La sposa persiana/Atto III

Da Wikisource.
Atto III

../Atto II ../Atto IV IncludiIntestazione 9 giugno 2023 75% Da definire

Atto II Atto IV
[p. 161 modifica]

ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Ibraima, Zama ed altre Schiave.

Ibraima. Vedesti ancor la sposa?

Zama.   Poc’anzi l’ho veduta.
Ibraima. Come ti piace?
Zama.   Assai.
Ibraima.   A me pure è piaciuta.
Parlar non le potei, ma sembrami gentile.
Zama. Si conosce dal volto, ch’è affettuosa, umile.
Ibraima. E pure, udisti Ircana?
Zama.   In lei parla lo sdegno.
Ibraima. E Curcuma?
Zama.   La vecchia ha tal costume indegno,

[p. 162 modifica]
Che a te, di me parlando, te esalta e me deprime;

E meco fa lo stesso, quando di te si esprime.
Ibraima. Prego di cuore il Cielo, che ami il padron la sposa.
E umiliata resti Ircana orgogliosa.
Zama. E vedasi costei, cui servitude è grave,
Al bagno ed alla mensa servir colle altre schiave.
Ibraima. Qual merto aver presume la lusinghiera astuta?
Ella è, quali noi siamo, schiava al signor venduta.
Zama. E ancor per poco prezzo. Machmut l’ebbe alle mani
Per cento mamoeède G 1, che forman due tomaniG 2.
Ibraima. Per me ne hanno sborsato quattordici i meschini,
Che formano dugento gialli europei zecchini.
Zama. Io so ben2 che Machmut, avido di comprarmi,
Saziar non si potea di soppiatto in mirarmi.
Parea lodar volesse in me qualche bellezza,
Ma il costume ti è noto: chi vuol comprar disprezza.
Vidi però, che all’uso di Persia contrattando,
Le man col padre mio sotto il manto celando G 3,
Le punta delle dita, le dita or curve, or tese,
Tanto alternò, che alfine a dir basta, s’intese;
E con la mano aperta3 che suol valer per cento,
Mostrossi il padre mio del prezzo esser contento.
Ibraima. Ma non aperse il pugno, che conta mille.
Zama.   Al fine
Noi siam Circasse, e siamo del più colto confine.
E Ircana non è degna nè men di starci a fronte.
Ibraima. E soffrirem da lei busse, minaccie ed onte?
Affé, se mi ci metto...

[p. 163 modifica]
Zama.   Se mi ci metto anch’io...

Ibraima. Vuo’ svellerle le chiome.
Zama.   Vuo’ fare il dover mio.
Ora che vi è la sposa, non conta più niente;
Finito avrà l’audace di far l’impertinente.

SCENA II.

Fatima e dette.

Fatima. (Desio mirarla in viso questa rival sì bella;

Qui con le schiave unite vi sarà forse anch’ella).
Ibraima. Vedi? a Zama
Zama.   La sposa. (a Ibraima
Ibraima.   O bella!
Zama.   Mira che luci oneste!
Fatima. (La schiava fortunata qual mai sarà di queste?)
Ibraima. Via; facciamole4 onore. a Zama
Zama.   Sì, l’obbligo5 lo vuole.
(a Ibraima
Ibraima. Signora, che coi lumi splendete al par del sole,
Che a Venere in bellezza potete muover guerra,
Che avete nel bel ciglio l’arbitrio della terra.
Possano i cari figli, che voi darete al mondo,
Regger dell’universo coi loro cenni il pondo.
Zama. Di quelle lunghe chiome possano ai fili neri
In numero esser pari de’ figliuoli gl’imperi.
Venuta dalle stelle a noi per ornamento,
Il lume e la ricchezza scemaste al firmamento,
Degna che Persia tutta vi veneri e v’adori,
Regina delle donne, bell’idolo de’ cuori.
Fatima. Donne, l’usato stile d’Oriente io non ammetto;
Adulazion mi spiace, candor bramo ed affetto.

[p. 164 modifica]
Al ver quest’alma avvezza, del ver s’appaga e gode;

Serbate a chi l’apprezza l’iperbolica lode.
Ibraima. Senti? Questa è virtude. a Zama
Zama.   Virtude che innamora, (a Ibraima
Fatima. (Qual sia Ircana fra queste non ben discerno ancora).
Ibraima. Sposa del signor nostro, che di lui donna siete,
Usate il poter vostro, e di me disponete.
Fatima. (Questa non è).
Zama.   Signora, sempre più in me si desta
Il desio di servirvi.
Fatima.   (Non è nemmeno questa.
Fra quelle che stan chete, forse saravvi anch’ella;
Ma pur niuna di quelle parmi superba e bella).

SCENA III.

Ircana e dette.

Ircana. Olà, qual ozio è questo? Le schiave in concistoro?

Itene immantinente ai giardini, al lavoro.
Fatima. (Eccola; me l’addita quell’altero sembiante).
Ibraima. Frenate quell'orgoglio. (a Fatima, e parte
Zama.   Punite l’arrogante, (fa lo stesso
Ircana. (Chi è costei, che non parte?)
Fatima.   (Numi, consiglio, aita).
Ircana. (Ah sì, la veggio; è questa la rivale abbonita.
Fuggasi).
Fatima.   Ircana.
Ircana.   A nome chi sei tu che m’appelli?
Fatima. Di Tamas la consorte questa è con cui favelli.
Ircana. E ben? che dir vorresti? che io son tua schiava?
Fatima.   Invano
Temi, che usar io voglia teco il poter sovrano.
Non servono con l’altre, le schiave che han l’onore

[p. 165 modifica]
D’aver incatenato del signor loro il cuore.

Ircana. Nè comandare è dato a sposa non amata,
Per obbedire il padre, dal giovane sposata.
Fatima. È ver, non lo contrasto; tu sei la più felice.
Vuoi che io ti serva? Imponi!
Ircana.   A te servir non lice.
Donna fra suoni e canti al talamo venuta,
Schiava obbedir non deve da’ parenti venduta.
Fatima. Tal legge in un serraglio rare volte si osserva:
Spesso il signor confonde colla sposa la serva.
Ircana. E chi tal legge soffre mal volentier, sen rieda,
Pria che all’onta privata la pubblica succeda.
Fatima. L’onte sfuggir non cura chi soffre, e non s’aggrava.
Ircana. Donna che soffre i torti, è più vil di una schiava.
Fatima. Qual torto, se non mi ama sposo di te invaghito?
Ircana. Non vi è ragion, che approvi le ingiurie di un marito.
Fatima. Con tai ragion condanni te sol di contumace.
Ircana. Condanno te, se resti, se lo sopporti in pace.
Fatima. Ma se ne’ lumi tuoi merto maggiore io vedo,
Se Tamas compatisco, se amo il tuo ben...
Ircana.   Nol credo.
Fingi ben, lo conosco, fingi soffrir suoi lacci,
Ma tanto più t’accendi, quanto più fremi, e tacci6.
Chi sa sotto quel ciglio qual covisi lo sdegno,
Qual della mia rovina si mediti il disegno?
Fatima, donne siamo; parliam tra noi sincere,
Ciascuna in modi vari sa fare il suo mestiere:
Io d’un amor schernito non soffrirei gli affanni;
Tu, se il tuo cuor lo soffre, o sei stolta, o m’inganni.
Fatima. Stolta sarò.
Ircana.   Non dice d’esserlo chi è in. difetto7.
Fatima. Dunque?
Ircana.   Dunque tu celi colla pace il dispetto.

[p. 166 modifica]
Fatima. E tu con labbro sciolto, ad insultare avvezzo.

Aggiungi all’altrui danno con l’ingiurie il disprezzo.
Vuoi che lo sdegno io nutra? tu pur lo nutri in seno;
Ma con parole audaci non ne fo pompa almeno.
Ircana. Taci; or siamo scoperte, sei mia nemica.
Fatima.   Ed io
Dovrei a chi m’insulta giurar lo sdegno mio.
Ma non temer, son tale, che a chi m’insulta ancora,
Non posso il cor sincero serbar nemico un’ora.
Ircana. Segno di tua viltade.
Fatima.   T’inganni; un segno è questo,
Che dell’anime vili la vendetta detesto;
E se la virtù stessa vuol che per te mi aggrave,
Segno è che non mi cale di altercar colle schiave.
Ircana. Schiava son io, che puote far tremar un’altera.
Fatima. Anche di gallo il canto fa tremar una fera.
Ircana. O parti, o Tamas d’una di noi vedrà la morte.
Fatima. Veggala; ambe moriamo; ma dentro a queste porte.
Ircana. Perfida!
Fatima.   Io non t’insulto.
Ircana.   Più il tuo tacer m’affanna.
Fatima. Non la mia sofferenza il tuo furor condanna.
Ircana. Parto, perchè il tuo volto mi provoca, e m’uccide;
Più della morte ho in odio donna che freme e ride.
parte

SCENA IV.

Fatima sola.

No, non vogl’io pentirmi d’aver sofferto in pace,

Senza cambiar le offese, senza insultar l’audace.
L’ira sfogar col labbro con chi c’insulta, è segno
Che, sopra la ragione, predomina lo sdegno.
E la viltà un estremo, temeritade è l’altro;
Prudenza è il mezzo onesto, in un nobile e scaltro:

[p. 167 modifica]
Nobile, che gl’insulti sdegna, conosce e prova;

Scaltro, che per virtude sa simular, se giova.
Era di quell’indegna ogni superbo detto
Aspra mortal ferita d’una consorte al petto;
Ma a lei giovar potea più che a me l’irritarmi,
Empia per questo Ircana tentò di provocarmi;
Ed io l’ira celando, senza mostrarla in viso,
Le ingiurie e le minaccie ricompensai col riso.
Tamas che l’abbia offesa dir non potrà, se affetto
Tenero le promisi, e le mostrai rispetto.
Pietà più facilmente sperare alle mie pene
Posso nel di lui cuore... Eccolo, che a me viene.

SCENA V.

Tamas e detta.

Tamas. (Eccola quell’audace: creduto ah non l’avrei...

Onte, insulti ad Ircana? Provi gli sdegni miei). da sè
Fatima. Sposo?
Tamas.   T’accheta, e parti.
Fatima.   A me che parta? Oh cielo!
Tamas, alla tua sposa?
Tamas.   Torna a riporti il velo.
Fatima. Come?
Tamas.   Divorzio io chiedo.
Fatima.   Senza ragion?
Tamas.   Ragione
È il mio voler, t’accheta: femmina invan s’oppone.
Fatima. Io vi dissento; è legge nell’Alcoran G 4 firmata,
Che non sia moglie a forza senza ragion scacciata.
Al CadìG 5 si ricorra8; egli, che il dritto regge,
Esamini le colpe, interpreti la legge.

[p. 168 modifica]
Tamas. Che parli di Cadì, di legge e d’Alcorano?

lo son nei tetti miei l’interprete e il sovrano.
Fatima. Ah signor, qual mia colpa v’arma a sìri ria vendetta?
Tamas. Non merta l’amor mio colei che nol rispetta.
Fatima. Che dir volete? Ircana...
Tamas.   Sì, l’insultasti, audace.
Fatima. Ah non è ver.
Tamas.   T’accheta; non è Ircana mendace.
Fatima. Ella che l’insultassi può sostener? L’afferma
Francamente il suo labbro?
Tamas.   E Curcuma il conferma.
Fatima. Curcuma! scellerata! Quella che un rio veleno...
Tamas. Doveva alla mia schiava dar, per tua legge, al seno.
Ma il Cielo...
Fatima.   Ah non è vero.
Tamas.   Perfida!
Fatima.   Ah son tradita.
Tamas. Indegna d’uno sposo, indegna della vita,
Togliti agli occhi miei; non vi sarà chi invano
Teco d’unirmi ardisca col cuore o con la mano;
E se volesse il padre a forza, e a mio dispetto.
Ti caccierei, ribalda, questo pugnale in petto.
(sfodera il pugnale
Fatima. Aita...

SCENA VI.

Machmut e detti.

Machmut.   Olà, che tenti?

Tamas.   Minaccio, e non ferisco.
Machmut. Chi minacci?
Tamas.   Un’indegna.
Machmut.   Sei tu? (a Fat.) (Non lo capisco).
Fatima. Son io quell’infelice, che ha la gran colpa in seno,
D’aver alla sua bella...
Tamas.   Preparato il veleno.

[p. 169 modifica]
Fatima. Ah mi fulmini il Cielo! orrida sepoltura

M’apra quindi la terra, se ciò fia ver.
Tamas.   Spergiura!
Machmut. Fatima, ti allontana.
Fatima.   Pietà!
Tamas.   Parti.
Fatima.   Obbedisco.
Miratemi, signore, m’insulta, ed io languisco, (a Machmut
Soglion le spose in Persia, per gelosia di schiave,
Chieder esse il divorzio,9 e a me par duro e grave;
Poiché se per destino seco mi sono unita,
Mi han per destino ancora quegli occhi suoi ferita.
Vendetta non domando, vendetta non procuro;
Veleni non conosco, tocco la fronte, e il giuro 10.
Pietà chiedo allo sposo, se invan gli chiedo affetto,
Ecco la sua pietade, m’alza un pugnale al petto.
Morirei pria di dirlo al Muftì11 o al Divano 12,
Lo dico al genitore, che per il figlio è umano.
Bramo la di lui pace, bramo che mi ami, e viva;
Io morirei più tosto ch’essere di lui priva.
Signor, voi padre siate di me, qual dello sposo;
Nuora non abbandoni il suocero amoroso.
Attenderò il decreto, pene, supplicii 13, e morte;
Tutto, fuor che staccarmi dal mio crudel consorte.
parte

SCENA VII.

Machmut e Tamas.

Machmut. Misera, sventurata!

Tamas.   Colei...
Machmut.   Taci, e m’ascolta.

[p. 170 modifica]
Tamas. Non conoscete il cuore...

Machmut.   Rispettami una volta!
Tamas. Vi ascolterò.
Machmut.   Tu celi sotto ragion mendace
L’amor che nutri in seno per una schiava audace.
Di questo amore indegno niun ti contrasta il foco;
Si tollera, si tace, e per te ancora è poco?
Tace e tollera un padre, lo sa la sposa istessa;
Tu il genitore insulti, vuoi la consorte oppressa...
Tamas. Una consorte indegna...
Machmut.   Taci.
Tamas.   Che per vendetta...
Machmut. Taci.
Tamas.   Non parlo.
Machmut.   Ardito! m’ascolta, e mi rispetta.
Che far puote in un giorno, anzi in poch’ore appena,
Al talamo guidata, figlia di rossor piena?
A preparar veleni, a meditar fierezza,
Tempo vi vuole, e un’alma ai tradimenti avvezza.
Sciocchi pretesti indegni, d’alma ribalda e nera,
Sedotta da una schiava, che le comanda altera!
Empio, col ferro in mano minacci una donzella?
Ecco perchè l’Europa barbari noi appella;
Non per le leggi nostre, non per il culto al Nume,
Non perchè di scienza in noi non siavi il lume;
Ma perchè un uom lascivo, pien di scorrette voglie,
Al piacer d’una schiava sagrifica una moglie.
Tamas. Permettete ch’io parli?
Machmut.   Oh tracotanza 14 estrema!
Non lo permetto ancora; odimi, audace, e trema.
Trema del tuo destino, trema del tuo periglio:
Odi a che mi esponesti, ingratissimo figlio.
Non si conosce in Persia nobiltà de’ natali;
Fuor della regia stirpe, tutti siam nati eguali,

[p. 171 modifica]
E quel più si distingue fra noi, che ha più fortuna,

Quel che ha gli onori in casa, e le ricchezze aduna.
Lo sai che il padre mio per Angli, Ispani e Galli,
Con le sue man pescava le perle ed i coralli;
Ei col denaro, a forza di sudori acquistato,
Mi ha questo pingue officio15 di finanzier comprato;
Ed io per le gabelle, esposto a gente ardita,
Mille soffersi ingiurie, ed arrischiai la vita.
Or tu, che unico sei d’ogni mio bene erede,
Cui, dopo me, comprata ho la medesma sede,
Tu, ingratissimo figlio, anzi che sollevarmi,
Con onte e con insulti vorrai precipitarmi?
Sai pur che ogni pretesto serve al Giudice avaro,
A togliere in Oriente le cariche e il denaro.
E sai che facilmente soggetto è a tal periglio
Anche il padre innocente, per le colpe del figlio.
Tu minacciar la sposa? Tu con il ferro in mano,
Minacciar la figliuola del terribile Osmano?
Sai tu qual pena avresti, se incauto l’uccidevi?
(E ucciderla pur troppo, s’i’ non venia, potevi).
Ecco la legge: un reo, che abbia talun svenato,
Conducesi da’ schiavi al tribunal legato;
Fatto il processo in breve, confesso, ovver convinto,
Consegnasi ai parenti dell’infelice estinto;
Ed essi, con tormenti inusitati e strani,
Dell’uccisor nel sangue si lavano le mani.
Anche le donne stesse, per legge altrui celate,
Sono per tai tragedie in libertà lasciate:
Con l’ugne e con i denti straccian le carni e i crini,
Avide di vendetta, fiere più de’ mastini.
Di’, che ti pare? Ircana merta d’avere il vanto,
Che il suo signor per lei s’accenda, e arrischi tanto?
Tamas. Posso parlar, signore?
Machmut.   Parla, sì, tel concedo.

[p. 172 modifica]
Tamas. Padre, se per Ircana...

Machmut.   Osmano è quel ch’io vedo.
(osservando verso la scena
Tamas. Se per Ircana il petto...
Machmut.   Parti.
Tamas.   Ma dunque invano
Potrò sperar, signore...
Machmut.   Lasciami con Osmano.
Tamas. (Non so che dir; dal padre il cor mi si divide,
Fatima mi tormenta, ed Ircana mi uccide), (da sè, e parte
Machmut. Parmi commosso, oh Cieli! Tamas, lo sai se ti amo,
Ma il periglioso laccio veder troncato io bramo.

SCENA VIII.

Osmano e Machmut.

Osmano. Che ha Fatima, che piange?

Machmut.   Non lo chiedesti a lei?
Osmano. Mostra di non saperlo.
Machmut.   Io più noi chiederei.
Osmano. Odimi: due poeti del seguito festoso
Cantano della sposa le lodi, e dello sposo;
Ma in mezzo ai loro canti, in mezzo ai loro accenti.
Frammischiano sovente le satire pungenti.
Fatima (un di quei dice), Fatima è mia sovrana,
Ma dovrà star soggetta alla mia16 schiava Ircana.
Fatima un sol rassembra (l’altro poeta disse),
Ma un sole a cui minaccia l’altro pianeta ecdisse.
Io loro avrei d’un colpo tronca la testa e ’l canto;
Rispettai le tue soglie, l’ira frenai; ma intanto,
Dimmi tu, che il saprai, chi è quest’ardita Ircana,
Che potrebbe a mia figlia comandar da sovrana?
Machmut. Ah indegni, scellerati satirici cantori,

[p. 173 modifica]
Che or fanno i maldicenti, or fan gli adulatori,

E quando dicon bene, e quando dicon male,
Sempre in lor l’interesse alla ragion prevale!
Possano andar raminghi per l’Asia, e mal pasciuti,
Come in Europa sono in obbrobrio venuti,
Sbanditi dalle genti cotai spiriti inquieti,
Derise e svergognate le satire, e i poeti.
Odimi, Osmano, il vero celar fia cosa vana.
Mio figlio ama una schiava, il di cui nome è Ircana.
Osmano. Che ami una schiava, è poco; ne ami anche dieci, è nulla;
Sposa soffrir lo deve, sia donna, o sia fanciulla.
Basta che non ardisca, per un amore insano,
Tenere a lei soggetta la figliuola di Osmano.
Machmut. No, non temer.
Osmano.   Se invano temer ciò si dovesse,
Non sentiriansi i vati cantar satire espresse;
Le donne dagli eunuchi han preso l’argomento,
E Fatima è ormai resa l’altrui divertimento.
Machmut. Da un padre e da un amico chiedo consiglio e aita.
Osmano. Odimi: a quante schiave questa superba è unita?
Machmut. Quelle del genitore non son quelle del figlio.
Le sue dieci saranno.
Osmano. Eccoti il mio consiglio:
Dieci donne son troppe; vendi l’audace Ircana.
Cesserà ogni periglio, quando è costei lontana.
Machmut. Facciasi.
Osmano.   Ogni dimora può assassinare il cuore
Di un figlio affascinato.
Machmut.   Si cerchi il compratore.
Osmano. Com’è costei?
Machmut.   Vezzosa.
Osmano.   Giovine?
Machmut.   Giovinetta.
Osmano. Lavora?
Machmut.   Nel ricamo l’ho trovata perfetta.

[p. 174 modifica]
Osmano. La comprerò.

Machmut.   A qual prezzo?
Osmano.   Vederla, e si contratti.
Machmut. Fra due che giusti sono, brevi saranno i patti.
Olà... Curcuma io voglio. (esce un Eunuco, e parte
Osmano.   Chi è costei?
Machmut.   La custode.
Osmano. Queste son ne’ serragli maestre d’ogni frode.

SCENA IX.

Curcuma e detti.

Curcuma. Eccomi: (oh me meschina!) un uom che mi ha veduta.

Presto, pria che si dica, che ho l’onestà perduta.
(vuol coprirsi
Machmut. Odimi.
Curcuma.   Sì, signore. (coprendosi
Machmut.   Qual timore improvviso?
Curcuma. Non v’è un uomo? mi sento i rossori sul viso.
Machmut. Vieni; l’età canuta ti salva dal rigore.
Curcuma. Eh, se sono canuta, è per troppo calore.
Machmut. Odimi.
Curcuma.   Dite pure.
Machmut.   Eh scopriti, schifosa.
Curcuma. Signor sì, sono stata sempre un po’ vergognosa.
Machmut. Fa che Ircana a me venga, e se venir non vuole,
Usa la forza, quando non vaglian le parole;
Legata dagli eunuchi, guidala al mio cospetto.
Eseguisci il comando, sollecita ti aspetto.
Curcuma. Legata? strascinata? oh povera ragazza!
Più tosto son qua io...
Machmut.   Vanne: sei vecchia, e pazza.
Curcuma. Oh questo maltrattarmi, signor padron mio caro.
Dirmi che sono vecchia, è un boccon troppo amaro.
Per le fatiche il viso par un po’ crespo e vecchio,
Ma sono le mie carni lustre come un specchio. parte

[p. 175 modifica]

SCENA X.

Machmut e Osmano.

Machmut. (Giovine sventurato!) da si

Osmano.   Machmut, che pensi?
Machmut.   Ah penso
Qual dolore il mio figlio proverà crudo, intenso!
Osmano. Dagli una sciabla, un arco, dagli un agili destriero,
Meco in tre giorni al campo dilegua ogni pensiero.
Stanco di tollerare la neghittosa pace,
Il Perso valoroso vuole attaccare il Trace;
Poiché, quantunque uniti sien sotto all’Alcorano17,
Sono i più fier nemici il Perso e l’Ottomano.
L’una e l’altra nazione venera, il sai, Maometto;
Ma abbiam noi per Alì forse maggior rispetto.
E quei nel nostro Impero, che ci governa e regge,
Col parer degl’Imanni 18 interpreta la legge.
Venera il Turco Omar, Albumelech 19, Osmano,
Diviso in due partiti il popol Monsulmano.
Articoli di legge tengono in aspra guerra
Due principi fra loro formidabili in terra.
Machmut. Tu nel parlar di guerra perdi te stesso: osserva:
Ecco la schiava.
Osmano.   A forza guidano la proterva.

SCENA XI.

Ircana tenuta legata da due Eunuchi, e detti.

Ircana. Ah signor, perchè in lacci? Miserai in che peccai?

Che da me si pretende?
Machmut.   Chetati, e lo saprai.
Ircana. Fammi coprire almeno dinnanzi a uno straniero.

[p. 176 modifica]
Machmut. (Mirala, qual ti sembra?) (ad Osmano

Osmano.   (Ha il portamento altero).
Machmut. Piaceti?
Osmano.   Non mi spiace.
Machmut.   Se la vuoi, contrattiamo.
Osmano. Sotto il manto le man20(pongono le mani sotto le vesti
Machmut.   Prestamente accordiamo.
Ircana. (Ah che il crudel mi vende! In tal modo fu fatto
Già da Machmut21 istesso col padre mio il contratto).
Misera me! lasciate, perfidi, un’infelice.
(tenta liberarsi dalle catene
Tamas più non m’ascolta, sperar più non mi lice.
Machmut. Basta così, son pago.
Osmano.   Avrai tosto il contante;
Avrai zecchini cento, del nuovo giorno innante.
Ircana. Ah per pietà, signore, a qual destin funesto?...
(a Machmut
Machmut. Schiava mia più non sei, il tuo signore è questo, parte
Osmano. Seguimi. (ad Ircana
Ircana.   Ah pria di trarmi lungi da questo tetto,
Pensate che di Tamas son io l’unico affetto.
Osmano. E tu pensa ch’io sono padre della sua sposa;
Ti tratterò qual merti, femmina orgogliosa. parte
Ircana. Ahimè! che intesi mai? ahimè, l’amor, la vita:
Tamas, Tamas, mio bene, io parto; io son tradita.
(parte cogli Eunuchi


Fine dell’Atto Terzo.


Note dell'autore

  1. Moneta persiana che corrisponde al valore di un ducato veneziano corrente, col valore antico di lire sei, e soldi quattro per ducato.
  2. Somma ideale di moneta usata in Persia, che corrisponde a ducati cinquanta Veneziani suddetti.1
  3. Maniera usata di contrattare in Persia, specialmente nei pubblici mercati, onde resti segreto fra contraenti il prezzo.
  4. Il libro dette leggi e della falsa religione dei Maomettani.
  5. Giudice ordinario in Persia e nella Turchia.

Note del curatore

  1. Nelle varie edizioni goldoniane è stampato Jomani, ma deve leggerai Tomani, come nella scena ultima.
  2. Così corregge l’ed. Pasquali. Nelle edd. Pitteri e Zatta leggesi: Io so che ecc.
  3. Ed. Pitteri: apperta; e più sotto: apperse.
  4. Edd. Pittori e Pasquali: faciamole.
  5. Ed. Pitteri: obligo.
  6. Così nel testo.
  7. Ed. Zatta: chi è in effetto.
  8. Ed Pittati: riccorra.
  9. Nell’ed. Zatta c’è il punto interrogativo.
  10. Maniera che usasi colà di confermare i detti col giuramento.
  11. Il capo della falsa religione maomettana.
  12. Divan-Begnì, supremo Giudice criminale.
  13. Ed. Pasquali: supplizi.
  14. Ed. Pitteri: traccotanza.
  15. Ed. Zatta: uffizio.
  16. Ed. Zatta: sua.
  17. Ed. Zatta: sotto l’Alcorano.
  18. In tutte le edizioni è stampato Omanni, me deve leggersi: Imanni.
  19. Nello Stato presente di tutti i paesi ecc. (del Selmon) da cui il Goldoni attinge, è detto Abubeker: trad. ital., vol. V (Venezie, 1738), peg. 266.
  20. Così l’ed. Zatta. Nelle edd. Pitteri e Pasquali è stampato, per isbaglio: vesti.
  21. Così l’ed. Pasquali. Nelle edd. Pitteri e Zatta leggesi soltanto: Da Machmut ecc.