La cieca di Sorrento/Parte prima/IV

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IV. Il testamento all'anima

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IV.


il testamento all’anima1.


Un giorno, Gaetano stava solo nella curia.

Erano le 10 del mattino. Il notaio era ito verso Toledo per una scritta nuziale. Secondo il consueto, egli lasciato aveva a Gaetano di che occuparsi, e avea portato seco tutte le chiavi delle schede, ov’erano stivati i secolari protocolli.

Gaetano, seduto presso al suo tavolino, con sopra enormi quaderni, era in quel momento in sulla copia di una carta che tenea spiegata dinanzi. Ma il suo pensiero aveva attaccato i cavalli di posta, e fuggiva... fuggiva ben lungi mentre le dita obbedivano all’impulso dell’assuefazione.

Erano pochi mesi da che sua sorella era morta, ed egli era... tristo... tristissimo; parea che in qualche modo l’avesse anche abbandonato quella febbrile passione per l’arte medica che avea sostenuto fino a quel momento il suo coraggio. La vita gli pesava;... sentiva, forse per la prima volta, piegar la sua anima di ferro sotto la continua compressione di un destino inesorabile che sembrava compiacersi a distillar [p. 26 modifica]nel suo cuore il veleno dello scetticismo, mentre già da lungo tempo gittata vi aveva il germe di un odio implacabile verso l’uomo.

E pensava.... pensava alla singolar pertinacia del suo destino, che un sol giorno di piacere non gli avea concesso ne’ suoi 27 anni di vita.

Ed i suoi occhi, che seguivano macchinalmente le righe di caratteri che segnava, non si erano neanche volti al rumore di una carrozza che fermata si era dinanzi alla curia.

Quella carrozza era un magnifico calesse con superbo cavallo bianco. Un fantino in giacca rossa all’inglese discese subitamente dal seggiolo del servitore, e venne ad abbassare il montatoio.

Un giovin signore ne smontò. Avea questi un volto vermiglio e brillante, una barba nera e folta: un elegante cappello di castoro di Francia copriva la sua capellatura lucidissima e fina. Un nastro rosso era ad un occhiello della bottoniera.

— È questo Io studio di notar Basileo? dimandò, entrando, a Gaetano, il quale allora soltanto si accorse della presenza di questo individuo...

— Signor sì, rispose il commesso senza alzarsi dal suo posto, e non abbandonando la lunga penna di tacchino che il suo principale gli forniva per economia.

— Egli è assente, n’è vero?

— Signor sì. [p. 27 modifica]

— E indugerà molto a ritornare?

— È facile, perchè è ito in città per un contratto matrimoniale.

La fisonomia del giovin signore si rischiarò; un leggiero sorriso passò benache sulle sue labbra, cui egli si affrettò peraltro di nascondere, portando la mano destra sui baffi. Stette in silenzio alcun poco, guardando attentamente il commesso, quasi avesse voluto studiarne l’indole attraverso il ghiaccio delle fattezze; ma invero la cera ingrognata, le laconiche risposte, e la quasi inurbanità del contegno di Gaetano non erano tali da incoraggiare il cavaliere a proseguire un dialogo che lo scribente sembrava perfettamente disposto a far terminare in monologo.

Il giovin signore, il quale probabilmente avea le sue ragioni di accattivarsi la benevoglienza del commesso, e che non pareva niente affatto dispiaciuto di non aver trovato il principale, pensò che il sedersi avrebbe dato una più chiara idea della sua intenzione di non ismetter la conversazione, ed in fatti si sedè sovra una sedia che stava a fianco del tavolino su cui scrivea Gaetano.

— Vuol’ella forse aspettare che il principale sia di ritorno? chiese Gaetano.

— No, avrei due parole a dire a lei direttamente.

— A me!

Gaetano guardò fissamente in faccia l’interlocutore. [p. 28 modifica]

— Sì, a voi, mio buono amico; qual’è il vostro nome?

— Il mio nome?... Gaetano.

— Ah! Don Gaetano... sta bene; e il cognome?

Gaetano impallidì mortalmente; si lasciò cader di mano la penna, e si trasse un po’ dietro con la sedia, con un movimento non so se di paura o di sorpresa.

E non rispose.

L’altro, che facilmente avea fatto quella interrogazione per mera oziosità, per un preliminare di conversazione, e che ben altro in testa aveasi che conoscere il cognome di Gaetano, trasse in questo mentre un dorato taccuino dalla taschetta di fianco del suo giubbino, e vi leggeva un ricordo.

— Dite un pò, giovinotto, siete voi perfettamente a giorno della classificazione de’ protocolli del vostro principale?

— Perfettamente.

— Anche de’ più vecchi?

— Anche di questi.

— Molto bene... Ora... siete voglioso di lucrarvi cento piastre?

Gli occhi di Gaetano si spalancarono, e cercarono di trovare tutto il loro parallelismo per guardar fisamente negli occhi l’interlocutore, per iscovrire se per ischerzo o da senno detto avesse quelle parole.

Il signore, non sentendosi risposto, ripigliava con un tuono di voce un poco più energico e alquanto impazientito: [p. 29 modifica]

— Cosicchè, vorreste o no lucrarvi queste cento piastre?

— Che cosa far debbo per meritarmi questa somma? chiese Gaetano, cui un lampo di speranza brillar faceva inusitatamente il suo sguardo.

— Niente altro che consegnarmi una carta che trovasi nella vostra cura.

Gaetano sembrò meditare un istante: un sorriso, non saprem dire se di vendetta o di gioia, fece oscillar le sue labbra.

— Accetto... ma non in questo momento avreste la vostra carta... bensì domani.

— E perchè domani?

— Ho le mie ragioni... ma non intendo che abbiate ora a sborsare un sol quattrino... Domani... io vi consegnerò il documento che bramate, e voi... mi pagherete. Vi conviene?

Alcun poco stette il cavaliere in sulla riflessione; poscia, di quell’indugio con molto malissima voglia accontentandosi, rispose:

— Ebbene... sì, mi conviene.

— Datemi ora gl’indizi della carta in quistione.

— Eccoli, compiacetevi di scriverli.

Gaetano passò la penna alla sua mano sinistra con rapido movimento e tale che non fu osservato da colui.

Testamento all’anima, in lingua latina, passato per notar Aniello Basileo (zio di Tommaso), del dì 21 agosto 1745. Registrato al pubblico Repertorio il dì 6 settembre detto anno. Volume 280 Casella 1024. ec. [p. 30 modifica]

— E voi vorreste; disse Gaetano dopo aver preso queste indicazioni, avere nelle vostre mani quest’atto originale, n’è vero?

— Precisamente.

— E sapete che, consegnandovi quest’atto, io condanno a’ ferri a vita il mio principale?

— Qual’è l’età del vostro principale?

— Sessantaquattro anni circa.

— Vedete dunque che il brav’uomo non rimarrebbe lungo tempo nelle galere.

— Voi ragionate perfettamente.

— Ci siamo dunque intesi?

— A maraviglia... Domani avrete il vostro istrumento: indicatemi dov’è la vostra abitazione.

— Non occorre che venghiate in mia casa. Ci vedremo domani, alle 23 ore italiane, sotto l’Orto botanico a Foria.

— Tutto è inteso... a 23 ore in punto sarò quivi.

— Badate di non fare attendere le cento piastre.

— E voi badate di non farle mancare... Il vostro nome, di grazia?.. Ah!.. scusate.. commettevo una indiscrezione.

— Addio, il mio amico.

— Addio, signore.

L’incognito, accomiatatosi dal giovin commesso, montò sul suo carrozzino, e disparve.

  1. Eran così chiamati que’ testamenti, ne’ quali da’ tastatari legavasi tutto il patrimonio, o buona parte di esso, a celebrazione di messe. Una prammatica della Reggenza di Re Ferdinando IV li proibì.