Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo VII

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Capo VII

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CAPO VII.

Cosroe debellata la città di Berea ne fa esecrando scempio. — Megas tornato in Antiochia non può indurne gli abitatori ad attendere le sue promesse. — Va una seconda volta mediatore al persiano duce. — Costui finalmente cede, e condona la vita ai Berei ed al presidio entro la rocca.

I. Megas nel dì medesimo della ottenuta grazia ricalcò la via di Antiochia, e Cosroe ricevuto il danaro pattovitogli tenne quella di Berea, città mezzana tra Gerapoli ed Antiochia, e distante un giorno di spedito cammino da entrambe. Il vescovo però menando seco pochissima comitiva percorreva cotidianamente doppia strada che non il duce coll’esercito, cosicchè dopo la quarta giornata egli fu in Antiochia, e l’altro arrivava nei sobborghi di Berea, da dove tosto mandò Paolo ai cittadini per danaro, chiedendone a motivo delle malsicure loro mura due tanti di quello avuto dai Gerapolitani. Gli abitatori disperati della propria difesa acconsentironvi, ma poscia inviandogli soli due mila nummi d’argento si dichiararono impotenti a pagare il resto. Rinnovatasi nondineno dal Persiano la inchiesta, e vinti dal timore fuggirono colle truppe nella rocca fabbricata sopra un colle. Nel dì vegnente i messi, speditivi altra fiata per ricevere il danaro, tornati indietro riferirono a Cosroe di avere trovato le porte chiuse e priva affatto di guardia e popolo la città; questi allora ordinò che fossero scalate le mura, ed accintisi di botto all’opera i [p. 172 modifica]primi a salirle discesi dall’opposta parte spalancarono le porte, e v’accolsero l’esercito: di poi l’adiratissimo duce, fatto incendiare poco meno che l’intiero novero delle case, procedette all’assalto della rocca, ed il costei presidio, venuto alle mani, coraggiosamente pugnando uccise molti nemici, ma tuttavia per la imprudenza degli assediati fu costretto a cedere la vittoria. Imperciocchè i cittadini trasferitisi là entro avendo condotti seco, in vece di ripararvi soli, e cavalli, e muli, ed altro bestiame altutto disutile, vidersi in pochissim’ora disseccata l’unica sorgente d’acqua in poter loro, e così tutti esposti all’estremo de’ mali.

II. Arrivato intrattanto Megas ad Antiochia e narrativi gli accordi fatti col nemico, non potè vincere la fortissima ostinazione di que’ cittadini nel rifiutarsi all’adempimento di essi, e Giovanni figliuol di Rufino e Giuliano scriba delle cose segrete, o con voce latina segretario, imperiali ambasciadori venutivi di fresco, erano i primi a contradiarlo, protestando in ispecie l’ultimo che Giustiniano mai più accorderebbe danaro ai nemici dell’imperio, nè riscatterebbe città di sua pertinenza. Egli adunque, aringati indarno gli Antiocheni, ed accusato per giunta dal costoro vescovo Eufemio qual traditore della cosa pubblica al re, partissene, come fece non guari dopo Eufemio stesso, il quale temendo il furor persiano riparò tra’ Cilici, dove presto comparve anche Germano alla testa di pochissime truppe, avendo lasciato in Antiochia le rimanenti.

III. Megas restituitosi di fretta in Berea ed uditavi la diffalta dell’acqua, tornò piangendo al cospetto di [p. 173 modifica]Cosroe, e prostesoglisi ai piedi implorava non più che la vita degli assediati. Il persiano mosso da pietà e vinto dalle preghiere promisegli con giuramento che tutti i rinchiusi nel forte n’andrebbero salvi; e così avvenne, riparando ciascuno de’ Berei ov’estimò di suo maggior profitto, ma pochi guerrieri tennero lor dietro, essendosi gli altri, sdegnati coll’imperatore in causa dei ritardati stipendj, uniti al nemico per quindi venire con esso nella Persia.