La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXIV

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Capitolo XXIV.

Qui si conta lo assalto dato a tutte le nostre battaglie.


In queste cose fare e apprestare mise il Capitano de’ Saracini intorno all’ora di mezzodì, e poi ciò fatto, fece sonare le nacchere e’ tamburi traimpetuosamente allo modo dei Turchi, ch’era cosa molto istrana e diversa ad udire per coloro che non l’aveano accostumata. E si cominciano ad ismuoversi da tutte parti a piè ed a cavallo. E vi dirò io tutto primiero della battaglia del Conte d’Angiò, il quale fu il primo assalito, perciò ch’egli loro era il più vicino dallo lato verso Babilonia; e vennero a lui scaccati e inframmessi a maniera d’uno scacchiere, perchè i pedoni a manipoli staccati incorrevano sulle sue genti bruciandole del fuoco greco che gittavano con istromenti propizii e da ciò, e’ cavalieri a piccole torme interposte le pressavano ed opprimevano a meraviglia; talmente che tutti insieme isconfissero la battaglia del Conte d’Angiò, la quale era a piè a grande misagio posta in mezzo dai pochi suoi cavalieri. E quando la novella ne venne al Re, e che sì gli ebber detto il discapito ov’era suo fratello, non ebbe elli alcuna temperanza di arrestarsi nè di nullo attendere, che anzi subitamente [p. 109 modifica]ferì degli speroni, e si buttò per mezzo la riotta, la spada in pugno, sino al miluogo ov’era il fratello, e molto aspramente colpiva a dritta e a manca su quei Turchi, e più ove elli vedea più di pressa. E là addurò egli molti colpi, e gli coversero li Saracini tutta la gropponiera del suo cavallo di fuoco grechesco. Ed allora era ben a credere che bene avesse il suo Dio in sovvenenza e desiderio, perchè a la verità gli fu Nostro Signore a questo bisogno grande amico corale, e talmente aiutollo, che per la puntaglia ch’esso Re fece, ne fu riscosso il fratello, e ne furo insieme cacciati li Turchi fuori dell’oste e della battaglia di lui.

Appresso il Conte d’Angiò erano Capitani dell’altra battaglia prossimana, composta dei Baroni d’Oltremare, Messer Guido d’Ibelino, e Messer Baldovino suo fratello, i quali s’aggiugnevano alla battaglia di Messer Gualtieri di Castillione il produomo e valente, il quale aveva gran novero d’uomini altresì prodi e di grande cavalleria. E feciono talmente queste due battaglie insieme, che vigorosamente tennero contro li Turchi senza ch’e’ fussero alcunamente nè ributtate nè vinte. Ma ben poveramente prese a l’altra battaglia susseguente ch’avea il Friere Guglielmo Sonnac Maestro del Tempio a tutto quel poco di genti d’arme che gli era dimorato dal giorno di Martedì che era di Carnasciale, nel quale vi ebbero pe’ Tempieri sì grossi abbattimenti e sì duri assalti. Quel Maestro d’essi Tempieri, perciò ch’avea stremo d’uomini, fece fare davanti di sua battaglia una difesa degl’ingegni che [p. 110 modifica]s’eran guadagnati sui Saracini; ma ciò non ostante non gli valse neente, perchè i Tempieri avendoli allacciati con tavolati di pino, i Saracini vi misono il fuoco Greco, e tutto incontinente e di leggieri vi prese il fuoco. Ed i Saracini, veggendo ch’egli avea poche genti, non attesero che lo incendio stutasse, nè ch’egli avesse tutto abbragiato, ma si buttarono per mezzo i Tempieri aspramente e li isconfissero in poco d’ora. E siate certani che dietro i Tempieri ci avea bene all’intorno una bifolcata di terra ch’era sì coverta di verrettoni, di dardi e d’altre arme da gitto, che non vi si vedea punto di terreno, tanto aveano tratto e lanciato li Saracini contro i maluriosi Tempieri. Il Maestro Capitano di quella battaglia avea perduto un occhio alla battaglia del Martedì, ed in questa qui ci perdette egli l’altro e più, perchè ne fu miseramente tagliato ed ucciso. Dio n’aggia l’anima.

De l’altra battaglia era Maestro e Capitano il produomo ed ardito Messer Guido Malvicino, il quale fu forte inaverato in suo corpo. E veggendo i Saracini la gran condotta ed arditezza ch’egli aveva e donava nella sua battaglia, gli tirarono essi il fuoco Greco senza fine; talmente che una fiata fu che a gran pena lo gli poterono estinguere le sue genti a ora e tempo: ma non ostante ciò tenne elli forte e fermo senz’essere potuto superare dai Saracini.

Dalla battaglia di Messer Guido Malvicino discendeva la lizza che veniva a chiudere la parte d’oste ove io era al lungo del fiume per bene la [p. 111 modifica]gittata d’una pietra leggera; e poi passava oltre per davanti l’oste di Monsignore il Conte Guillelmo di Fiandra, la quale oste mi era a costa a costa, e si stendea sino al fiume che discendeva in lunata per al mare. Perchè, veggendo i Saracini che la battaglia di Monsignore il Conte di Fiandra li prendeva per fianco, non osarono essi venir a ferire nella nostra. Donde io lodai Dio grandemente, perchè nè i miei Cavalieri ned io avevamo punto un arnese vestito per le ferite che avevam tocco nella battaglia del dì di Carnasciale, sicché non c’era possibile vestir di piastra.

Monsignor Guillelmo e sua battaglia fecero in quell’ora meraviglie: perchè agramente e vigorosamente corsero su a piè ed a cavallo contro li Turchi, e fecero di gran fatti d’arme. E quando io vidi ciò, comandai ai miei ballestrieri ch’e’ tirassono a fusone sopra li Turchi che erano a cavallo nella mislèa. Perchè tantosto come si sentiron feriti essi e i cavalli loro, cominciaro a fuggire, e ad abbandonare la pedonaglia. E quando il Conte di Fiandra e le sue genti videro ch’e’ Turchi fuggivano, passarono essi per tra la lizza e corsero su i Saracini ch’erano a piè, e ne uccisono gran quantità, e guadagnarono molte di loro targhe. E là intra gli altri si provò vigorosamente Messer Gualtieri de la Horgna, il quale portava la bandiera a Monsignore il Sire d’Aspromonte.

Appresso questa battaglia era quella di Monsignore il Conte di Poitieri fratello del Re, la quale era tutta di genti a piè, e non ci avea che ’l Conte [p. 112 modifica]solo a cavallo, donde male ne avvenne. Perchè li Turchi disfecionla, e presero il Conte di Poitieri, e di fatto ammenavanlo; se non fussono stati li beccai e tutti gli altri uomini e femmine che vendevano le derrate e le profende nell’oste, li quali quando ebbero udito che si ammanava prigione il fratello del Re, levarono il grido e si ismossero tutti colle coltella e le manajuole, e talmente corsero in groppo su i Saracini, tuttavia urlando e sbraitando, che il Conte di Poitieri ne fu riscosso, e rincacciati li Turchi fuora a forza de l’oste.

Appresso la battaglia del Conte di Poitieri ne era una piccolina e la più fievole di tutta l’oste, donde n’era Capo e Maestro uno nomato Messer Giosserando Branzone, ed aveala menata in Egitto lo detto Conte di Poitieri. Era quella battaglia di Cavalieri a piè, e non ci avea a cavallo ch’esso Messer Giosserando e Messer Errico suo figliuolo. Quella povera battaglia disfacevano li Turchi a tutto costo; il che veggendo quel pro Messer Giosserando e il figliuolo salivano per di dietro contro li Turchi abbandonandosi a grandi colpi di spade, e si bene li pressavano alle spalle, che li Turchi erano astretti di rivolgersi contro ad essi due, e di lasciare in tregua le genti loro. Tuttavia al lungo andare, ciò non avrebbe lor valso guari, perchè li troppi Turchi li avrebbon tutti isconfitti ed uccisi, se non fusse stato Messer Errico di Cona, ch’era nell’oste del Duca di Borgogna, saggio Cavaliere e pronto, il quale conosceva bene come la battaglia di Monsignor di Branzone fusse troppo fievole. [p. 113 modifica]Sicchè tutte le fiate ch’egli vedeva i Turchi correre su al detto Signor di Branzone, egli faceva trarre i ballestrieri del Re contro i Turchi, e tanto fece e tanto s’aoperò, che il Sire di Branzone iscapolò di disfatta quella giornata, sebbene perdesse de’ venti Cavalieri che si dicea ch’egli avesse, li dodici, senza l’altre sue genti d’arme. Ed egli medesimo nella perfine, di gran colpi ch’egli ebbe, morì di quella dura giornata al servizio di Dio, che bene ne lo avrà guiderdonato, come dobbiam credere fermamente. Ora quel buon Signore era mio avoncolo, e gli udii dire alla sua morte ch’elli era stato in suo tempo in trentasei battaglie e giornate di guerra, delle quali soventi fiate egli avea riportato il pregio dell’armi. E d’alcune ne ho io conoscenza, perchè una fiata, istando egli nell’oste del Conte di Macone ch’era suo cugino, se ne venne a me e a un mio fratello il giorno di un Venerdì Santo in Quaresima, e ci disse: Miei nipoti, venite aiutarmi a tutte vostre genti, ed a correr su gli Allemanni, i quali abbattono e rompono il Mostieri di Macone. Di che tantosto fummo presti sui piedi, e andammo correre contro i detti Allamanni, e a gran colpi e punte di spada li scacciammo del Mostieri, e molti ne furono o morti o naverati. E quando ciò fu fatto, il buon produomo s’agginocchiò davanti l’altare, e gridò ad alta voce a Nostro Signore pregandolo che gli piacesse avere pietà e mercè di sua anima, e che egli a una fiata morisse per lui e in suo servigio acciò che nella fine gliene donasse il suo Paradiso. E queste cose vi ho [p. 114 modifica]raccontate, affinchè conosciate com’io deggia avere in fede e credere tuttavia che Dio gli ottriò ciò che avete udito qui dinanzi di lui.

Dopo tutte le dette avventure il buon Re mandò cherendo tutti li suoi Baroni, Cavalieri, ed altri grandi Signori; e quando essi furo venuti davanti a lui, egli loro disse benignamente: Signori ed Amici, or voi potete vedere e conoscere chiaramente le grazie grandi che Dio nostro Creatore ci ha fatto pur non ha guari, e così per ciascun giorno, donde grandi lodi gliene siamo tenuti rendere. Per ciò che Martedì diretano, che era di Carnasciale, noi avemmo all’aiuto suo cacciati e ributtati i nostri nimici di loro alloggiamenti ed albergherie, in che noi teniamo stazio al presente. Così questo Venerdì che è passato noi ci siamo difesi a piè, gli alcuni sendone non armati, contr’essi bene armati a piè ed a cavallo e sovra i lor luoghi. E seguitando di tal maniera molte altre belle parole argomentose loro diceva e rimostrava molto dolcemente il buon Re, e ciò faceva per riconfortarli e donare tutto giorno buon coraggio e fidanza in Dio.