Le Ferrovie/Lezione IV

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Lezione IV

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LEZIONE IV





Le locomotive.


Il cavallo di ferro. — Proviamoci ora ad imparare a conoscere più da vicino quella preziosa ma semplice macchina che è la locomotiva.

La locomotiva a vapore assomiglia molto ad un essere animato: In Inghilterra il popolo le dà un nome che vuol dir cavallo di ferro ed un nostro poeta la chiamò mostro metallico. E infatti si può dire che essa abbia, oltre la facoltà di camminare, propria degli animali, bocca e viscere e polmoni e che non le manchi la voce, rappresentata dal caratteristico suo fischio.

Lo stomaco della locomotiva è il fornello, che il fuochista alimenta di carbone; le sue viscere sono i lunghi tubi bollitori contenuti nella caldaia. Le fiamme del carbone, entrando nei tubi, riscaldano l’acqua che li circonda, fino a trasformarla in vapore. Il vapore va nei cilindri, che possiamo paragonare ai polmoni dell’animale. Come i polmoni aspirano l’aria, così i cilindri aspirano il vapore dalla caldaia e lo rimandano all’esterno, dopo averne tratto la forza che fa compiere il suo lavoro alla macchina. Perfin le ruote, che hanno un’apparenza tanto diversa dalle zampe dei quadrupedi, possono di queste considerarsi un’abile trasformazione.

Il vapore che esce dai cilindri è ancora utile a qualche cosa: esso è infatti impiegato a richiamar l’aria dal di sotto del focolare, per attivare la combustione. Il pennacchio che esce dal fumaiuolo delle [p. 32 modifica]macchine locomotive non è dunque tutto fumo, ma è parte fumo, parte vapore di scarico.

Abbiam detto che il cibo del cavallo di ferro è il carbon fossile e il suo stomaco è il focolare. E il paragone non si può considerare esagerato, dal momento che, come sapete, anche l’alimentazione degli animali non è che una combustione.

Il focolare ha la forma di una cassa a spigoli arrotondati, composta di grosse lamiere di rame, colle pareti più lunghe poste in piedi, mancante della faccia verso terra, che è sostituita dalla griglia. La parete verso il macchinista ha la bocca, per la quale vien caricato il carbone: questo cade sulla griglia, formata di tante sbarre che, mentre trattengono il carbone, lasciano passare l’aria per la combustione.

La cassa di rame costituente il fornello è circondata all’esterno da un’altra cassa in lamiera di acciaio, di più grandi dimensioni: nell’intervallo fra il focolare e l’involucro vi è acqua.

La parete del forno opposta alla bocca ha qualche centinaio di fori di piccolo diametro, ai quali si innestano altrettanti tubi lunghi da quattro a cinque metri. Un gran cilindro in lamiera di acciaio s’innesta all’involucro del focolare e racchiude entro di sè i tubi. Il corpo cilindrico, o caldaia propriamente detta, è ripieno per buona parte di acqua che rimane negli intervalli fra tubo e tubo. I tubi sono tenuti all’estremo opposto da un’altra piastra forata, la quale, con un anello del corpo cilindrico e colla parete estrema di fondo che vediamo guardando la macchina di fronte, costituisce la camera del fumo. Questo nome è bene appropriato perchè, sboccando in detta camera i tubi, in essa si raccolgono i prodotti della combustione, dopo che hanno ceduto all’acqua il loro calore.

Nella camera a fumo sboccano pure i tubi provenienti dai cilindri per portarvi il vapore esausto che fa, come abbiam detto, da aspiratore dell’aria. [p. 33 modifica]Poichè è nei tubi che avviene per la massima parte il processo della trasformazione dell’acqua in vapore, è giusto paragonare questa parte delle macchina alle viscere dell’animale.

Per chi conosce già le altre macchine a vapore diremo che la forma speciale della caldaia della locomotiva ha lo scopo di permettere la produzione rapida di una grande quantità di vapore; anzi fu quando alla locomotiva venne applicato questo tipo di caldaia che si rese possibile raggiungere elevate velocità di marcia. L’invenzione della caldaia tubulare si attribuisce al francese Seguin, dal quale l’avrebbe imitata lo Stephenson, applicandola per la prima volta alla sua macchina “Razzo„ che, come abbiam detto, è il vero prototipo della locomotiva moderna. Altra specialità della locomotiva, rispetto alle macchine a vapore fisse, è l’impiego del vapore di scarico per il richiamo dell’aria destinata alla combustione, richiamo che nelle altre caldaie è ottenuto per mezzo del camino. Non potendosi sulla locomotiva porre un alto fumaiuolo, si supplisce col getto del vapore. Per quanto modesta sia questa trovata, è da considerarsi anch’essa essenziale e caratteristica, giacchè diversamente non si avrebbe la rapida combustione che è necessaria per ottenere la grande produzione di vapore.

È nozione comune che il vapore, quando è prodotto in un recipiente chiuso, tende ad espandersi, assumendo una forza così grande che farebbe scoppiare il recipiente, se questo non avesse la necessaria robustezza. La macchina a vapore è appunto basata sul principio della utilizzazione di detta forza entro cilindri nei quali si fanno scorrere degli stantuffi, ottenendo così un movimento di va e vieni, che poi si trasforma in movimento circolare.

Occorre un po’ di attenzione per comprendere come il vapore funziona nei cilindri, e dico cilindri perchè ogni macchina ne ha almeno due, come ogni animale ha due polmoni, e noi abbiamo paragonato [p. 34 modifica]i cilindri appunto ai polmoni, nei quali si manifesta l’effetto della fatica degli animali.

Il cilindro non è che un tubo di grande diametro, ma non molto lungo, entro cui può scorrere uno stantuffo, vale a dire un disco di grandezza corrispondente al diametro interno del cilindro. Supponiamo che ad un dato momento lo stantuffo si trovi ad un estremo del cilindro; se dietro allo stantuffo facciamo giungere il vapore, la forza che questo possiede farà spostare innanzi lo stantuffo, il quale giungerà così all’estremità opposta del cilindro. Mandiamo ora il vapore contro l’altra faccia dello stantuffo e apriamo un’uscita al vapore che prima ha lavorato: avverrà che lo stantuffo tornerà indietro. Continuando a mandare il vapore ora da un estremo del cilindro, ora dall’estremo opposto (avendo altresì cura di aprire alternativamente l’uscita del vapore esausto all’estremo opposto a quello da cui entra il vapore nuovo) giungeremo a produrre un movimento continuo, vale a dire a trasformare la forza del valore in movimento, ciò che è ufficio comune a tutte e macchine generatrici.

L’apparecchio che serve a mandare il vapore ora da una parte ora dall’altra e ad aprire contemporaneamente lo scarico si chiama cassetto di distribuzione, ed è nello stesso tempo la invenzione più semplice e più ingegnosa.

Disegnate sopra un foglio di carta tre fenditure, più lunghe che larghe poste l’una a fianco dell’altra: prendete poi un coperchio di scatola di cartone così grande da coprir due delle fenditure. Se ora muovete continuamente innanzi e indietro questo coperchio, in maniera che prima nasconda la fenditura del centro e quella di sinistra, poi ancora quella del centro e quella di destra, avrete un’esatta idea del cassetto di distribuzione e del suo funzionamento. Infatti, se il vostro foglio raffigura la parete del cilindro, le fenditure laterali sono in comunicazione col vapore che viene dalla caldaia e la fenditura centrale col [p. 35 modifica]tubo di scarico, quando il coperchio di scatola lascierà scoperta la fenditura di sinistra, il vapore entrerà nel cilindro da sinistra, ed essendo la fenditura di destra in comunicazione con quella centrale per via del cassetto, il vapore esistente nella camera destra del cilindro andrà allo scarico. Quando, invece, il cassetto scoprirà la fenditura di destra avverrà il contrario, cioè il vapore entrerà da destra e lo scarico avverrà da sinistra. Al moto alterno del cassetto corrisponde, dunque, un movimento analogo dello stantuffo.

Non resta che trasformare il movimento di va e vieni degli stantuffi in movimento rotativo. A tale scopo ogni stantuffo ha uno stelo che esce dal cilindro e termina in un ingrossamento o testa scorrente fra due guide. Da questa testa parte un’asta, detta biella, che va a finire sulla ruota motrice ad un punto distante dal mozzo. Questo basta per ottenere il movimento di rotazione: ne avete un esempio in quel semplice meccanismo che è la mola dell’arrotino.


Alcune particolarità della locomotiva. — La locomotiva normalmente vien fatta marciare col fumaiuolo in avanti: essa però deve potersi muovere anche all’incontrario; deve, cioè poter indietreggiare. A questo provvede l’apparecchio del cambiamento di marcia, col glifo di Stephenson.

Se supponiamo la macchina in riposo, il cassetto sarà in una posizione per la quale non lascerà scoperta nè la luce di destra nè quella di sinistra: a seconda che ammetteremo per la prima volta il vapore da destra o da sinistra la locomotiva s’incamminerà in un senso o nell’altro.

Al glifo fanno capo due eccentrici, che comandano il movimento del cassetto nel senso innanzi spiegato. Se il glifo è disposto in modo da far agire l’eccentrico superiore si ha la marcia in avanti; se l’eccentrico inferiore, si ha la marcia indietro.

L’apparecchio di cambiamento di marcia ha ancora un altro ufficio non meno importante da [p. 36 modifica]compiere. Con lo spostamento parziale il macchinista può far variare a volontà l’ampiezza della corsa dei cassetti ed ottenere un’ammissione più o meno prolungata del vapore: questa manovra permette, quindi, di proporzionare in ogni istante il lavoro del vapore alla resistenza da vincere e di mantener così uniforme la velocità, con un aumento di sforzo nelle salite ed una diminuzione nelle discese.

Se il macchinista inverte l’apparecchio di cambiamento di marcia mentre la locomotiva è in corsa, allora si dice che dà il contro-vapore. Con questo mezzo non si ottiene nè si potrebbe ottenere un’immediata inversione del movimento, ma si ha un energico effetto di frenatura, che produce il pronto arresto del convoglio, perchè il vapore va ad opporsi nel cilindro al movimento già assunto dallo stantuffo. Si sente spesso dire in caso di accidenti ferroviari che il macchinista, per arrestarsi prontamente, si è servito del contro-vapore.

Guardando una locomotiva vi accorgete che alcune o tutte le sue ruote sono fra loro collegate per mezzo di un’asta rigida (si è rinunziato al primitivo sistema a catena perchè poco solido) che le obbliga a girare insieme. Quelle ruote si dicono accoppiate.

Abbiamo già spiegato nel primo capitolo che l’accoppiamento delle ruote ha lo scopo di accrescere il peso che influisce sull’aderenza. Orbene non tutte le macchine hanno bisogno della stessa aderenza: sono quelle obbligate ad esercitare un grande sforzo che debbono avere aderenza maggiore. Perciò le macchine per i treni merci hanno più ruote accoppiate e spesso le hanno tutte accoppiate, mentre le macchine destinate ai treni viaggiatori hanno generalmente non più di quattro o sei ruote accoppiate, ciò che permette di fare l’asse anteriore o i primi due assi spostabili in guisa da rendere più facile il passaggio nelle curve.

Non dobbiamo dimenticare che l’aderenza dipende dalle condizioni in cui trovasi la superficie [p. 37 modifica]delle rotaie; questa, malgrado appaia eguale e levigata, presenta piccole scabrosità che, in condizioni normali, assicurano un’aderenza pari al settimo circa del peso gravante sulle ruote accoppiate; quando però il tempo è umido o nebbioso, oppure si percorrono lunghe gallerie, ove la scarsa ventilazione mantiene l’umidità, le rotaie diventano viscide e l’aderenza si abbassa. Per potere in questi casi speciali migliorare le condizioni di aderenza si ricorre all’espediente ben noto di sparger sabbia sulle rotaie, le quali diventano così più scabrose e impediscono alle ruote di scorrere sul binario o, come dicesi, slittare. Altro mezzo adoperato per lo stesso scopo è quello di lavare le rotaie con un getto d’acqua, avendo l’esperienza dimostrato che in tali condizioni il rapporto di aderenza è presso a poco uguale a quello che si avrebbe con le rotaie perfettamente asciutte.

Avrete pure notato che alcune locomotive hanno le ruote molto alte, ed altre, invece, le hanno basse e del secondo tipo son quelle con molte ruote accoppiate, cioè le macchine da treni merci. Questa differenza è inerente alla stessa costituzione della macchina. Una locomotiva da treni merci, dovendo esercitare un grande sforzo con una piccola velocità, consuma il suo vapore in un numero limitato di poderose cilindrate, impiegando cioè molto vapore ad ogni spostamento di cilindro, mentre le locomotive dei treni viaggiatori, per le quali interessa raggiungere piuttosto una grande velocità che un grande sforzo, lavorano con un gran numero di piccole cilindrate. Dato poi che non si possa, per varie ragioni, oltrepassare un certo numero di giri, la velocità di corsa, a pari numero di giri, risulterà tanto maggiore quanto più grande è il diametro delle ruote.

Notevole è che tal requisito riproduca una disposizione comune nel regno animale. I cavalli da corsa hanno i garretti lunghi e sottili, i cavalli da lavoro li hanno, invece, tozzi e robusti: la gazzella dalle lunghe zampe è fatta per la corsa, il bue dal dorso [p. 38 modifica]robusto e dall’andatura lenta per l’aspro sforzo dell’aratro.

Riassumendo, distingueremo una locomotiva di treno merci da una locomotiva di treno viaggiatori dall’altezza delle ruote e dal numero delle ruote accoppiate. Le macchine da merci hanno ruote basse e quasi tutte fra di loro accoppiate, le macchine da viaggiatori hanno ruote alte e l’accoppiamento è limitato a quattro o sei ruote soltanto. Le ruote che restano libere sono, come abbiam detto, spostabili. Spesso le quattro ruote anteriori sono riunite insieme a formare un carrello girevole intorno ad un perno centrale, che assomiglia molto allo sterzo dei veicoli comuni. Questo carrello è posto sempre sul davanti, per modo che serva quasi a guidare la locomotiva nelle curve; talvolta però per le locomotive molto grandi si hanno due carrelli, uno anteriore e l’altro posteriore, frammezzo ai quali restano le ruote accoppiate.

Delle particolarità innanzi spiegate si approfitta per classificare le locomotive. Ricorrendo, infatti, a tre cifre, di cui la prima rappresenti il numero delle ruote costituenti il carrello anteriore, la seconda le ruote accoppiate e la terza le ruote portanti posteriori, si ha un’idea della grandezza e della destinazione della macchina. Così, se io scrivo che una macchina è del tipo 4-6-2 intendo dire che essa ha un carrello anteriore di quattro ruote, sei ruote accoppiate e due ruote posteriori portanti, macchina che sarà di grande potenza, perchè ha in tutto 12 ruote e sarà destinata al servizio viaggiatori, perchè ha sei sole ruote accoppiate. Se invece scrivo che una macchina è del tipo 0-10-0 voglio intendere che si tratta di una locomotiva avente dieci ruote tutte accoppiate, la quale non potrà essere che una macchina da treni merci.

La locomotiva è sempre accompagnata dal suo tender, il quale non è che un carro di forma speciale, destinato a contenere l’acqua e il carbone per [p. 39 modifica]l’alimentazione della locomotiva durante la marcia. Qualche volta la locomotiva è costruita in modo da poter trasportare su sè stessa l’acqua e il carbone occorrenti: in tal caso si ha una locomotiva-tender, come son tutte quelle destinate ai servizi di manovra nelle stazioni o all’esercizio di linee secondarie e delle tramvie.


La locomotiva moderna. — Le locomotive che oggidì s’impiegano sulle strade ferrate non differiscono nella sostanza — lo abbiamo già detto — dalla macchina costruita da Stephenson nel 1829. Se però la disposizione fondamentale della macchina è la stessa, la mole e quindi la potenza della locomotiva è diventata assai maggiore. Il traffico ferroviario, straordinariamente cresciuto per effetto delle stesse trasformazioni da esso indotte nei rapporti commerciali, esige mezzi sempre più potenti, i quali permettano di raggiungere velocità elevate, il completo sfruttamento delle strade ferrate e minor costo dei trasporti.

Era poi naturale che la locomotiva ricevesse tutti quei perfezionamenti che sono stati introdotti nelle altre macchine a vapore per aumentarne, come si dice, il rendimento, e cioè per ottenere la stessa forza con minor consumo di combustibile.

Come nelle macchine fisse, così nelle locomotive è stata introdotta la doppia espansione, la quale consiste nel far lavorare il vapore successivamente in due diversi cilindri, in maniera che la forza ne possa essere meglio utilizzata, riuscendo allora possibile di impiegare, all’entrata nel primo cilindro, vapore a pressione molto alta e farlo uscire dal secondo cilindro a pressione molto bassa, cosa che non si potrebbe fare con un cilindro solo, giacchè le pareti di questo sarebbero esposte a sbalzi grandissimi di temperatura, che darebbero luogo a trasformazioni del vapore in acqua e, quindi, a perdite di energia.

Altro perfezionamento introdotto di recente nella [p. 40 modifica]locomotiva consiste nell’impiego del vapore surriscaldato. Si sa che il vapore prodotto a contatto dell’acqua ha una temperatura corrispondente alla sua pressione, sicchè quante volte la temperatura si abbassa anche la pressione diminuisce ed una parte del vapore si ritrasforma in acqua. Quando invece il vapore viene surriscaldato, cioè riscaldato fuori del contatto dell’acqua, assume una temperatura superiore a quella corrispondente alla sua pressione e può, quindi, cedere calore senza condensarsi. Il risultato finale è che il consumo di vapore, a parità di forza prodotta, risulta minore e la macchina diventa più economica.

Ma il fatto più saliente nella evoluzione della locomotiva è sempre l’ingrandimento della sua mole, che si è accresciuta enormemente, specialmente negli ultimi anni. Per un certo tempo i costruttori non riuscirono a fare grandi caldaie perchè temevano che, portando il corpo cilindrico molto in alto, la macchina sarebbe andata incontro a pericolo di rovesciamento. Poi si comprese che tale pericolo è assai lontano non solo, ma il tener alto il centro di gravità può a certi scopi riuscir vantaggioso, e allora si fecero le enormi caldaie di cui son dotate le locomotive moderne. Naturalmente con grandi caldaie occorrono anche grandi focolari, che non potrebbero trovar posto sulle alte ruote delle macchine da viaggiatori. E’ questa la ragione per la quale le macchine celeri sono spesso dotate di due ruote portanti posteriori che, essendo assai più basse delle ruote motrici, lasciano libero il posto allo sviluppo del focolare.

È in America specialmente, dove l’esercizio ferroviario è indotto dalla concorrenza fra le varie linee a ridurre al minimo il costo dei trasporti, che si fanno le più grandi locomotive, raggiungendo dimensioni inconcepibili per noi europei.

A titolo di curiosità citeremo le dimensioni di una locomotiva costruita da una Società ferroviaria [p. 41 modifica]americana e che è indicata come la più grande locomotiva del mondo. Si tratta di una macchina doppia, cioè composta di due differenti meccanismi, ognuno a dodici ruote, con un’unica caldaia di tipo flessibile, cioè con una parte fatta a soffietto, in modo da potersi leggermente inflettere nelle curve. Mentre la più grande delle locomotive europee non pesa più di 100 tonnellate, la locomotiva americana di cui parliamo ne pesa 227 e potrebbe rimorchiare in piano un treno di 10.000 tonnellate. Il tender pesa da solo 113 tonnellate e può portare 45.000 litri d’acqua e 15.000 litri di petrolio, combustibile sostituito al carbone, perchè questo non si presterebbe per l’alimentazione rapida di una macchina così potente.