinchè ne rimane raggio di speranza in tale cimento. E dover nostro, lo ripeto, il trarre fuori colla massima sollecitudine dal pericolo i Milanesi, ed un solo momento che indugiate darete noi tutti in preda a crudelissimi supplizj, e contaminerete voi stessi della colpa di aver tradito ai nemici le imperiali truppe, nomandosi rettamente, a parer mio, traditore non solo chi apre le porte agli avversarj, ma con eguale ed anche maggior diritto chi [p. 226 modifica]potendo soccorrere ad amicissime genti strette d’assedio preferisce la propria quiete e sicurezza al combattere, mostrando coll’opera di abbandonarli interamente alla balia degli assediatori.» Paolo disse queste cose, e Martino ed Uliare lo accommiatarono con la promessa di tosto seguirlo. Quegli tenutosi celato nuovamente al nemico entra di notte tempo in Milano ponendo in isperanza tutti, presidio e cittadini, e con ogni sua possa animandoli alla fedeltà verso l’imperatore.

II. L’infingardaggine poi non fece movere le troppe di Martino, le quali indugiando la partenza loro di dì in dì lasciano trascorrere gran tempo, e il duce a fine che la colpa non ricadessegli sopra mandò lettera di questo tenore a Belisario: «Ci hai qui diretti per sovvenire gli assediati in Milano, e con somma prestezza, giusta i tuoi ordini, siamo giunti al fiume Po; ma all’esercito vien meno il coraggio di valicarlo, informato che immense schiere di Gotti ingombrano la Liguria, seco pur menando grandissimo numero di Burganzioni1, co’ quali tutti e’ ne sembra non poterci da soli cimentare. Il perchè essendo nell’Emilia Giovanni e Giustino ti preghiamo che ordini ad entrambi di pigliar parte con noi in questa lotta. Ed in fe’ di Dio che aiutati dalle costoro armi potremo con tutta nostra salvezza menare strage del nemico.» Tale si era il contenuto del foglio, e Belisario lettolo commise a’ mentovati duci l’unirsi a Martino [p. 227 modifica]per quindi soccorrere di compagnia Milano. Se non che rifiutansi l’uno e l’altro di obbedire quando Narsete non venga destinato a condurli; Belisario adunque scrive a costui dicendogli: «Non sono che un vano corpo tutte le imperiali truppe, le quali ove non mostrinsi concordi alla foggia delle umane membra, ma voglian di per sè operare, ci condurranno, senz’aver fatto nulla di quanto è mestieri, a tristissimo fine. Abbandonata quindi l’Emilia priva di luoghi forti, ed ora di nessun vantaggio ai Romani, imponi di subito ai duci Giovanni e Giustino che vadano prontamente ad unirsi alle truppe accampate a breve intervallo da Milano, per movere poscia con bastevoli forze a vincere i barbari assediatori di quella città; nè trovomi qui altra gente da mandarvi. Aggiugni di più innanzi tutto disconvenire, se mal non m’appongo, che militi di qua si partano per soccorrere Milano, dovendo essi consumare nella via tante giornate, quante voglionvene per rendere l’arrivo loro più tardo del bisogno; pervenutivi inoltre non potrebbero valersi de’ cavalli, stanchi dal viaggio, a combattere il nemico. Ma se con Martino ed Uliare muovano Giovanni e Giustino, trionferanno fuor d’ogni dubbio della fazione contraria ivi concentrata, e liberi poscia di tutte le opposizioni farannosi nuovamente nell’Emilia.» Narsete ricevuto il foglio ordina ai prefati duci che procedano alla volta di Milano col rimanente esercito; nè guari dopo Giovanni trasferitosi alla spiaggia marittima vi provvede le [p. 228 modifica]barche necessarie al travalicare delle acque. Se non che una malattia sopraggiuntagli indugiò le imprese.

III. Intanto che Martino temporeggiavasi al passamento del fiume e Giovanni attendea gli ordini di Narsete, prolungatosi lunga pezza l’assedio, quelli entro la città erano a tale ridotti per inopia di vittuaglia che molti non isdegnavano mangiar cani, sorci ed altri animali abborriti in prima per cibo dell’uomo. I Gotti poi inviati oratori a Mundila esortalo ad un arrendimento con promessa che nè a lui nè al presidio verrebbene il minor danno. Il duce accoglieva la proposta sempre che ne andasse salva per patto col presidio ben anche tutta la cittadinanza; ma osservato di poi che i nemici, sebbene legatisi per fede seco e colle truppe, molesterebbero a non dubitarne sino all’esterminio i Liguri, da cui sentivansi gravemente offesi, raguna i suoi a concione, e così loro favella: «Se mai furonvi di quelli che preferirono ad un turpe vivere onorata morte, anteponendo un sepolcro glorioso ad una vituperevole esistenza, di tali io bramerei che pur voi ora vi mostraste, e che l’amore di protrarre alcun poco questa mortale carriera non vi stimolasse a proseguirla disonoratamente, e contro la disciplina di Belisario, dalla quale di continuo ammaestrati spereremmo invano di poter senza colpa andar privi di coraggio e d’un prontissimo animo ad incontrare perigli. A quanti entrano in questo mondo va innanzi in universale necessità di morire al giugnere della fissata ora, se non che le più volte gli uomini discordano tra loro per rispetto al genere [p. 229 modifica]della morte, ed eccovi donde surga la discrepanza. Tutti gl’infingardi poichè furono meritamente il zimbello ed il vitupero de’ nemici a pari condizione affatto degli altri aggiungono lor fine; i coraggiosi al contrario vi apportano grandissimo corteo di virtù e di gloriose gesta. Oltre di che se il servaggio presso de’ barbari guarentisse insieme con noi la vita de’ cittadini, sarebbe in qualche guisa da commiserarsi quella ignominiosa nostra salvezza; ma se dovrem mirare tanti Romani trucidati dalle mani dei barbari, chi mi negherà essere tale spettacolo assai più acerbo di qualunque morte? ed in fe’ mia sembreremmo pur noi aiutatori de’ nemici in quella cotanta carnificina. Sinchè dunque siam liberi, e n’è pur dato di bellamente coprire la necessità col manto di virtuose geste, del che è forza convengano tutti i buoni, accogliamone di ottimo grado la opportuna occasione. Laonde è mio divisamento che ci precipitiamo armati sull’incauto nemico, attendendoci l’una delle due, o di essere, vo’ dire, protetti dalla fortuna, o di venir tratti, mercè d’una morte al di là d’ogni speranza beata, gloriosamente da queste sciagure.»

IV. Tale parlò Mundila, ma nessun de’ guerrieri volle esporsi al cimento, ed accolte le proposizioni offerte dai nemici, tutti s’arresero in un colla città, dai Gotti ritenendosi prigionieri e duce e truppa senza recar loro molestia veruna. Milano quindi fu agguagliata al suolo, e massacrato ogni suo abitatore di sesso maschile, non risparmiandosi età comunque, e per lo meno aggiugnevane [p. 230 modifica]il numero a trecento mila; le femmine custodite in ischiavitù spedironsi poscia in dono ai Burgundioni, guiderdonandoli con esse del soccorso avutone in questa guerra. Oltre di che rinvenuto là entro Reparato prefetto del Pretorio lo fecero a pezzi e gittaronne le carni in cibo ai cani. Cerbentino, pur egli quivi di stanza, potè co’ suoi trasferirsi per la veneta regione e pe’ confini delle vicine genti nella Dalmazia, e passato in seguito a visitare l’imperatore narrogli a suo bell’agio quell’immensa effusione di sangue. Quindi i Gotti, occupate per arrendimento tutte le altre città guernite dalle armi imperiali, dominarono l’intera Liguria. Martino ed Uliare coll’esercito si restituirono in Roma.


Note

  1. Borgognoni.