Vai al contenuto

La cieca di Sorrento/Parte prima/V

Da Wikisource.
V. La lettera

../IV ../VI IncludiIntestazione 15 maggio 2017 75% Da definire

Parte prima - IV Parte prima - VI
[p. 31 modifica]

V.


la lettera.


Gaetano restò pochi minuti in una indicibile perplessità: combatteva in lui l’istinto dell’onestà e della virtù: la miseria in cui da tanti anni vivea non l’avea giammai indotto aduna cattiva azione. Dobbiam dire impertanto, per far conoscere appieno a’ nostri lettori il carattere del nostro personaggio, dobbiam dire che se la sua vita era scorsa insino a quel momento senza una colpa, in lui non era inerito di profonda fede che avesse alla virtù: troppo amareggiata era stata la sua breve esistenza, perchè i saldi principii di morale non dovessero crollar nel suo animo; troppo ei disprezzava la razza umana per non ammettere in tutte le azioni degli uomini un principio d’egoismo e d’interesse: troppo la sua fisica deformità opponevasi alla poesia della virtù e degli alti e sublimi concetti dei bello. Qual’era dunque in lui il principio, pel quale sottoponevasi ad una vita laboriosa, infelice, ricolma di ogni sofferenza, ma pur non contaminata da vizii o delitti? Ciò si era perchè Gaetano (a suo tempo ne diremo la precipua cagione) rifuggiva finanche dal pensiero di un furto, ed avrebbe preferita qualunque altra infamia a quella di lordarsi le mani involaudo la benchè minima cosa.

Questa volta per tanto ogni ripugnanza era [p. 32 modifica]vinta in lui dall’idea di vendicarsi della sordida avarizia del notaio. D’altra parte, la sua rassegnazione era ormai stanca. La miseria, costante, implacabile, aveva affranta l’anima sua, l’avea rimpicciolita con l’oppressione d’incessanti bisogni.

Era ormai tempo di finirla, almeno provvisoriamente, con le orribili privazioni, cui era stato soggetto per così lungo volgere di anni. Era ormai tempo di racconsolar gli ultimi giorni della sua vecchia nonna, alleggerendole la non portabil soma de’ malanni della vecchiezza.

Affrettiamoci di dire che la ragione, per la quale Gaetano avea preso un giorno di tempo per consegnare il testamento all’incognito, era che voleva mettere a profitto questa inaspettata emergenza, e far valere la sua opera meglio che cento piastre. Egli voleva conoscere a fondo di che roba trattavasi; e, se la faccenda valea le mille piastre anzichè le cento, non avrebbe lasciato sfuggirsi una così bella occasione.

L’ora si avanzava; ogni titubanza potea far svanire l’impresa.

Gaetano si accinse dunque all’opera.

Come fare per aprir l’armadio dov’era rinchiuso il protocollo di cui avea ricevuto le debite indicazioni?

Il mazzo di chiavi conservavasi da notar Basileo; non poteasi far saltare la toppa senza visibile infrazione: un’astuzia era necessaria. Gaetano cominciossi a dare delle pugna sul capo [p. 33 modifica]per trarne un’idea. Di fatto, dopo non molto discervellarsi, un pensiero gli venne, per io quale eragli forza aspettare il ritorno del principale alla curia.

Verso mezzogiorno ritornò notar Basileo, e, gittato uno sguardo sulle carte di Gaetano, forte rimprocciollo però che troppo lentamente menato avea la bisogna... E Gaetano scusando il poco fatto, gli disse che avea perduto del tempo, perchè si era presentato alla curia un signore, il quale avea dimandato alcune indicazioni sovra un certo istrumento. Diciamo a mo’ di parentesi che questo istrumento, cui Gaetano per astuzia accennava, stava rinchiuso nel medesimo armadio in cui era quello chiesto dall’incognito. Quell’armadio conteneva le più vecchie schede, le carte di maggiore importanza e confidenza del notaio, il quale giammai non trascurava di chiuderlo ed aprirlo da sè medesimo.

Notar Basileo trasse di saccoccia il mazzo di chiavi, e si apprestava ad aprir l’armadio; ma Gaetano il prevenne, e, quasi avesse voluto fargli una cortesia per non obbligarlo a salire sopra una sedia per prendere il documento che stava sull’ultimo palchetto, gli tolse di mano con bei modi le chiavi. Spiccato rapidamente sopra una sedia, dischiuse l’armadio, ne cavò la carta che servirgli dovea di pretesto, e poscia finse di richiuderlo; ma non fece altro che dare due false giravolte alla chiave, che egli levò dalla toppa, e consegnò al principale, [p. 34 modifica]lasciando a tal modo aperto l’armadio, in cui era il testamento voluto dall’incognito.

Il trovato era tanto più concettoso quanto che il pretesto di dover prendere alcune indicazioni da quella carta porgea ragionevol motivo a Gaetano di rimanersi nella curia anche trascorso il tempo ch’era solito ridursi a casa. Col fatto, mezzodì suonava alle campane della vecchia Napoli, e notar Basileo, lodando questa volta lo zelo e la premura del suo commesso di non volersi dipartire dal lavoro comechè l’ora fosse suonata, in cui pel consueto interrompea le sue occupazioni, partivasi dalla curia per trarre a pranzo a casa sua, sita nel borgo Loreto; non lasciava però di raccomandargli di ben conservare e chiudere nella cassetta della sua scrivania l’atto notariale, da cui estrar dovea le indicazioni.

L’avaro notaio, però che nella sua tasca sentiva risuonar le chiavi, vivea sicuro da qualunque furberia o indiscrezione: e, acconciatosi l’animo a pranzar tranquillamente, non lasciava dietro a sè neanche un pensiero.

Gaetano restò solo.

Lasciò passare un dieci minuti per dare il tempo al notaio di allontanarsi, ed anche per assicurarsi che per qualche incidente costui non tornasse addietro. Quando si credè sicuro, andò alla porta della curia, tirò le stanghette, affinchè nissuno avesse potuto penetrar là dentro mentre all’operazione egli era inteso; risalì su quella medesima sedia; apri la porta [p. 35 modifica]dell’armadio che avea lasciata dischiusa, e diedesi in tutta fretta a ricercare il protocollo del testamento richiestogli.

Del dì 21 agosto 1745... registrato il 6 settembre detto anno, ripeteva a sè medesimo leggendo questi indizii sui brano di carta su cui gli avea notati, volume 180, casella 1024...

E ciò dicendo, andava rovistando tra quelle vecchie cartacce e quaderni, dando sempre uno sguardo pauroso verso la porta della curia, sembrandogli ad ogni momento esser sorpreso dal reduce notaio.

Un cinque minuti scorsero in siffatta operazione, a capo de’ quali mise un profondo sospiro, rinserrò l’armadio, e discese prestamente dalla sedia, tenendo in mano un grosso e vecchio zibaldone, composto di molti quaderni di carta cuciti tra loro.

— Ecco il testamento!... Ora vedremo, signor cavaliere, se vale cento o mille piastre la consegna di questo documento... Ah... voi altri signori gittate un pugno di monete, e credete aver fatto tutto... ma non basta... La divisione dev’essere più giusta, quando si tratta di delitti e di danaro. Ciascun di noi si abbia uguale porzione nel beneficio della colpa... Vedremo di che roba si tratta.

Così parlando, andava sfogliando quelle carte con impazienza. Di repente, si ferma e trae una lettera di mezzo ad uno di que’ quaderni.

— Cielo! esclama, che carattere è mai questo!.. no, non m’inganno! è sua... è sua questa scrittura! [p. 36 modifica]

La lettera era dissuggellata... Gaetano la dischiuse in fretta e lesse quanto segue:

«Quagliano, 13 ottobre 1827 — Mio caro Tommaso — Tutto è scoverto... Si corre sulle mia tracce... Siamo stati traditi!.. Sta sicuro per altro, che, se mi avvenga di essere arrestato, non mai il tuo nome sarà pronunziato da me, lo giuro per la Madonna Annunziata, di cui porto il nome... Io sto qui sott’altro nome, ricettato da una spettabil donna di campagna, alla quale ho dato ad intendere che sono un cacciatore dei dintorni... Esco soltanto per la campagna, e vado sempre armato di ottimo archibugio da caccia... intanto, siccome la vita e la morte sono in mano di Dio, ti affido il cassettino de’ gioielli del valore di circa ventimila ducati, che troverai scavando dieci palmi sotto la settima quercia a dritta entrando nella selva di pertinenza del signor marchese del Gallo. Questa selva, chiamata lo Streppato, trovasi poco lontana da codesta citta, e propriamente al di sopra del vallone di S. Gennaro dei Poveri. Adopra ogni cautela nello scavo del terreno;... togli teco il cassettino; una metà di esso è tua, secondo il convenuto; l’altra metà... se io sfuggo alle mani della giustizia, verrò da te a riprenderla; se... muoio... confido nella tua coscienza per farla capitare ai miei poveri figliuoli in Calabria. Avrai però cura di vender questi oggetti a diversi negozianti, e rimettere il danaro alla mia famiglia, senza dir loro qual’è l’origine di que’ diecimila ducati... dirai che gli ho lasciati loro in testamento... [p. 37 modifica]Insomma ignorino, nel fondo del lor villaggio, l’infamia attaccata alla morte del padre loro. Non so qual sarà la mia sorte: un funesto presentimento mi avverte che non godrò lungamente del frutto del mio delitto... Il sangue sparso mi morde l’anima... e l’immagine della mia vittima mi si fa avanti da per ogni dove, mi si corica allato, e mi stringe il respiro nelle affannose e solitarie mie notti... Oh!.. sento, in certe notti, un rimordimento atroce!.. Sento svellermi il cervello al ricordo delle tranquille nottate passate al fianco della buona mia moglie, degl’innocenti miei figli, benedetto da quella santa vecchierella di mia madre!.. Maledetta la miseria!.. maledetti i vizii che mi trassero a questo passo!.. Il sangue umano non si sparge impunemente!.. Perdonami, Tommaso, se ti conturbo con queste idee... Perdona ad un resto d’inutil virtù che ancora mi si affaccia pallida e grama, e che a niente altro or mi giova se non a dilacerarmi vie più l’anima col pungolo de’ rimorsi — Addio; ti raccomando la stretta osservanza di quanto ti ho ingiunto di fare. Raccomandoti i figli e la madre... Addio — Il tuo Nunzio».

Ogni parola di questa lettera parea che configesse un pugnale nel cuor di Gaetano: le sue labbra imbiancavano come per morte: i suoi capelli sollalzavansi, e nelle vene sentia raffreddarsi il sangue, il quale tutto verso il cuore era confluito...

Dappoi che pochi momenti si fu rimasto [p. 38 modifica]nell’atteggiamento della più dolorosa concentrazione, cominciò a dare di lunghi passi per la curia, e di quando in quando soffermavasi, rileggeva dall’un capo all’altro la lettera che avea nelle mani, ed era un nuovo spasseggiar presto e concitato, un dar pugni sonori sui tavolo, uno smozzicar tra denti parole poco intelligibili, imprecazioni contro un innominato nemico.

E questo durò qualche quarto d’ora. Ma subitamente, una gioia feroce rischiarò la sua buia fisonomia, a guisa di una scarica di cannone che gitta la sua fiamma livida e affumicata sul volto dell’artigliere... Riporre il protocollo nell’armadio d’onde l’avea cavato, intascarsi la lettera, aprire la curia, ed uscire, fu fatto in minor tempo che pensato.

Gaetano Si era incamminato verso una via che metteva capo al borgo Loreto.