La Stella Polare ed il suo viaggio avventuroso/Parte seconda/1. Le esplorazioni artiche

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Parte seconda Parte seconda - 2. Gli orrori delle regioni polari

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Capitolo I

Le esplorazioni artiche


Le terre polari del nord-ovest, al pari di quelle del nord-est, hanno destato in tutti i tempi una vivissima curiosità ed hanno avuto anche esse un numero infinito di eroi, come pure un numero infinito di vittime.

Il fascino dell’ignoto, doveva farsi sentire naturalmente, prima di tutti, fra i popoli più settentrionali dell’Europa. Che cosa si nascondeva dietro quegl’immensi campi di ghiaccio che i venti e le correnti spingevano dal settentrione? Ecco la domanda che si rivolgevano i norvegesi, gli scozzesi ed i danesi.

Era possibile, attraversando quelle barriere gelate, di trovare altre terre da conquistare? Ecco quello che si domandavano più tardi i rapaci normanni dallo spirito irrequieto ed avventuroso. La curiosità e l’avidità di nuove conquiste creano i primi naviganti polari. Piccole navi, montate da equipaggi che non temono la morte e che se ne ridono delle tremende tempeste, salpano audacemente dai porti della Danimarca, della Norvegia e della Scozia e s’inoltrano arditamente in quei mari sconosciuti che bagnano le coste settentrionali dell’Europa.

Centinaia d’anni prima che Colombo toccasse l’America, quei coraggiosi marinai scoprono l’Islanda, poi, spingendosi più innanzi, la Groenlandia, quindi il Labrador e fondano colonie che diventano [p. 144 modifica]fiorenti, ma che alcune centinaia d’anni più tardi scompaiono misteriosamente. Che cosa era avvenuto degli stabilimenti fondati da quei marinai che trafficavano con la Danimarca? Mistero!

Seicento e più anni trascorrono senza che più nessuno si occupi delle terre perdute al di là del circolo artico e anche al di quà. I grandi sconvolgimenti del medio evo sembra che abbiano spento la passione pei viaggi, tanto più che le colonie iscoto-danesi e normanne avevano rotta ogni relazione con la madre patria, perdendosi non si sa dove.

Due italiani, pei primi, danno nuovo impulso alle scoperte polari.

I fratelli Zeno, veneziani, nel 1380 salpano pei mari del nord e scoprono una terra alla quale danno il nome di Frislandia.

Cos’era quella terra? Si suppose che fosse l’Islanda, altri invece credono che fosse la Groenlandia. L’una o l’altra, i fratelli Zeno danno pei primi la spinta alle lunghe ed avventurose navigazioni nei mari nordici. Nel 1431 un altro italiano, messer Pietro Quirini salpa da Candia, esce dal Mediterraneo, una furiosa burrasca assale il suo vascello presso il capo Finisterre e gli spezza il timone.

Col suo equipaggio si rifugia in due scialuppe, naviga per trentotto giorni verso il settentrione e con quarantacinque compagni sbarca in una terra ignota, situata, sembra, presso il 67° di latitudine.

Una delle due scialuppe viene inghiottita dalle onde, ma egli riesce a toccare la Norvegia e dopo lungo e periglioso viaggio ritorna a Venezia nel 1432.

Nel 1491, un altro veneziano, trasferitosi in Inghilterra, Sebastiano Caboto, intraprende numerosi viaggi nei mari settentrionali, ed il 24 giugno del 1494, mentre Cristoforo Colombo approdava in America, scopriva la Tierra de los Baccalaos, o meglio Terra Nuova, dando un nuovo impulso ai viaggi avventurosi.

Ed ecco che dietro a questi quattro italiani, corrono numerosi altri, inoltrandosi audacemente nei mari polari. Risalgono verso il nord dall’America e dall’Europa, cercando indefessamente il passaggio del nord-ovest che doveva condurli dall’Atlantico al Pacifico, e quello del nord-est che doveva spingerli fino al Giappone senza fare l’immenso giro del capo di Buona Speranza e di tutte le terre [p. 145 modifica]

Equipaggio della Stella Polare. [p. 147 modifica]meridionali dell'Asia, e più tardi cercano di raggiungere il polo, quel punto misterioso bloccato dalle immense barriere di ghiacci.

Le numerose scoperte fatte nel nord-ovest, non hanno alcuna relazione col viaggio di S. A. R. il duca degli Abruzzi, quindi non seguiremo che quelle fatte verso il nord-est, dove trovasi la Terra di Francesco Giuseppe ed i mari percorsi dalla Stella Polare.

Il primo viaggio di scoperta tentato nelle regioni del nord-est, lo si deve a sir Ugh Willoughby, un audace capitano inglese.

Nel maggio del 1553, salpa da Radcliffe, con tre navi montate da centotredici persone e la maggiore delle quali non stazzava che centosessanta tonnellate, e affronta l'oceano polare, le sue tempeste ed i suoi campi di ghiaccio.

La prima spedizione polare tentata in quelle regioni non doveva incoraggiare gli altri che si preparavano a correre sulle tracce di Willoughby. Una nave, spinta dalla tempesta, si separa dalle altre e va a esplorare il mar Bianco, in quei tempi noto solamente alla Russia. Le altre due navi invece approdano ad una terra che non si sa ancora quale sia, poi ripiegano sulle coste della Lapponia per svernare.

Il crudo inverno fa strage degli equipaggi. Lo scorbuto scoppia e tutti quei valorosi, compreso il loro capo, spirano uno ad uno in mezzo alle nevi.

Solamente due anni dopo la salma dell'infelice capitano, scoperta da un mercante russo, viene ricondotta in patria assieme ai due legni privi dei loro equipaggi.

Questa orrenda catastrofe non arresta le spedizioni polari verso il nord-est. Altri valorosi si preparano a sfidare i freddi intensi del polo.

Nel maggio del 1556, un altro inglese, il capitano Borrough si slancia sulle tracce di Willoughby con tre vascelli. Ne perde due durante il viaggio, però riesce a scoprire lo stretto di Jugor ed a visitare le coste abitate dai samoiedi.

Nel 1580, due altre navi armate dalla compagnia inglese sorta per trafficare con la Russia, salpano per le regioni nordiche al comando di Pett e di Jakman.

Nel giugno essi scoprono il mar di Kara, allora coperto di ghiacci, [p. 148 modifica]restando ben sedici giorni avvolti fra nebbie densissime, poi riprendono la via del ritorno, ma una burrasca divide le due navi, e la minore, comandata da Jakman, scompare per sempre, nè più mai se ne potè avere notizie. Era stata fracassata dai ghiacci o le onde l’avevano prima demolita e poi inghiottita? Mistero!...

Nel 1594, un altro audace s’inoltra nel mare Polare. È William Barentz, uno dei più fortunati navigatori dell’oceano settentrionale.

Parte con tre navi, visita lo stretto di Matochkin e percorre mille e settecento miglia fra i ghiacci, spingendosi fino al 71° 33’ di latitudine.

L’anno seguente riparte con sette navi al comando dell’ammiraglio Nay, scopre alcune isole, visita le coste siberiane, studiando gli usi ed i costumi dei samoiedi, prende terra all’isoletta degli Stati dove gli orsi bianchi gli divorano alcuni marinai, e ritorna in Olanda il 18 novembre.

Nel maggio 1596, questo instancabile esploratore, per incarico dei mercanti di Amsterdam, torna nei mari polari con due navi, scopre l’isola degl’Orsi a 74° 30’ di latitudine, così chiamata per avervi colà ucciso un orso bianco di dimensioni mostruose, quindi spingendosi sempre più verso settentrione, si imbatte in una terra sconosciuta che chiama Spitzbergen.

Ripresa la navigazione con una sola nave, avendo l’altra fatto ritorno in Europa, erra lungamente fra quei ghiacci, in preda a uragani spaventevoli, finchè un ice-berg gli spezza il timone.

Esausto, coll’equipaggio ridotto a soli diciotto uomini, va a cercare rifugio nella baia dei Ghiacci, una delle migliori dello Spitzbergen, costruendo una capanna che sussiste ancora.

L’inverno li sorprende quasi senza viveri. S’arrestano gli orologi e gelano perfino il vino, la birra e l’alcool.

Parecchi marinai non possono sopportare quelle dure prove e soccombono miseramente.

Finalmente il freddo scema, la buona stagione ritorna e l’equipaggio, il 23 giugno del 1598, lascia quelle terre inospitali imbarcandosi su due scialuppe.

Erano tutti ridotti in uno stato orribile pei lunghi patimenti. Anche la gagliarda fibra di Barentz è finalmente minata dallo [p. 149 modifica]scorbuto e l’ardito esploratore muore in pieno mare, fra le braccia dei suoi fedeli marinai, la mattina del 30 giugno.

Gli altri più tardi venivano salvati da una nave russa e condotti a Kola.

Nel 1607, Enrico Hudson, il fortunato scopritore della baia omonima, prima di tentare il passaggio del nord-ovest si rivolge a quello del nord-est. S’imbarca su una piccolissima nave, montata da soli undici uomini e con un coraggio temerario spiega le vele pel settentrione.

Tocca il 72° 38’ di latitudine, vede lo Spitzbergen, perlustra il mare per parecchi mesi, lottando contro i ghiacci e le tempeste, poi ritorna in causa dell’immensa barriera di ghiaccio che minaccia di avvolgerlo, dopo di essersi spinto più a settentrione dei suoi predecessori, ossia fino all’80° 23’.

L’anno seguente riparte con quattordici uomini, tentando nuovamente di scoprire il passaggio del nord-est o di spingersi fino al polo, ma i ghiacci lo obbligano a ritornare.

Si sa che questo navigatore doveva più tardi, nel cercare il passaggio del nord-ovest, scoprire l’immensa baia di Hudson, trovandovi poi una morte orribile.1

Dopo questi primi esploratori, ecco venire i balenieri.

Il gran numero di balene, di foche e di trichechi trovati in quelle regioni, fanno nascere potenti società in Olanda e nell’Inghilterra, per ritrarre l’olio da quei mammiferi.

Numerose navi salpano pei mari boreali, visitando successivamente le terre già scoperte e trovandone altre.

Le coste dello Spitzbergen si delineano di già, poi quelle dell’isola di Jan Mayen, della Nuova Zembla e quindi quelle della Siberia occidentale.

La speranza di trovare più a settentrione maggior numero di cetacei, di foche e di morse, spinge sempre più innanzi i balenieri.

Il mare, compreso fra lo Spitzbergen e le spiagge settentrionali [p. 150 modifica]della Russia e della Siberia, non basta più alle loro imprese. Sentivano per istinto che più verso al nord dovevano trovarsi nuove terre da visitare e quindi da raccogliere nuove ricchezze sotto forma di pellicce e di olio.

Nel 1614 il capitano Fortherby, visita le coste settentrionali dello Spitzbergen; nel 1617 alcuni balenieri inglesi scoprono una nuova terra alla quale danno il nome di Terra del Re Carlo o di Niche, poi un’altra ancora più a settentrione, quella di Gillis, dimenticata poi per parecchio tempo, quindi ritrovata e poi abbandonata ancora.

La scomparsa delle balene, già quasi tutte distrutte da quegli avidi marinai, arresta nuovamente le spedizioni verso le regioni nordiche.

Qualche ripresa si ha nel 1666.

Un capitano olandese di origine ebraica, con un equipaggio composto esclusivamente di ebrei, intraprende una spedizione nelle regioni polari, con la speranza, davvero inesplicabile, d’imbattersi in quelle regioni in qualcuna delle dieci tribù israelitiche perdute!...

Nel 1675 un altro olandese Cornelio Snobberger parte pel nord, trova una terra presso 72° 30’ sulla quale raccoglie molte pietre credute da lui preziose, mentre fu trovato più tardi che non avevano alcun valore.

Poi le spedizioni verso il nord, salvo qualcuna priva di risultati, cessano per un lungo periodo, per volgersi invece alla scoperta delle coste siberiane.

È solamente verso la fine del 1700 che le spedizioni polari vengono riprese, dapprima timidamente, poi con slancio crescente.

La mèta dei navigatori del diciottesimo e del diciannovesimo secolo non è il passaggio del nord-est, bensì il polo. Tutte le spedizioni altro non mirano che a forzare l’immensa barriera dei ghiacci per raggiungere quel punto dove si riuniscono tutti i meridiani del globo.

Phipps, figlio di lord Mulgrave, apre pel primo la via, con due navi, salpando da Nore il 2 giugno del 1773.

Il 4 luglio giunge allo Spitzbergen, ma qui le barriere di ghiaccio lo arrestano, costringendolo a cercare altrove un passaggio. Ripiega verso l’isola di Moffen, poi verso le Sette Isole, tentando di [p. 151 modifica]rompere quei banchi di ghiaccio che gli ostacolano la marcia, corre il pericolo di farsi fracassare le navi, poi, scoraggiato rinuncia all’impresa, convinto dell’assoluta impossibilità di trovare un passaggio verso il polo.

Quasi nell’istessa epoca, un altro inglese, il capitano Robinson, tenta pure di giungere al polo per la via dello Spitzbergen e riusciva a spingersi fino all’81° 30’ di latitudine, dove veniva arrestato dai campi di ghiaccio, senza aver scoperta alcuna terra.

Altri inglesi e olandesi si seguono con esito sempre negativo, poi vengono dei capitani russi, i quali non hanno miglior fortuna. Dovunque la barriera di ghiaccio oppone un ostacolo assolutamente insuperabile.

Nel 1827 è la volta di Parry, uno dei più audaci esploratori polari, che aveva già compiuti prima altri viaggi fortunati nei mari polari della Groenlandia e dell’America settentrionale.

Credendosi più fortunato, parte con due navi bene equipaggiate, sale fino allo Spitzbergen e va ad ancorarsi nella baia di Hecla Cove, per sottrarsi alle tremende tempeste che minacciano d’inghiottire le sue navi.

Fu di là che cominciò le sue escursioni terrestri, avanzandosi con delle barche-slitte in compagnia di due ufficiali e di due marinai.

Procedendo attraverso ai campi di ghiaccio, in mezzo a continui pericoli e con fatiche immense e lottando con la deriva, che trasportava i banchi verso il sud, riesce a superare tutti i precedenti esploratori.

Aveva raggiunto l’82° 45’ latitudine che per parecchi anni rimase la più elevata, non ostante gli sforzi valorosi di molti altri non meno audaci navigatori che, se non superarla, avevano tentato almeno di raggiungerla.

Il pessimo stato dei campi di ghiaccio e le correnti polari che trascinavano quegli stessi banchi verso il sud, costrinsero Parry a pensare al ritorno.

Verso la fine del settembre, Parry rivedeva l’Inghilterra, accolto con grandi onori dal governo e dai suoi compatriotti.

Nel 1858 è il capitano Quennershadt, che con una piccola nave s’avanza verso lo Spitzbergen, visitando quei fjords e le Mille Isole, [p. 152 modifica]riportando numerose collezioni botaniche e geologiche; nel 1861 re Oscar di Svezia e Norvegia allestisce a sue spese una nuova spedizione composta di due navi e la manda, assieme a Nordenskiold, il futuro scopritore del passaggio del nord-est, a perlustrare i mari Artici.

Nel 1863 il capitano Ming circumnaviga lo Spitzbergen, rivede la terra di Gillis, che si credeva scomparsa, poi le isole Barentz, quindi quella di Hope, ma i ghiacci gli impediscono di continuare le sue scoperte.

Nel 1868 la Germania allestisce una nave al comando del capitano Koldowely e la manda a esplorare l’oceano Artico, arrivando fino all’80° 13’ di latitudine, al nord dello Spitzbergen.

L’anno seguente la stessa nave, unitamente all'Hansa, riparte e mentre la prima va ad esplorare le coste groenlandesi, l’altra, sbattuta dai venti e dalle onde, va a rompersi sulle coste di Jan Mayen e l’equipaggio si salva miracolosamente su di un banco di ghiaccio, percorrendo ben mille e cento miglia.

Nel 1872 il capitano Tobiesen si spinge verso l’isole Cherie, dove viene imprigionato dai ghiacci. Passa l’inverno in mezzo alle nevi, col figlio e due soli marinai, essendo stati gli altri trasportati verso la costa siberiana dai ghiacci galleggianti, e al ritorno della primavera muore di scorbuto, assieme al figlio.

Gli altri due, morenti di fame, vengono raccolti in pieno mare e salvati da una nave russa.

Seguono poscia Leigh Smith, David e Gray, con poca fortuna, poi la crociera del Cisbar comandato dal luogotenente Payer, il futuro scopritore nella Terra di Francesco Giuseppe, in unione al signor Weyprecht, la quale si limita a fare osservazioni sui ghiacci verso il 78° di latitudine.

Nel 1872 Payer, al comando del Tegetthoff, salpa nuovamente per le regioni nordiche, risoluto a spingersi molto innanzi.

È una delle ultime, ma anche delle più fortunate spedizioni.

Al 76° 30’ di latitudine la nave viene bloccata dai ghiacci, non ostante tutti gli sforzi del suo equipaggio e per lunghi mesi si lascia trasportare dalla deriva, prima verso greco, poi verso maestro.

Il crudo inverno che ha recato tanti danni all’equipaggio passa, [p. 153 modifica]

Una muta di cani. [p. 155 modifica]ma la nave non può venire liberata. Tutto all’intorno vi sono montagne di ghiaccio spaventevoli.

Verso la fine dell’estate, al 30 d’agosto, a quattordici miglia verso borea, appare una terra, alla quale il Payer dà il nome di Wilczeck, in onore del mecenate della spedizione.

L’inverno sorprende di nuovo il Tegetthoff a 79° 31’ di latitudine, un inverno più crudo del precedente. Il petrolio gelava nelle lampade ed il cognac diveniva solido!...

Il 1° marzo Payer, che intuisce la vicinanza di qualche terra, parte con la slitta e alcuni cani assieme a sei marinai, ed esplora la Terra di Wilczeck e l’isola Hall. Il freddo intenso e le immense barriere di ghiaccio gli obbligano però a far ritorno alla nave.

Nello stesso mese Payer, accompagnato da un alfiere e da cinque marinai, riparte pel settentrione e scopre successivamente la Terra di Zichy, il canale d’Austria, il Capo Kane, poi la Terra Carlo Alessandro, quella del principe Rodolfo e quindi quella di Francesco Giuseppe e l’isola di Mac-Clintock.

Ritornato alla nave, fu deciso il ritorno, non avendo viveri sufficienti per sfidare un nuovo inverno. Essendo il Tegetthoff sempre prigioniero, fu abbandonato fra i ghiacci e la spedizione riprese la via del sud con slitte ed un battello.

Dopo novantasei giorni di fatiche inenarrabili, la spedizione viene finalmente raccolta dallo schooner russo Nicolai e sbarcata, il 3 settembre del 1874 a Vordochuss.

Incoraggiati da quello splendido successo, i norvegesi allestiscono una spedizione composta del Polhem e di due vapori sussidiarii.

La comandava Nordenskiold, il quale aveva assunto, in qualità d’ufficiale, un italiano, il luogotenente Eugenio Parent.

La piccola flotta salpa verso la metà del luglio del 1872, tocca lo Spitzbergen e cerca di raggiungere le Sette Isole, dove Nordenskiold contava di passare l’inverno.

A 80° 14’ i ghiacci, numerosissimi quell’anno, arrestano le navi, le costringono a rifugiarsi nella baia di Mossel, e le imprigionano, rendendo estremamente critica la sorte degli esploratori.

I viveri si consumano e le cacce non danno il necessario per sfamare tante persone. [p. 156 modifica]

Una barca da pesca, sfuggita alle strette dei ghiacci, reca in Norvegia la notizia del pericolo che corre la spedizione.

Si arma una nave, l’Albert e si manda nei mari polari in aiuto dei pericolanti, ma deve retrocedere in causa di alcune gravi avarìe.

Una seconda nave, l’Isbjorn, l’8 gennaio del 1873 si spinge verso il nord, ma si vede tagliata la via da immensi campi di ghiaccio che la costringono a tornarsene.

Il comitato artico di Brema, arma il Groenland e lo manda in aiuto dei disgraziati esploratori, nonchè di parecchi pescatori balenieri rimasti prigionieri al capo Graz quasi sprovvisti di viveri.2 Oltre lo Spitzbergen, nello stretto di Belt, i ghiacci lo arrestano e va a cacciare foche nell’Islanda, coll’intenzione di tornare alla ricerca degli esploratori nella buona stagione.

Pareva però che un triste destino pesasse su Nordenskiold, poichè il comandante della nave di soccorso poco dopo moriva e l’equipaggio, disanimato, faceva ritorno a Brema.

Fortunatamente, dopo un inverno rigorosissimo, i ghiacci si spezzano ed il Polhem, liberato finalmente, ritorna in Europa.

Dopo quella di Nordenskiold altre poche ne succedono, fra le quali quella fortunata di Leight Smith coll’Eira, che completa le scoperte fatte da Payer, poi ultima e più importante viene quella di Nansen.

Ecco le regioni che la Stella Polare, al comando del giovane e valoroso Duca sabaudo stava per solcare, dopo la sua partenza da Arcangelo e la sua uscita dal mar Bianco.



Note

  1. Questo disgraziato navigatore fu preso dai suoi uomini, che gli si erano ribellati dopo la scoperta della baia, e messo in una scialuppa assieme al proprio figlio e a sette marinai. Essi morirono probabilmente di fame.
  2. Questi balenieri morirono tutti uccisi dalla fame e dallo scorbuto. Erano una quarantina.