Le Mille ed una Notti/Storia del re Dadbin o della virtuosa Aroa

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Storia del re Dadbin o della virtuosa Aroa
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STORIA

DEL RE DADBIN O DELLA VIRTUOSA AROA.


«— Sire,» continuò il giovane intendente, «un re del Tarabestan1, di nome Dadbin, aveva due visiri, uno dei quali chiamano Zorghan l’altro Cardan. Zorghan aveva una figlia che passava non solo per la più bella ragazza del suo tempo, ma inoltre per la più saggia e virtuosa. Queste doti erano in lei sostenute da una grande pietà: praticava tutti gli esercizi di religione, osservava esattamente i digiuni, e faceva spesso le sue preci con fervore.

«Dadbin, avendo udito parlare della bellezza e della virtù di Aroa (tal era il nome di quella rara fanciulla), mandò a cercare il visir, suo padre, e gliela chiese in isposa. A quella domanda, il ministro si prosternò davanti al re, gli disse che sarebbe stato assai onorato di quella parentela, e lo pregò di permettergli soltanto di parlarne alla figlia. Il re vi acconsentì, a condizione che gli recasse subito la risposta.

«Aroa, saputo il pensiero del re, disse al visir: — Padre, io non ho alcuna inclinazione pel matrimonio; ma se volete darmi uno sposo, sceglietelo in un grado inferiore al vostro; essendo a me inferiore per nascita e ricchezze, avrà maggiori riguardi e non prenderà nessun’altra moglie. Un sovrano, invece, mi [p. 278 modifica] preferirebbe in breve una rivale; ed io sarei disprezzata e trattata come una schiava. —

«Quella risposta, riferita al re, non fece che aumentarne l’ardore e l’impazienza. — Assicurate vostra figlia,» disse a Zorghan, «che io l’amerò sempre. Del resto, la passione che m’ispira è tale, che, se voi non acconsentite ad accordarmela, adoprerò per ottenerla la forza e la violenza. —

«Zorghan partecipò alla figlia i sentimenti e le minacce del re. — Padre,» disse allora Aroa, «il re vuol farmi già sentire il suo potere e la sua tirannide; che cosa accadrà allorquando gli sarò sposa? Ditegli che sono legata da un voto religioso, e che non posso assolutamente maritarmi. —

«Dadbin, udendo quest’ultima risoluzione, diè libero sfogo alla sua collera, e minacciò di morte il visir se non gli accordava la mano della fanciulla.

«Zorghan, intimorito, vola subito a casa e scongiura la figlia ad acconsentire; ma vedendo di non poter vincere la di lei ripugnanza, cede alla tenerezza paterna, e risolve di fuggire con lei. Montano entrambi a cavallo, e, seguiti da alcuni schiavi, si dirigono insieme verso il deserto.

«Appena Dadbin fu avvertito della loro fuga, si mise ad inseguirli, accompagnato da numeroso stuolo di cavalieri. Zorghan e sua figlia sono raggiunti ed arrestati; il re si precipita con furore su Zorghan, gli spacca il cranio colla mazza d’armi, e lo stende morto a’ suoi piedi; poscia conduce Aroa nel suo palazzo, e la costringe ad accettare una mano ancor tinta nel sangue del genitore.

«Aroa, benchè disperata per la morte del padre, e sdegnata delle violenza usatale dal re, soffrì la sua disgrazia con pazienza e rassegnazione; raddoppiò di pietà, e passava gran parte del giorno e della notte pregando. [p. 279 modifica]

«Frattanto Dadbin fu costretto a fare un viaggio in una provincia dei suoi stati, ov’era necessaria la di lui presenza; prima di partire, chiamò a sè il visir Cardan, e lo incaricò di governare durante la sua assenza. — Ciò che sopra tutto ti raccomando,» gli disse poi, «è d’invigilare su Aroa: tu sai che per ottenerla fui costretto ad impiegare la forza; essa è quanto ho di più caro al mondo; abbi cura che quel tesoro non mi sfugga.» Cardan, lusingato dalla fiducia del re, l’assicurò che poteva contare sul proprio zelo e la sua vigilanza.

«Dopo la partenza di Dadbin, Cardan fu curioso di vedere la donna che gli era affidata; approfittò dell’autorità, che aveva su tutti quelli che circondavano la regina, e si nascose in un luogo favorevole al suo disegno. Rimase abbagliato dalla bellezza di Aroa, e se ne invaghì talmente, che ne smarrì il riposo e la ragione. Risoluto di farle conoscere i propri sentimenti, le scrisse una lettera del tenore seguente:

«Madama, l’amore che ho per voi concepito, mi consuma; io ne morrò, se non avete pietà dell’infelice Cardan.»

«La regina, sdegnata dell’insolenza di quel biglietto, glielo rimandò tosto con questa risposta:

«Il re vi ha onorato della sua fiducia: cercate di meritarla, e siate fedele come volete sembrarlo. Pensate anche a vostra moglie, e non tradite l’amore che le dovete. Se voi mi parlerete ancora in codesto modo, io svelerò la vostra infamia e vi smaschererò agli occhi del pubblico, aspettando che il re punisca la vostra perfidia.»

«Quella lettera fu un colpo di fulmine per Cardan; conobbe riescirgli impossibile, di sedurre la regina e temè ch’essa raccontasse al consorte quanto era avvenuto. — La regina può perdermi,» pensò egli, [p. 280 modifica] «bisogna ch’io la prevenga e cerchi il mezzo di perderla, onde impedire che il re ascolti ciò che essa potrebbe dirgli. —

«Presa tale risoluzione, si presentò al re appena fu di ritorno. Dadbin gli volse dapprima alcune domande sugli affari dello stato; Cardan lo soddisfece, indi aggiunse:

«— Voi vedete, o sire, che la tranquillità fu mantenuta, e resa esatta giustizia durante la vostra assenza. Un solo avvenimento potrà affliggervi, ed io non oso palesarvelo; ma temo altri non ve ne rendano avvertito, e mi rimproveriate così d’aver mancato alla fiducia che in me riponeste.

«— Parla liberamente,» disse il re; «conosco la tua affezione per me e l’amor tuo per la verità: non avrei in un altro la fede che in te ripongo.

«— Sire,» continuò Cardan, «quella sposa che voi amate tanto, che preferite a tutte le sue rivali, di cui ammirate la dolcezza, la modestia, la pietà, che digiuna e prega con tanta esattezza e fervore, ha dimostrato che tutto queste belle apparenze non sono che falsità ed ipocrisia, e nascondono un’anima vile e corrotta. — Come!» sclamò il re fremendo; «che vuoi dir tu?

«— Sire,» prosegui il perfido Cardan, «pochi giorni dopo la partenza di vostra maestà, una donna della regina venne a cercarmi segretamente, e m’introdusse in un gabinetto che metteva nelle stanze di Aroa. Io la vidi sdraiata su di un sofà vicino ad Abokhair, quel giovane schiavo che apparteneva al suo genitore, e che voi colmaste di benefizi; essi conversavano assieme famigliarmente, dimostrandosi a vicenda la più viva tenerezza.

«— Basta, basta,» interruppe Dadbin; «io t’incarico di far istrangolare Abokhair, ma voglio ordinare io stesso il giusto castigo della perfida. — [p. 281 modifica]

«Il re, di ritorno nel suo palazzo, mandò a cercare il capo degli eunuchi. — Va,» gli disse, «nell’appartamento della regina, e portami la sua testa. — Come! sire,» sclamò colui, mosso da compassione e trascinato da un moto involontario, «volete far perire Aroa? Ella è certo agli occhi vostri assai colpevole: ma non può forse esser vittima d’una calunnia? Invece di versare il suo sangue, fatela piuttosto trasportare in un deserto; se è rea, perirà; ma se è innocente, Dio le conserverà la vita. —

«Il re approvò il ragionamento del capo degli eunuchi, chiamò uno schiavo e gli ordinò di far montare tosto Aroa su di un camello, e condurla nel deserto. L’ordine fu eseguito ed Aroa fu abbandonata sola, senz’acqua, nè cibo, in mezzo ad una immensa solitudine.

«La misera, vedendosi in quella dolorosa posizione, non pensò che a prepararsi alla morte: salì sur una collinetta, eresse un altare, mettendo alcune pietre l’una sull’altra, e si mise a pregare, implorando la misericordia divina. Ella vide quasi subito avanzarsi verso di lei un uomo ignoto.

«Era uno degli schiavi del re Chosroe, incaricato di custodire i suoi camelli; vari di questi animali essendosi sbandati, il re lo aveva minacciato di morte se non li trovava: erasi inoltrato nel deserto per cercarli, e scorta da lungi una donna, fu curioso di vederla più da vicino. Si avvicinò adunque ad Aroa, ed aspettato che finisse la preghiera, la salutò urbanamente, e le chiese chi fosse e cosa facesse in quella solitudine. — Io sono,» rispose, «una serva del Signore, occupata unicamente a pregarlo e servirlo.—

«Il guardiano dei camelli, colpito dell’avvenenza della principessa, le propose di sposarla, promettendo usarle ogni riguardo e compiacenza. — Io non posso,» rispose la donna, «appartenere ad altri [p. 282 modifica] fuorchè a Dio; ma se volete aver pietà della mia situazione, e rendermi un servigio, conducetemi in un luogo che non sia intieramente privo d’acqua. —

«Lo schiavo fece salire Aroa sul camello, e la condusse ad un ruscello da lui notato nell’attraversare il deserto. Le espose quindi il travaglio in cui trovavasi egli stesso, e la pregò di far voti al cielo onde potesse ritrovare i camelli smarriti. La principessa glielo promise e tosto si pose a pregare. Lo schiavo andossene pieno d’ammirazione per tanta virtù e pietà, e ritrovò in breve le sue bestie.

«Tornato al palazzo di Chosroe, lo schiavo gli narrò la sua avventura, e gli vantò la beltà della giovane solitaria. Il re di Persia, curioso di vedere una persona sì straordinaria, uscì segretamente dal palazzo con pochi seguaci, e si fece condurre nel luogo ove dimorava Aroa. Fu sorpreso delle di lei attrattive, e trovò ch’erano molto superiori alla pittura fattagliene dallo schiavo. La salutò con rispetto, e le disse:

«— Io sono il re dei re, il grande Chosroe, e vengo ad offrirvi il cuore e la mano.

«— Come!» gli rispose Aroa; «potrebbe vostra maestà abbassare i suoi sguardi su di una infelice, separata dal resto del mondo?

«— Io vi ho veduta,» riprese Chosroe, «ed ormai non posso vivere senza di voi: se non acconsentite a diventare mia sposa, io fisserò la mia dimora in questo deserto e mi metterò sotto la vostra obbedienza, consacrandomi con voi al servizio dell’Altissimo. —

«Chosroe ordinò tosto di erigere due tende, l’una per lui, l’altra per Aroa, e ritiratosi nella propria, fece portare alla giovane solitaria il cibo di cui aveva bisogno.

«Aroa fu sensibile alla delicatezza di tale condotta, e sentì tutto il pregio dei sagrifizi che le [p. 283 modifica] faceva il re di Persia. Riflettè alla perdita che avrebbero fatto i sudditi, ed alla desolazione della di lui famiglia, e tentò distoglierlo dalla sua risoluzione, parlando allo schiavo, che le portò da mangiare, in questi termini:

«— Dite al re, da parte mia, che non deve abbandonare per me la cura de’ suoi stati, e sottrarsi alla tenerezza di chi lo circonda; ritorni nel suo palazzo vicino alle mogli ed ai figli. Quanto a me, nulla ormai più mi lega al mondo; il titolo di regina non potrebbe farmi cambiar di proposito, e debbo restare in questi luoghi sol per dedicarmi alla preghiera. —

«Adempiuta dallo schiavo la commissione ond’era incaricato, il re fece rispondere che nessuna considerazione poteva fargli mutar pensiero, e non potere far di meglio, se non rinunciare anch’egli al mondo. Aroa, vedendo l’irremovibile fermezza del re, non credette dover più a lungo resistere, ed adorò i disegni della Provvidenza, che vegliava su di lei per vendicarne l’innocenza e far trionfare la sua virtù.

«— L’interesse del vostro popolo,» disse a Chosroe, «m’impone il dovere di cedere ai vostri desiderii, io acconsento a diventar vostra sposa, a patto però che ordinerete al re Dadbin, vostro vassallo, di recarsi alla vostra corte col suo visir Cardan, ed il capo degli eunuchi. Il colloquio che voglio tener con essi alla vostra presenza, vi farà note cose che non dovete ignorare.» [p. 284 modifica]


NOTTE CDLIV


— «Chosroe non potè a meno di mostrarsi sorpreso di quella domanda; Aroa allora gli fece un racconto semplice e fedele di tutte le proprie disgrazie. Il re ne fu vivamente commosso, e le promise di vendicare la di lei innocenza e punire i delitti di Dadbin. Fece venire una magnifica lettiga, ed insieme avviaronsi verso la capitale. Aroa fu condotta in un sontuoso palazzo, e ricevette il titolo di regina.

«Poco dopo il suo arrivo, Chosroe mando ordine al re Dadbin di recarsi da lui, accompagnato dal visir Cardan e dal capo de’ suoi eunuchi. L’officiale incaricato di questa commissione era seguito da numeroso corpo di truppe, e doveva condur seco il vassallo. Questi fu costernato di un ordine onde non conosceva il motivo, ed il suo visir non era meno inquieto di lui. Furono costretti a mettersi tosto in viaggio, e colla maggior sollecitudine.

«Giunti alla corte del re di Persia, si fecero tosto entrare nella sala delle udienze; alcuni schiavi vi portarono un trono sul quale stava seduta Aroa, nascosta dalle cortine che lo circondavano, e lo deposero vicino a quello di Chosroe. Aroa allora schiuse il cortinaggio, e volgendosi a Cardan:

«— Sei tu, non posso dubitarne» gli disse, «che, abusando della credulità del mio sposo, mi facesti vergognosamente scacciare dal suo palazzo. La menzogna ormai è inutile; rendi omaggio alla verità, e dimmi qual motivo ti spinse a tramare la mia perdita. — [p. 285 modifica]

«Cardan, confuso, chinò gli occhi e rispose piangendo:

«— La regina fu sempre saggia e virtuosa; io solo sono il reo. Un amore colpevole ch’ella respinse con isdegno, ed il timore che il re ne fosse istruito, m’indussero a calunniarla. Il male ricade sempre su chi l’opra, e la mia condanna m’è già da gran tempo scolpita sulla fronte.

«— Come, sciagurato!» gridò Dadbin, percuotendosi il viso; «tu hai tradita la mia fiducia, facendomi sagrificare, colle tue infami imposture, una moglie ch’io tanto amava! Qual morte, quali tormenti non merita un simil delitto!

«— Cardan,» soggiunse tosto Chosroe, «non è qui il solo colpevole! tu stesso, Dadbin, meriti la morte per aver prestato fede alla calunnia, e punita la tua sposa con tanto precipizio. Se avesti esaminata e ricercata la verità, avresti scoperto facilmente la menzogna e distinto l’innocente dal reo. — «Chosroe, volgendosi poscia ad Aroa, soggiunse: — Siate qui giudice, principessa, e pronunciate la loro sentenza.

«— Sire,» rispose Aroa, «Dio stesso li ha giudicati: Chi dà ingiustamente la morte, sarà condannato a morte, e chi fa il bene, ne riceverà la ricompensa. Dadbin uccise ingiustamente d’un colpo di mazza d’arme un padre ch’io amava; il suo sangue grida vendetta, ed io debbo intendere la sua voce. Per gli artifizi del visir Cardan, fui abbandonata in mezzo ad un deserto: è giusto ch’esso provi la medesima sorte. Se è reo agli occhi di Dio, perirà di fame e di sete; se caso mai fosse innocente, sarà, come lo fui io stessa, preservato dalla morte. Quanto al capo degli eunuchi, egli si è mostrato sensibile e pietoso, consigliando al re di lasciarmi vivere: la sua condotta merita premio, e sarebbe da desiderarsi che i re non [p. 286 modifica] accordassero la loro fiducia se non ad uomini di tal carattere. —

«Chosroe fe’ tosto uccidere Dadbin con un colpo di mazza, ed ordinò di far salire Cardan su di un camello, e condurlo in mezzo al deserto. Fatto poi avvicinare il capo degli eunuchi, volle indossasse un abito d’onore, e gli diede un impiego distinto.

«È così, o gran re,» continuò il giovane intendente, «che chi fa il male ne è sempre punito; ma l’innocente non deve mai temere. Io non ho commesso alcun delitto; spero che Dio vi farà scoprire la verità e confonderà la malizia e la malvagità de’ miei nemici. —

«La storia dei re Dadbin e del suo visir Cardan aveva fatto qualche impressione su Azadbakht, il quale sentiva formarsi nell’animo dubbi e sospetti, e risolse di rimettere ancora all’indomani la punizione del colpevole.

«La saggia lentezza del re irritava sempre più contro il giovane i dieci visiri, i quali, sdegnati di non poter riuscire a disfarsi di lui, temevano che tal ritardo non divenisse loro funesto. All’indomani, tre di loro si presentarono al re, prosternaronsi a’ suoi piedi, e uno di essi prese la parola. — Sire, l’interesse dello stato, ed il nostro attaccamento alla vostra persona, ci obbligano a consigliarvi di non risparmiare più a lungo questo giovane schiavo. A qual prò, infatti, lasciarlo vivere ancora? Tutti si meravigliano come la sua audacia non sia già punita, ed ogni giorno girano nuove voci ingiuriose all’onore della maestà vostra. —

«Azadbakht, riconoscendo che i tre visiri avevano ragione, mandò a cercare il giovane intendente, e gli disse: — È inutile differir oltre la tua condanna; tutti vogliono la tua morte, e nessuno si presenta a difenderti. [p. 287 modifica]

«— Sire,» riprese il giovane senza spaventarsi, «non è dagli uomini ch’io aspetto soccorso, ma da Dio; s’egli stà con me, io non ho nulla a temere. Tutti quelli che ripongono in altri la loro speranza, provano la sorte sperimentata per molti anni dal re Bakhtzeman.

«— Questa storia dev’essere edificante,» disse Azadhakht; «io non posso tralasciare dall’udirla.



Note

  1. Provincia di Persia: l’antica Ircania