Le Laude (1915)/XCI. Come l'anima per santa nichilità e carità perviene a stato incognito ed indicibile

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XCI. Come l'anima per santa nichilità e carità perviene a stato incognito ed indicibile

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XCI. Come l'anima per santa nichilità e carità perviene a stato incognito ed indicibile
XC. Como l'anima se lamenta con Dio de la carità superardente in lei infusa XCII. Como per la ferma fede e speranza de perviene a triplice stato de nichilità

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XCI

Come l’anima per santa nichilitá e caritá
perviene a stato incognito ed indicibile

     Sopr’onne lengua amore, — bontá senza figura,
lume fuor de mesura — resplende nel mio core.
     Averte conosciuto — credea per entelletto,
gustato per affetto — viso per simiglianza.
Te credendo tenuto — averte sí perfetto
provat’ho quel diletto, — amor d’esmesuranza.
Or, parme, fo fallanza, — non se’ quel che credea,
tenendo non avea — vertá senza errore.
     O infigurabil luce, — chi te può figurare,
ché volesti abitare — en la scura tenebría?
Tuo lume non conduce — chi te veder gli pare
potere mesurare — de te quel che sia.
Notte veggio ch’è dia, — virtute non se trova,
non sa de te dar prova — chi vede quel splendore.
     Virtute perde l’atto — da poi che giogne a porto,
e tutto vede torto — quel che dritto pensava.
Trova novo baratto — dove lume è aramorto,
novo stato gli è porto — de quel non procacciava;
e quel che non amava — e tutto ha perduto
quel ch’avea posseduto — per caro suo valore.
     Se l’atto de la mente — è tutto consopito,
en Dio stando rapito, — ch’en sé non se retrova,
de sé reman perdente — posto nello ’nfinito,
ammira co c’è gito, — non sa como se mova.
Tutto sí se renova, — tratto fuor de suo stato,
en quello smesurato — dove s’anega l’amore.

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     En mezo de sto mare — essendo sí abissato,
giá non ce trova lato — onde ne possa uscire.
De sé non può pensare — né dir como è formato,
però che, trasformato, — altro sí ha vestire.
Tutto lo suo sentire — en ben sí va notando,
belleza contemplando — la qual non ha colore.
     De tutto prende sorte, — tanto ha per unione
de trasformazione, — che dice: — Tutto è mio. —
Aperte son le porte — fatta ha coniunzione,
ed è en possessione — de tutto quel de Dio.
Sente que non sentío, — que non cognove vede,
possede que non crede, — gusta senza sapere.
     Però c’ha sé perduto — tutto senza misura,
possede quel’altura — de summa smesuranza.
Perché non ha tenuto — en sé altra mistura,
quel ben senza figura — receve en abondanza.
Questa è tal trasformanza, — perdendo e possedendo,
giá non andar chirendo — trovarne parladore.
     Perder sempre e tenere, — amare e delettare,
mirare e contemplare, — questo reman en atto.
Per certo possedere — ed en quel ben notare,
en esso reposare — ove se vede tratto.
Questo è un tal baratto, — atto de caritate,
lume de veritate — che remane en vigore.
     Altro atto non ci ha loco, — lá su giá non s’apressa,
quel ch’era sí se cessa — en mente che cercava.
Calor, amor de fuoco, — né pena non c’è admessa,
tal luce non è essa — qual prima se pensava.
Quel con que procacciava — bisogno è che lo lassi,
a cose nòve passi — sopr’onne suo sentore.
     Luce gli pare oscura — qual prima resplendea,
que virtute credea, — retrova gran defetto.
Giá non può dar figura — como emprima facea,
quando parlar solea — cercar per entelletto.
En quello ben perfetto — non c’è tal simiglianza,
qual prese per certanza — e non è possessore.

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     Emprima che sie gionto — pensa che è tenebría,
que pensi che sia dia, — que luce oscuritate.
Se non èi en questo ponto — che niente en te non sia,
tutto sí è falsía, — que te par veritate.
E non è caritate — en te ancora pura,
mentre de te hai cura, — pènsete far vittore.
     Se vai figurando — imagine per vedere
e per sapor sapere — que è lo smesurato,
credi poter cercando — en finito potere,
sí come è possedere, — molto parmi engannato.
Non è que hai pensato, — que credi per certanza,
giá non se’ simiglianza — de lui senza fallore.
     Donqua te lassa trare — quando esso te toccasse,
se forsa te menasse — a veder sua veritate.
E de te non pensare, — non vai che procacciassi
che lui tu retrovassi — con tua vanitate.
Ama tranquillitate — sopra atto e sentimento,
retrova en perdimento — de te el suo valore.
     En quello che gli piace — te ponere, te piaccia,
perché non vai procaccia — quando te afforzassi.
En te sí aggi pace, — abraccial se t’abraccia,
se nol fa, ben te piaccia, — guarda non te curassi.
Se como déi amassi, — sempre seríe contento,
portando tal talento — luce senza timore.
     Sai che non puoi avere — se non quello che vol dare,
e quando nol vol fare, — giá non hai signoria.
Né non puoi possedere — quel c’hai per afforzare,
se nol vuol conservare — sua dolce cortesia.
Perché tutta tua via — sí fuor de te è posta,
ch’en te non è reposta, — ma tutta è nel Signore.
     Donqua se l’hai trovato, — cognosci en veritate
che non hai potestate — alcun ben envenire.
Lo ben che t’è donato — fal quella caritate
che per tua primitate — non se può prevenire.
Tutto lo tuo desire — donqua sia collocato
en quello smesurato — d’ogne ben donatore.

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     De te giá non volere — se none que vuol esso,
perdere tutto te stesso — en esso trasformato.
En tutti i suoi piaceri — sempre te trova messo,
vestito sempre d’esso, — de te tutto privato.
Però che questo stato — onne virtute passa,
ché te Cristo non lassa — cader mai en fetore.
     Da poi che tu non ami — te, ma quella bontate,
cerca per veritate — ch’una cosa se’ fatto.
Bisogno è che te reami — sí con sua cantate,
en tanta unitate — en esso tu sie attratto.
Questo sí è baratto — de tanta unione,
nulla divisione — pò far doi d’un core.
     Se tutto gli t’èi dato — de te non servando,
non te, ma lui amando — giá non te può lassare.
Quel ben che t’è donato, — en sé te commutando,
lasserá sé lassando — en colpa te cascare.
Donqua co sé lassare — giá non può quella luce,
síi te, lo qual conduce — per sí unito amore.
     O alta veritate — cui è la signoria,
tu se’ termine e via — a chi t’ha ben trovato.
Dolce tranquillitate — de tanta magioria,
cosa nulla che sia — può variar tuo stato;
però che è collocato — en luce de fermeza,
passando per laideza — non perde el suo candore.
     Monda sempre permane — mente che te possede,
per colpa non se lede, — ché non se può salire.
En tanta alteza stane — ed en pace resede,
mondo con vizio vede — sotto sé tutto gire.
Virtute non ha sentire, — né caritá fervente,
de stato sí possente — giá non possedè onore.
     La guerra è terminata, — de le virtú battaglia,
de la mente travaglia, — cosa nulla contende.
La mente è renovata, — vestita a tal entaglia,
de tal ferro è la maglia, — feruta no l’offende.
Al lume sempre intende — nulla vuol piú figura,
però che questa altura — non chiede lume de fuore.

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     Sopra lo fermamento — lo qual si è stellato
d’ogne virtute ornato — e sopre al cristallino
ha fatto salimento, — puritate ha passato,
terzo ciel ha trovato, — ardor de serafino.
Lume tanto divino — non se può maculare
né per colpa abassare — né en sé sentir fetore.
     Onne fede sí cessa, — ché gli è dato vedere
speranza, per tenere — colui che procacciava.
Desiderio non s’apressa — né forza de volere,
temor de permanere — ha piú che non amava.
Veder ciò che pensava — tutto era cechitate,
fame de tempestate, — simiglianza d’errore.
     En quello cielo empiro — sí alto è quel che trova,
che non ne può dar prova — né con lengua narrare.
E molto piú m’amiro — como sí se renova
en fermeza sí nova, — che non può figurare.
E giá non può errare, — cadere en tenebría,
la notte è fatta día, — defetto grande amore.
     Como aere dá luce, — se esso lume è fatto,
como cera desfatto — a gran foco mostrata,
en tanto sí reluce — ad quello lume tratto,
tutto perde suo atto, — volontate è passata.
La forma che gli è data — tanto sí l’ha absorto,
che vive stando morto, — è vinto ed è vittore.
     Non gir chirendo en mare — vino se ’l ce mettessi,
che trovar lo potessi — che ’l mar l’ha recevuto;
e che ’l possi preservare — e pensar che restesse
ed en sé remanesse — par che non fosse suto.
L’amor sí l’ha bevuto, — la veritá mutato,
lo suo è barattato, — de sé non ha vigore.
     Volendo giá non vole, — ché non ha suo volere,
e giá non può volere — se non questa belleza.
Non demanda co suole, — non vuole possedere,
ha sí dolce tenere, — nulla c’è sua forteza.
Questa sí somma alteza — en nichilo è fondata,
nichilata, formata, — messa nello Signore.

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     Alta nichilitate, — tuo atto è tanto forte,
che apre tutte le porte, — entra nello ’nfinito.
Tua è la veritate — e nulla teme morte,
dirize cose torte, — oscuro fai chiarito.
Tanto fai core unita — en divina amistanza,
non c’è dissimiglianza — de contradir chi ha amore.
     Tanta è tua sutiglieza, — che onne cosa si passi,
e sotto te sí lassi — defetto remanere.
Con tanta legereza — a la veritate passi,
che giá non te rabassi — po’ te colpa vedere.
Sempre tu fai gaudere, — tanto se’ concordata,
e, veritá portata, — nullo senti dolore.
     Piacere e dispiacere — fuor da te l’hai gettato,
en Dio se’ collocato — piacer ciò che gli piace.
Volere e non volere — en te si è anegato,
desiderio remortato, — però hai sempre pace.
Questa è tal fornace — che purga e non incende,
a la qual non se defende — né freddo né calore.
     Merito non procacci, — ma merito sempre trovi,
lume con doni nuovi — gli quali non ademandi.
Se prendi, tanto abracci — che non te ne removi
e gioie sempre trovi — ove tutta despandi.
Tu curri, se non andi, — sali, co piú descendi,
quanto piú dái, sí prendi, — possedi el Creatore.
     Possedi posseduta, — en tanta unione
non c’è divisione — che te da lui retragga.
Tu bevi e se’ bevuta — en trasformazione,
da tal perfezione — non è chi te distragga,
onde sua man contragga, — non volendo piú dare,
giá non si può trovare, — tu se’ donna e signore.
     Tu hai passata morte, — se’ posta en vera vita,
né non temi ferita — né cosa che t’offenda.
Nulla cosa t’è forte,— da te po’ t’èi partita,
en Dio stai enfinita, — non è chi te contenda.
Giá non è chi t’entenda, — veggia co se’ formata,
se non chi t’ha levata — ed è de te fattore.

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     Tua profonda basseza — sí alto è sublimata,
en sedia collocata — con Dio sempre regnare.
En quella somma alteza — en tanto se’ abissata,
che giá non è trovata — ed en sé non appare.
E questo è tal montare — onde scendi, e salire,
chi non l’ha per sentire, — giá non è entendetore.
     Riccheza che possedi — quando hai tutto perduto,
giá non fo mai veduto — questo simel baratto.
O luce che concedi — defetto essere aiuto,
avendo posseduto — virtú fuor de suo atto,
questo è novel contratto — ove vita s’enferma,
enfermando se ferma, — cade e cresce en vigore.
     Defetti fai profetti, — tal luce teco porti,
e tutto sí aramorti — ciò che puoi contradire.
Tuoi beni son perfetti — tutti altri sí son torti,
per te sí vivon morti, — gl’infermi fai guarire.
Perché sai envenire — nel tosco medicina,
fermeza en gran ruina — en tenebre splendore.
     Te posso dir giardino — d’ogne fiore adornato,
dove sí sta piantato — l’arbore de la vita.
Tu se’ lume divino, — da tenebre purgato,
ben tanto confermato — che non pati ferita.
E, perché se’ unita — tutta con veritate,
nulla varietate — ti muta per timore.
     Mai trasformazione — perfetta non può fare
né senza te regnare — amor, quanto sia forte.
Ad sua possessione — non può virtú menare
né mente contemplare, — se de te non ha sorte.
Mai non si serran porte — a la tua signoría,
grande è tua baronia, — star co l’emperadore.
     De Cristo fusti donna — e de tutti gli santi,
regnar con doni tanti — con luce tutta pura.
Però pregam Madonna — ched essa sí n’amanti,
davanti a lei far canti, — amar senza fallura.
Veder senza figura — la somma veritate
con la nichilitate — del nostro pover core.