Le murate di Firenze/Cap. XXVII: Terza veduta

Da Wikisource.
Cap. XXVI: Un sogno Cap. XXVIII: Quarta veduta
[p. 53 modifica]

CAPITOLO XXVII.

Terza veduta.

La mia curiosità non conosceva più limiti; questa volta non mi lasciai precedere dal genio, ma contemporaneamente, ad esso arrivai all'uscio della terza stanza.

Sedeva presso un tavolino, colla faccia a noi rivolta, un uomo sulla di cui fronte era scritto — L'Incestuoso — Mostrava l'età di circa cinquant'anni, aveva i capelli brinati, il volto rotondo e pieno. Gl'occhi, che teneva affissati e fermi, indicavano essere egli immerso in gravi pensieri. Aveva le guancie cascanti e mencie, di un languido vermiglio colorate, voluttuosa la bocca, pallide le labbra, corto il naso e rincagnato. Teneva le braccia consertate sul petto, e di tanto in tanto esalava profondi sospiri. L'espressione del di lui sembiante era languida, disgustevole, trista.

— E' tempo oggimai che il disgusto, la svogliatezza la nausea ti assalgano e conquidano, disse il genio guardandolo severo; scapestrasti abbastanza, tutta hai percorsa la via del vizio, or ti rimane a soffrirne le conseguenze, il frutto.

— Buon genio, secondo le vostre parole costui sarebbe maschio, a me invece pare una donna vestita da uomo.

— E' maschio sì, ma più debole, più pusillanime, più schifiltoso, smancieroso di una donna, di una donna più volubile e leggero, e non mi sorprende che tu abbia in lui ravvissati più presto i lineamenti della donna che quelli dell'uomo. [p. 54 modifica]

— Ditemi qualcosa di questo apparente ermafrodito.

— Ascolta! Appartenente a cospicua famiglia, ancor giovinetto fu mandato dal padre agli studi in una florida città, ma effeminato e lascivo, siccome egli era fin d’allora, più che allo studio si diede alla licenza, al libertinaggio. Di intelletto ottuso, e alieno dallo studio, rimase un vero ignorante: per la sciocca società aveva però un merito, quello cioè di esser ricco; non mancò quindi di protettori, e avviatosi per la carriera degl’impieghi civici, ben presto ne ottenne uno con buona provvigione.

Avvenuta intanto la morte del di lui padre, e divisa con altri due fratelli la eredità, potè disporre liberamente di rilevanti somme. Si congiunse allora al vizio ricchezza e indipendenza, ciò che appunto abbisognava a questo libertino per tutte sfogare le sue passioni. Rotto ogni freno la diè pel mezzo senza alcun pudore, si ravvoltolò e tuffò fin agl’occhi nelle lordure della lussuria, e vi gavazzò per entro come il verro nel suo brago. In tanta sua scapigliatura i più scandalosi e vituperevoli eccessi gli furono familiari, non rispettò nè la santa innocenza della puerizia, nè la sacrata fede del matrimonio, nè i vincoli stessi di natura, di sangue. Chi cade nel fango quanto più vi si dimena tanto più si imbratta: non posso dirti di un ributtante delitto di cui esso si contaminò, ma il marchio di eterna infamia che gli sta scritto in fronte te lo accenna abbastanza.

Per io sue sfacciate e impertinenti dissolutezze era da molti odiato, da tutti disprezzato, sfuggito come quei che più dal bruto traeva che dall’uomo. Fatto già attempatello pensò di rassegnare l’impiego, per ritirarsi nel luogo dove aveva i suoi beni, e quivi, fra le secrete mura del suo palazzo, procurarsi copiosi e [p. 55 modifica]facili mezzi onde affogare nell'acque limacciose e sudice della incontinenza.

Con un gruzzoletto di denaro potè avere il certificato di un medico che lo dichiarava impotente e inetto e più scrivere per una paralisi incurabile alle braccia e alle mani. Appoggiò a questo attestato la sua dimanda, e chiese al governo riposo e pensione, e il governo in premio delle di lui disonestà gli accordò il riposo e insieme la pensione della intera sua provvisione, che sommava sopra cinquecento scudi.

— Benissimo! paga tu che penso io. Ma volete vedere come van le cose di questo iniquo mondo? Quando io era in carcere, mi raccontava un vecchio custode, che egli aveva prestato al governo un servizio faticosissimo e non interrotto per il lungo giro di quarantacinque anni, e sebbene ripetute volte avesse dimandato riposo, non gli si era voluto mai concedere, ed era costretto, per vivere, a sostenere (nonostante che quasi sfinito dagli acciacchi di una cadente vecchiaia) le fatiche di un durissimo servizio. Eccovi da un lato un povero vecchio più che settuagenario, il quale ha servito il governo per un tempo lunghissimo e fedelmente, che si contenta della tenue pensione di due paoli al giorno onde poter vivere con questa, senza accattare, gl'ultimi giorni di una macerata vita, e ne riceve per riptetute volte un disumano rifiuto. Eccovi dall'altro lato un ricco nel fiore della virilità, che ha per poco tempo e malamente servito il governo, che ha tenuta una vita scostumata e scandalosa, che possiede in proprio tanto da poter vivere da gran signore, che dimanda una pensione sette volte maggiore, che vuole il riposo quando può benissimo sostenere ancora le lievi fatiche del suo impiego, e tosto ottiene riposo e pensione a seconda dei suoi desideri [p. 56 modifica]Ah mondo mondo, tu se’ pur la gran brutta cosa! Io vorrei sapere per qual ragione sì neghi un meritato e tenue soccorso a un povero vecchio, e con tanta generosità si conceda una rilevantissima somma ad un indegno e ricco giovane.

— L’unica ragione è quella che dovrebbe condurre ad un resultato precisamente contrario. Si concede al ricco perchè non ne ha bisogno, si nega al povero perchè povero. Il ricco contrariato, disgustato può muover lagnanze e far scalpori; il povero non ha chi lo regga e non può far valere le sue ragioni: dunque appoggio, soddisfazione ai ricchi, e gli stracci all’aria.

— Fatemi il piacere, parliamo d’altro, perchè io uscirei presto de’ gangheri: riprendete la vostra storia.

— Ottenuta la pensione ripetriò, e andò ad abitare un magnifico palazzo poco prima acquistato. Fu suo primo pensiero di procurarsi una cameriera che gli andasse a genio, e trovò presto chi gli arruffianò una cantoniera accattamori, che fu già un tempo postura e sollazzo di vetturali e soldati. Era essa nel fiore della gioventù, e sebbene non fosse un occhio di sole era però provata espertissima di quei modi cortigianeschi e salaci che al dissoluto toccan l’ugola. Costui, che come vedi comincia ad invecchiare, non prima la ebbe conosciuta, che pazzamente ne imputtanì. L’astuta mondana se ne accorse ben presto, e non risparmiò vezzi, lusinghe, invenie, per viemeglio invischiarlo, arretirlo, avvincerlo ne’ suoi lacci, nè si staccò da lui un solo istante, finchè nol vidde di lei ingattito e guasto a modo da tenerselo suo anima a corpo.

Fatta di ciò sicura, cercò qualcosa che la soddisfacesse meglio, e amicatosi un giovinotto di professione fabbro, robusto, gagliardo, atante, cominciò seco lui a intendersi d’amore, e furono spesso insieme. Fatto [p. 57 modifica]alcun tempo ingravidò, e questo vecchio inzuccherandosene e menandone pompa venne in pensiero di farla sua moglie per legittimare così il fìglio, ed avere un erede. Non sospettò manco per ombra di avere avuto nell’opera un adiutore, conciossiachè l’astuta cameriera aveva saputo così ben condursi, da farlo persuaso che egli fosse stato il primo a corromperla. Figurati! Era già stata tre volte madre, ma queste volpi, che mostran sempre di non sapere con qual corno gli uomini cozzino, sanno infingere così bene, così dolorosamente guarire allo scoppio della fucilata, che il cacciatore si tien certo di aver fatta profonda e sanguinente ferita, quando invece la palla ha leccata appena un po’ di pelle callosa e vizza.

Nonostante che i di lui parenti e fratelli vergognassero di vederlo unito a una donna così vile e disonorata, esso che ne era già cotto non solo, ma disfatto, secretamente la sposò. Come l’avaro, così il libidinoso non è sazio mai di quel che ha, quando anche gli sia di soperchio, ma quanto più s’imbrodola in quel brago, tanto più arde di ravvoltolarvisi e tuffarvisi dentro.

Costui aveva buttati gl’occhi su di una giovine sua nipote, che era maritata in quel paese, ed aveva concepito l’infame e sozzo pensiero di sedurla. Quindi teneri sguardi, parole affocate d’amore, regali, carezze, sospiri, tutto adoperò e tentò per ottenere l’intento di amicarsi e gratuirsi la giovane; ma essa che niente sospettava il di lui reo e indegno pensiero, tutto accoglieva con disinvoltura e iadifferenza, corrispondendogli nel modo che la convenienza le permetteva, e nulla più.

Il di lei riserbato contegno, anzichè frenare, infiammò vieppiù le di lui voglie, perchè lasciato ogni pudore non si peritò dì abbracciarla, baciarla, mostrarle [p. 58 modifica]sua rea passione, e richiederla di amore. La giovane stomacata, inorridita a tale proposta, lo rigettò da sè altamente indegnata e offesa. Ma questo sozzo animale, che nient'altro sentiva che la sfrenata sua stallonaggine, non si tenne soddisfatto, nè volle così presto desistere dal reo suo proposito. Si finse ammalato, e mandò preci alla nipote perchè si piacesse visitarlo, e inteso come ella sarebbe a luì venuta, la stette attendendo risoluto di vituperarla. La giovane andò a veder lo zio, entrò nella di lui stanza, e fattaglisi appresso lo dimandò dì sua salute: costui balzò d’un tratto a terra, le si avventò addosso, e come una belva indomita, che null’altro senta e conosca che la violenza del libidinoso appetito, con ogni possibile sforzo tentò dì farla vittima di sue voglie infami. Se non che la giovane, donna di grande spirito e di coraggio, non cadde d’animo in quel punto, e accannatolo con quanta forza s’avea in corpo, siffattamente gli serrò la gola, che rimasto senza fiato, gli fu giuocoforza arrendersi e lasciarla libera. La giovane datogli a malgarbo un forte urtone lo cacciò lungi da sè, e fuggì esclamando: mai più mi vedrete.

— Oh porco, iniquo, infame!

— L’erede venne alla luce e fu maschio. Questo gonzo menò gran festa e trionfo del suo vitupero; conciossiachè tu avrai qualche volta osservato i fabbri battere e mazzicare il ferro incandidito, ed avrai veduto sempre che vi impronta più profondo e marcato il colpo quello, che con più gagliardo polso e più pesante martello lo batte.

— Da quanto voi mi dite parmi intendere che il signorino vada ora raccogliendo alcuni di quei frutti, che esso fin qui seminò negl'altrui campi. [p. 59 modifica]

— E di che modo li raccoglierà! Ha una certa chinèa a mano, che egli ne avrà la giunta sopra la derrata.

— Qual’asin da in parete tal riceve; chi la fa l’aspetti; i proverbi sono quasi sempre veri. Proseguite.

— Costui fu sempre avaro sordidissimo, ma dacchè fu sposo, e più che mai da che fu padre divenne tirchio e taccagno in un modo veramente vergognoso. Non si rivolga e non vada il povero alla di lui porta, se non vuol trovarsi come Lazzaro alla porta dell'epulone. Niun sentimento di umanità è in lui, e quel che è peggio niun sentimento di religione. Considera le pratiche di pietà come bigotterie e superstizioni, non crede nè in Dio nè ne'santi, e se qualche volta fu richiesto perchè con altri devoti contribuisse alle spese necessarie per celebrare e solennizzare la festa di qualche santo, seppe rispondere che Dio, la Vergine Santissima, i Santi non avevan bisogno delle di lui carità; che non poteva sprecar denaro in certe sciocchezze per far ridere i preti, quando lo sbilancio dei suoi interessi gli imponevano ogni possibile risparmio.

— Che Dio gli faccia dire il vero! Perchè chi ruzza in briglia è bene si rompa il collo.

— Ora tu sai cosa fu e cosa sia quest'uomo: ma sappi che quella foga con cui il libertino corre dietro ai piaceri mondani finisce sempre colla svogliatezza, col disgusto e colla noia; e quando l'uomo ha vuotata la tazza dei piaceri fino all'ultima goccia, e nulla più gli rimane a sperare di bene in questo mondo, sente allora disgusto dei passati sollazzi; ogni oggetto manca per lui di quelle attrattive, di quella illusione, che prima lo abbelliva, e tutto gli addiviene insufficiente, fastidioso. Nè giova più che esso chiami a sè d’intorno [p. 60 modifica]la voluttà con tutte le sue seducenti attrattive, perchè nulla basta più a soddisfarlo, e non trova mezzo onde spegnere e vincere la immensa noia e tristezza che lo opprime.

Stremato di forze, scaduto, invecchiato, corre dietro ancora a quei piaceri che per lui più non sono, si sforza di esser brioso e galante, e riesce ridicolo, schifoso, stravagante; crede farsi un bello spirito ed è rimbambito.

Ridotto a questo miserabile punto nel malaugurato suo cammino, geme ora in quella voragine di disgusto e di malinconia, che coi suoi sordidi vizi si è procacciata e meritata. Non vivrà a età molto avanzata, e morirà di un fulminante colpo di apoplessia nel momento in cui starà consumando un nuovo delitto di lussuria.

— Sciagurato! Lasciamolo nei suoi disgusti, e vi rimanga finchè a Dio piace. A me non desta alcuna pietà quel brutto muso, parmi proprio il fantin di picche, se non che invece di avere il bollo accanto alla gamba, lo porta in fronte e disonorante assai. Partiamo, buon genio, e mostratemi qualche cosa di meglio.

Lasciammo quella stanza e giungemmo assieme alla quarta.