Le Laude (1915)/XLIII. De la misericordia e iustizia e como fu l'omo reparato

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XLIII. De la misericordia e iustizia e como fu l'omo reparato

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XLIII. De la misericordia e iustizia e como fu l'omo reparato
XLII. Como l'anima priega li angeli che l'insegnino ad trovar Iesù Cristo XLIV. De le petizione che sono nel paternostro

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XLIII

De la misericordia e iustizia
e como fu l’omo reparato: e parlano diversi.

     L’omo fo creato virtuoso,
volsela sprezar per sua follía:
lo cademento fo pericoloso,
la luce fo tornata en tenebría;
lo resalire posto è faticoso;
a chi nol vede parglie gran follía,
a chi lo passa pargli glorioso,
paradiso sente en questa via.
     L’omo quando en prima si peccao,
deguastao l’ordene de l’amore;
ne l’amor proprio tanto s’abracciao,
che ’nantepuse sé al Creatore;
la Iustizia tanto s’endegnao,
che lo spogliao de tutto suo onore;
omne virtute sí l’abandonao,
al demone fo dato el possessore.
     La Misericordia, vedente
che l'omo misero era sí caduto,
de lo cademento era dolente,
ché con tutta sua gente era perduto;
gli suoi figliuoli aduna mantenente,
ed ha deliberato de l’aiuto;
mandagli messaggio de sua gente
ca l'omo misero sia subvenuto.
     La Misericordia sí ha mandata
de la sua gente fedel messagiera
che vada ad omo en quella contrada
che de lo desperare ferito era;

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madonna Penetenza c’è trovata,
de tutta la sua gente fatt’ha schiera;
e descurrendo porta l’ambasciata
che l’omo non perisca en tal mainera.
     La Penetenza manda lo corrère
che l’albergo li deia apparecchiare;
la Contrizione è messagiere
e seco porta cose da spensare;
venendo a l’omo, miselse a vedere
e giá non c’era loco da posare;
tre suoi figliuoli sí fece venère
e misegli ne l’omo al cor purgare.
     En prima sí ha messo lo Timore
che tutto ’l core si ha conturbato;
la falsa Securtá reietta fore
che l’omo avea preso ed engannato;
poi mise Conoscenza de pudore
vedendose sí sozo e deformato;
e nella fin glie die’ gran Dolore
che Dio aveva offeso per peccato.
     Vedendo l’omo sé cusí sozato,
comenza malamente a suspirare;
la Compunzione gli fo a lato,
gli occhi giá non cessano de plorare;
la Penitenza col suo comitato
entra nel cuore ad abitare;
la Confessione sí ha parlato,
ma en nulla guisa pò Dio satisfare.
     Ca l’om per sé avea fatto lo tomo,
per sé deveva far relevamento;
per nulla guisa non trovava el como,
venneglie de sé diffidamento;
l’angel non tenea d’aiutar l’omo
e non potea con tutto el suo convento;
Dio potea ben refar lo domo,
ma non era tenuto per stromento.

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     La Penetenza manda Orazione
che dica a corte quel che è scontrato,
com’ella sede un gran confusione,
ché del satisfar troppo è l‘om privato:
— Misericordia peto e non Ragione
ed io la voglio lei per advocato;
de lacrime gli faccio offerzione
del cor contrito e molto amaricato. —
     La Misericordia entra en corte
e la sua ragione sí ha allegato:
— Mesere, io me lamento de mia sorte,
ché la Iustizia sí me n’ha privato:
se l’om peccò e fece cose torte,
lo mio officio non c’è adoperato;
me co l’omo ha ferito a morte
de tutto mio onor sí m’ha spogliato. —
     Iustizia s’appresenta ’nante ’l Rege,
a la questione fa responsura:
— Mesere, a l’om fo posto la lege,
volsela sprezare per sua fallura;
la pena gli fo data e non se tege
secondo la offensanza la penura;
cerca lo iudicio e correge
se nulla cosa è fatta fuor mesura.
     — Meser, non me lamento del iudicio
ch’ello non sia fatto con ragione;
lamentome ch’io non ci agio officio,
staragioce per zifra a la magione;
so demorata teco ab initio
giamai non sentie confusione;
del mio dolor veder ne poi lo ’ndicio
quanto so amaricata ed ho cagione. —
     Lo Patre onnipotente en caritate
lo suo voler sí ha demostrato,
e lo tesauro de la largitate
a la Misericordia ha donato,

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che ella possa far la pietate
a l’omo per cui è stata advocato,
e la Iustizia segga cn ventate
con tutto lo suo officio ordenato.
     Lo Patre onnipotente, en chi è ’l potere,
al suo Figliolo fa dolce parlamento:
— O Figliol mio, sommo sapere,
en tene iace lo sutigliamento;
de raquistar l’omo è en piacere
a tutto quanto lo nostro convento:
tutta la corte farai resbaldire
se tu vorrai sonar quello stromento.
     — O dolce Patre mio de reverenza,
ne lo tuo petto sempre so morato,
e la virtute de la ubidenza
per mene si serà esercitato:
tròvemese albergo d’avegnenza
lá ’ve deggia essere albergato,
ed io faraggio questa convegnenza
de conservar ciascuna nel suo stato. —
     Dio per sua bontá sí ha formato
un corpo d’una giovene avenante;
e poi che ’l corpo fo organizato,
creocci l’alma en uno icto stante;
ed enestante l’ha santificato
da quello original peccato ch’ante
per lo primo omo era seminato
en tutte le progenie sue afrante.
     O terra senza tribulo né spina,
germinatrice de onne bon frutto;
de virtute e grazia sei pina,
poneste fine ne lo nostro lutto;
li qual per lo peccato eramo en pina
de Eva che mangiò lo veto frutto;
restauro de la nostra ruina,
Vergene Maria, beata en tutto!

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     Como lo Nemico invidioso
giva a l’omo primo per tentare,
e como scaltrito e vizioso
se fe’ a la moglier per engannare,
cusí lo Patre dolce pietoso
santo Gabriel volse mandare
a Vergene Maria che stava ascoso
per lo concepemento annunziare.
     — Ave piena di grazia en virtute,
enfra le femene tu se’ benedetta! —
Ella, pensando de queste salute,
de lo temore si fo conestretta.
— Non te temere, ca en te son compiute
omne profezia che de te è ditta;
conceperai e parerai l’aiute
de l’umana gente ch’è sconfitta.
     — Del modo te demando co serane
ch’io concepa essendo vergen pura.
— Lo Spirito santo sopra te verrane
e la virtú de Dio fará umbratura;
sempre vergene te conservatane
e vergen averai sua genitura;
ecco Elisabet concetto hane
essendo vechia e sterile natura.
     Nulla cosa è impossibile a Dio,
ciò che glie piace esso potè fare;
però consenti al consiglio sio,
e tu respondi e di’ ciò che te pare.
     — Ecco l’ancilla de lo Signor mio;
ciò che tu dici, en me deggia fare!
Ed enestante Cristo concepío
vergene stando senza dubitare.
     Como Adam en prima fo formato
d’entatta terra, dice la Scrittura,
cusí de vergen Cristo fosse nato
che per lui venía far la pagatura;

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nove mesi ce stette albergato,
nacque de verno e nella gran freddura,
nascendo en terra de suo parentato
né casa li prestâro né amantatura.
     Cetto encomenzâro la villania
e la impietate e l’offensanza;
de cielo en terra per l’omo venía
a patir pena per l’altrui offensanza:
longo tempo gridammo el Messia
che riguarisse la nostra malanza,
ed ecco, nudo iace nella via
e nul è che de lui aggia pietanza!
     Le Virtute ensieme congregate
a Dio sí fanno grande lamentanza:
— Meser, vedete la viduitate
ch’avén patuta per altrui offensanza;
ad alcuno sí ne desponsate
che deggia aver a noi pietanza,
che obprobrio ne tolla e vilitate
e rendane lo pregio e l’onoranza.
     — Figliuole mie, andate al mio diletto
ché a llui vi voglio desponsare;
entro le soi mano sí ve metto
che con lui deggiáti reposare;
onore e pregio senza alcun defetto
da tutta gente faròve mirare;
e voi el me renderite sí perfetto
che sopra il ciel lo farò esaltare. —
     Li Doni, odendo lo maritamento,
curreno con grande vivaceza:
— Meser, noi que facemo a sto convento?
staremo sempre mai en vedoveza;
quigno parrá de noi star en lamento
e tutta corte viver ’n alegreza?
se noi ce sonarim nostro stromento
tutta la corte terrimo en baldeza.

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     — O figlioli miei, sete adunati
per rendere a la mia corte onore;
or currete ensemora, abracciati
lo mio diletto figlio redentore,
e le Virtute sí me esercitati
en tutto compimento de valore,
sí che con loro beatificati
siate nella corte de l’Amore. —
     Le Beatitudine, questo odenno,
con gran vivaceza vengon a corte:
— Meser, le pelegrine a te venenno,
albergane ché simo de tua sorte;
peregrinato avemo state e verno
con molti amari dí e dure notte,
onom ne caccia e pargli far gran senno,
ché piú semo odiate che la morte.
     — Non si trovò nul omo ancora degno
d’albergare sí nobile tesaro;
albergove con Cristo e dolve ’n pegno
e voi l’averiti molto caro;
li frutti ve daragio poi nel regno,
possederete tutto el mio vestaro,
demostrariti Cristo como segno:
ecco lo mastro del nostro reparo. —
     Lo nostro dolcissimo Redentore
a la Iustizia per l’omo ha parlato:
— Que ademandi a l’om peccatore
che deggia fare per lo suo peccato?
recolta centro e suo pagatore
de tutto quello che t’era obligato;
aiutar lo voglio per amore
e de satisfare so apparecchiato.
     — Mesere, se ve piace de pagare
lo debito che per l’omo è contratto,
voi lo podete, se ve piace, fare,
ché sete Dio ed omo però fatto;

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comenzato avete a satisfare;
volentiere tieco faccio el patto,
ché tu solo sí me puoi placare
e sí con tieco faccio lo contratto.
     — O Misericordia, que ademanni
per l’omo per cui e’ stata avocata?
— Meser, che l’omo sia tratto de banni
che sbandito fo de sua contrata;
tribulata sí so stata molt’anni;
da poi che cadde, non fui consolata;
tutta la corte sí mo ci aremanni,
se consoli me en lui compassionata.
     Ché la sua infirmiate è tanta,
per nulla guisa se porria guarire;
se omne lor difetto non t’amanta,
de quil che fuoro e so e so a venire,
potere, senno e la voglia santa
de trasformare en omne suo devere,
consolarai poi me misera afranta
che tanto ho pianto con amar sospiri.
     — Sotilmente hai ademandato,
ciò che demandi io sí voglio fare;
de l’amore sí so enebriato,
che stolto me faragio reputare
a comparare sí vile mercato,
e cosí gran prezo volere dare,
che l’om conosca quanto l’aggio amato,
morir ne voglio per lo suo peccare.
     — Mesere, ecco l’omo si sozato
e de sí vilissima sozura,
s’egli en prima non fosse lavato,
non si porria soffrir la sua fetura;
or non se tarde ad esser medicato;
se tu nol fai, non è chi n’aggia cura;
da tutta gente si è desperato
e semivivo sta en gran frantura.

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     — Uno bagno molto prezioso
aggio ordenato, al mio parire;
che non sia l’omo tanto salavoso
che piú che neve nol faccia parire:
lo battesmo santo glorioso,
che d’omne male fa l’omo guarire;
chi se ne lava, serane avetoso,
se non recade per lo suo fallire. —
     Iustizia, odendo questo fatto:
— Mesere, io me voglio satisfare;
l’omo si fará meco el contratto
che servo se deggia confessare;
pensosse esser Dio rompendo ’l patto,
voglio che se deggia umiliare;
che fede me prometta e sirá atto
ad omnia ch’io voglio comandare.
     — Respondi, omo, e di’ ciò che te pare,
se voli fare la promissione.
— Meser, ed io prometto de servare,
renunzo al demone ed a sua magione;
fede te prometto conservare
en omne gente ed en omne stagione;
credo per fede poterme salvare
e senza fede aver dannazione.
     — Meser, ecco l’uomo baptizato.
èglie oporto forza con mastría,
che contra lo Nemico sia armato
che possa stare en sua cavallaría;
ché lo Nemico è tanto esercitato,
vencerallo per forza o per falsia;
se da te non fosse confirmato,
’nestante si pigliára mala via.
     — Mesere, quando l’om fece fallanza,
sí me ferio molto duramente;
stoltamente pose sua speranza
ch’io non faría vendetta, al suo parvente;

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voglio che conosca la fallanza,
e giammai non gli esca de mente,
segno porti en fronte en remembranza
quanto ’l peccato sí m’è dispiacente.
     — Meser, volontiere ne porto segno
ch’io so reformato a tua figura:
vedendome signato, lo Malegno
non ma’ potèra con sua fortura.
— Ed io nella tua fronte croce segno
de crismate salute a tua valura;
confortate, combatte ch’io do regno
a quel ch’en mia schiera ben adura. —
     La Misericordia è parlante:
— Meser, l’omo ha tanto degiunato,
che se de cibo non fusse sumante,
la debeleza l’ha giá consumato.
— Ed io li do lo mio corpo avenante,
el sangue ch’è uscito del mio lato,
pane e vino en sacramento stante
che da lo preite sará consecrato. —
     Iustizia ce pete la sua parte:
— ’Nante che l’omo se deggia cibare,
de caritate me fará le carte
ch’esso Dio sopr’omnia deggi amare,
el prossimo con Dio abbracciarne
e sempre omne suo ben desiderare.
— Meser, ed io prometto de ciò farte
ch’io ne so tenuto e deggiol fare. —
     La Misericordia non fina
ademandare la necessitate:
— Meser, se l’omo cadesse en ruina,
como faría de quell’infermitate?
— Ordenata gli ho la medicina:
la Penetenza, ch’è de tua amistate;
se mai lo repigliasse la malina,
recorra a lei: averá sanetate. —

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     Iustizia ce pete la sua sorte:
— Meser, io deggio stare a questa cura
l’omo me sosterrá fin a la morte
a patir pena ed omne ria sciagura.
— Meser, ed io prometto de star forte
ad omne pena non sia tanto dura;
s’io obedisco, oprirai le porte
del ciel qual perdei per mia fallura.
     — Meser, l’omo è vestito de cargne
e nella carne pate grand’arsura;
se la concupiscenzia lui affragne,
dáglie remedio nella sua affrantura.
— Mogli’e marito, ensemora compagne,
usaranno enseme con paura
che lor concupiscenzia non cagne
lo entelletto de la mente pura.
     — Meser, se ’l matrimonio se usa
con la temperanza che è virtute,
la sua alma non sirá confusa,
e camperá de molte rei cadute.
— Mesere, la mia carne è viziosa,
sforzarolla a tutte mie valute,
perché la sua amistate m’è dannosa
e molte gente son per lei perdute. —
     La Misericordia non posa
la necessitate ademandare:
— Meser, ordenate questa cosa
per chine sí se deggia dispensare^
— Autoritate sí do copiosa
ai preiti che lo deggian ministrare,
de benedire e consecrare osa
e de potere asciogliere e ligare. —
     Iustizia, odendo questa storia,
sí dice che nulla cosa vale
se de prudenza che virtute flòria
non è vestito lo sacerdotale,

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e d’essa sia adornata la memoria;
omo ch’è preite salga sette scale,
e sia spogliato d’omne mala scoria,
ch’a terra non deduca le sue ale.
     La Misericordia, vedendo
la battaglia dura del finire,
li tre nemici ensemor convenendo,
ciascuno sí la briga de ferire:
— Meser, dacce aiuto defendendo,
che l’omo se ne possa ben schirmire.
— Olio santo ne l’estremo ungendo
lo Nemico non lo porrá tenire. —
     Iustizia ce rieca una virtute
che molto bisogna a questo fatto,
la Fortetute contra rei ferute
sí ce speza e dice al gioco: «matto»;
le Sacramenta, ensemor convenute,
con le Virtute hanno fatto patto
de star ensieme e non sian devedute,
e la Iustitia si ne fa ’l contratto.
     Iustizia si ademanda l’atto
de la virtute en tutto suo piacere,
e la Misericordia tal fatto
per nulla guisa nol pò adempire;
ma se con li Doni pò fare patto,
ha deliberato de exercire;
ensemora domandan questo tratto
a Cristo che ce degia sovenire.
     Ad esercitare la caritate
lo don de sapienzia c’è dato,
e la speranza ch’è d’alta amistate,
lo don de lo ’ntelletto c’è donato;
la fede che gli cieli ha penetrate
lo don de lo conseglio c’è albergato;
li Doni e le Virtute congregate
ensemor hanno fatto parentato.

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     La Iustizia ad esercitare
lo don de la forteza sí li dona;
ma la Prudenza bella non ce pare,
se ’l don de la scienzia non sona;
la Temperanza non pò bene stare
se ’l don de pietate non gli è prona;
la Fortetute non pò ben andare
se ’l don de lo timore non la zona.
     De la Fede e de lo Conseglio
lo povero de spirito è nato;
Forteza e Timore fatt’hanno figlio,
beato mito en tutto desprezato;
Iustizia e Forteza, lor simiglio,
beato lutto hanno generato;
Prudenza e Senno hanno fatto piglio,
fame de iustizia han apportato.
     De la Temperanza e Pietate
la Misericordia ne è nata;
de lo ’ntelletto spene alta amistate
mundicia de core on generata;
de la Sapienzia e Caritate
la pace de core si è tranquillata;
or preghimo l’alta Trinitate
che ne perdoni le nostre peccata.