Le Mille ed una Notti/Storia narrata dal Sartore

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Storia narrata dal Sartore

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Storia raccontata dal Medico ebreo Storia del Barbiere
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STORIA

NARRATA DAL SARTORE.


«Sire, un borghese di questa città mi fece l’onore, due giorni or sono, d’invitarmi ad un banchetto che dava ier mattina a’ suoi amici: recatomi quindi da lui a buonissim’ora, vi trovai circa venti persone.

«Aspettavamo il padrone di casa, ch’era uscito per qualche suo affare; quando lo vedemmo giungere accompagnato da un giovane forastiero ben vestito, bello, ma zoppo. Alzatici tutti, per far onore al padrone, pregammo il giovane a sedere con noi sul sofà; e stava per farlo, allorchè, vedendo un barbiere ch’era in nostra compagnia, si ritrasse bruscamente indietro, e volle uscire. Il padrone di casa, sorpreso di quell’atto, lo fermò. — Dove andate?» gli disse. «Vi conduco meco per farmi l‘onore d’assistere ad una merenda che do a’ miei amici, e volete uscire appena entrato? — Signore,» rispose il giovane, «in nome di Dio, vi supplico a non trattenermi, e permettere che me ne vada. Non posso veder senza orrore quell’abbominevole barbiere; benchè nato in un paese, [p. 84 modifica]in cui tutti sono bianchi, egli non manca di somigliare ad un Etiope; ma ha l’anima ancor più nera ed orribile del volto.....»

Il giorno, che in quel punto comparve, impedì a Scheherazade di dir più oltre per quella notte; ma la seguente proseguì in tal grisa la sua narrazione:


NOTTE CLVIII


— «Estrema fu la nostra sorpresa a quelle parole,» continuò il sarto, «e cominciavamo a concepir cattiva opinione del barbiere, senza sapere se il giovane forastiero avesse ragione di parlarne a quel modo. Protestammo anzi di non voler soffrire alla nostra tavola un uomo, di cui facevasi sì orribile ritratto. Il padrone di casa pregò lo straniero a manifestarci il motivo che aveva di odiar il barbiere.

«— Signori,» disse allora, il giovane, «sappiate che quel maledetto barbiere è cagione ch’io sia zoppo, e che siami accaduta la più crudele vicenda che immaginar si possa; talchè feci voto d’abbandonare tutti i luoghi ove lo trovassi; non fermandomi neppur in una città ov’egli abitasse: uscito dunque da Bagdad, dove lo lasciai, intrapresi sì lungo viaggio per venir a stabilirmi in questa città, nel mezzo della Gran Tartaria, siccome in luogo nel quale lusingavami di non doverlo mai più vedere. Nonostante, contro ogni mia aspettativa, lo trovo qui: ciò mi costringe, o signori, a privarmi, mio malgrado, dell’onore di restare con voi. Voglio allontanarmi subito oggi dalla vostra città, ed andar a nascondermi, se posso, in luoghi ove costui non venga mai più ad offerirsi a’ miei sguardi. [p. 85 modifica]«Ciò detto, volle lasciarci; ma il padrone di casa lo trattenne di nuovo, supplicandolo a rimanere con noi e raccontarci la causa della sua avversione pel barbiere, il quale, in quel frattempo, teneva gli occhi bassi e stava in silenzio. Noi aggiungemmo le nostre preghiere a quelle dell’ospite, e finalmente il giovane, cedendo alle nostre istanze, sedè sul sofà; e volta la schiena al barbiere, per paura di vederlo, ci narrò di tal modo la sua storia:

«Mio padre occupava nella città di Bagdad un grado da poter aspirare alle prime cariche; ma egli preferì sempre una vita tranquilla a tutti gli onori che poteva meritare. Non ebbe fuor di me altra prole, e quando morì, io aveva già formato lo spirito, ed era in età di disporre della pingue sostanza ereditata. Nè la dissipai follemente; anzi ne feci tal uso che mi guadagnò la stima universale.

«Non aveva ancora provato alcuna passione, e lungi dall’esser sensibile all’amore, confesserò, forse a mia vergogna, ch’io evitava con cura qualunque commercio colle donne. Un giorno che mi trovava in istrada, vidi venire alla mia volta una turba di signore; per non incontrarle, entrai in un viottolo vicino, e sedetti sur una panca presso ad una porta. Stava rimpetto una finestra, sulla quale c‘era un vaso di bellissimi fiori, ed io vi teneva gli occhi fissi, quando la finestra si aprì, e vidi comparire una fanciulla, la cui bellezza mi abbagliò. Volse alla prima lo sguardo su di me, ed inaffiando il vaso con una mano più candida dell’alabastro, mi guardò con un sorriso che m’ispirò tanto amore per lei, quanta avversione aveva nutrito fin allora per tutte le donne. Adacquati i fiori e lanciatami un’altra occhiata piena di seduzione, la quale finì di trapassare il mio cuore, rinchiuse la finestra, e mi lasciò in un turbamento ed in un disordine inesprimibili. [p. 86 modifica]«Sarei rimasto a lungo colà, e il fracasso che udii nella via, non mi avesse fatto rientrare in me. Volsi la testa nell’alzarmi, e vidi ch’era il primo cadì della città, montato sur una mula, ed accompagnato da cinque o sei schiavi; smontò egli alla porta della casa di cui la giovane aveva aperta la finestra, vi entrò, e da ciò giudicai che fosse suo padre.

«Tornai a casa in una condizione ben diversa da quella, in cui mi trovava all’uscirne: agitato da una passione tanto più violenta; in quanto che non ne aveva mai provato gli spasimi, mi posi a letto con una gran febbre, che sparse la costernazione in tutta da casa. I miei parenti, che m’amavano, spaventati da una malattia così subitanea, accorsero in fretta e m’importunarono assai per saperne la cagione, che mi guardai bene dal manifestare; mai il mio silenzio cagionò loro maggior inquietudine; cui non poterono i medici dissipare, perchè nulla intendevano del mio malore, il quale, pei rimedi amministratimi, non fece che accrescere.

«Già cominciavano i miei parenti a disperare della mia vita; quando, informata della malattia, giunse una vecchia dama di loro conoscenza, la quale, esaminatomi con molta attenzione, conobbe, non so per qual caso, il motivo del mio male. Presili dunque in disparte, li pregò di lasciarla sola con me, facendo allontanare la servitù.

«Essendo tutti usciti dalla camera, sedè essa al capezzale del mio letto, e disse: — Figliuolo, voi vi ostinaste finora a nascondere la cagione del vostro male; ma io non ho bisogno che me la manifestiate: ho bastante esperienza per penetrare il segreto, e voi non me lo negherete quando vi avrò detto essere l’amore quello che vi tiene infermo: io posso guarirvi, purchè mi facciate conoscere chi è la fortunata che seppe ammollire un cuore insensibile come il vostro, poichè [p. 87 modifica]avete fama di non amare le donne, nè io fui l’ultima ad accorgermene; ma infine, quello che aveva preveduto accadde, ed io sono contentissima di trovar l’occasione di adoprare i miei talenti per trarvi d’imbarazzo...»

— Ma, sire,» disse, interrompendosi, la sultana, «veggo che è già giorno.» Schahriar si alzò subito; impazientissimo d’udire la continuazione d’una storia di cui sentito aveva con piacere il principio.


NOTTE CLIX


— Sire,» disse l’indomani Scheherazade, «il giovine zoppo, proseguendo la sua storia:

«Avendomi,» diss‘egli, «la vecchia dama parlato così, si fermò per udire la mia risposta ma quantunque avesse fatto in me molta impressione, non osai scoprirle il segreto del mio onore. Solamente mi volsi alla dama, e mandai, senza dir nulla, un profondo sospiro. — È forse la vergogna,» ripigliò essa, «che v’impedisce di parlare, o mancanza di fiducia in me? Dubitate forse dell’efetto della mia promessa? Potrei citarvi un’infinità di giovani di vostra conoscenza, che sono stati nel medesimo vostro caso, ed ai quali fui di sollievo. —

«Infine la buona donna; aggiunse tante altre cose, che ruppi il silenzio; le dichiarai il mio male, ed insegnatole il sito dove aveva veduto l’oggetto che n’era cagione; le spiegai tutte le circostanze della mia avventura. — Se riuscite,» le dissi, «a procurarmi il bene di vedere quell’amabile beltà, e parlarle della passione onde arde per lei, potete contare sulla mia riconoscenza. — Figliuolo,» rispose la [p. 88 modifica]vecchia dama, «conosco la persona della quale mi favellate; essa è, come ben vi apponeste, la figlia del primo cadì di questa città. Nè mi maraviglio che la amiate, essendo la più leggiadra e savia giovane di Bagdad, ma m’inquieta il saperla fierissima e di difficile accesso. Voi già sapete quanto i nostri legulei siano esatti a far osservare le dure leggi che impongono alle donne una ritenutezza sì incomoda: essi lo sono ancor più nel farle osservare nelle loro famiglie, ed il cadì che vedeste, è lui solo più rigido in questo di tutti gli altri insieme. Siccome non fanno che predicare alle figliuole esser grave delitto il mostrarsi agli uomini, nè sono desse per la maggior parte tanto prevenute, che non hanno occhi nelle strade se non per camminare, quando la necessità le costringe ad uscire. Non dico assolutamente che la figlia del primo cadì sia di questa indole, ma ciò non toglie che io non tema di trovare ostacoli da vincere tanto grandi da parte sua quanto da quella di suo padre. Piacesse a Dio che amaste qualche altra! Non avrei a superare le molte difficoltà che preveggo. Tuttavia mi adoprerò con tutto l’impegno, ma ci vorrà un po’ di tempo per riuscirvi. Intanto fatevi coraggio, ed abbiate fiducia in me. —

«La vecchia mi lasciò, e siccome io mi raffigurava al vivo tutti gli ostacoli dei quali mi aveva parlato, il timore ch’essa non riuscisse nella sua impresa accrebbe il mio male. Tornò il giorno dopo, ed io le lessi sul volto che nulla aveva di favorevole da annunziarmi. In fatti, mi disse: — Figliuolo, non mi sono ingannata; ho da vincere ben più che la vigilanza d’un padre: voi amate un oggetto insensibile, che si compiace a far languire d’amore per lei tutti coloro che vi si lasciano cogliere, nè vuol corrisponderli in niun modo. Mi ascoltò con piacere finchè le parlai del male che vi fa soffrire; ma [p. 89 modifica]appena ebbi aperta la bocca per indurla a permettervi di vederla e parlarle, mi disse, volgendomi uno sguardo terribile: — Siete ben ardita per farmi una simile proposta; vi proibisco di mai più comparir qui, se volete tenermi tali discorsi. —

«— Che ciò non vi affligga,» soggiunse la vecchia; «io non sono sì facile a stancare, e purchè non vi manchi la pazienza, spero di venir a capo del mio disegno. —

«Per abbreviare la narrazione,» disse il giovine, «vi dirò che questa buona mediatrice fece inutilmente vari tentativi in mio favore presso la fiera nimica del mio riposo, ed il dispiacere che ne risentii, peggiorò tanto il mio male, che i medici mi abbandonarono. Era dunque riguardato come uomo agli estremi, quando la vecchia venne a ridonarmi la vita.

«Perchè nessuno la udisse, mi mormorò all’orecchio: — Pensate al regalo che mi dovrete fare per la buona notizia che vi reco.» Produssero queste parole maraviglioso effetto; mi alzai a sedere sul letto, e le risposi con trasporto: — Il regalo non mancherà. Che cosa avete a dirmi? — Mio caro signore,» ripigliò colei, «voi non morrete, ed avrò in breve il piacere di vedervi tornato in perfetta salute, e contento di me. Ieri, lunedì, mi recai dalla dama che voi amate, e la trovai di buon umore; io presi sulle prime un’aria trista, misi profondi sospiri in copia, e lasciai cadere qualche lagrima. — Mia buona madre,» mi disse la fanciulla, «che cosa avete? Perchè sembrate tanto afflitta? — Aimè, mia cara ed onorevole signora,» le risposi, «vengo adesso dalla casa di quel giovine di cui vi parlava l’altro giorno; la è finita per lui: egli muore per amor vostro: è un gran peccato, ve lo assicuro, e c’è non poca crudeltà da parte vostra. — Non so,» replicò quella, «perchè vogliate ch’io sia la causa della di lui [p. 90 modifica]morte. Como posso io avervi contribuito? — Come!» ripigliai. «E che? Non vi diceva io ier l’altro che egli stava seduto davanti alla vostra finestra, quando l’apriste per inaffiare il vaso di fiori? Ei vide questo prodigio di bellezza, queste attrattive che il vostro specchio vi raffigurano ogni giorno; da quel momento, ei languisce, ed il suo male è di tanto accresciuto, da essere in fine ridotto alla compassionevole condizione cui ebbi l’onore di dirvi.»

Scheherazade cessò qui di parlare, vedendo comparire il giorno. La notte seguente proseguì in questi termini la cominciata storia del giovine zoppo di Bagdad:


NOTTE CLX


— Sire, la vecchia dama, continuando a riferire al giovine malato d’amore il colloquio avuto colla figlia del cadì:

«— Voi ben vi ricordate, o signora» soggiunse, «con qual rigore mi trattaste ultimamente, quando volli parlarvi della sua malattia, e proporvi il mezzo di liberarlo dal pericolo in cui versava: tornai da lui dopo avervi lasciata, e non appena conobb’egli, al vedermi, che non gli portava risposta favorevole, il suo male si aggravò. Da quel tempo, o signora, è al punto di morte, e non so se potreste salvargli la vita, quand’anche aveste di lui pietà.

«Ecco che cosa le dissi,» continuò la vecchia; «il timore della vostra morte la scosse, e la vidi cangiar di colore. — È mai possibile ciò che mi narrate?» chies’ella; «ed egli non è veramente malato se non per amor mio? — Ah! signora,» risposi, «pur [p. 91 modifica]troppo è vero. Piacesse a Dio che fosse falso! — E credete voi,» essa ripigliò, «che la speranza di vedermi e parlarmi possa contribuire a trarlo dal pericolo in cui si trova? — Forse sì,» le dissi; «e se me lo comandate proverò questo rimedio. — Or bene,» replicò sospirando; «fategli dunque sperare che mi vedrà; ma bisogna non si aspetti altri favori, a meno che non aspiri a sposarmi, e che mio padre acconsenta al nostro matrimonio. — Signora,» sclamai, «quanta è la vostra bontà! corro tosto da quel giovane, per annunziargli che avrà il piacere di parlarvi. — Non trovo più comodo di fargli questa grazia,» mi disse, «che venerdì prossimo, al tempo della preghiera del mezzogiorno. Ch’egli osservi quando mio padre sarà uscito per andarvi, e venga tosto a presentarsi davanti alla casa, se sta abbastanza bene per farlo. Lo vedrò arrivare dalla finestra, e scenderò ad aprirgli. Converseremo insieme durante il tempo della preghiera, e se ne andrà prima del ritorno del mio genitore.

«Siamo al martedi,» proseguì la vecchia; «potete fino a venerdì ristabilire le forze e disporvi al convegno.» Mano mano che la buona donna parlava, io sentiva diminuire il mio male, o piuttosto mi trovai guarito al finire del suo discorso. — Prendete;» le dissi, porgendole la borsa, ch’era piena, «a voi sola debbo la mia guarigione; credo questo danaro assai meglio impiegato di quello dato ai medici, i quali non fecero che tormentarmi per tutta la malattia. —

«Accommiatatasi la vecchia, mi sentii in forza bastante per alzarmi. I miei parenti, giubilanti al vedermi in sì buono stato, mi fecero mille complimenti, e se ne andarono.

«Giunse la vecchia il venerdì mattina, mentre io cominciava a vestirmi, e sceglieva l’abito più bello [p. 92 modifica]della mia guardaroba. — Non vi domando,» mi disse, «come stiate: l’occupazione in cui vi vegga, mi fa abbastanza conoscere cosa debbo pensarne; ma non prenderete un bagno prima di recarvi dal primo cadì? — Ci vorrebbe troppo tempo,» le risposi; «mi contenterò di mandar a chiamare un barbiere, e farmi radere i capelli e la barba.» Ordinai tosto ad uno schiavo di cercarmene qualcuno abile e spiccio nella sua professione.

«Lo schiavo mi condusse lo sciagurato barbiere che vedete, il quale, salutatomi mi disse: — Signore, mi sembra dalla vostra ciera che non vi sentiate bene.» Gli risposi ch’era convalescente. — Desidero,» ripigliò egli, «che Dio vi liberi da ogni sorta di mali, e che la sua grazia sempre vi accompagni. — Spero,» gli replicai, «ch’egli esaudirà questo mio voto, del quale vi sono molto grato. — Poichè siete ancor fresco di malattia,» soggiunse costui, «prego Dio che vi conservi in salute. Ditemi ora di che si tratta; ho portato rasoi e lancette: desiderate che vi rada o vi cavi sangue? — V’ho pur detto,» ripigliai, «che sono convalescente, e dovete ben comprendere che non vi feci chiamare per altro se non per radermi; sbrigatevi, e non perdiamo il tempo in vane ciance; ho premura, e sono aspettato a mezzodì preciso.»

Scheherazade a questo passo tacque a cagione del giorno che appariva. Alla domane ripigliò il racconto in cotal guisa:


NOTTE CLXI


— «Il barbiere,» disse il giovane zoppo di Bagdad, «mise molto tempo a spiegare la sua borsa, e [p. 93 modifica]preparare i rasoi; invece di mettere l’acqua nel catino, cavò dalla medesima borsa un astrolabio elegante, ed uscendo dalla camera, andò in mezzo al cortile, con passo grave, a prendere l’altezza del sole. Tornato colla medesima gravità, nel rientrare: — Non vi spiacerà, o signore,» mi disse, «di sapere che siamo oggi al venerdì decimottavo giorno della luna di Safer dell‘anno 653 (1) del passaggio del nostro gran profeta dalla Mecca a Medina, e dell’anno 7520 (2) dell’epoca del grande Iskender dalle due corna, e che la congiunzione di Marte e Mercurio significa che non potete scegliere miglior tempo di oggi, all’ora presente, per farvi radere. Ma d’altra parte, questa medesima congiunzione è di cattivo presagio per voi, essa m’insegna che correte in questo giorno grave pericolo, non già in vero da perderne la vita, ma d’una incomodità che vi durerà pel resto de’ vostri giorni. Dovete essermi grato dell’avviso che vi do di guardarvi da tale disgrazia; sarei dolente se vi accadesse. —

«Giudicate, o signori, del mio dispetto d’essere caduto in mane d’un barbiere sì ciarlone e stravagante! Qual dispiacevole contrattempo per un amante che preparavasi a recarsi ad un convegno! Ne fui irritato. — Poco mi cale,» gli dissi incollerito, «de’ vostri avvisi e delle vostre predizioni. Non vi chiamai per consultarvi sull’astrologia; siete venuto qui [p. 94 modifica]per radermi: laonde, radetemi, od andatevene con Dio, che farò, venire un altro barbiere. — Signore,» mi rispose con una flemma da farmi perdere la pazienza, «qual motivo avete d’adirarvi? Non sapete voi che tutti i barbieri non mi somigliano, e che non ne trovereste alcuno simile a me, quand’anche lo faceste fare a bella posta? Non avete domandato che un barbiere, ed avete nella mia persona il miglior barbiere di Bagdad, un medico esperimentato, un profondissimo chimico, un infallibile astrologo, un grammatico compito, un perfetto rettorico, un logico sottile, un matematico esperto nella geometria, nell’aritmetica, nell’astronomia, ed in tutti i raffinamenti dell’algebra, uno storico che conosce la storia di tutti i regni dell’universo. Oltracciò, posseggo tutte le parti della filosofia: ho in mente tutte le nostre leggi e tutte le nostre tradizioni. Sono poeta, architetto: ma che cosa non sono io mai? Nulla di nascosto v’ha per me nella natura. Il defunto, vostro signor padre, al quale verso un giusto tributo di lagrime, ogni qual volta penso a lui, era persuaso, del mio merito; egli mi amava, mi accarezzava e non cessava di citarmi, in tutte le compagnie in cui trovavasi, come il primo uomo del mondo. Voglio, per riconoscenza ed amicizia per lui, dedicarmi a voi, prendervi sotto la mia protezione, e guarentirvi da tutte le disgrazie, delle quali potessero gli astri minacciarvi. —

«A tal discorso, malgrado la mia collera, non potei trattenermi dal ridere. — Non avete ancor finito, ciarlone eterno,» gli dissi; «e quando comincerete a radermi?»

Qui Scheherazade, vedendo il giorno cessò dalla storia dello zoppo di Bagdad; ma la notte seguente ne ripigliò così la continuazione: [p. 95 modifica]

NOTTE CLXII


— Il giovane zoppo continuando la sua storia: «— Signore,» mi replicò il barbiere, «voi mi fate ingiuria chiamandomi ciarlone: tutti per lo contrario mi danno l’onorevol titolo di taciturno. Io aveva sei fratelli, che avreste potuto con ragione chiamar ciancioni; ed affinchè li conosciate, il primogenito si chiamava Bacbuc, il secondo Bakbarah, il terzo Bakhac, il quarto Alcuz, il quinto Alnaschar ed il sesto Schacabac. Erano veri parlatori importuni; ma io, che sono il minore, sono grave e conciso ne’ miei discorsi. —

«Di grazia, signori, mettetevi ne’ miei panni: qual partito poteva io prendere vedendomi sì crudelmente assassinato? — Dategli tre pezze d’oro,» dissi allo schiavo che faceva le spese di casa; «ch’ei se ne vada, e mi lasci in pace: non voglio farmi più radere quest’oggi. — Signore,» mi disse allora il barbiere, «che cosa intendete, di grazia, con questo discorso? Non fui io già che sia venuto a cercarvi, ma voi che mi avete fatto venir qui; e così essendo, giuro, in fede di musulmano che non uscirò di casa vostra se non v’abbia prima fatta la barba. Se voi non conoscete quanto valgo, non è mia colpa. Il defunto vostro signor padre mi rendeva più giustizia: tutte le volte che mandava a prendermi per cavargli sangue, mi costringeva a sedergli vicino, ed allora era un incanto ad udir le belle cose, con cui io sapeva divertirlo. Lo teneva in una continua ammirazione, lo rapiva, e quando aveva finito: «Ah!» sclamava egli; «voi siete una fonte inesauribile di scienza! Niuno si accosta alla profondità del nostro sapere. — Mio caro [p. 96 modifica]signore,» gli rispondeva io, «voi mi fate maggior onore che non merito. Se dico qualche cosa di bello ne son debitore alla favorevole bontà con cui mi prestate orecchio: sono le vostre liberalità, le quali m’inspirano tutti i pensieri sublimi, che hanno la fortuna di piacervi.» Un giorno che rimase stupito d’un discorso ammirabile fattogli da me: «Gli si diano,» disse, «cento pezze d‘oro, e lo si vesta d’uno de’ miei più ricchi abiti.» Ricevetti sul momento quel regalo: tosto presi il suo oroscopo, e lo trovai il più felice del mondo. Spinsi anzi ancor più avanti la mia gratitudine, poichè gli cavai sangue colle ventose. —

«Nè si fermò qui il barbiere, ma infilzò un altro discorso della durata d’una buona mezz’ora. Stanco di udirlo, e dolente al vedere che il tempo passava inutilmente, non sapeva più cosa dirgli. — No,» sclamai, «non possibile che siavi al mondo un altr’uomo che si faccia, come voi, un piacere di far arrabbiare la gente....»

L’aurora che cominciava a tingere de‘ vividi suoi colori l’appartamento di Schahriar, obbligò Scheherazade a fermarsi, e all’indomani narrò il seguito della sua storia in questa guisa:


NOTTE CLXIII


— «Stimai,» disse il giovane zoppo di Bagdad, «di riuscir meglio prendendo il barbiere colle buone. — In nome di Dio,» gli dissi, «lasciate là tutti i vostri bei discorsi, e spicciatemi presto per carità: un affare della massima importanza mi chiama fuor di casa, come già v’ho detto.» A tali parole, egli si mise a ridere. — Sarebbe lodevol cosa,» disse, «se il nostro spirito restasse sempre nella medesima [p. 97 modifica]situazione, se fossimo sempre saggi e prudenti: voglio nondimeno credere che se vi adirate con me, la sola malattia abbia prodotto tal cangiamento nel vostro umore; laonde avete bisogno di alcune istruzioni, e non potreste far meglio di seguire l’esempio del padre e dell’avo vostro: essi venivano a consultarmi in tutti i loro affari, e posso dire, senza vanità, che lodavansi assai de’ miei consigli. Sappiate, signore, che non si riesce quasi mai in quello che s’intraprende, se non prima si ricorre al parere di persone illuminate. Non si diventa abili, dice il proverbio, se da un abile uomo non si prende consiglio. Sono tutto per voi, e non avete che a comandarmi. — Non posso dunque ottenere,» lo interruppi, «che tralasciare tutti questi lunghi discorsi, i quali non giovano se non a rompermi la testa, ed impedir di trovarmi ove bisogna che vada? Or via, fatemi la barba, oppure andatevene.» Ciò dicendo, mi alzai pieno di stizza e battendo i piedi. Quando mi vide in vera collera: — Signore,» disse, «non v’inquietate; cominceremo subito.» In fatti mi lavò la testa e si mise a radermi; ma non m’ebbe dato quattro colpi di rasoio, che si fermò per dire: — Signore, siete troppo vivo; dovreste astenervi da questi trasporti, che non provengono se non dal demonio. Merito d’altronde qualche considerazione da parte vostra, per l’età e la scienza mia, e per le mie luminose virtù....» — Continuate a radermi,» lo interruppi io di nuovo, «e non parlate più. — Ciò vuol dire,» ripigliò, «che avete qualche urgente affare; scommetto che non m’inganno. — Orsù, sono due ore,» tornai a ripetergli, «che ve lo dico: dovreste avermi già raso. — Moderate il vostro ardore,» replicò quel seccatore; «non avete forse ben riflettuto a quanto andate a fare: allorchè si fanno le cose con precipitazione, quasi sempre si ha da pentirsene. Vorrei mi [p. 98 modifica]diceste qual sia codest’affare che tanto vi preme; ve ne darei il mio parere. Avete tempo fin che volete, non essendo voi aspettato se non a mezzogiorno, e da qui a mezzodì mancano ancor tre ore. — Io non bado a questo,» soggiunsi; «gli uomini d’onore e di parola prevengono il tempo stabilito; ma non m’avveggo che dando ascolto alle vostre ciance, cado nel difetto de’ barbieri ciarloni: orsù, finite di radermi. —

«Più io dimostrava premura, e meno egli ne metteva ad obbedirmi. Lasciò il rasoio per prendere l’astrolabio; poi, lasciando l’astrolabio, ripigliò il rasoio....»

Scheherazade, vedendo apparire il giorno, si tacque; e la notte seguente proseguì in tal modo il suo racconto:


NOTTE CLXIV


— «Il barbiere,» continuò lo zoppo, «depose di nuovo il rasoio, prese per la seconda volta l’astrolabio, e mi lasciò mezzo rasato per andar a vedere l’ora precisa; indi, tornando: — Signore,» mi disse, «sapeva ben io di non ingannarmi; mancano ancor tre ore al mezzogiorno, ne son certo, o tutte le regole dell’astronomia sono false. — Giusto cielo!» sclamai; «non ho più pazienza, più non posso frenarmi. Maledetto barbiere, barbiere del diavolo, poco manca che non ti pigli pel collo e non ti strangoli! — Adagio, signore, adagio,» diss’egli freddamente, senza commoversi al mio sdegno; «non temete di ricader malato! Non vi lasciate trasportare, sarete servito in un momento.» Sì dicendo, ripose nella borsa l’astrolabio, ripigliò il rasoio, ripassandolo sul [p. 99 modifica]cuoio che portava alla cintola, e continuò a radermi, ma nel farlo non potè trattenersi dal parlare. — Se voleste, o signore,» mi disse, «istruirmi sulla qualità dell’affare che avete per mezzodì, vi darei qualche consiglio, del quale ridondar vi potrebbe alcun utile.» Per contentarlo, risposi che i miei amici mi aspettavano a pranzo per istar meco allegri, festeggiando così la mia ricuperata salute.

«Quando il barbiere udì parlare di pranzo: — Dio vi benedica in questo giorno come in tutti gli altri!» sclamò. «Mi fate rammentare che ieri invitai quattro o cinque amici a venire a desinar oggi da me; me lo era dimenticato, e non ho fatto ancora alcun preparativo. — Ciò non v’imbarazzi,» gli dissi; «benchè io vada a pranzo fuor di casa, la mia dispensa non per questo è sempre ben guarnita; vi faccio dono di tutto quello che vi si troverà: vi farò anche dar vino quanto ne vorrete, avendone di ottimo in cantina; ma bisogna finir di radermi, e ricordatevi che, invece che mio padre vi dava regali per sentirvi parlare, io ve ne do per obbligarvi al silenzio. —

«Colui non si contentò della mia parola. — Dio vi ricompenserà,» gridò, «della grazia che mi fate; ma mostratemi subito queste provvigioni, affinchè vegga se ci sarà da trattar bene gli amici: voglio che siano contenti del trattamento che farò loro. — Ho,» risposi, «un agnello, sei capponi, una dozzina di polli, e di che fare quattro tramessi.» Ordinai ad uno schiavo di recare il tutto sul momento, con quattro bei fiaschi di vino. — Ottimamente,» riprese il barbiere; «ma mi occorrerebbero frutta e qualche condimento per la carne.» Gli feci ancor dare quanto domandava, ed egli cessò dal radermi per esaminare ad una ad una tutte quelle cose; e siccome tal esame durò quasi mezz’ora, io tempestava ed arrabbiava: [p. 100 modifica]ma aveva bel tempestare ed arrabbiarmi, quel birbone non si sollecitava punto nè poco. Ripigliato alla fine il rasoio, mi rase alcuni momenti; poi, fermandosi d’improvviso: — Non avrei mai creduto, signore,» mi disse, «che foste tanto liberale: comincio a conoscere che in voi rivive il fu vostro padre. Certo, io non meritava le grazie delle quali mi colmate, e vi assicuro che ne serberò eterna gratitudine. Poichè, o signore, dovete sapere, ch’io non ho nulla fuor di quello che mi viene dalla generosità di persone cortesi come voi, ed in ciò assomiglio a Zantut, che stropiccia la gente al bagno; a Saluz che vende fave; ad Akerscha che vende erbe; ad Abu-Mekares, che adacqua le vie per ismorzar la polvere; ed a Cassem, della guardia del califfo: tutti costoro non generano malinconia; non sono stizzosi, nè litiganti; più contenti della loro sorte che lo stesso califfo in mezzo a tutta la sua corte, sono sempre allegri, pronti a cantare e ballare, e ciascuno ha la sua canzone e la sua danza favorita, colla quale divertono tutta la città di Bagdad; ma quello che maggiormente io stimo in loro, è che non sono grandi parlatori, non più del vostro schiavo, il quale ha l’onore di favellarvi. Appunto, sentite, o signore: ecco la canzone e la danza di Zantut, che soffrega la gente al bagno; guardatemi, ed osservate se so imitarlo bene....»

Scheherazade cessò dal parlare, osservando essere già giorno. L’indomani proseguì la narrazione in questi termini:


NOTTE CLXV


— «Il barbiere cantò la canzone e ballò la danza di Zantut,» continuò il giovane zoppo; «e checchè [p. 101 modifica]potei dire per obbligarlo a finire le sue buffonerie, non cessò finchè non contraffece alla stessa guisa tutti coloro che aveva nominati. Poi, volgendosi a me: — Signore,» mi disse, «voglio far venire a casa mia tutte queste brave persone; se volete credermi, sarete de’ nostri, e lascerete stare i vostri amici, che sono forse eterni parlatori, i quali non faranno che stordirvi co’ loro noiosi discorsi, e farvi ricadere in una malattia peggiore di quella, da cui uscite; mentre a casa mia in vece vi divertirete assai. —

«Malgrado la mia collera, non potei trattenermi dal ridere delle sue follie. — Vorrei,» gli dissi, «non aver da fare, che accetterei la vostra proposta, venendo di buon cuore a star allegro con voi; ma vi prego dispensarmene: oggi sono occupato: un altro giorno sarò più libero, e faremo questa partita. Finite di radermi, e sollecitatevi ad andarvene; i vostri amici vi sono già forse a casa. — Signore,» ripigliò colui, «non mi negate la grazia che vi domando. Venite a rallegrarvi colla buona compagnia che debbo avere. Se vi foste trovato una volta con loro, ne sareste tanto contento, che per essi rinunziereste ai vostri amici. — Non ne parliamo altro,» risposi; «non posso intervenire al vostro banchetto. —

«Nulla guadagnai colla dolcezza. — Poichè non volete venire da me,» replicò il barbiere, «bisogna dunque vi contentiate ch’io venga con voi. Corro a portar a casa quanto mi avete regalato; i miei amici mangeranno, se così loro piacerà, ed io tornerò subito. Non voglio commettere l’inciviltà di lasciarvi andar solo; meritate bene ch’io abbia per voi questa contemplazione. — Cielo!» sclamai allora; «non potrò dunque liberarmi oggi da un uomo sì incomodo? In nome del gran Dio vivente,» gli dissi, « [p. 102 modifica]finite i vostri importuni discorsi! Andate a trovare gli amici: bevete, mangiate e lasciatemi libero di andare co’ miei. Voglio partir solo, non ho bisogno che alcuno mi accompagni. Anzi, devo dichiararvelo, il luogo ove vado non è tale che vi possiate essere ricevuto; io solo sono desiderato. — Voi scherzate,» ripigliò colui; «se i vostri amici vi hanno invitato ad un banchetto, qual ragione può impedirvi di permettere che vi accompagni? Farete loro piacere, ne son certo, conducendo seco voi un uomo, il quale al par di me ha barzellette pronte per far ridere, e che sa piacevolmente divertire la brigata. Checchè possiate dire, la cosa è risoluta; vi accompagnerò vostro malgrado. —

«Tali parole, o signori, mi misero in un grande imbarazzo. — Come farò a disfarmi di questo maledetto barbiere?» diceva fra me. «Se mi ostino a contraddire, non finiremo più la nostra contestazione.» D’altronde io sentiva che già si chiamava per la prima volta alla preghiera del mezzodì, e ch’era tempo di partire; m’appigliai dunque al partito di non dir nulla, fingendo di acconsentire che venisse con me. Allora finì di radermi; ciò fatto gli dissi: — Prendete qualcuno de’ miei servi per portare con voi queste provvisioni, e tornate, che vi aspetto; non partirò senza di voi. —

«Uscì finalmente, ed io terminai di vestirmi. Sentito chiamare alla preghiera per l’ultima volta, mi affrettai a mettermi in cammino; ma il malizioso barbiere, indovinando la mia intenzione, erasi contentato di andare co’ servi, senza perder di vista la mia casa, tanto da vederli entrare nella sua; poi si era nascosto in un angolo della via per osservarmi e seguirmi. In fatti, giunto alla porta del cadì, mi volsi, e con mortal dispiacere lo vidi all’ingresso della contrada. [p. 103 modifica]«La porta del cadì era semiaperta; ed entrando, vidi la vecchia dama che mi attendeva, la quale, rinchiusala, mi condusse alla camera della giovane, ond’era invaghito; ma cominciava appena a discorrere con lei, quando udimmo rumore in istrada. Si affacciò la giovane alla finestra, e vide traverso la gelosia essere il cadì suo padre che tornava dalla preghiera. Guardai anch’io nel medesimo tempo, ed osservai il barbiere seduto rimpetto, nel luogo medesimo dal quale io aveva già veduto la giovane.

«Ebbi allora due motivi di timore a un tempo, l’arrivo del cadì e la presenza del barbiere. La giovane mi rassicurò circa al primo, dicendo che suo padre saliva ben di rado alla di lei stanza; e che, nella previsione potesse succedere quel contrattempo, essa aveva pensato al mezzo di farmi uscire al sicuro; ma l’indiscrezione dello sciagurato barbiere mi cagionava molta inquietudine, e vedrete che non lo era senza fondamento.

«Entrato il cadì in casa, diè in persona le bastonate ad uno schiavo che le aveva meritate. Metteva lo schiavo altissime strida che si udivano nella via. Credè il barbiere foss’io che gridassi, e si maltrattasse; fisso in tal pensiero, si mise a strillare spaventevolmente, a stracciarsi gli abiti, a gettarsi polvere sulla testa, e chiamar in aiuto tutto il vicinato, che tosto gli accorse intorno. Chiestogli che cosa potessere fare per soccorrerlo: — Aimè,» grida colui, «assassinano il mio caro padrone;» e senz’altro, corre fino a casa mia, strillando sempre alla medesima guisa, e torna seguito da tutti i miei servi muniti di bastoni, i quali, giunti alla porta del cadì, bussano con gran furore: mandò questi subito uno schiavo a vedere chi fosse; ma lo schiavo, tutto spaventato, torna dal padrone, e: — Signore,» gli dice, «più di diecimila uomini vogliono entrare in casa per forza, e cominciano a scassinare la porta. —

[p. 104 modifica]«Corse tosto il cadì ad aprire in persona, e domandò cosa volessero; ma la sua venerabile presenza non valse ad ispirar rispetto ai miei servi, i quali gli dissero con arroganza: — Maledetto cadì, qual motivo hai d’assassinare il nostro padrone? Che ti ha egli fatto? — Buona gente,» rispose il cadì, «perchè avrei io assassinato il vostro padrone che non conosco e che non m’ha offeso? Ecco aperta la mia casa; venite, vedete e cercate. — Gli avete dato le bastonate,» disse il barbiere; «ne ho udito le grida poco fa. — Ma, insomma,» replicò il cadì, «qual offesa può avermi fatto il vostro padrone, per costringermi a maltrattarlo come dite? E forse in casa mia? E se c’è, come vi è entrato, e chi può avercelo introdotto? — Voi non me la darete ad intendere colla vostra gran barba, maledetto cadì,» ripigliò il barbiere; «so quello che dico. Vostra figlia ama il nostro padrone, e gli ha dato convegno in casa vostra durante la preghiera del mezzodì; voi ne foste senza dubbio avvertito: siete tornato a casa, lo sorprendeste, e gli avete fatto dare le bastonate dai vostri schiavi; ma non avrete commessa impunemente questa rea azione: il califfo ne sarà informato, il quale farà buona e pronta giustizia. Lasciatelo uscire, e restituitecelo all’istante, altrimenti entriamo, e ve lo strappiamo alla vostra barba. — Non c’è bisogno di parlar tanto,» riprese il cadì, «nè di fare tanto chiasso; se è vero quanto dite, non avete che ad entrare e cercarlo; io ve ne do licenza.» Non ebbe il cadì finite queste parole, che il barbiere ed i miei schiavi invasero come furiosi la casa, e si misero a cercarmi dappertutto...»

Scheherazade, a questo passo, scorgendo il giorno, cessò di parlare. Si alzò Schahriar ridendo dell’indiscreto zelo del barbiere, e curiosissimo di sapere cosa fosse accaduto in casa del cadì, e per qual [p. 105 modifica]disgrazia il giovane diventasse zoppo. Soddisfece la sultana alla sua curiosità la notte successiva, ripigliando la narrazione in questi termini:


NOTTE CLXVI


— Il sartore, continuando a raccontare al sultano di Casgar la storia da lui cominciata:

«Sire,» disse, «il giovane zoppo proseguì a questo modo: — Siccome io aveva intese le parole dette dal barbiere al cadì, cercai un luogo per nascondermi; ma non seppi trovar meglio d’un gran forziere vuoto, ove mi gettai, chiudendemelo addosso. Il barbiere, avendo frugato da per tutto, non mancò di venire nella camera ov’io stava; accostatosi al forziere, lo aprì, e vistomi colà, lo prese, se lo pose in ispalla e lo portò via: scese quindi da una ripida scala in un cortile che traversò in fretta, e finalmente giunse alla porta di strada. Mentre mi portava, venne disgraziatamente ad aprirsi il forziere; allora, non potendo sopportare la vergogna di essere esposto agli sguardi ed alle fischiate del popolaccio, che ci seguiva, mi slanciai con tanta precipitazione nella via, che mi offesi una gamba in modo che da quel tempo ne rimasi zoppo. Non sentii alle prime tutto il mio male, e tostomi rialzai per sottrarmi con una pronta fuga ai dileggi della plebaglia; gettai anzi manate di denaro, di cui aveva pingue la borsa, e mentre si occupavano a raccoglierlo, io riuscii a scappare per viottoli tortuosi e remoti. Ma il maledetto barbiere, approfittando dell’astuzia di cui m’era servito per isbarazzarmi dalla turba, mi seguì senza mai perdermi di vista, gridando a tutta gola: — Fermatevi, signore, [p. 106 modifica]fermatevi; perchè correte sì veloce? Se sapeste quanto mi afflissi dell’indegno trattamento che vi fece il cadì, a voi che siete sì generoso, ed al quale abbiamo tante obbligazioni, i miei amici ed io! Non ve l’aveva detto, che colla vostra ostinazione a non volermi compagno, esponevate la vita? Ecco cosa v’è accaduto per colpa vostra; e se da parte mia non mi fossi ostinato a seguirvi per vedere dove andavate, che cosa sarebbe stato di voi? Ma dove andate mai, signore? Aspettatemi. —

«Così quello sciaurato barbiere parlava ad alta voce per la strada; nè contentandosi d’aver cagionato scandalo sì grave nel quartiere del cadì, voleva ancora che tutta la città lo sapesse. Nella rabbia che mi dominava, mi veniva voglia d’attenderlo per istrangolarlo; ma con ciò non avrei fatto che rendere più clamorosa la mia confusione. Presi dunque un altro partito; avvistomi che la sua voce mi rendeva spettacolo d’un’infinità di persone, accorse chi alle porte e chi alle finestre, o che fermavansi per le strade a guardarmi, entrai in un khan di cui conosceva il custode. Lo trovai alla porta, chiamatovi dal rumore. — In nome di Dio,» gli dissi, «fatemi la grazia d’impedire a quel pazzo furioso d’entrar qui dietro di me.» Me lo promise, e mantenne la parola; ma non fu senza stento, poichè l’ostinato barbiere voleva entrare a tutta forza, e non si allontanò se non dopo avergli detto mille improperi; e finchè non fu rientrato in casa sua, non cessò di esagerare a tutti quelli che incontrava per via, il gran servigio cui pretendeva avermi reso.

«Ecco come mi liberai da quell’uomo sì stucchevole. Allora il custode mi pregò di raccontargli la mia avventura ed io il feci, pregandolo poscia di prestarmi un appartamento finchè fossi guarito. — Signore,» mi disse, «non istareste meglio a casa [p. 107 modifica]vostra? — Non voglio tornarvi,» gli risposi; «quel maledetto barbiere non mancherebbe di venirmi a trovare; ne sarei importunato ogni giorno, e morrei finalmente della rabbia d’avermelo sempre davanti agli occhi. D’altronde, dopo quanto mi è accaduto oggi, non so risolvermi a rimaner più a lungo in questa città, ed intendo andare dove la mia stella vorrà portarmi.» Infatti, appena fui guarito, presi tutto il denaro onde mi parve aver bisogno per viaggiare, e feci dono a’ miei parenti del resto delle mie sostanze.

«Partii dunque da Bagdad, o signori, e venni fin qui. Sperava di non incontrare quel pernicioso barbiere in un paese sì lontano dal mio: eppure lo trovo fra voi. Non siate dunque sorpresi della fretta che ho d’allontanarmi: ben concepirete la pena che mi deve fare la vista d’un uomo il quale fu origine di vedermi zoppo e ridotto alla triste necessità di vivere lontano da’ miei parenti, dagli amici e dalla patria.» Terminando tali parole, il giovane zoppo si alzò ed uscì, accompagnato dal padrone di casa fino alla porta, per dimostrargli il proprio dispiacere d’avergli dato, benchè involontariamente, sì grande motivo di mortificazione.

«Partito il giovine,» continuò il sartore, «fummo tutti maravigliati della sua storia; e volti gli sguardi sul barbiere, dicemmo che aveva torto, severo era il racconto dello zoppo. — Signori,» ci rispose colui, alzando la testa, da lui tenuta sempre bassa fin allora, «il silenzio in cui stetti finchè quel giovine vi diresse la parola, deve attestarvi ch’egli nulla disse, ond‘io non sia d’accordo. Ma checchè abbia potuto dirvi sostengo che io doveva fare quello che ho fatto; e ve ne fo giudici voi medesimi. Non erasi egli gettato nel pericolo? E senza il mio aiuto, ne sarebb’egli uscito sì felicemente? È ben fortunato d’essersela cavata con una gamba incomodata. Non mi sono io esposto a maggior pericolo per trarlo d’una casa, [p. 108 modifica]ove m’immaginava lo maltrattassero? Ha egli ragione di lagnarsi di me e dirmi sì atroci ingiurie? Ecco cosa si guadagna a far del bene agl’ingrati! Mi accusa d’essere un ciarlone; è una mera calunnia di sette fratelli che eravamo, io son quello che parla meno, e ch‘ebbe maggiore spirito in retaggio. Per farvene convinti non ho che a narrarvi, o signori, la mia storia e la loro. Onoratemi, vi prego, della vostra attenzione.


Note

  1. Quest‘anno 653 dell’egira, epoca comune a tutti i maomettani, corrisponde all’anno 1255 della nascita di G. C. Da ciò si può congetturare, che queste novelle furono composte in arabo verso quel tempo.
  2. Quanto all’anno 7420, l’autore si è ingannato nella sua supposizione. L’anno 653 dell’egira e 1255 di G. C., non cade se non nell’anno 1557 dell’era od epoca de’ Seleuci, la stessa di quella d’Alessandro il Grande, qui chiamato Iskender dalle due corna, secondo l’espressione degli Arabi.