La capitana del Yucatan/31. Il bombardamento di Santiago

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31. Il bombardamento di Santiago

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CAPITOLO XXXI.


Il bombardamento di Santiago.


Santiago è la seconda città di Cuba per numero di popolazione, per importanza ed anche per fortificazioni.

Essa è situata sulla costa sud-est dell’isola, a breve distanza dai primi contrafforti della Sierra Maestra, a circa quattrocentocinquanta miglia dall’Avana prendendo la via di terra ed a [p. 272 modifica]cinquecentoventicinque se si prende quella del mare, tragitto questo che i piroscafi della Sobrinos de Herrera compiono in due giorni.

Essa è situata in fondo ad una delle più belle e più sicure baie dell’isola, capace di contenere una flotta numerosissima, ed ha una popolazione di circa cinquantamila anime, per la maggior parte negri e meticci, i quali si occupano quasi esclusivamente del traffico dello zucchero.

Ha molti edifizi notevoli, sì pubblici che privati, fra i quali le residenze del governatore e dell’arcivescovo e numerose chiese per la maggior parte grandiose, essendo ricco il clero cubano.

La maggior importanza consiste però nel suo porto che è, come si disse, uno dei più belli e dei più sicuri. È una baia assai profonda, di forma irregolarissima, lunga oltre sei chilometri e larga uno e mezzo, con due piccole isole, quella di Smith e quella del Ratone ed un piccolo fiume, il Rio Gascon.

L’accesso vi è difficile, dovendosi percorrere un canale lungo un miglio, largo circa trecento metri e che in certi punti si restringe fino a centottanta ed anche meno.

Le difese del porto sono situate, si può dire, tutte su quel canale, rendendo estremamente pericoloso l’accesso a qualsiasi squadra nemica.

Alla bocca esterna giganteggia il forte Morro, situato su di un’altura, massiccia costruzione di forma irregolare, lunga oltre quattrocento metri, armato d’un gran numero di cannoni per lo più di vecchio calibro. Più oltre, nell’interno del canale altri due forti o meglio due blockhaus di pietra, rafforzati con ferro: la batteria dell’Estrella ed il castelluccio di Santa Catalina.

Sulla sponda destra si trova il forte della Sopaca, situato in buona posizione, quasi a metà del canale in modo però da dominare il mare e da aiutare validamente il Morro.

Dalla parte di terra invece, prima della guerra non vi erano che pochi terrapieni armati da piccole bocche da fuoco, sufficienti per tenere indietro gl’insorti ed una batteria, quella chiamata del Blanco. Dopo però lo scoppio delle ostilità gli spagnuoli si erano affrettati ad erigere nuove batterie non solo nei pressi della città, ma anche più lontano, a El Caney e ad Aguadores.


· · · · · · · · · · ·

Un immenso scoppio d’entusiasmo, aveva salutato l’arrivo della piccola nave, guidata dall’intrepida marchesa del Castillo.

Mentre le navi di Cervera proiettavano sul valoroso yacht sprazzi di luce elettrica per rendergli più agevole l’entrata nella baia, dagli spalti della batteria dell’Estrella, da quelli della Sopaca e del forte di Santa Catalina, i soldati spagnuoli salutavano con strepitosi evviva gli audaci violatori del blocco, mentre gli equipaggi del Cristobal Colon, della Reina Mercedes, dell’Infanta Maria, dell’Almirante Oquendo e della Viscaya, mandavano hurrà formidabili. [p. 273 modifica]La ritirata si compiè rapida. [p. 275 modifica]

Le poderose artiglierie del Morro, come se volessero partecipare a quell’entusiasmo, mescolavano la loro possente voce a quella degli uomini, tuonando però contro le navi americane naviganti dinanzi al canale.

Donna Dolores, ritta alla ruota del timone, col volto sfavillante di gioia, immersa in quel mare di luce proiettata dai fanali elettrici degli incrociatori, guidava il suo Yucatan attraverso il canale, mentre i suoi marinai, in preda ad un vero accesso di delirio, l’acclamavano e salutavano le navi spagnuole con salve di moschetteria.

La piccola nave, dopo essere passata dinanzi alle batterie ed ai forti e di aver costeggiata l’isoletta di Smith e quindi quella del Ratone, andò a gettare l’àncora dinanzi alla città, a prora del Cristobal Colon e della Viscaya.

Una scialuppa staccatasi dalla nave ammiraglia, andò ad abbordarla. La montavano due marinai guidati dal capitano di vascello Carlier, comandante della contro-torpediniera il Furor, un eroe che doveva più tardi pagare colla vita il suo insuperabile coraggio.

Il capitano salì lestamente a bordo del Yucatan, mosse rapidamente verso la marchesa e levatosi il berretto e tendendole la mano, le disse:

— Signora marchesa, voi avete ben meritata la riconoscenza della patria. Ricevete i saluti e i ringraziamenti del generale Torral, comandante della piazza e dell’ammiraglio Cervera. Voi, signora, siete una eroina!

— Grazie, capitano, — rispose donna Dolores, con voce commossa. — Io, il mio tenente Cordoba ed i miei marinai abbiamo fatto quanto abbiamo potuto e siamo lieti di essere giunti in così buon punto a Santiago.

Dite al generale Torral che il nostro carico è completo e che lo mettiamo a sua disposizione. —

Il capitano s’inchinò, poi porgendo nuovamente la destra alla valorosa donna, le disse:

— A domani, signora marchesa. Voi ed i vostri intrepidi marinai dovete aver bisogno di riposo.

— È vero, capitano; sono due notti che nessuno osava chiudere gli occhi. —

Accompagnò il comandante del Furor fino alla scala di babordo, poi volgendosi verso i marinai che erano rimasti schierati sulla tolda dell’Yucatan, disse loro:

— Amici, grazie della vostra cooperazione, della vostra audacia, del vostro patriottismo. L’impresa che pareva dovesse riuscire impossibile, noi l’abbiamo compiuta. La Spagna serberà eterna riconoscenza ai valorosi suoi figli. —

Un grido immenso sfuggì dai poderosi petti dei centodieci uomini: [p. 276 modifica]

— Viva la Spagna!... Evviva la nostra Capitana!... —

Dai ponti delle corazzate spagnuole ancorate a breve distanza echeggiò un ultimo e più fragoroso hurrà all’indirizzo dei violatori del blocco e della loro Capitana, poi le lampade elettriche si spensero ed il silenzio ritornò nell’ampia baia, rotto solo di quando in quando dal rimbombo di un gigantesco Krupp, che dall’alto degli spalti del Morro, tuonava contro le navi americane.

Quando i marinai del Yucatan si furono ritirati nella camera comune di prora e nelle corsie del frapponte, donna Dolores si accostò a Cordoba che era rimasto ancora sul ponte, fumando placidamente una sigaretta e stringendogli vigorosamente le mani, gli disse con voce commossa:

— Ed a te cosa dovrò dire, mio buon Cordoba, a te che mi hai strappata dalle mani degli insorti e che hai condotto in salvo il mio Yucatan? Cosa dovrà fare la tua allieva per te?

— Eh! Come correte, donna Dolores, — disse Cordoba. — Chi vi assicura che io, o meglio che noi due, abbiamo condotto in salvo l’Yucatan?

— Non siamo forse in Santiago, sotto la protezione dei forti e delle corazzate spagnuole? —

Cordoba la guardò senza rispondere, poi dopo alcuni istanti, disse con voce lenta:

— E come uscirà da Santiago il nostro Yucatan, donna Dolores? Lo sapete voi?...

— Cordoba... cosa vuoi dire?...

— Nulla per ora.

— Tu non hai fede nella resistenza di Santiago?

— Penso, donna Dolores, — disse Cordoba con voce malinconica, — che mentre qui vi sono cinque corazzate e due cacciatorpediniere al di fuori della baia ve ne sono quattro volte di più e non poche più formidabili di quelle spagnuole.

— E tu temi?... — chiese la marchesa con ansietà.

— Non temo nulla per ora: lo si potrà sapere domani, quando avrò raccolto tutte le notizie della guerra.

Andate a riposarvi, donna Dolores; voi ne avete tanto bisogno. All’alba andremo a fare una visita al generale Torral, comandante della piazza, poi sbarcheremo il carico. —

Strinse la mano alla marchesa, poi invece di scendere nel quadro e di recarsi nella propria cabina andò a sedersi a prora, su d’un mucchio di cordami ed accesa la trentesima sigaretta s’immerse in profondi pensieri, mentre un grosso pezzo Krupp del Morro tuonava, ad intervalli d’un quarto d’ora, verso il mare con cupo rimbombo.

L’indomani, la marchesa e Cordoba, poco dopo l’alba sbarcavano in Santiago assieme al capitano Carlier messo a loro disposizione dall’ammiraglio Cervera e si recavano a salutare il generale Torral, comandante della piazza. [p. 277 modifica]

Al ricevimento assisteva anche il generale Linares, uno degli eroi della difesa di Santiago e numerosi colonnelli ed ufficiali. L’accoglienza non poteva essere più entusiastica e la marchesa ricevette i più calorosi ringraziamenti per la sua audace condotta e per la felice riuscita dell’impresa che da tutti era stata ritenuta irrealizzabile.

Il generale Torral s’affrettò ad informarla delle ultime vicende della campagna e non potè nasconderle la gravità della situazione.

Santiago stava per correre un grave pericolo. Le due squadre americane, cinque o sei volte più potenti di quella di Cervera, rendevano ormai impossibile qualunque aiuto da parte della madre patria ed estremamente difficile, per non dire impossibile, l’uscita degli incrociatori e delle torpediniere spagnuole.

Ad aggravare doppiamente le inquietitudini era giunta già anche la notizia che a Tampa, nella Florida, stavano raggruppandosi ventisettemila americani dell’esercito regolare per trasportarli a Santiago e bloccare la piazza anche dalla parte di terra.

E questo non era tutto. Grosse bande d’insorti erano state segnalate alle falde della Sierra Maestra, mentre altre si erano già impadronite della linea ferroviaria Santiago-San-Luis, interrompendo le comunicazioni coll’Avana e minacciando di tagliare fuori il corpo di spedizione del generale Pando che doveva accorrere alla difesa della piazza assediata.

— Tuttavia, signora marchesa, noi sosterremo gagliardamente la lotta, — concluse il generale. — Il nostro presidio è scarso, tale anzi da non poter resistere ad un attacco del corpo di spedizione americano, ma i nostri soldati sono decisi di fare il loro dovere finchè avranno una cartuccia ed un pezzo di pane.

Colle armi che voi ci avete portate, noi armeremo anche i cittadini e se dovremo cadere, oppressi dal numero, sapremo morire da valorosi sulle nostre bandiere.

— Ed il bombardamento, credete che continuerà, generale? — chiese la Capitana.

— Certamente, marchesa. Oggi si limiteranno ad importunare il forte del Morro, però prevedo un bombardamento furioso per tentare di distruggere le nostre opere esterne.

Facciano pure gli americani: noi risponderemo e vigorosamente, ve lo assicuro. —

Un’ora dopo quel colloquio, l’Yucatan veniva accostato alla banchina del porto ed i marinai, aiutati da cento artiglieri, cominciavano lo scarico dei fucili e delle munizioni sotto gli occhi della marchesa, di Cordoba, e del colonnello Ordonez incaricato dal generale Torral di ricevere le casse.

Lo scarico fu compiuto senza difficoltà, non essendovi stata, in quel mattino, alcuna ripresa del bombardamento, poi l’Yucatan, onde metterlo al riparo degli obici americani, che talvolta [p. 278 modifica]cadevano presso le gettate della città, fu condotto al desbarcadero del Cobre, situato all’altra estremità della baia.

Durante quella prima giornata, nessun grave avvenimento venne a disturbare gli assediati. Le poderose corazzate americane si erano recate al largo, fuori di portata dai cannoni del Morro, senza però abbandonare il blocco. Pareva anzi che si tenessero pronte a piombare sulla squadra spagnuola nel caso che questa avesse tentato di uscire in mare.

Cordoba e la marchesa approfittarono di quella sosta degli assedianti per visitare i dintorni di Santiago, onde formarsi un concetto esatto delle forze e dei mezzi di resistenza degli assediati.

Visitarono successivamente i fortini, poi le opere di difese erette precipitosamente a El Caney e ad Aguadores per contrastare il passo agli americani, nel caso che questi avessero tentato uno sbarco, per sorprendere la città alle spalle in unione agl’insorti comandati dal cabecilla Garcias, uno dei capi più importanti della repubblica cubana.

Quelle posizioni importantissime erano occupate da circa quattordicimila spagnuoli, sotto il comando del generale Linares e dei brigadieri Lunque e Alden.

Quelle truppe formavano tutta la guarnigione di Santiago, poche veramente se avessero dovuto sostenere contemporaneamente l’urto della spedizione americana concentrata a Tampa forte di circa ventottomila uomini, dei quattromila insorti di Garcias ed il bombardamento delle squadre americane.

Si sapeva però che il generale Blanco aveva staccato un corpo per mandarlo in aiuto della piazza, un soccorso però molto problematico in causa della lunga via che doveva percorrere e delle numerose bande insorte che avrebbe dovuto prima sconfiggere.

— Cosa dici, amico Cordoba? — chiese la marchesa, quando alla sera si trovarono a bordo dell’Yucatan.

— Uhm!... — mormorò il lupo di mare crollando ripetutamente il capo. — Non siamo deboli, nondimeno non siamo nemmeno troppo forti e non so se potremo resistere allo sforzo poderoso che tenteranno gli americani.

Posso ingannarmi, pure vi dico, donna Dolores, che Santiago, sia pure fra uno o due mesi, o verrà sgombrata o presa.

— Sei pessimista, Cordoba.

— Cosa volete, donna Dolores? Speravo che questa campagna dovesse andare ben diversamente. Troppa lentezza da parte degli americani e troppa anche da parte degli spagnuoli.

Non era qui che doveva avvenire il primo urto, bensì all’Avana. Là il generale Blanco poteva precipitare addosso agli americani anche centomila combattenti, se lo avesse voluto, mentre in Santiago i quattordicimila che la difendono non potranno fare miracoli.

— Cordoba!... [p. 279 modifica]

— Donna Dolores.

— E se Santiago dovesse venire presa?

— Addio Yucatan, mia signora.

— La mia nave nelle mani degli americani?

— Eh!... Allora saranno cadute anche le corazzate spagnuole di Cervera.

— Preferisco farla saltare in aria.

— La manderemo in frantumi, donna Dolores. Andiamo a riposare, giacchè gli americani ci lasciano il tempo. Domani qui ci sarà un concerto tale da svegliare anche i morti.

— Lo credi?...

— Lo si teme e giacchè il generale Torral ci ha dato il permesso, andremo al Morro a godere lo spettacolo. Buona notte, donna Dolores. —

Come Cordoba aveva previsto, verso le tre del mattino, un’ora prima dell’alba, la popolazione e la guarnigione di Santiago venivano improvvisamente destate dal formidabile rimbombo dei grossi pezzi del forte Morro, mentre sul mare si vedevano pure a rombare i giganteschi cannoni delle grandi corazzate americane.

Cordoba e la marchesa si erano affrettati ad alzarsi e, fatta armare una scialuppa si erano diretti subito verso il Morro, assieme al colonnello Ordonez che avevano incontrato presso il castello di Santa Catalina.

Fortunatamente dopo le prime cannonate v’era stata una mezz’ora di tregua, occupata dalle corazzate americane nei preparativi di combattimento, ciò che faceva prevedere un serio attacco contro i forti esterni della baia.

Quando la marchesa, il colonnello e Cordoba giunsero al forte del Morro cominciava ad albeggiare.

Venti navi americane fra corazzate ed incrociatori, disposte su una doppia colonna, muovevano allora verso Santiago per battere in breccia il forte del Morro e le batterie del canale. Alla testa delle due colonne si vedevano distintamente la Yowa, la più poderosa corazzata degli Stati Uniti, dalle linee mostruose, l’Indiana, il Texas e il New York, la nave ammiraglia di Sampson, armate di pesanti cannoni da 30 e da 33, della portata di dodici chilometri.

Il Morro aveva ricominciato gagliardamente il fuoco, soprattutto coi suoi 5 pezzi Krupp sbarcati giorni prima dalla Reina Mercedes, validamente aiutato dai sei grossi Hontoria delle batterie della Sopaca.

Anche dal castello di Santa Catalina e dalle batterie de la Estrella dell’isola Smith i cannoni tuonavano, mentre la Reina Mercedes, appostatasi di fronte all’imboccatura interna del canale, si teneva pronta a fulminare lo stretto coi suoi pezzi di lunga portata.

In breve tempo il rimbombo divenne assordante. [p. 280 modifica]

Le corazzate americane, avvicinatesi a duemila metri, lanciavano contro le batterie del canale e contro gli spalti del Morro, i loro enormi obici i quali scoppiavano con immenso fracasso, producendo delle larghe squarciature.

Granate d’acciaio da 54 chilogrammi, granate da 28, obici da 28 e shrapnel da 45, micidialissimi, cadevano in gran numero sventrando i terrapieni, abbattendo le enormi muraglie, squarciando le feritoie e smontando, di tratto in tratto, qualche pezzo o fulminando sul posto gli artiglieri; però gli spagnoli tenevano bravamente testa a quel furioso grandinare, a quel precipitare di così enormi masse di ferro e d’acciaio.

I loro pezzi non rimanevano un solo istante muti e quando si presentava il destro, mandavano qualche grosso obice a scoppiare sul ponte delle corazzate o nei fianchi delle navi ausiliarie armate da guerra.

Un’ora durò quell’orrendo frastuono e quel furioso grandinare; poi, quando già gli spagnuoli cominciavano a respirare, credendo che l’attacco fosse stato respinto, una nave fu veduta staccarsi dalle due squadre e correre, con pazza temerità, verso il canale come se volesse forzare il passo e cacciarsi nella baia.

Era un grande vascello con due fumaioli e tre alberi, un grande transatlantico armato da guerra, a quanto sembrava, e che gli Stati Uniti avevano unito alla loro già poderosissima squadra.

Una potente corazzata che faceva un fuoco infernale per attirare su di sè i colpi degli spagnuoli, lo seguiva a breve distanza.

La marchesa e Cordoba che li avevano veduti attraverso una feritoia, avevano mandato un grido di stupore.

— Si forza il canale!... — aveva gridato la marchesa.

Il colonnello Ordonez che stava al loro fianco, sorvegliando il tiro d’uno dei grossi pezzi Krupp, si volse dicendole con un sorriso:

— Facciano pure: s’incaricheranno le torpedini di mandarlo a picco. Tirate sempre contro la squadra, giovanotti!... Lasciate che quei pazzi s’accostino. —

La grande nave, quantunque bersagliata dalle batterie de la Estrella, continuava la sua audace corsa verso il canale della baia, come se fosse sicura di entrarvi, e di comparire improvvisamente dinanzi alle navi dell’ammiraglio Cervera.

La corazzata che l’accompagnava, giunta a quattrocento passi dal Morro e già ripetutamente colpita dai grossi Krupp, non ostante lo spessore delle sue piastre d’acciaio, si era arrestata, poi aveva ripreso il largo a tutto vapore.

Il transatlantico invece aveva imboccato audacemente lo stretto canale e continuava la sua corsa. Ormai era tanto vicino, che Cordoba e la marchesa poterono leggere il suo nome.

— Il Merrimac! ... — aveva esclamato la marchesa. [p. 281 modifica]

— Un grosso trasporto armato da incrociatore, — disse il colonnello. — Aprite per bene gli occhi, signora!... È a pochi passi dalla linea delle torpedini. —

Il transatlantico che pareva non avesse equipaggio a bordo, poichè nessuno dei suoi cannoni faceva fuoco, si era già inoltrato di trecento metri entro lo stretto canale, quando un uragano d’acciaio lo colse. Le batterie della Sopaca e de la Estrella, vedendoselo passare dinanzi, avevano scaricati addosso a lui tutti i loro cannoni.

Il rimbombo non era ancora cessato quando una immensa colonna d’acqua, lanciata in alto da una sorda esplosione avvenuta in fondo al canale, avvolse la prora del Merrimac, ricadendo fino sulle rive del canale.

La nave, già bucherellata dalle artiglierie de la Estrella e della Sopaca, e squarciata dallo scoppio d’una torpedine fissa a fulminato di mercurio, si rovesciò impetuosamente sul tribordo, affondando rapidamente.

Nel momento in cui l’acqua giungeva agli ombrinali invadendo la tolda, sette marinai ed un tenente irruppero dal quadro di poppa, calarono una scialuppa e s’allontanarono rapidamente.

Gli artiglieri della Sopaca avevano sospeso il fuoco ritenendo una vigliaccheria freddare, con uno shrapnel o con una granata quei sette avversari, ma numerosi soldati si erano slanciati dalle casematte.

La scialuppa si dirigeva verso la spiaggia, ben comprendendo coloro che la montavano che non avrebbero avuto il tempo di uscire dal canale. Essi sbarcarono a breve distanza dalla Sopaca ed il tenente che li comandava disse ad un ufficiale d’artiglieria, che muoveva loro incontro, intimando la resa:

— Signore, la mia missione è finita: noi siamo vostri prigionieri. —

Quegli uomini erano sette marinai della flotta americana e l’ottavo era l’assistente navale P. Hobson.

— Ma costoro sono pazzi, — disse la marchesa che dal Morro aveva assistito a quella scena. — Forse che pretendevano di prendere Santiago in otto sole persone?... Quale americanata!

— V’ingannate, donna Dolores, — disse Cordoba. — Gli americani hanno avuto il loro scopo per mandare quel grande legno ad affondare nel canale.

— E quale, Cordoba?

— Quello di ostruire il passo per impedire alle navi di Cervera di uscire al largo.

— E tu credi che abbiano raggiunto il loro scopo?

— Io dico invece che hanno sacrificato inutilmente una bella nave.

— E perchè?... Il canale è ingombro da quella gigantesca carcassa. [p. 282 modifica]

— Bah!... E la dinamite, non la contate? S’incaricheranno i palombari di farla saltare, ecco tutto. Là! Lo dicevo io che si trattava d’un progetto prestabilito? Ecco che le navi americane prendono il largo e che sospendono il bombardamento.

— Poche perdite oggi, ma domani?...

— Riprenderanno il cannoneggiamento?

— Me lo direte domani sera, donna Dolores. —