La scienza nuova - Volume I/Libro II/Sezione II/Capitolo III

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Capitolo terzo - Corollari d’intorno al parlare per caratteri poetici delle prime nazioni

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Capitolo terzo - Corollari d’intorno al parlare per caratteri poetici delle prime nazioni
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[capitolo terzo]

corollari d’intorno al parlare per caratteri poetici
delle prime nazioni




[I caratteri poetici del linguaggio primitivo dovettero naturalmente prolungarsi nei tempi storici; quindi il V. s’inoltra a interpetrare i racconti antichi delle storie come se fossero caratteri di una mitologia. — La tradizione di Pitagora, già alterata dalla critica del V. (CI2 c. 22, note, in fine; e. 30, note, § 20; SN1, II, c. 63 in fine), diventa la tradizione di un sapiente volgare, come quella di Orfeo, di Zoroastro, di Trismegisto. Dracone diventa un carattere dell’aristocrazia ateniese; Esopo un simbolo di famoli. Solone, la cui sapienza si considerava sterile di conseguenze civili nella SN1 (V, c. 2), diventa, come Teseo, un carattere poetico; e Teseo risponde a un tratto di storia romana. I primi re di Roma e l’antica storia di Livio, già scossi nella loro base dai dubbi del V. e già paragonati ai simboli della mitologia [DU, § 171; CI2, cc. 22, 30, note, § ult, 31; SN1,I, c. 10; II. c. 34; III, cc. 14 e 39), ora presentano anche in Numa, in Servio Tullio, in Tarquinio Prisco, nelle XII Tavole altrettanti caratteri poetici.]

La favella poetica, com’abbiamo in forza di questa Logica poetica meditato, scorse per cosi lungo tratto dentro il tempo istorico, come i grandi rapidi fiumi si spargono molto dentro il mare e serbano dolci l’acque portatevi con la violenza del corso; per quello che Giamblico ci disse sopra nelle Degnità1: che gli Egizi tutti i loro ritruovati utili alla vita umana riferirono a Mercurio Trismegisto; il cui detto confermammo con quell’altra Degnità2: ch’i fanciulli con l’idee e nomi d’uomini, femmine, cose, c’hanno la prima volta vedute, apprendono ed appellano tutti gli uomini, femmine, cose appresso, c’hanno con le prime alcuna simiglianza o rapporto; e che questo era il naturale gran fonte de’ caratteri poetici, co’ quali naturalmente pensarono e parlarono i primi popoli. Alla qual natura di cose umane se avesse Giamblico riflettuto e vi avesse combinato tal costume ch’egli stesso riferisce degli antichi Egizi, dicemmo nelle Degnità3 che [p. 258 modifica]certamente esso ne’ misteri della sapienza volgare degli Egizi non arebbe a forza intruso i sublimi misteri della sua sapienza platonica.

Ora, per tale natura de’ fanciulli e per tal costume de’ primi Egizi, diciamo che la favella poetica in forza d’essi caratteri poetici ne può dare molte ed importanti discoverte d’intorno all’antichità.

I


(a)4 Che Solone dovett’esser alcuno uomo sappiente di sapienza volgare, il quale fusse capoparte di plebe ne’ primi tempi ch’Atene era repubblica aristocratica. Lo che la storia greca pur conservò, ove narra che dapprima Atene fu occupata dagli ottimati — ch’è quello che noi in questi libri dimostreremo universalmente di tutte le repubbliche eroiche, nelle quali gli eroi, ovvero nobili, per una certa loro natura creduta di divina origine, per la quale dicevano essere loro propi gli dèi, e ’n conseguenza propi loro gli auspicii degli dèi, in forza de’ quali chiudevano dentro i lor ordini [p. 259 modifica]tutti i diritti pubblici e privati dell’eroiche città, ed a’ plebei, che credevano essere d’origine bestiale, e ’n conseguenza esser uomini senza dèi e perciò senza auspicii, concedevano i soli usi della natural libertà (ch’è un gran principio di cose che si ragioneranno per quasi tutta quest’opera) — e che tal Solone avesse ammonito i plebei ch’essi riflettessero a sé medesimi e riconoscessero essere d’ugual natura umana co’ nobili, e ’n conseguenza che dovevan esser con quelli uguagliati in civil diritto. Se non, pure, tal Solone furon essi plebei ateniesi, per questo aspetto considerati. Perchè anco i Romani antichi arebbono dovuto aver un tal Solone fra loro; tra quali i plebei nelle contese eroiche co’ nobili, come apertamente lo ci narra la storia romana antica, dicevano: i padri de’ quali Romolo aveva composto il senato (da’ quali essi patrizi erano provenuti) «non esse cœlo demissos»5, cioè che non avevano cotale divina origine ch’essi vantavano e che Giove era a tutti eguale. Ch’è la storia civile di quel motto

Iupiter omnibus æquus6,

dove poi intrusero i dotti quel placito: che le menti son tutte eguali e che prendono diversità dalla diversa organizzazione de’ corpi e dalla diversa educazione civile. Con la quale riflessione i plebei romani incominciaron ad adeguare co’ patrizi la civil libertà, fino che affatto cangiarono la romana repubblica da aristocratica in popolare, come l’abbiamo divisato per ipotesi nelle Annotazioni alla Tavola cronologica7, ove ragionammo in idea della Legge Publilia, e ’l faremo vedere di fatto8, nonché della romana, essere ciò avvenuto di tutte l’altre antiche repubbliche, e con ragioni ed autorità dimostreremo che universalmente, da tal riflessione di Solone principiando, le plebi de’ popoli vi cangiarono le repubbliche da aristocratiche in popolari. Quindi [p. 260 modifica]Solone fu fatto autore di quel celebre motto «Nosce te ipsum»9, il quale, per la grande civile utilità ch’aveva arrecato al popolo ateniese, fu iscritto per tutti i luoghi pubblici di quella città; e che poi gli addottrinati il vollero detto per un grande avviso, quanto infatti lo è, d’intorno alle metafisiche ed alle morali cose; e funne tenuto Solone per sappiente di sapienza riposta e fatto principe de’ sette saggi di Grecia. In cotal guisa, perchè da tal riflessione incominciarono in Atene tutti gli ordini e tutte le leggi che formano una repubblica democratica, perciò, per questa maniera di pensare per caratteri poetici de’ primi popoli, tali ordini e tali leggi, come dagli Egizi tutti i ritruovati utili alla vita umana civile a Mercurio Trimegisto, furono tutti dagli Ateniesi richiamati a Solone10.

II

Cosi dovetter a Romolo esser attribuite tutte le leggi d’intorno agli ordini.

III

A Numa, tante d’intorno alle cose sagre ed alle divine cerimonie, nelle quali poi comparve ne’ tempi suoi più pomposi la romana religione.

IV

A Tullo Ostilio, tutte le leggi ed ordini della militar disciplina. [p. 261 modifica]

V


A Servio Tullio, il censo, ch’è il fondamento delle repubbliche democratiche, ed altre leggi in gran numero d’intorno alla popolar libertà; talché da Tacito vien acclamato «præcipuus sanctor legum». Perchè, come dimostreremo11, il censo di Servio Tullio fu pianta delle repubbliche aristocratiche, col qual i plebei riportarono da’ nobili il dominio bonitario de’ campi, per cagion del quale si criarono poi i tribuni della plebe per difender loro questa parte di natural libertà, i quali poi, tratto tratto, fecero loro conseguire tutta la libertà civile. E così il censo di Servio Tullio, perchè indi ne incominciarono l’occasioni e le mosse, diventò censo pianta della romana repubblica popolare, come si è ragionato nell’Annotazioni alla Legge Publilia per via d’ipotesi12, e dentro si dimostrerà essere stato vero di fatto.

VI


A Tarquinio Prisco, tutte l’insegne e divise, con le quali poscia a’ tempi più luminosi di Roma risplendette la maestà dell’imperio romano13.

VII


Cosi dovettero affiggersi alle XII Tavole moltissime leggi che dentro dimostreremo essere state comandate ne’ tempi appresso; e (come si è appieno dimostrato ne’ Principii del Diritto universale14) perchè la legge del dominio quiritario da’ nobili accomunato a’ plebei fu la prima legge scritta in pubblica tavola (per la quale unicamente furono criati i decemviri), per cotal aspetto di popolar libertà tutte le leggi che uguagliarono la libertà e si scrissero dappoi in pubbliche tavole furono rapportate a’ [p. 262 modifica]decemviri. Siane pur qui una dimostrazione il lusso greco de’ funerali, che i decemviri non dovettero insegnarlo a’ Romani col proibirlo, ma dopoché i Romani l’avevano ricevuto; lo che non potè avvenire se non dopo le guerre co’ Tarantini e con Pirro, nelle quali s’incominciarono a conoscer co’ Greci: e quindi è che Cicerone15 osserva tal legge portata in latino con le stesse parole con le quali era stata conceputa in Atene.

VIII


Così Dragone, autore delle leggi scritte col sangue nel tempo che la greca storia, come sopra si è detto, ci narra ch’Atene era occupata dagli ottimati; che fu, come vedremo appresso, nel tempo dell’aristocrazie eroiche, nel quale la stessa greca storia racconta che gli Eraclidi erano sparsi per tutta Grecia, anco nell’Attica, come sopra il proponemmo nella Tavola cronologica16; i quali finalmente restarono nel Peloponneso e fermarono il loro regno in Isparta. la quale truoveremo essere stata certamente repubblica aristocratica. E cotal Dragone dovett’esser una di quelle serpi della Gorgone inchiovata allo scudo di Perseo, che si truoverà significare l’imperio delle leggi, — il quale scudo con le spaventose pene insassiva coloro che ’l riguardavano (siccome nella storia sagra, perchè tali leggi erano essi esemplari castighi, si dicono «leges sanguinis»); e di tale scudo armossi Minerva, la quale fu detta «Ἀθηνᾱ», come sarà più appieno spiegato appresso; e appo i Chinesi, i quali tuttavia scrivono per geroglifici (che dee far maraviglia una tal maniera poetica di pensare e spiegarsi tra queste due e per tempi e per luoghi lontanissime nazioni), un dragone è l’insegna dell’imperio civile, — perchè di tal Dragone non si ha altra cosa da tutta la greca storia. [p. 263 modifica]

IX


(a)17 Questa istessa discoverta de’ caratteri poetici ci conferma Esopo (b)18, ben posto innanzi a’ sette saggi di Grecia, come il promettemmo nelle Note alla Tavola cronologica di farlo in questo luogo vedere. Perchè tal filologica verità ci è confermata da questa storia d’umane idee: ch’i sette saggi faron ammirati dall’incominciar essi a dare precetti di morale o di ci vii dottrina per massime, come quel celebre di Solone (il quale ne fu il principe): «Nosce te ipsum», che sopra abbiam veduto essere prima stato un precetto di dottrina civile, poi trasportato alla Metafisica e alla Morale. Ma Esopo aveva innanzi dati tali avvisi per somiglianze, delle quali più innanzi i poeti si eran serviti per ispiegarsi. E l’ordine dell’umane idee è d’osservare le cose simili, prima per ispiegarsi, dappoi per pruovare; e ciò, prima con l’esemplo che si contenta d’una sola, finalmente con l’induzione che ne ha bisogno di più. Onde Socrate, padre di tutte le sètte de’ filosofi, introdusse la Dialettica con l’induzione, che poi compiè Aristotile col sillogismo, che non regge senza un universale. Ma alle menti corte basta arrecarsi un luogo dal somigliante per essere persuase; come con una favola, alla fatta di quelle ch’aveva truovato Esopo, il buono Menenio Agrippa ridusse la plebe romana sollevata all’ubbidienza. Ch’Esopo sia stato un carattere poetico de’ soci ovvero famoli degli eroi, con uno spirito d’indovino lo ci discuopre il ben costumato Fedro in un prologo19 delle sue Favole:

Nunc fabularum cur sit inventum genus,
Brevi docebo. Servìtus obnoxia
Quia quæ volebat non audebat dicere20,
Affectus proprios in fabellas transtulit.
Æsopi illius semita feci viam;

[p. 264 modifica] come la favola della società lionina21 evidentemente lo ci conferma, perchè i plebei erano detti «soci» dell’eroiche città, come nelle Degnità22 si è avvisato, e venivano a parte delle fatighe e pericoli nelle guerre, ma non delle prede e delle conquiste. Per ciò Esopo fu detto «servo», perchè i plebei, come appresso sarà dimostro23, erano famoli degli eroi. E ci fu narrato brutto, perchè la bellezza civile era stimata dal nascere da’ matrimoni solenni, che contraevano i soli eroi, com’anco appresso24 si mostrerà: appunto come fu egli brutto Tersite (a)25, che dev’essere carattere de’ plebei che servivano agli eroi nella guerra troiana; ed è da Ulisse battuto con lo scettro di Agamennone, come gli antichi plebei romani a spalle nude erano battuti da’ nobili con le verghe, «regium in morem», al narrar di Sallustio appo sant’Agostino nella Città di Dio (b)2627, finché la Legge Porzia allontanò le verghe dalle spalle romane28. Tali avvisi adunque, utili al viver civile libero, dovetter esser sensi che nudrivano le plebi dell’eroiche città, dettati dalla ragion naturale. De’ quali [p. 265 modifica]plebei per tal aspetto ne fu fatto carattere poetico Esopo, al quale poi furon attaccate le favole d’intorno alla morale filosofia; e ne fu fatto Esopo il primo morale filosofo, nella stessa guisa che Solone fu fatto sappiente, ch’ordinò con le leggi la repubblica libera ateniese. E perch’Esopo diede tali avvisi per favole, fu fatto prevenire a Solone che gli diede per massime. Tali favole si dovettero prima concepire in versi eroici, come poi v’ha tradizione che furono concepute in versi giambici (co’ quali noi qui appresso truoveremo aver parlato le genti greche) in mezzo il verso eroico e la prosa, nella quale finalmente scritte ci sono giunte.

X


In cotal guisa a’ primi autori della sapienza volgare furono rapportati i ritruovati appresso della sapienza riposta; e i Zoroasti in Oriente (a)29, i Trimegisti in Egitto, gli Orfei in Grecia, i Pittagori nell’Italia, di legislatori prima, furono poi finalmente creduti filosofi, come Confucio oggi lo è nella China. Perchè certamente i pittagorici nella Magna Grecia, come dentro si mostrerà, si dissero in significato di «nobili», che, avendo attentato di ridurre tutte le loro repubbliche da popolari in aristocratiche, tutti furono spenti (b)30. E ’l Carme aureo di Pittagora sopra si è dimostrato esser un’impostura31, come gli Oracoli di Zoroaste, il Pimandro del Trimegisto, gli Orfici o i versi d’Orfeo; né di Pittagora ad essi antichi venne scritto alcuno libro d’intorno a [p. 266 modifica]filosofia, e Filolao fu il primo pittagorico il qual ne scrisse, all’osservare dello Scheffero, De philosophia italica32.

  1. Degn. XLIX.
  2. Degn. XLVIII.
  3. Degn. XLIX
  4. (a) Come gli Ateniesi a Solone e gli Spartani a Ligurgo attaccarono tante leggi quante dell’uno e dell’altro la greca storia ne narra, delle quali molte non solo non appartenevano loro, ma erano tutte contrarie alle loro condotte: come a Solone l’ordinamento degli Areopagiti (i quali erano già stati ordinati sino dal tempo della guerra troiana, perocché Oreste del parricidio commesso nella sua madre Clitennestra fu da essi assoluto col voto di Minerva o sia con la parità de’ voti) [inciso cancellato negli esemplari postillati], — e gli Areopagiti infin a Pericle mantennero con la loro severità in Atene lo Stato o almeno il governo aristocratico (lo che è contrario a Solone ordinatore della popolare libertà ateniese); — ed a rovescio a Ligurgo,fondatore della repubblica spartana, che senza contrasto fu aristocratica, attaccano l’ordinamento della Legge agraria, della spezie onde fu quella de’ Gracchi in Roma, [CMA3] quando il magnanimo re Agide ne’ tempi più avvanzati di quella repubblica eroica, volendo comandarvi la legge testamentaria convenevole alle repubbliche popolari (la qual certamente appo i Romani precedette di gran tempo all’Agraria de’ Gracchi) [SN2] funne fatto impiccare dagli efori.
  5. Liv., X, 8: «En unquam fondo audistis patricios primo esse factos, non de cœlo demissos, sed qui patrem cìere possent, id est, nihil ultra quam ingenuos?».
  6. Propriamente «rex luppiter omnibus idem» ha Verg., Æn., X, 102.
  7. Si veda p. 104 sgg.
  8. Si veda sez. V, passim.
  9. Il motto è variamente attribuito a Talete, a Feuconoe e a Cheilone, che a ogni modo lo fece suo: cfr. Diog. Laert., I, c. 1, n. 13.
  10. Da qui alle prime righe del § 5, il V. ebbe presente il seguente brano di Tacito, da lui stesso citato (Ann., III. 26): «Hæ [leges] primo rudibus hominum animis simplices erant: maximeque fama celebravit Cretensium, quas Minos; Spartanorum, quas Lycurgus; ac mox Atheniensibus quæsitiores iam et plures Solon perscripsit. Nobis Romulus, ut libitum, imperitaverat: dein Numa religionibus et divino iure populum devinxit: repertaque quædam a Tullo et Anco: sed præcipuus Servius Tullius sanctor legum fuit, quis etiam reges obtemperarent»
  11. Si veda sez. V, cap. III.
  12. Si veda p. 104 sgg.
  13. Si veda p. 98, n. 3.
  14. CI2, c. 35 Cfr. il Ragionamento primo in Appendice.
  15. Cic, De leg., II, 25: «Posteaquam... sumptuosa fieri funera et lamentabilia cœpissent, Solonis lege sublata sunt. Quam legem eisdem prope verbis nostri decemviri in decimam tabulam coniecerunt: nam de tribus riciniis et pleraque illa Solonis sunt; de lamentis vero expressa verbis sunt: «Mulieres genas ne radunto, neve lessum funeris ergo habento».
  16. Si veda p. 84.
  17. (a) [Per questo paragrafo si vegga p. 93, var. (a)].
  18. (b) che fu ’l primo autore della moral filosofia, ben posto, ecc.
  19. Al terzo libro (vv. 33-8).
  20. Il V. pone un punto fermo invece d’una virgola, salta un verso: «Calumniamque fictis elusit iocis», e raffazzona quello che segue: «Ego illius pro semita feci viam».
  21. I, 5.
  22. Degn. LXXIX.
  23. Si veda sez. IV, cap. II.
  24. Si veda sez. e cap. cit.
  25. (a) descrittoci da Omero con le propietà di capoparte di plebe, che sono di dir sempre male de’ principi e di sollevar loro contro i popoli, [CMA4] e da Ulisse, ecc.
  26. (b) ond’a torto i critici hanno finora ripreso Omero d’aver con gli eroi trammeschiato persone volgari e ridevoli. Ma oltre a questa [CMA3] e molt’altre che si son fatte ne' Principii del Diritto universale e nella Scienza nuova prima [SN2] s’aggiugne qui quest’invitta pruova: che le favole di Esopo, prima di quelle scritte in prosa, vennero in versi giambici; il qual parlare da noi si è dimostro [CMA3] nella Scienza nuova prima e in questa seconda confermato [SN2] esser nato da’ popoli in mezzo al parlar in verso eroico e ’l parlar da prosa.
  27. I, 28; «Dein... servili imperio patres plebem exercere de vita atque terga regio more consulere».
  28. Liv., X, 9: «Porcia... lex... (emanata nel 556] pro tergo civium lata videtur, quod gravi pœna quis verberasset necassetve civem romanum, sanxit». Cfr. anche Cic., Pro Rab., 4.
  29. (a) gli Anacarsi nella Scizia, gli Orfei, ecc.
  30. (b) [CMA3*] Perchè il Carme aureo, il quale sotto nome di Pittagora ci è pervenuto, sa pur troppo di scolastica platonica ultima; i simboli de’ pittagorici devon essere stati provverbi enimmatici contenenti massime di sapienza volgare, i quali per questa Logica devon essere stati appiccati a Pittagora. Certamente ciò convengono tutti: che Pittagora non lasciò nulla di sé scritto; e ’l primo dopo più secoli appresso fu Filolao, il quale scrisse di pittagorica filosofia.
  31. Si veda p. 62.
  32. Op. cit, pp. 2-4, ove si parla di Didimo e Filolao; ricordandosi intorno al secondo il passo d’Euseb., Contra Hieroclem, 11 (Opera, ediz. Migne, IV, col. 816 b): «... αὺτὸς ἐκεῖνος, ὁ τὰς Πυθαγόρου γραφῇ παραδοὺς ὁμιλίας, Φιλὁλαος ...», a cui si soggiunge: «Dissertationes istæ sine dubio philosophiam pythagoricam comprehendebant, sicut stoicas doctrinas, proditæ ab Arriano dissertationes Epicteti».