Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo IX

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Capo IX

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CAPO IX.

Parlamento di Cosroe all’imperiale ambasceria. — Naturale del re. — Giudizio di Procopio intorno alla fortuna. Saccheggio ed incendio di Antiochia.

I. Cosroe al presentarsi dei romani ambasciadori aringolli di tal guisa: «Non opino affatto contrario alla verità l’antico proverbio che Iddio non concede mai agli uomini beni puri, ma sì mescolati con mali, che sempre il rider nostro abbia a compagno il pianto, la prosperità seco traggansi qualche disgrazia, il piacere non vada separato dalla tristezza, mai ne avvenga in fine di godere una felicità perfetta. Così, favellando su le nostre presenti bisogne, egli è vero che ottenuta per lui, come voi stessi vedete, la vittoria, proviamo sommo contento nel rimirarci padroni dopo molte fatiche di questa celebratissima Antiochia, io però al guardare la moltitudine degli estinti ed i miei trofei bagnati del sangue loro non so abbandonarmi ad una completa letizia. E di sì gran male altri non è in colpa che i soli malaugurati Antiocheni, i quali inetti a sostenere l’assedio ebbero poscia cotanta arroganza di attaccare un esercito vittorioso, ed entrato a viva forza nelle mura loro. Per siffatto avvenimento non v’ha meco illustre Persiano che acceso di sdegno non domandassemi la morte di quanti incontraronvi la schiavitù; ma io non ritenendo onorata cosa l’inasprire contro i vinti [p. 179 modifica]comandai che loro si permettesse la fuga ed il cercare altrove salvezza.»

II. Il re però simulatamente e mirando appalesarsi tutt’altro di quello in realtà era così parlava agli ambasciadori, sapendo benissimo i veri motivi della sua bugiarda clemenza nell’accordare agli Antiocheni il tempo necessario a campare la vita; imperciocchè non la cedeva in finezza ad alcuno, ed era valentissimo nell’arte di escogitare inganni, di palliarsi, e di accagionare altrui de’ suoi proprii misfatti; di più il vedevi all’uopo secondare ogni domanda, sagramentare la data parola, e quindi, scorso brevissimo tempo, negare il tutto ed interamente cangiarsi di parere. Avvegnachè il suo volto spirasse pietà, e le sue labbra ognora abborrissero il delitto, pure non v’era indegnissima azione ch’e’ si guardasse dal commettere quando sperava ritrarne qualche vantaggio, ed il potrebbero confermare i Sureni tutti, da lui sebbene innocenti rovinati a forza d’inganni e di simiglianti doppiezze; eccone esempio: Debellata la costoro città un barbaro colla sinistra mano trascinava tal avvenente e ragguardevole donna, e colla destra un fanciullino di lei appena spoppato; ora perchè tardava questi a seguirne il passo, e’ diedegli tanto del capo in terra che fecelo crudelmente morire; abbattutosi il monarca in sì grande empietà, narrano che mostrasse colle parole e col volto non solo immenso cordoglio, ma sin lagrimasse, ed alla presenza di tutti, non eccettuato lo stesso imperiale ambasciadore Anastasio, pregasse con sospiri il Nume di punire la sorgente di tanti mali: intendendo aggravare del [p. 180 modifica]misfatto Giustiniano, tuttochè rimordessegli l’animo d’esserne egli medesimo indirettamente l’autore. Nè questo suo malizioso ingegno fugli di ostacolo nell’occupare il trono persiano, togliendo la corona a Bazes, cui, se non privo d’un occhio, per l’età competea1; impossessatosi del regno trionfò di leggieri degli avversari suoi, e addivenne sempre più molesto all’imperio romano2.

III. Per le quali cose è mestieri conchiudere che la fortuna, quando vuole ingrandire alcuno, manda senza impaccio ad effetto i suoi piani non riguardando alle qualità personali, nè curandosi di operare indebitamente, o di soggiacere alle querele ed ai biasimi altrui, solo bastandole che i suoi voleri conseguiscano il pieno loro effetto3: ora torno al mio proposito. [p. 181 modifica]

IV. Cosroe debellata Antiochia ordinò all’esercito di fare prigionieri tutti i cittadini di qua e di là fuggenti, e di rapire e saccheggiare ogni lor proprietà; calato poi insieme coll’ambasceria dal poggio andò al tempio, detto dagli abitatori chiesa, dove rinvenne tanta ricchezza d’oro, di argento, di gemme e di perle, quant’era di per sè, non messo in novero il resto, sufficiente a renderlo doviziosissimo; spogliato in fine il santo luogo di quantità di marmi e di altri stupendi lavori per tradurli in Persia, comandò che si appiccasse fuoco alla città, donando unicamente alle suppliche degli ambasciadori, e vie meglio al costoro danaro, la conservazione della chiesa; lasciatavi quindi una piccola guarnigione ad attendere all’incendio, ritirossi con tutto l’esercito nel luogo del primiero suo attendamento4.

Note

  1. V. lib. i, cap. 11.
  2. Quanto d’animo perverso il dipinge Procopio, altrettanto di sublime talento nel governo della repubblica persiana e nell’arte della guerra ci viene rappresentato enfaticamente da Agazia; eccone le parole: «Morto Cavado nel quinto anno dell’imperio di Giustiniano, salì in trono Cosroe, autore di bellissime gesta senza numero... Egli diede lustro sì grande al viver suo da eclissare la gloria di tutti i precedenti re persiani, non eccettuato Ciro figliuol di Cambise, non Dario di Istaspe, non Serse medesimo, al cui nobile ingegno nè il mare fu d’ostacolo nelle marce de’ cavalieri, ne la sommità de’ monti nel condurre dall’uno all’altro luogo il navilio. Lo splendor tuttavia delle sue azioni, e la magnificenza de’ suoi trofei non valsero a salvarlo da una morte funestissima, e più che indegna della gloriosa rinomanza meritamente acquistata con tante memorabili imprese» (lib. iv).
  3. Annibale venuto a colloquio tra Zama e Naragara l’Africano per indurlo ad un accomodamento, pose fine alla sua orazione dicendo: «Io pertanto pronto sono a cotal partito, dappoichè ho sperimentato coi fatti quanta sia mutabile la fortuna, e come una minuta circostanza pender la faccia a favore dell’una parte o dell’altra, trattandoci da scipiti fanciulii (Pol., lib. xv; traduz. del chiarissimo I. G. B. Kohen).
  4. Il Nostro negli Edificj (lib. ii cap. 10) narra come fosse di poi rifabbricata da Giustiniano, dicendo tra le altre cose: «D’onde è venuto, che se Antiochia era stata prima splendida e magnifica, più splendida e più magnifica fosse di poi».