Le Baccanti/Esodo

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Esodo

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Euripide - Le Baccanti (406 a.C./405 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Esodo
Quarto stasimo Le Baccanti
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Dal monte giunge, esterrefatto e angosciato, un messo.
messo
O casa, avventurata un dí nell’Ellade,
del vegliardo Sidonio, a cui la terra
messe fruttò dal seminato drago,
come, sebbene schiavo, io ti compiango!
corifea
Che fu? Che nuove annunci delle Mènadi?
messo
Pentèo, figliuolo d’Echïòne, è morto!
corifea
Deh, come il tuo poter dimostri, o Bromio!

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messo
Come? Che dici mai? Per le sciagure.
dei signor’ nostri, o femmina, t’allegri?
coro
Levo di gioia selvaggio concento,
che piú dei ceppi non ho spavento!
messo
Pensi che in Tebe alcun uom piú non sia?
coro
Evoè, evoè!
Tebe potere non ha piú su me!
messo
Degna di scusa certo sei. Ma turpe,
donna, è gioire per le altrui sciagure.
coro
Narrami, narra in che maniera è morto
l’iniquo che compieva opere inique.

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messo
Poi che i soggiorni del tebano suolo
abbandonammo, dietro noi lasciate
le fluenti dell’Àsopo, alle rupi
del Citerone ci affrettiam, Pentèo,
io, che il mio re seguivo, e lo straniero
che a contemplare l’orge eraci guida.
E pria posammo in un vallone erboso,
muti, smorzando il battito dei piedi,
per vedere non visti. In una gola
cinta di rupi, fra spicciar di linfe,
sotto l’ombra dei pini, eran le Mènadi.
Sedeano, ad opre graziose intente.
Cingevan queste nuove chiome d’ellera
ad un tirso sfrondato; e allegre quelle,
come puledre libere dal giogo,
intonavano a gara un carme bacchico.
Pentèo, che poco distinguea la turba
delle femmine, disse: «O forestiere,
di dove siamo non veggo io le Mènadi:
se un colle ascendo, od un eccelso abete,
meglio vedrò le loro opere turpi».
E lo straniero compiere un prodigio
allor vid’io: ghermita d’un abete
la somma vetta che toccava il cielo,
la trasse giú giú giú, sino alla terra
negra, simile a un arco, o ad una curva
che volubil compasso in giro incida.
Cosí curvò l’alpestre albero al suolo
lo stranier, non umana opra compiendo.
E, posato Pentèo fra i rami, il tronco,
pian piano, senza abbandonarlo a un tratto,

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che via non crolli il carico, rilascia.
Dritto quello nell’ètere ristie’,
su la cima reggendo il signor mio.
E lui scoprîr le Mènadi, piú ch’egli
non le scoprí. Ché mentre ancor nascosto
era fra i rami, lo straniero sparve,
e una voce per l’ètere — la voce
di Dïòniso, penso — risuonò:
«L’uomo io vi reco, o femmine, che voi,
che me, che l’orge mie mise in ludibrio:
traetene vendetta!». Ei sí gridava;
e per la terra e il firmamento insieme
corse un barbaglio di celeste fuoco.
L’ètere tacque, la valle selvosa
mute rattenne le sue foglie, grido
di fiera udito non avresti. E quelle,
che non bene distinta avean la voce,
in pie’ surte, qua e là volgean gli sguardi.
Ed ei gridò di nuovo. Or, come bene
inteser che di Bromio era l’invito,
le figliuole di Cadmo si lanciarono,
non men veloci di colombe a volo,
Agave, la sua madre, e le sorelle,
e tutte le Baccanti. E sui torrenti
e i precipizi, trasvolavano, ebbre
dell’afflato del Nume. E come videro
sull’abete nascosto il mio Signore,
prima una rupe ascesero, che incontro
come torre s’ergeva, e con grande impeto
gli scagliavano sassi; ed altri i tirsi
contro Pentèo per l’aria erti vibravano,
miserevole meta!, e nol giungevano:
ch’oltre la loro furia era l’altezza

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dove sedea, privo di scampo, il misero.
Con tronchi allor di querce, senza ferro
di leve, presero a scavar la terra,
a scalzar le radici. E poi che l’opera
al fine non giungeva, Agave disse:
«Su, ponetevi in giro, e al tronco, o Mènadi,
date di piglio, ché si colga infine
l’aerea fiera, e non riveli i mistici
riti del Dio». Con mille e mille mani
quelle abbrancâr l’abete, e lo divelsero;
e dall’eccelso suo rifugio, a terra,
con mille e mille strida, Pentèo giú
cadde, che si sentia giunto al suo fine.
Prima su lui piombò, ministra prima
fu del rito di sangue Agave a lui.
Ed ei, perché la madre lo ravvisi,
via dalle chiome le bende scagliò,
e le sfiorò la gota, e disse: «O madre,
io son Pentèo, sono tuo figlio! Nacqui
di te, nei tetti d’Echïóne! Ora, abbi
pietà di me; e per gli errori suoi,
non voler, madre, uccidere tuo figlio!»,
Quella, sputando bava, e roteando,
torcendo le pupille, e dissennata,
era invasa dal Nume, e non l’udiva;
ma con la manca un braccio gli afferrò,
e, il pie puntando sopra il fianco al misero,
l’omero gli strappò: non di sua forza,
ma nelle mani un Dio vigor le infuse.
Dall’altro lato, a sbranargli le carni
Ino s’adoperava, e Autònoe e tutte
le Baccanti: era un ululo confuso,
ei gemendo finché trasse il respiro,

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e l’altre alzavan grida di vittoria.
Ed una un braccio, un pie’ l’altra portava:
nude l’ossa apparian dai fianchi rotti;
e con le mani sanguinose tutte
si palleggiavan di Pentèo le carni.
E giace il corpo qua e là, tra rupi
aspre, e del fitto bosco fra le chiome,
né facile è trovarlo. E il capo misero,
tra le sue man la madre il prese, e, fittolo
sul tirso, come d’un leone alpestre,
tra i gioghi via del Citerón lo porta,
lasciate in danza le sorelle Mènadi.
Ed orgogliosa della triste caccia,
a queste mura or muove, e invoca Bacco,
che insiem con lei cacciò, prese la nobile
preda, che dà di lagrime trofeo.
Pria che giunga la misera alla reggia,
dall’orribile vista io m’allontano.
Il messo va via.


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coro
Danze intrecciamo in gloria
di Bacco, ad alte grida
annunciam di Pentèo la triste sorte,
del figliuolo del drago, che femminee
vesti cingeva, che impugnò la ferula
a cercar la sua morte;
e un toro a lui fu guida
lungo la via funesta.
E voi, cadmee Baccanti,
potete celebrar vostra vittoria
con ululi, con pianti. Oh bella gesta
del sangue d’un figliuolo le mani aver grondanti!
Giungono da lungi le grida dissennate d’Agave.
corifea
Su via, la madre di Pentèo s’accolga,
che roteando le pupille giunge,
e il corteggio con lei dell’Evio Nume.

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agave
grida dal di dentro.
Strofe
Baccanti d’ Asia!
corifea
                                   Perché mi chiami?
agave
entra in folle corsa, brandendo il tirso su cui è infitta la testa di Penteo, fra rami d’ellera. La segue uno stuolo di donne in costume di Mènadi, dissennate e deliranti.
Dall’alpe una mirabile
preda, fra questi rami
testé recisi, a questa reggia io reco.
corifea
Vedo! E dei balli miei socia ti faccio!
agave
Vedete, dunque? Io preso ho questo tenero
leone, senza laccio!
corifea
In che deserto luogo?

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agave
Del Citerone il giogo...
corifea
Che fece il Citerone?
agave
                                         A lui die’ morte.
corifea
Chi prima lo colpí?
agave
                                   Fu mia la sorte,
e i tíasi esalteranno la mia gloria.
corifea
E dopo te?
agave
La prole......
corifea
                              Quale prole?

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agave
Di Cadmo le figliuole,
dopo me, dopo me, colpian la fiera!
corifea
Andare puoi di simil caccia altiera!
agave

Antistrofe
Meco banchetta!
corifea
                              Che dici, o misera?
agave
vagheggia la testa.
Del capo sotto i morbidi
crini, questo vitello
le gote or ora ombrava di lanugine.
corifea
Come d’agreste belva è sua criniera!

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agave
Bacco, ben destro cacciator, le Mènadi
lanciò su questa fiera!
corifea
Di cacce il Nume gode!
agave
Or tu non mi dài lode?
corifea
Sí, ti dò lode.....
agave
                         E il popolo di Tebe,
presto....
corifea
                    e a sua madre anche il figliuol Pentèo....
agave
Plauso darà pel nobile trofeo!

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corifea
Mirabil preda!
agave
                                   E con grand’arte colta!
corifea
Dunque t’allegri?
agave
                                                       Molta,
molta gioia m’invade; e manifesta
a Tebe tutta sarà la mia gesta!
corifea
Ai cittadini, o misera, la preda
vittoriosa ch’ài recata, mostra.
agave
Venite, o voi che dimorate nella
turrita rocca del tebano suolo,
e vedete qual fiera abbiam cacciata
noi, le figlie di Cadmo, senza lancio
di giavellotti tessali né reti,
ma con la furia delle bianche mani!
Oh vano millantar di chi con l’armi
muove alla caccia! Con le sole mani

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noi questa fiera abbiam predato, abbiamo
dilacerate le sue membra. Ov’è
il vecchio padre mio? S’accosti. Ov’è
il figlio mio Pentèo? Prenda una solida
scala, e l’appoggi ai muri della reggia,
e questo capo del leone, ch’io
trafissi in caccia, sopra il fregio infigga.
cadmo
seguito da servi che portano su una barella i resti sbranati di Penteo.
Seguitemi, portando questo misero
carico di Pentèo, servi, seguitemi
presso alla casa, dove il corpo io reco,
che ritrovai, con mille e mille stenti,
disfatto in brani, né un sol brano presso
l’altro, del Citerone fra i recessi.
Com’io ponevo entro le mura il piede,
col vegliardo Tiresia, fra le Mènadi,
alcuno mi narrò l’insana furia
delle mie figlie: ond’io, tornato al monte,
il figliuolo cercai, da quelle ucciso.
Ed Ino ed Autonòe vagolar vidi
fra i querceti, dall’estro ancora invase:
d’Agave alcun mi disse che l’aveva
qui spinta Bacco; e non mi disse il falso:
ché innanzi a me la scorgo. Ahi, fiera vista!
agave
O padre, molto glorïarti puoi,
che generasti valorose figlie

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come niun dei mortali: io dico tutte,
e piú di tutte me, che, abbandonate
presso i telai le spole, a maggior gesta
venni, e cacciai con le mani le belve!
E nelle braccia, come vedi, reco
questi trofei, che in cima alla tua reggia
vengano appesi. E tu, padre, gradiscili,
ed orgoglioso di mia preda, invita
a banchettar gli amici: ché beato
ti fa, beato, l’opra che compiemmo!
cadmo
O doglia immane onde rifugge il guardo!
O strage, o mani misere omicide!
Bella vittima ai Numi hai tu sgozzata,
che me, che Tebe a banchettare inviti!
Oh sciagura su te, su me sciagura,
che giusto fu, ma troppo ne distrusse
Bromio, che nacque dalla nostra casa.
agave
Com’è burbera e sempre accipigliata
l’età senile! Oh, se mio figlio tanto
valesse in caccia quanto val sua madre,
quando si lancia delle belve in traccia
fra i giovani di Tebe! Egli coi Numi
soltanto, invece, sa pugnar! Ma tu
ammoniscilo, oh padre. Or chi lo chiama,
ch’egli vegga la mia felicità?

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cadmo
Ahi, ahi, se al senno tornerete, orribile
strazio v’assalirà pel vostro scempio!
agave
Di non bello e di tristo in ciò che vedi?
cadmo
Prima lo sguardo in questo ètere figgi!
agave
Devo fissare l’ètere? Perché?
cadmo
Ti par lo stesso, o che mutato sia?
agave
Piú limpido mi sembra, ora, piú lucido.
cadmo
Lo smarrimento in seno ancor ti dura?

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agave
Non t’intendo. Ma ben parmi tramuti
il mio pensiero, e che a ragione io torni.
cadmo
Puoi darmi ascolto e limpida risposta?
agave
Sí: né quanto pria dissi io piú rammento.
cadmo
A quale casa gl’Imenèi t’addussero?
agave
Sposa mi desti ad Echïón terrigeno.
cadmo
E quale figlio ad Echïóne nacque?
agave
Dall’amor suo, dal mio, nacque Pentèo.

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cadmo
E di chi rechi fra le braccia il capo?
agave
D’un leon... disse chi con me lo prese.
cadmo
Guarda bene: è guardar lieve fatica.
agave
Che vedo, ahimè! Queste mie man’ che recano?
cadmo
Fissalo bene, e lo saprai ben chiaro.
agave
Oh me infelice! Oh spasimo crudele!
cadmo
Che somigli a un leon dunque ti sembra?

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agave
No! Questo è il capo di Pentèo, me misera!
cadmo
Io lo piangevo, e tu nol conoscevi!
agave
Chi l’uccise? Com’è fra le mie mani?
cadmo
Triste, se giunge inopportuno, il vero!
agave
Parla! Mi balza nell’attesa il cuore!
cadmo
Tu l’uccidesti e le sorelle tue.
agave
Dove fu ucciso? Nella reggia? O dove?

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cadmo
Dove Atteon le cagne già sbranarono.
agave
E perché al monte andò lo sventurato?
cadmo
Per fare al Nume oltraggio, e ai vostri riti.
agave
E come noi su lui quivi piombammo?
cadmo
Bacco voi folli, e tutta Tebe rese.
agave
Ora comprendo! Ci colpi Dïòniso!
cadmo
Dio non lo credevate! Offeso, offese.

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agave
E il caro corpo di Pentèo, dov’è?
cadmo
L’ho ritrovato a stento, e qui lo reco.
agave
Congiunte insiem le membra sue trovasti?
cadmo
.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
agave
Che colpa avea di mia follia, Pentèo?
cadmo
Pari si rese a voi spregiando il Nume:
e il Nume voi nella rovina stessa
sospinse, e quello, e sterminò la casa,
e me, che, privo di progenie maschia,
vedo il rampollo del tuo grembo, o misera,
finir di sí nefanda orrida fine!
La casa volto a lui tenea lo sguardo:
tu reggevi i miei tetti, o figlio della
mia figlia: e lo sgomento eri di Tebe.

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Né osava alcuno fare ingiuria al vecchio,
vedendo te: ché il fio pagato avrebbe.
Ma senza onore via dalla sua casa
sarà scacciato adesso il vecchio Cadmo,
che dei Tebani seminò la stirpe,
e ne raccolse peregrina messe.
Oh il piú diletto fra i mortali tutti,
ché morto ancor fra i piú diletti sei,
oh figlio mio, non piú con la tua mano
accarezzando questa guancia, il padre
della tua madre incontrerai per dirgli:
«Chi ti fa torto, chi ti nega onore?
Il cuore tuo chi affligge e turba, o vecchio?
Di’, ch’io punisca chi t’offese, o padre!».
Ora infelice io sono, e sventurato
sei tu, degna di pianto è la tua madre,
miseri i tuoi congiunti! Oh, se v’è alcuno
che disprezza i Celesti, a questa morte
riguardi, e creda che vi sono i Numi.
corifea
Cadmo, di te mi duol. Giusta la pena
pel tuo nipote fu, ma per te dura!
agave
O padre, vedi la sciagura mia!1

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Pentèo miseramente fra le rupi
sbranato giacque. Ed ora, con che lagrime
lo piangerò? Come potrò, me misera,
stringerlo al sen, toccarlo con le mani
che commiser lo scempio? A brani a brani
le membra che ho nutrite io bacerò!
Sulla tomba di Semele appare Dioniso.
dioniso
Di lacci egli m’avvinse, mi coprí
di contumelie; onde il morir fu poco
a quanto oprò. Né tacerò la sorte
che agli altri incombe.
Ad Agave.
                                   Tu con le sorelle
Tebe lasciar dovrete, e il fio pagare
del duro scempio a lui che avete ucciso;
né vedrete piú mai la patria vostra.
A Cadmo
In drago tu tramuterai tua forma;
ed Armonia, che a te, mortale, Marte
diede in isposa, sarà fatta serpe.
E fatto re di barbari, una coppia
guiderai di vitelli con tua moglie,
come dice l’oracolo di Giove;
distruggerai con infinito esercito
molte città: poi, quando il santuario
struggeranno d’Apollo, avranno un misero
ritorno; e te nel regno dei Beati

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Marte con Armonia stabilirà.
Questo dico io, non di mortale nato,
ma di Giove, Dïòniso; se saggi
stati voi foste allor che non voleste,
vi sarei stato amico, e voi felici.
agave
Ti femmo torto. Or ti preghiam, Dïòniso!
dioniso
Tardi! Mi sconosceste a tempo debito.
agave
Vero è; ma troppo contro noi t’avventi!
dioniso
Perché da voi venni oltraggiato, io Nume.
agave
Rancor mortale ai Numi non si addice!
dioniso
Di Giove è quanto avvien decreto antico.

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agave
Padre! ahi misero esiglio è a noi prescritto!
dioniso
A che indugiare quanto fare è d’uopo?
Sparisce.
cadmo
In quale, o figlia, orribile sciagura
cademmo, tu, le tue sorelle, o misera,
ed io, tapino, che cercar, già vecchio,
debbo asilo tra i barbari! Destino
è per me dunque ancor guidare in Ellade
un’accozzaglia barbara di genti,
e, fatto drago, la consorte mia,
figlia di Marte, tramutata in aspide,
guidare all’are ed alle tombe Ellène,
d’un esercito a capo. E mai, tapino,
mai fine avranno le sciagure mie.
Neppure quando scenderò l’inferna
corrente d’Acheronte, io pace avrò.
agave
Padre ed io da te lungi andrò fuggiasca!
Lo abbraccia.

[p. 116 modifica]

cadmo
Misera figlia, a che m’abbracci? Bianco
al par d’un cigno io sono, e nulla valgo.
agave
Lontana dalla patria, or dove andrò?
cadmo
Non so! Non può giovarti, o figlia, il padre!
agave
Addio, mia casa! Addio
terra ove nacqui. Lungi dalla reggia
ove fui sposa, me spinge sventura.
cadmo
O figlia, muovi or dove d’Aristèo...
agave
a Cadmo.
Io per te piango, o padre!

[p. 117 modifica]

cadmo
Io per te, figlia, e per le tue sorelle.
agave
Troppo fu dura l’onta che Dïòniso
sopra la casa tua volle aggravare.
cadmo
E grave onta da noi soffrí: ché in Tebe
mai non ebbe il suo nome onore alcuno!
agave
Salute, o padre, a te.
cadmo
                                   Salute, o figlia:
Ma che salute mai trovar potresti?
agave
Alle ancelle.
Siatemi or guida alle sorelle mie,
che misere compagne

[p. 118 modifica]

mi sian d’esiglio. E possa io, possa giungere
dove né me piú vegga
il Citerone maledetto, né
queste pupille il Citerone, dove
del tirso piú ricordo alcun non resti.
Esce sostenuta dalle ancelle.
i corifea
Spesso tramuta quando oprano i Dèmoni,
e inaspettati eventi i Numi compiono.
E a ciò che s’attendea negarono esito,
e all’inatteso aprîr tramite agevole.
Della favola triste è questo il termine.


Note

  1. A questo punto esiste nei codici una lacuna che l’industria filologica tentò di colmare in varie guise. Io qui mi attengo piú che altro,
    alla edizione del Wecklein. La lacuna è interrotta alle parole di Dioniso a Cadmo: in drago tu tramuterai tua forma.