Le opere di Galileo Galilei - Vol. V/Discorso del flusso e reflusso del mare

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Scritture in difesa del sistema Copernicano - Considerazioni circa l'opinione Copernicana De situ et quiete Terrae Disputatio

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DISCORSO

DEL

FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE.

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AVVERTIMENTO.





All’abate Alessandro Orsini veniva Galileo presentato e raccomandato dal Granduca di Toscana1 quando, come già abbiamo avuto occasione di accennare2 sullo scorcio del 1615 si recava a Roma, per difendere meglio colà la dottrina Copernicana, ch’era minacciata di condanna da parte del S. Uffizio. Nell’Orsini, il quale il 22 dicembre 1615, proprio nei primi giorni della dimora di Galileo in Roma, era stato elevato alla Sacra Porpora, il nostro Filosofo trovò «una singolare inclinazione e disposizione» a proteggerlo e favorirlo3; ond’egli faceva grande assegnamento sull’autorità non ordinaria di quel Cardinale, che, da lui bene informato dell’importanza del negozio», era «disposto a trattarne sino con Sua Santità»4.

Fra cotesto dimostrazioni di favore di cui Galileo in sui primi del febbraio 1616 ragguagliava, coi termini ora citati, il segretario di Cosimo II, può ben credersi ch’egli annoverasse altresì l’avere il Cardinale, in uno degli ultimi giorni del 1615, prestato benevolo orecchio alla esplicazione da lui data, in privati discorsi, degli accidenti del flusso e reflusso del mare: che anzi il Porporato era rimasto pienamente sodisfatto delle confutazioni addotte contro le ragioni proposte dagli altri scrittori di tal quistione, e aveva ricercato Galileo che volesse porgergli disteso in carta quello che gli aveva spiegato in voce5. Il Nostro rispose a siffatto invito col Discorso che qui pubblichiamo: il quale è in forma di lettera, scritta da Roma, l’8 gennaio 1616, appunto al Card. Orsini, e, per lo [p. 374 modifica]scopo a cui mira, si congiunge strettamente a quelle altre scritture in difesa del sistema Copernicano, che Galileo diffondeva in Roma tra’ più eminenti personaggi6; poichè è noto ch’egli prendeva la mobilità della Terra come cagione del flusso e reflusso, e questo come indizio ed argomento di quella.

Del Discorso, che, sebbene non fosse allora pubblicato, pure godette una certa diffusione7, non giunse fino a noi l’autografo, per quanto sappiamo: ce ne rimasero invece copie numerose, tra cui sono a nostra conoscenza le seguenti:

G = Biblioteca Nazionale di Firenze, Mss. Galileiani, Par. IV, T. IV, car. 57 r. — 67 r.; sec. XVII;

R = Biblioteca Riccardiana, cod. 2545, car. 231 r — 237 t; sec. XVII;

A = Biblioteca Angelica, Fondo Novelli, cod. 2229, pag. 1-34; sec. XVII;

Am. — Biblioteca Ambrosiana, cod. I. 166. Par. Inf., car. 237r. — 262t.; sec. XVII;

B = Biblioteca Barberiniana, cod. XLVIII. 39, car. 1r. — 19 t.; sec. XVII;

T = Biblioteca Trivulziana, cod. 595, car. 307r. — 356t.; sec. XVII;

Codice di proprietà del sig.r Gamurrini di Arezzo, car. 1r, — 19t.; sec. XVII;

Num. 11 (antico num. 23) nel cod. miscellaneo 3805 (Mss. Lami, vol. 43, Scienze naturali, T. XXXI) della Biblioteca Riccardiana; sec. XVIII;

Cod. 562 della Biblioteca Universitaria di Pavia, car. 6r. — 12r.; sec. XIX;

H = Biblioteca Reale di Hannover, cod. IV. 330, sec. XVII;

P1 = Biblioteca Nazionale di Parigi, Fond italien, cod. 945, car. 1r. — 27r.; sec. XVII;

P2 = Biblioteca predetta, Fond italien, cod. 956, car. 1 r — 17 r.; sec. XVII;

Ta. = Biblioteca Bodleiana di Oxford, Tanner Mss. 300, car. 89 r. - 104 t.; sec. XVII;

Biblioteca predetta, Digby Mss. 133; sec. XVII.

L’ultimo di questi manoscritti, per quante pratiche abbiamo fatto, non ci fu dato di poterlo avere in esame: abbiamo studiato invece i rimanenti, i quali non presentano tra di loro differenze così notevoli, che permettano di distinguerli in più famiglie. L’esemplare più accurato è però senza dubbio il cod. R, che, fatta eccezione per pochi passi, offre un testo correttissimo. Quanto agli altri, non essendo facile, appunto perchè molto non differiscono tra loro, dare una precisa [p. 375 modifica]caratteristica di ciascuno, basti notare che il cod. G è pure pregevole, restando però inferiore al cod. R; il cod. A molto spesso è scorretto, e non lievemente 8; T pure ha gravi scorrezioni, e l’amanuense vi lasciò alcune lacune che altri riempì male; il codice di proprietà del sig.r Gamurrini concorda quasi sempre, anche negli errori più caratteristici, col cod. A, onde abbiamo indicato il loro accordo con la sigla Z; i codici P1, P2, Ta. sono deturpati da tanti e così gravi strafalcioni, che spesso non danno alcun senso, ed è a credere siano stati trascritti da copisti non italiani e che non capivano l’italiano9.

Noi abbiamo preso a fondamento della presente ristampa, com’era naturale, il cod. R, correggendolo, le poche volte che ce n’era bisogno, con l’aiuto degli altri di alcuno di essi10 e giovandoci altresì del riscontro coi passi corrispondenti del Dialogo dei Massimi Sistemi, nell’ultima giornata del quale Galileo trascrisse, per alcuni tratti quasi a parola, buona parte del Discorso11. Appiè di [p. 376 modifica]pagina notammo le lezioni del codice preferito dalle quali abbiam dovuto allontanarci, e insieme le principali varietà degli altri testi12, fatta eccezione dei codici Riccardiano 3805 e Pavese, che, essendo copie moderne e non offrendo nulla di più interessante degli altri13, ci parve superfluo citare. Per simile ragione, cioè di non accrescere citazioni inutili, non tenemmo conto neppure della prima stampa del Discorso, che è stata fatta dal Targioni Tozzetti14, non è chiaro su qual codice, ma che ad ogni modo è assai scorretta.

Avendo adoprato siffatte cure intorno al testo di questo scritto, noi lo presentiamo molto migliorato da quello che si leggeva finora; poichè anco l’ultima edizione fiorentina, mentre si protesta d’aver ristampato il Discorso non sulle traccie del Targioni, ma da una copia del tempo assai più corretta, che è quella da noi distinta con la lettera G, in effetto si allontana arbitrariamente da questo codice bene spesso, e riproduce alcuni gravi errori che s’incontrano nella stampa del Targioni. [p. 377 modifica]



DISCORSO

DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE

all'Illustrissimo e Reverendissimo Sig. Cardinal Orsino




Il favore che mi vien da V. S. Illustrissima e Reverendissima nel ricercarmi che io voglia porgergli disteso in carta quello che dieci giorni fa gli spiegai in voce, è di gran lunga superiore al merito mio ed alla leggerezza de’ miei discorsi: nè porgendomisi altro modo di contracambiarlo, almeno in parte, se non con una subita obbedienza, eccomi apparecchiato a servirla ed obbedirla conforme al suo comandamento; cioè in quella più concisa e ristretta maniera che abbracciar si possa problema sì mirabile, qual è l’investigazione della vera cagione del flusso e reflusso del mare, tanto anco più recondita e difficile, quanto manifestamente veggiamo, tutto quello che sin qui è stato scritto da gravi, autori esser molto lontano dal quietar la mente di quelli che desiderano d’internarsi nelle contemplazioni della natura oltr’alla scorza: la qual quiete allora solamente si conseguisce, quando la ragione prodotta per causa vera dell’effetto, facile ed apertamente satisfà a tutti i particolari sintomi ed accidenti che intorno ad esso effetto partitamente si scorgono. La qual cosa poi che non ci vien porta, come nei privati discorsi vedemmo, dalle ragioni addotte sin qui da gli altri scrittori di tal quistione, però come inefficaci le lascierò, sendo V. S. Illustrissima e Reverendissima pienamente
4. che mi vien fatto da, G, P2 — 7. porgendomisi occasione di, G, P2 — 10. con quella più succinta e ristretta maniera, T; in quella più concisa maniera, R, Am., Ta. — 14. gravi scrittori, G, T — 15. nella contemplazione, Z — 17. per causa dell’, R, Am., Ta. — 19. effetto particolarmente si, Z, P1 — 22. le lasceremo, Z, P1
[p. 378 modifica]restata satisfatta delle confutazioni che a bocca ne apportai, ben che ella stessa ne anco per avanti avesse loro prestato molto l’assenso; concedendomi ella, anzi ordinandomi, che io differisca di diffondermi, per satisfazione dell’universale, in tali confutazioni, quando più diffusamente tratterò questa materia nel mio Sistema Mondano.

Mostraci l’esperienza sensata, che il flusso e reflusso dell’acque marine non è un rigonfiamento e ristringimento delle parti di esso elemento, simile a quello che veggiamo farsi nell’acqua posta al calor del fuoco, mentre ella per caldo veemente si rarefa e solleva, e nel ridursi alla natural freddezza si riunisce ed abbassa; ma è nei mari un vero moto locale e, per così dire, progressivo, or verso l’uno ed or verso l’altro termine estremo del seno del mare, senza alcuna alterazione di esso elemento, proveniente da altro accidente che da locale mutazione. Ora, mentre andiamo discorrendo appoggiati sopra sensate esperienze (scorte sicure nel vero filosofare), vediamo potersi imprimer nell’acque alcun movimento locale in varie maniere: le quali andremo distintamente essaminando, per veder se alcuna di esse può ragionevolmente assegnarsi per cagion primaria del flusso e reflusso del mare. Ho detto cagion primaria, perchè mentre andremo essaminando le tante differenze di accidenti che intorno ai flussi e reflussi dei mari diversi si scorgono, intenderemo impossibil cosa essere che molte altre cause secondarie e, come dicono, concomitanti non concorrino con la primaria al produr tali varietà; poi che da una sola e semplice cagione non può derivar altro che un semplice e determinato effetto. Faremo dunque principio nel nostro discorso dall’investigazione della causa prima universale, e senza la quale nulla sarebbe di questo regolato movimento dell’acque marine; dico regolato, ben che diversi mari osservino diversi periodi nei loro flussi e reflussi.

Una tra le cause di movimento è la declività del sito e letto nel quale vien contenuto il corpo fluido: e per questa i torrenti precipitano nei fiumi, ed i fiumi scorrono ai mari. Ma perchè tal flusso si fa sempre verso la medesima parte della declività, sopra la quale già mai le acque non ritornano in dietro, cotal ragione non fa alla
1. rimasa satisfatta, G — 7. o ristringimento, R — 21. di mari diversi, Z; di diversi mari, G, B, T, H, P2 — 23-25. varietà; poi che da un semplice e determinato effetto non può esser altro che una sola e semplice cagione. Faremo, Ta. — 24. sola cagione e semplice, R — 31. e per questo, Z, Ta., P1
[p. 379 modifica]causa nostra, ne può aver luogo nei reciprochi movimenti verso le parti contraposte, come veggiamo farsi nell’acque marine.

In altro modo s’imprime agitazione nell’acqua, mediante il moto dell’ambiente o di altro corpo esterno che l’andasse a ferire: e così veggiamo dall’impeto de’ venti agitarsi l’acque dei mari e dei laghi, e venir sospinte verso la parte dove il vento le caccia. Ma una tale agitazione non si può assegnar per causa nel nostro problema; poi che simili agitazioni sono tumultuarie, per così dire, e sregolatissime, dove che i flussi e reflussi hanno i lor periodi determinati; ed oltre a ciò si fanno anco nelle maggiori tranquillità dell’aria e cessazioni dei venti; e, di più, mantengono il corso loro verso il termine prescritto, quando bene il sospingimento dell’aria fosse in quell’ore verso ’l termine contrario.

Imprimonsi movimenti locali nell’acque ancora quando qualche moto locale venisse conferito al vaso nel quale l’acqua vien contenuta: e ciò può accadere in due maniere, l’una delle quali sarebbe con l’alzare ed abbassare alternatamente or l’una or l’altra estremità del vaso, al qual moto e librazione ne seguirebbe che l’acqua contenuta, scorrendo verso la parte inclinata, vicendevolmente andasse e ritornasse per la lunghezza del vaso. Ma simile accidente di librazione non può aver luogo nel caso nostro: avvenga che quando anco la Terra avesse qualche reciproca librazione, non però porgerebbe cagione all’acqua di scorrere in qua ed in là; imperò che in tanto scorre in un vaso che si vadia librando, in quanto nel libramento or l’una or l’altra estremità del vaso si abbassa, cioè si appropinqua al comun centro delle cose gravi, per lo che l’acqua per il suo peso vi scorre; ma quando la Terra si librasse, non però per tal librazione alcuna parte della sua superficie si avvicinerebbe o allontanerebbe dal centro di essa Terra, che è quello dove tendono i gravi, e però non verrebbe pòrta cagione all’acqua di scorrervi. Oltre che il libramento che può attribuirsi al globo terrestre, è un inclinarsi trasversalmente, cioè da borea verso austro; dove che i flussi e reflussi son tutti, per l’opposito, da oriente verso occidente. E finalmente, il libramento che alcuno ha attribuito alla Terra, ha le sue reciprocazioni distanti l’una dall’altra per molte migliaia d’anni;
33. da oriente in occidente, G, Z, B, T, H, P1, P2 — 34. Terra, ed al quale pare che passino rispondere le apparenze celesti, ha le sue, H —
[p. 380 modifica]dove che nelle librazioni e reciprocazioni de i flussi e reflussi si tratta di tempi brevissimi, cioè di ore.

L’altra maniera d’imprimer movimento nell’acqua mediante il moto del vaso continente è col muover il vaso progressivamente, senza punto inclinarlo, ma solamente con muoverlo di moto ora accelerato ed or ritardato; dalla qual variazione ne succede all’acqua, oltre al muoversi al moto del suo continente, il muoversi ancora con qualche diversità ed anco talvolta contrarietà. Come, per dichiarazione, se noi prendessimo un gran vaso pieno d’acqua, qual saria, per essempio, una gran barca, simile a quelle con le quali vediamo trasportarsi di luogo a luogo per l’acque salse altre acque di fiumi o di fonti, vedremmo prima, nel tempo che il vaso contenente, cioè essa barca, stesse ferma, star parimente quieta l’acqua contenutavi dentro; ma quanto prima si cominciasse a muover la barca, non pian piano, ma con notabil velocità, l’acqua, contenuta sì nel vaso, ma non, come le altre parti solide di esso vaso, saldamente a quello collegata, anzi per la sua flussibilità in certo modo disgiunta e non costretta ad ubbidire ad ogni repentina mutazione di esso vaso, vedremmo, dico, essa acqua restar in dietro e sollevarsi alquanto verso la poppa, abbassandosi verso la prora, quindi a poco a poco ridursi ad ubbidire al moto del suo contenente, senza punto variare mentre egli placidamente ed uniformemente caminasse: ed all’incontro, quando la barca, per l’arrenarsi per altro sopravegnente intoppo, venisse notabilmente nel suo corso raffrenata, non però l’acqua contenuta nell’istesso modo si raffrenerebbe dall’impeto concepito, ma, conservandolo ancora, come disgiunta dal suo continente, scorrerebbe verso la prora e quivi risalterebbe e traboccherebbe, abbassandosi e deprimendosi verso la poppa: e questo tanto più manifestamente si scorgerebbe, quanto il partirsi dallo stato di quiete e l’arrestarsi nel mezo della velocità fusse più repentinamente fatto da so esso vaso; che quando successivamente e per gradi lentissimi si trapassasse dallo stato di quiete al movimento accelerato o vero dal moto celere con l’istessa lentezza si ritornasse alla quiete, allora insensibile o pochissima inobbedienza, per così dire, si scorgerebbe nell’acqua contenuta, la quale senza contumacia si andrebbe con pari lentezza impressionando, concordemente con tutto il vaso, delle medesime mutazioni. [p. 381 modifica]

Ora io, Illustrissimo Signor, quando vo essannnando i sin qui dichiarati accidenti ed altri appresso, che accaggiono in questa ultimamente considerata cagione di movimenti, inclinerei grandemente a prestar l’assenso, che la ragione dei flussi e reflussi dell’acque marine potesse risedere in qualche movimento dei vasi che le contengono, sì che, attribuendo qualche moto al globo terrestre, da quello potessero trarre origine i movimenti del mare. Il qual principio, sì come non satisfacendo ai particolari accidenti che sensatamente veggiamo nei flussi e reflussi, darebbe segno di non esser causa adequata dell’effetto, così, satisfacendo al tutto, potrà darci indizio di esserne la propria cagione, o almeno molto più probabile che qualunque altra sino a questa età ne sia stata prodotta.

Pigliando, dunque, ex hypothesi la mobilità della Terra secondo quei movimenti medesimi che anticamente da molti ed ultimamente da altri filosofi gli furono, in grazia di altri effetti sensati, attribuiti, andiamo considerando quale azzione e corrispondenza e’ possino avere con la presente materia: e per maggior lucidezza dichiariamo brevemente i moti attribuiti al globo terrestre.

Il primo e massimo è il moto annuo sotto l’eclittica, da occidente verso oriente, in un orbe o cerchio il cui semidiametro è la distanza dal Sole alla Terra. Il secondo è una conversione in se stesso e circa il proprio centro di esso globo terrestre, fatta nello spazio di 24 ore, pur verso le medesime parti, cioè da occidente verso oriente, ben che intorno ad un asse alquanto inclinato all’asse del movimento annuo. Lascio il terzo moto, come poco o nulla attenente a questo effetto per la sua grandissima tardità in comparazione di questi due velocissimi, essendo la velocità della già detta revoluzione in se stessa circa a trecento e sessantacinque volte maggiore di questo movimento terzo, se però egli così deve nominarsi; della qual diurna velocità, presa anco nel cerchio massimo del globo terrestre, è la velocità del movimento annuo più che tripla.

E per più facile intelligenza, sia la circonferenza dell’orbe magno AFG, intorno al centro E; il globo terrestre sia BCDL, intorno al centro A; il moto annuo intendasi esser fatto dal globo terrestre dal punto A verso la parte F, descrivendo col suo centro essa circonferenza AFGI in trecento sessantacinque giorni in circa; e tra tanto
12. a quest’ora, G, P2 — 32. più chiara intelligenza, G, P2
[p. 382 modifica]intendasi la conversione in sè stesso del globo terrestre secondo il movimento da B in C verso D etc.: intendendo che l’uno e l’altro di questi due movimenti sia per sè stesso ed in sè stesso equabile ed uniforme, cioè che il centro della Terra A passi sempre in tempi eguali parti eguali della circunferenza AFG, e similmente che ’l punto B e qualunque altro della circunferenza BCDL pure in tempi eguali passi spazii tra di loro eguali. Dal che doviamo primieramente con diligenza avvertire, che se bene l’uno e l’altro di questi due movimenti, dico dell’annuo del centro della Terra per l’orbe magno AFG e del diurno della circonferenza BCDL in sè stessa intorno al proprio centro A, sono ciascheduno per sè stesso ed in sè stesso equabili ed uniformi, nientedimeno dal composto ed aggregato di essi ne risulta alle parti della superficie terrena un movimento molto diseguale, sì che ciascheduna di esse parti in diversi tempi del giorno si muove con diverse velocità: il che più manifestamente dichiaro. Avvertasi dunque, che mentre il cerchio BCDL si rivolge in sè stesso per il verso BCD, si trovano nella sua circonferenza movimenti tra di loro contrarli: avvenga che mentre che le parti che sono intorno al C descendono, le opposte L ascendono; e mentre le parti intorno ’l B si muovono aqquistando verso la sinistra, le parti contraposte D aqquistano verso la destra: onde in una intera revoluzione il punto segnato B prima si muove verso la sinistra descendendo; e quando è intorno al C, massimamente descende e comincia a guadagnare e muoversi verso la destra; sin che in D non più descende, ma movendosi assai verso la destra, comincia ad ascendere; sin che in L, ascendendo molto, comincia a guadagnar lentamente verso la sinistra, ascendendo sino in B. Ora, se noi congiugneremo questi movimenti particolari delle parti della Terra col movimento universale di tutto il globo per la circonferenza AFG, troveremo il moto assoluto delle parti superiori, cioè verso il B, esser sempre velocissimo, risultando dal componimento del movimento annuo per la circunferenza AF e del movimento proprio della parte B, li quali due movimenti
1. del globo terreno, G, B, T, H, P2
[p. 383 modifica]concordemente conspirano e guadagnano verso la parte sinistra: ma, all’incontro, il moto assoluto delle parti inferiori verso D è sempre tardissimo, poi che il moto proprio delle parti D, che in questo luogo è velocissimo verso la destra, viene a detrarre dal moto annuo fatto per la circonferenza AF, che è verso la sinistra: ma il movimento assoluto e parimente risultante dal componimento delli due movimenti, annuo e diurno, alle parti della Terra intorno a i punti C, L è mediocre ed eguale al semplice movimento annuo, poi che la conversione del cerchio BCDL in sè stesso, non acquistando nei due termini C, L nè a destra nè a sinistra, ma solo abbassando ed alzando, non accresce o detrae dalla velocità del semplice moto per l’arco AF.

Credo per tanto che sin qui sia manifesto come ciascuna parte della superficie terrena, ben che mossa di due movimenti equabilissimi in sè stessi, nulladimeno dentro allo spazio di ventiquattro ore si muove alcuna volta velocissimamente, altra volta tardamente, e due volte mediocremente, considerando la mutazione risultante dal congiugnimento di essi due moti equabili, diurno ed annuo.

Sin ora dunque aviamo, che qualsivoglia ricetto d’acque, o sieno mari o stagni o laghi, avendo un movimento continuo ma non equabile, poi che in alcuni tempi del giorno molto si ritarda ed in alcuni altri molto si accelera, ha ancora il principio e la cagione per la quale l’acque in essi ricetti contenute, come fluide e non fissamente annesse a i suoi continenti, devino ora scorrere ed ora ritirarsi verso queste e quelle parti opposte: e questa potremo noi domandare causa primaria dell’effetto, senza la quale esso del tutto non sarebbe. Seguita adesso che cominciamo ad essaminare gli accidenti particolari, tanti e sì diversi, che in diversi mari ed altri ricetti d’acque si osservano, procurando di assegnarne le ragioni proprie ed adequate: per il che fare doviamo essaminare alcuni altri particolari accidenti che accascano in questi movimenti dell’acqua, comunicatigli dall’accelerazione o ritardamento del vaso che la contiene.

Il primo è, che qualunque volta l’acqua, mercè di un notabile ritardamento o accelerazione di moto del suo vaso continente, ara aqquistata cagione di scorrere verso questa o quella estremità, e si sarà alzata nell’una ed abbassata nell’altra, non però resterà in tale stato, ma, in virtù del proprio peso e naturale inclinazione di librarsi [p. 384 modifica]e livellarsi, tornerà con velocità in dietro, cercando l’equilibrio delle sue parti; e, come grave e fluida, non solo si moverà verso l’equilibrio, ma promossa dal proprio impeto, lo trapasserà, alzandosi nella parte dove prima era più bassa; nè qui ancora si fermerà, ma di nuovo ritornando in dietro, con molte e reiterate reciprocazioni di scorrimenti innanzi ed in dietro ci darà segno come ella non vuole da una concepita velocità di moto ridursi subito alla privazione di quello e allo stato di quiete, ma, successivamente mancando, ci si vuole lenta e languidamente ridurre: in quel modo appunto che veggiamo alcun peso pendente da una corda, dopo essere stato una volta rimosso dal suo perpendicolo, per sè medesimo ricondurvisi e quietarvisi, ma non prima che molte volte l’avrà di qua e di là con sue vicendevoli corse e ricorse trapassato.

Il secondo accidente da notarsi è, che le pur ora dichiarate reciprocazioni di movimenti vengon fatte e replicate con maggior o minor frequenza, cioè sotto più brevi o più lunghi tempi, secondo le diverse lunghezze de i vasi contenenti l’acque, cioè secondo le maggiori o minori distanze dall’una all’altra estremità del vaso; sì che ne gli spazii più brevi le reciprocazioni sono più frequenti, e più rare nei più lunghi: come appunto nel medesimo essempio dei corpi penduli si veggono le reciprocazioni di quelli che sono appesi a più lunga corda esser meno frequenti che quelle dei pendenti da fili più corti.

E qui casca per terzo notabile da sapersi, che non solamente la maggiore o minore lunghezza del vaso è cagione di far che l’acqua sotto diversi tempi faccia le sue reciprocazioni, ma la maggiore o minor profondità del vaso ed altezza d’acqua opera la medesima diversità; sì che dell’acque che saranno contenute in ricetti di eguali lunghezze, ma di diseguali profondità, quella che sarà più profonda farà le sue librazioni sotto tempi più brevi, e men frequenti saranno le reciprocazioni dell’acque men profonde. Quarto, vengono degni d’esser notati e diligentemente osservati due effetti che fa l’acqua in tali suoi libramenti. L’uno è l’alzarsi ed abbassarsi alternatamente verso questa e quella estremità; l’altro è il moversi e scorrere, per così dire orizontalmente, innanzi ed
1-3. Da delle sue parti a verso l’equilibrio manca nei cod. Z, Am., Ta., P1 — 7-8. subito alla quiete ed alla privazione di quello, ma, R, Z, Am., Ta., P1. Nel Dialogo dei Massimi Sistemi si legge conforme abbiamo dato nel testo. —
[p. 385 modifica]indietro: li quali due moti differenti differentemente riseggono in diverse parti dell’acqua. Imperò che le sue parti estreme son quelle che sommamente si alzano e s’abbassano; quelle di mezo niente assolutamente si muovono in su o in giù; dell’altre, di grado in grado quelle che son più vicine a gli estremi si alzano e si abbassano proporzionatamente più delle più remote: ma, per l’opposito, dell’altro movimento progressivo innanzi ed indietro sommamente si movono andando e ritornando le parti di mezo, e nulla aqquistano le acque che si trovano nell’ultime estremità, se non in quanto nell’alzarsi elleno superassero gli argini e traboccassero fuori del suo primo alveo e ricetto; ma dove è intoppo de gli argini che le raffreni, solo si alzano ed abbassano; nè però restano le acque di mezo di scorrere velocemente e per grand’intervalli innanzi ed indietro, il che fanno anco proporzionatamente le altre parti, scorrendo più o meno secondo che si trovano locate più vicine o remote dal mezo. Il quinto particolar accidente dovrà tanto più attentamente da noi esser considerato, quanto che è se non impossibile, almeno difficilissimo, il rappresentarne con esperienza e pratica il suo effetto. E l’accidente è questo. Ne i vasi fatti da noi per arte, e mossi, come le sopranominate barche, or più ed or meno velocemente, l’accelerazione e ritardamento vien sempre partecipato nell’istesso modo da tutto il vaso e da ciascheduna sua parte; sì che mentre, v. g., la barca si raffrena dal moto, non più si ritarda la parte precedente che la sussequente, ma egualmente tutte partecipano del medesimo ritardamento: e l’istesso doviamo intendere dell’accelerazione; sì che contribuendo alla barca nuova causa di maggior velocità, non più si accelerano le parti sue precedenti che le seguenti, ma nell’istesso modo acquista velocità la prora e la poppa: e questo, per esser il vaso fabbricato e contesto di materia solida e dura, non cedente nè flussibile. Ma nei vasi immensi, quali sono i letti lunghissimi dei mari; ben che essi ancora altro non sieno che alcune cavità fatte nella solidità del globo terrestre, tuttavia mirabilmente avviene che gli estremi suoi non unitamente, egualmente e ne gli stessi momenti di tempo accreschino o scemino il lor moto; ma accade che quando l’una delle
18. con esperienze, R, Z. Anche nel passo corrispondente del Dialogo si legge esperienza. — 19. Ne i vasi da noi per arte fatti, R, Z, Am., Ta., P1. Nel Dialogo si legge: fatti da noi per arte. —
[p. 386 modifica]sue estremità si trova aver, in virtù del componimento de i due moti diurno ed annuo, ritardata grandemente la sua velocità, l’altra estremità si ritrovi ancora affetta e congiunta con moto velocissimo. Il che, per più facile intelligenza, dichiareremo ripigliando la figura precedente. Nella quale se intenderemo un tratto di mare esser lungo, v. g., una quarta, quale è l’arco BC, perchè le parti B sono, come di sopra si dichiarò, in moto velocissimo, per l’unione de i due movimenti diurno ed annuo verso la medesima banda, ma la parte C allora si ritrova in moto ritardato e privo della progressione dependente dal movimento diurno; se intenderemo, dico, un sino di mare lungo quanto è l’arco BC, già veggiamo come gli estremi suoi si muovano nell’istesso tempo con molta disegualità. E sommamente differenti sarebbono le velocità d’un tratto di mare lungo mezo cerchio e posto nello stato dell’arco BCD, avvenga che l’estremità B si troverebbe in moto velocissimo, l’altra D sarebbe in moto tardissimo, e le parti di mezo verso C sarebbono in moto mediocre: e secondo che essi tratti di mare saranno più brevi, participeranno meno di questo stravagante accidente, di ritrovarsi in alcune ore del giorno con le parti loro diversamente affette da velocità e tardità di moto. Sì che se, come nel primo caso, veggiamo per esperienza l’accelerazione e ritardamento, ben che participati egualmente da tutte le parti del vaso continente, esser pur cagione all’acqua contenuta di scorrere innanzi ed indietro, che doviamo stimare che accader debbia in un vaso così mirabilmente disposto, che molto disegualmente venga contribuita alle sue parti ritardanza di moto ed accelerazione? Certo che noi dir non possiamo altro, se non che maggiore e più maravigliosa cagione di commozioni nell’acqua e più strane ritrovar si debbano. E ben che impossibil parer possa a molti che in machine vasi artificiali noi possiamo esperimentar gli effetti di un tal accidente, nulladimeno non è del tutto impossibile; ed io ho la construzione di una machina, ed a suo tempo la dichiarerò, nella quale particolarmente si può scorgere gli effetti di queste meravigliose composizioni di movimenti. Ma per quanto appartiene alla presente
6. una quarta in circa quale e, Z, Ta., P1l’arco BC in circa, perchè, R. Anche nel passo corrispondente del Biologo manca in circa. — 21. ben che participato, G, B, P1, P2; ben che partecipata, R, Z, Am., T, Ta. La lezione participati è del cod. H e del Dialogo. — 25. moto e d’accelerazione, R, Z, Am., Ta., P1 — 32-33. gli effetti maravigliosi di queste composizioni, G, P2
[p. 387 modifica]materia, basta quello che ciascheduno sin qui può con l’imaginazione comprendere. Ora passando a essaminare gli accidenti che nei flussi e reflussi dell’acque per esperienza si osservano, prima non deveremo aver difficoltà, d’onde accaggia che nei laghi, stagni ed anco nei piccioli mari non sia notabile flusso e reflusso: il che ha due congruentissime cagioni. L’una è, che, per la brevità del vaso, nell’acquistar egli in diverse ore del giorno diversi gradi di velocità, con pochissima differenza vengono aqquistati da tutte le sue parti, ma tanto le precedenti quanto le sussequenti, cioè le orientali ed occidentali, quasi nell’istesso modo e tempo si accelerano o ritardano; e facendosi, di più, tale alterazione sensim et per gradus, e non con l’opporre un repentino intoppo e ritardamento o una subitanea e grandissima accelerazione al movimento del vaso continente, ed esso e tutte le sue parti vengono egualmente e lentamente impressionandosi dei medesimi gradi di velocità: dalla quale uniformità ne seguita che anco l’acqua contenuta, con poca contumacia e renitenza riceva le medesime impressioni, e per conseguenza molto oscuramente dia segno d’alzarsi o abbassarsi, scorrendo verso questa o verso quella parte. La seconda causa è la reciproca librazione dell’acqua, proveniente dall’impeto concepito dal moto del suo continente, la qual librazione ha, come si è notato, le sue vibrazioni molto frequenti nei vasi piccoli: dal che ne risulta, che risedendo nei movimenti terrestri cagione di contribuire all’acque movimento solo di dodici in dodici ore, poi che una volta sola il giorno sommamente si ritarda e sommamente si accelera il movimento de i vasi continenti, nientedimeno l’altra seconda cagione, dependente dalla gravità dell’acqua, che cerca ridursi all’equilibrio e, secondo la brevità del vaso, ha le sue reciprocazioni di un’ora o di due o di tre etc., questa mescolandosi con la prima, che anco per sè nei vasi piccoli resta piccolissima, la vien del tutto a perturbare e rendere insensibile: imperò che, non si essendo ancor finita d’imprimere la commozione procedente dalla cagione primaria, che ha i periodi di 12 ore, sopraviene, contrariando, l’altra
3. Ora quanto all’esanimare, G — 6-7. congruentissime ragioni, G, B, H; e ragioni si legge pure nel passo corrispondente del Dialogo. - 19. verso questa o verso quella estremità, B, T, P2; verso questa o quella parte corretto in verso questa o quella estremità, G; verso questa o verso l’altra estremità, H. Nel Dialogo si legge conforme al cod. H. — 31. perturbare e manca nei cod. G, B, T, H, P2 e nel Dialogo. — 33. contrariando manca nei cod. G, T —
[p. 388 modifica]secondaria, dependente dal proprio peso dell’acqua, la quale, secondo la cortezza e profondità del vaso, ha il tempo delle sue vibrazioni di 1, 2, 3 o 4 ore etc, e, contrariando alla prima, la perturba e rimuove, non la lasciando giugnere al sommo nè al mezo del suo movimento. E da tal contraposizione resta annichilata in tutto, o molto oscurata, l’evidenza del flusso e reflusso. Lascio stare l’alterazione accidentaria continua dell’aria, la quale, inquietando anco l’acqua, non ci lascierebbe venire in certezza di un piccolissimo ricrescimento o abbassamento di mezo dito o di minor quantità, che potesse realmente riseder nei seni e ricetti d’acque non più lunghi di un grado o due.

Vengo nel secondo luogo a sciorre il dubbio, come non risedendo nel primario principio dei flussi e reflussi cagione di commover l’acque se non di 12 ore in 12 ore, cioè una volta per la somma velocità di moto e l’altra per la massima tardità, nulladimeno apparisca comunemente il periodo dei flussi e reflussi essere di sei ore in sei ore. Al che si risponde, prima, che la determinazione dei periodi che in effetto si fanno, non si può in modo alcuno avere dalla sola primaria cagione; ma vi bisogna inserire la secondaria, che aviamo detto esser quella che depende dalla propria inclinazione dell’acqua, che sollevata una volta verso una delle estremità del vaso, per natura del proprio peso scorre per ridursi all’equilibrio, e fa molte reciprocazioni e librazioni, più e men frequenti secondo la minore o maggiore lunghezza del vaso e la maggiore o minore profondità dell’acqua. Dico secondariamente, il periodo comunemente osservato delle sei ore in sei ore in circa non esser più naturale o principale di alcun altro, ma sì bene esser il più osservato noto e descritto de gli altri, poi che è del Mar Mediterraneo, intorno al quale sono abitati tutti i nostri scrittori antichi e gran parte dei moderni: la lunghezza del qual sino mediterraneo porta le reciprocazioni dependenti dalla causa secondaria di circa sei ore in sei ore; dove che nei liti che terminano dalla parte orientale l’Oceano Etiopico, che si distende sino all’Indie Occidentali, le reciprocazioni sono di 12 ore in 12 ore in circa, come giornalmente si osserva in Lisbona, posta a gli ultimi{{Vp|

2-3. vibrazioni di 2, R, Am., Ta., P1; vibrazioni dal 2, Z. La lezione di 1, 2 è anche del Dialogo; il cod. H legge di 12 13 ore. — 9. dito e di minor, R, Z, Am., B, T, H, P1, P2. La lezione o di minor è, oltre che dei cod. G, Ta., anche del Dialogo. — 22-23. secondo la maggiore o minore profondità dell’acqua, R, Z, P1; secondo la minore o maggiore lunghezza del vaso e della maggiore minore profondità dell’aqqua, G, Am., B, T, Ta., H, P2 — 27. al quale hanno abitato tutti, G — [p. 389 modifica]liti di Spagna, contro la quale il mare, che si distende verso l’Americhe sino al Golfo Messicano, si trova essere il doppio più lungo del tratto mediterraneo dallo stretto di Gibilterra sino alle spiaggie di Siria, cioè quello gradi 120, e questo gradi 56 in circa. L’esser dunque stato creduto, i periodi dei flussi e reflussi esser di sei ore in sei ore, è stato un’ingannevole opinione, la quale ha poi fatto favoleggiare gli scrittori con molte vane fantasie.

Di qui non sarà, nel terzo luogo, difficile l’investigar le ragioni di tante inegualità di periodi che si osservano nei minor mari, come nella Propontide e nell’Ellesponto ed altri, in alcuno dei quali il corso dell’acque si reciproca di tre ore in tre ore, di due in dua, di quattro in quattro etc, con differenze tali che hanno molto travagliato gli osservatori della natura, mentre, ignorandone le vere ragioni, son ricorsi a vane chimere di moti di Luna e di altre fantasie, non gli cadendo mai in mente la considerazione delle diverse lunghezze e profondità dei mari: le quali, come si è detto, hanno tanto potente cagione nel determinare i tempi delle scorse e regressi dell’acque, che quando, essendo prima bene assicurati dell’istorica verità del fatto e di quello che accaggia in diversi mari, si avesse di più le dimostrazioni di quello che far debbono le reciprocazioni dei moti, proporzionatamente alle lunghezze e profondità dei vasi, sarebbe speditissimo e pronto il superar tutte le difficoltà, e massime congiugnendo e contemperando queste ragioni secondarie con la primaria ed universale, dependente dal moto terrestre.

Averemo, nel quarto luogo, molto spedita la ragione, onde avvenga che alcun mare, ben che lunghissimo, quale è il Mar Rosso, nulladimeno è quasi del tutto esente dai flussi e reflussi. La qual cosa accade, perchè la sua lunghezza non si distende dall’oriente verso l’occidente, anzi traversa da sirocco verso maestro: ma essendo i movimenti della Terra da occidente in oriente, gl’impulsi dell’acque vanno sempre a ferire i meridiani, e non si muovono di parallelo in parallelo; onde ai mari che trasversalmente si distendono verso i poli, e per l’altro verso sono angusti, non resta cagione di flussi e reflussi se non per la partecipazione di altro mare col quale communicassero, che fusse soggetto a movimenti grandi.

Intenderemo, nel quinto luogo, molto facilmente la ragione,
1. che si estende, G, Z, B, T, H, P2; che si stende, Am., P1
[p. 390 modifica]perchè i flussi e reflussi sieno massimi, quanto all’alzarsi ed abbassarsi l’acque, ne gli estremi dei golfi, e minimi nelle parti di mezo; poi che l’esperienza ci mostra, come di sopra si è dichiarato, che P acqua nelle sue librazioni nulla si eleva nel mezo del suo vaso continente, e massimamente si alza ed abbassa nell’estremità. Quindi avviene che nell’estremità del golfo Adriatico, cioè intorno a Venezia, i flussi e reflussi fanno comunemente diversità d’altezza di circa a tre braccia; ma nei luoghi del Mediterraneo distanti dalli estremi, tal mutazione è piccolissima, come nell’isole di Corsica e Sardigna, e nella spiaggia di Roma e di Livorno non passa mezo braccio.

Sesto, riducendoci in mente quello che di sopra si è notato e che dall’esperienza ci vien posto avanti a gli occhi, sarà molto in pronto la cagione, onde avvenga che nei mari vastissimi, ben che l’alzamento ed abbassamento dell’acque sia piccolissimo nelle parti di mezo, nulla di meno le correnti dell’acque or verso ponente ed or verso levante vi sono molto grandi: il che procede dalla natura stessa dei libramenti dell’acque, che quanto meno si alzano ed abbassano nelle parti di mezo, tanto maggiormente vi scorrono innanzi ed in dietro, accadendo tutto l’opposito verso l’estremità. In oltre, considerando come la medesima quantità d’acqua mossa, ben che lentamente, per un alveo spazioso, nel dover poi passare per luogo ristretto, per necessità scorre con impeto grande, non aremo difficoltà d’intendere la causa delle smisurate correnti che si fanno nello stretto canale che separa la Sicilia dalla Calabria; poi che tutta l’acqua che dall’ampiezza dell’isola e dal golfo Ionio vien sostenuta nella parte del mare orientale, ben che in quello lentamente descenda verso occidente, tuttavia nel ristringersi nel bosforo tra Scilla e Cariddi fa grandissima agitazione: simile alla quale, e molto maggiore, s’intende esser tra l’Affrica e la grandissima isola di S. Lorenzo, mentre le acque dei due gran mari Indico ed Etiopico, che la mettono in mezo, devono scorrendo ristrignersi in minor canale, tra essa e la costa etiopica. Grandissime ed immense convien che sieno le correnti nello stretto di Magaglianes, che communica gli oceani vastissimi Etiopico e del Sur.

Séguita che, nel settimo luogo, per render ragione di alcuni più reconditi ed inopinabili accidenti che in questa materia si osservano, andiamo facendo un’altra importantissima considerazione sopra le due [p. 391 modifica]principali cagioni dei flussi e reflussi, componendole poi e mescolandole insieme. La prima e più semplice delle quali è la determinata accelerazione e ritardamento delle parti della Terra, dependente dal componimento dei due moti, annuo e diurno; la quale alterazione ha il suo periodo determinatissimo di accelerarsi in un tempo massimamente e di ritardarsi in un altro, e quindi velocemente scorrere verso ’l termine opposto, dispensando in queste mutazioni lo spazio di 24 ore. L’altra cagione è quella che depende dalla propria gravità dell’acqua, che, commossa prima dalla causa primaria, cerca poi di ridursi all’equilibrio con iterate reciprocazioni, le quali non sono determinate da un tempo solo e prefisso, ma hanno tante diversità di tempi quante sono le diverse lunghezze e profondità dei ricetti e seni dei mari; sì che da questo avviene che altri mari, per quanto depende da questo secondo principio, scorrerebbono e ritornerebbono in un’ora, altri in dua, in quattro, sei, in otto, in dieci etc. Ora, se noi comincieremo a congiugner la cagion primaria, che ha stabilmente il suo periodo di scorrere ora per un verso e di lì a ore dodici per l’opposto, con alcuna delle cagioni secondarie che avesse il suo periodo, v. g., di cinque in cinque, accaderà che in alcuni tempi la cagion primaria e la secondaria si accordino a far gl’impulsi amendue verso la medesima parte, ed in questo congiugnimento, e per così dire unanime conspirazione, i flussi saranno grandi: in altri tempi accadendo che l’impulso primario venghi in certo modo a contrariare a quello che porterebbe il periodo secondario, ed in cotal raffronto togliendo l’uno dei principii quello che l’altro ci darebbe, si debiliteranno sommamente i moti dell’acque, e si farà quello stato che vulgarmente si dice esser il mar di fele: ed altre volte, secondo che i medesimi due principii nè del tutto si contrarieranno nè del tutto andranno uniformi, si faranno altre mutazioni circa all’accrescimento o diminuzione dei flussi e reflussi. Può anco accadere che due mari assai grandi e communicanti per qualche angusto canale, si incontrino ad aver, mediante la mistione dei due principii di moto, l’uno causa di flusso nel tempo che l’altro abbia causa di movimento contrario; nel qual caso nel canale dove essi mari communicano, si faranno agitazioni terribili con movimenti
25. in cotale affronto, G, Am.; in cotal raffrontamento, T — 35. comunicano, faranno, G, P2terribili e movimenti, R, Am. Nel Dialogo si legge con movimenti.—
[p. 392 modifica]opposti e vortici e ribollimenti pericolosissimi, de’ quali se ne hanno continue relazioni ed esperienze in fatto. Da tali discordi movimenti, dependenti non solamente dalle diverse positure e lunghezze, ma grandemente ancora dalle diverse profondità dei mari comunicanti, nasceranno in alcuni tempi varie commozioni nell’acque, sregolate ed inosservabili, le ragioni delle quali hanno assai perturbato e tuttavia perturbano i marinari, mentre l’incontrano senza vedere che nè impeto di venti o altra grave alterazione dell’aria ne possa esser cagione. Della qual perturbazione di aria doviamo in altri accidenti far gran conto, e prenderla come terza cagione ed accidentaria, pòtente a grandemente alterare l’osservanza de gli effetti dependenti dalle primarie e più essenziali cagioni. E non è dubbio che continuando a soffiare venti impetuosi, per essempio, da levante, sosterranno le acque, proibendoli il reflusso, onde, sopragiugnendo all’ore determinate la seconda replica, e poi la terza, del flusso, rigonfieranno molto, e così, sostenute per qualche giorno dalla forza del vento, si alzeranno più del solito, facendo straordinarie inondazioni. Doviamo ancora (e sarà come l’ottavo problema) aver avvertenza d’un’altra cagione di movimento, dependente dalla copia grande dell’acque dei fiumi che vanno a scaricarsi nei mari non molto vasti: dove nei canali o bosfori che con tali mari communicano, l’acqua si vede scorrer sempre per l’istesso verso, come accade nel Bosforo Tracio sotto Costantinopoli, dove l’acqua scorre sempre dal Mar Negro verso la Propontide. Imperò che in esso Mar Negro, per la sua brevità, di poca efficacia sono le cause principali del flusso e reflusso; ma all’incontro, scaricandosi in esso molti e grandissimi fiumi, come il Danubio, il Boristene e, per la palude Meotide, la Tana ed altri, nel dover passar e sgorgar tanto profluvio di acque per lo stretto, quivi il corso è assai notabile e sempre verso mezo giorno. Dove di più doviamo avvertire che tale stretto e canale, ben che molto angusto, non è sottoposto alle perturbazioni come lo stretto di Scilla: imperò che quello ha il Mar Negro sopra verso tramontana, e la Propontide e l’Egeo col Mediterraneo postigli, ben che per lungo tratto, verso mezo giorno; ma già, come aviamo notato, i mari quanto si veglino lunghi da tramontana verso mezo giorno, non soggiacciono
31. lo stretto di Sicilia, G, T, Ta. Nel Dialogo si legge lo stretto di Scilla e Cariddi. — 33. col Mediterraneo postogli, R, Z, Am., P1, P2
[p. 393 modifica]ai flussi e reflussi: ma perchè lo stretto di Sicilia è traposto tra le parti del Mediterraneo distese per gran distanze da ponente a levante, cioè secondo la corrente dei flussi e reflussi, però in questo le agitazioni sono molto grandi: e grandissime sarebbono tra le Colonne, quando lo stretto di Gibilterra si aprisse meno; e senza misura riferiscono esser quelle dello stretto di Magaglianes.

Tanto fu, Illustrissimo Signor, quello che io, discorrendo seco, apportai per causa di questi movimenti del mare: pensiero che alternatamente pareva che accordasse la mobilità della Terra col flusso e reflusso, prendendo quella come cagione di questo, e questo come indizio ed argomento di quella. E perchè nel discorso mi sovviene che io gli dissi, che della medesima mobilità, oltre a molti segni che ce ne davano i movimenti de’ corpi celesti, altri ancora ce ne venivano somministrati dalli elementi, cioè dall’acqua e dall’aria, penso che non gli sarà discaro se per sua memoria noterò ancora brevemente quello che pur gli dichiarai per l’altro argomento preso dall’aria.

La qual, come corpo fluido e tenue e non saldamente congiunto con la Terra, pare che non abbi necessità d’obbedire al suo movimento, se non in quanto l’asprezza ed inegualità della superficie terrestre ne rapisce e seco porta una parte a sè contigua; la qual convien credere che di non molto intervallo superi le maggiori altezze delle montagne: la qual porzione d’aria tanto meno dovrà esser repugnante alla conversione terrestre, quanto ella è ripiena di vapori fumi ed essalazioni, materie tutte elementari e per consequenza atte nate per lor natura ai medesimi movimenti terreni. Ma dove mancassero le cause del moto, cioè dove la superficie del globo terrestre avesse grandi spazii piani e meno vi fosse della mistione dei vapori terreni, quivi cesserebbe in parte la causa per la quale l’aria ambiente dovesse totalmente obbedire al rapimento della conversione terrestre: sì che in tali luoghi, mentre che la Terra si volge verso oriente, si deverebbe sentire continuamente un’aura che ci ferisse spirando da levante verso ponente, e tale
1. Tutti i codici leggono lo stretto di Sicilia; e tale è la lezione altresì del Dialogo. — 13-14. altri ancora ce ne davano gli elementari, cioè l’aqqua e l’aria G — 14. somministrati da gli elementari, cioè, B, P2 — 20. superficie terrena, R. Nel passo corrispondente del Dialogo si legge terrestre — 21. a sè congiunta, R, Z, P1. Nel Dialogo si legge contigua. — 27. dove manca nei cod. R, Am.; si legge invece anche nel passo corrispondente del Dialogo. — terrestre manca nei cod. G, T. —
[p. 394 modifica]spiramento dovrebbe farsi più manifesto dove la vertigine terrestre fosse più veloce; il che sarebbe nei luoghi più remoti dai poli e vicini al cerchio massimo della diurna conversione. Ma già pare che de facto l’esperienza applauda molto a questo filosofico discorso: poi che ne gli ampli mari e nelle lor parti lontane da terra e sottoposte alla zona torrida, cioè comprese fra i tropici, si sente una perpetua aura movere da oriente, con tenor tanto constante, che le navi mercè di quella facile e prosperamente se ne vanno all’Indie Occidentali, e dalle medesime, sciogliendo dai lidi messicani, solcano con l’istesso favore il Mar Pacifico verso l’Indie a noi orientali, ma a loro occidentali; dove che, per l’opposito, le navigazioni verso oriente son difficili ed incerte, nè si possono in maniera alcuna fare per le medesime strade, ma bisogna costeggiare più verso terra, per trovare altri venti, per così dire, accidentarii e tumultuarii, cagionati da altri principii, sì come noi abitanti tra terra ferma continuamente sentiamo per prova: delle quali generazioni di venti molte e diverse son le cause, che al presente non accade produrre; e questi venti accidentarii son quelli che indifferentemente spirano da tutte le parti della Terra, e che perturbano i mari più angusti e rinchiusi tra i continenti, servendo alle navigazioni che si fanno per quelli. E ben che nei mari remoti dall’equinoziale e circondati dalla superficie aspra della Terra, che tanto è quanto a dire sottoposti a quelle perturbazioni d’aria che confondono quella primaria espirazione, la quale, quando mancassero questi impedimenti accidentarii, si deverebbe perpetuamente sentire; ben che, dico, in questi nostri mari paia che indifferentemente le navigazioni si faccino egualmente tanto verso levante quanto verso ponente, tuttavia chi ponesse diligente cura troverebbe che in generale le navigazioni verso occidente riescono assai più facili e brevi: ed io so che in Venezia tra i mercanti, dove si tien diligente registro de i giorni della partita e dell’arrivo delle navi per Alessandria e per Scria, fatta ragione in capo di uno o di più anni, i tempi delle tornate son meglio di 25 per cento più brevi che quelli delle andate; segno manifesto che sottosopra i venti orientali prevagliono continuamente a gli occidentali. L’esser dunque intorno al globo terrestre, e massimamente verso l’equinoziale e dove la superficie è eguale, quale è quella dell’acqua, una perpetua espirazione di aura da oriente, pare che non meno probabilmente concordi con la mobilità della Terra [p. 395 modifica]di quello che si faccino i tanti accidenti del flusso e reflusso del mare, e massime se chiameremo in comparazione le vanità prodotte sin qui da gli altri autori per render ragione di questi medesimi effetti.

Molte altre considerazioni potrei proporre se io volessi descendere a più minuti particolari, e molte e molte più se ne addurrebbono quando noi avessimo una copiosa distinta e veridica istoria di osservazioni fatte da uomini periti e diligenti in diversi luoghi della Terra; dalle conferenze e rincontri delle quali con l’ipotesi assunta potremmo più resolutamente determinare e fondatamente stabilire sopra questa tanto oscura materia. Della quale io per ora pretendo di aver solamente dato una qualunque si sia abbozzatura, atta, se non altro, a eccitare gli studiosi delle cose naturali a far per l’avvenire qualche reflessione sopra questo mio nuovo pensiero; quando però ei non si rappresenti e manifestamente si scuopra per tanto vano, che a guisa di un sogno seco porti una breve imagine di vero con una immediata certezza di falsità: il che rimetto al giudizio de gli accorti specolatori.

E finalmente, per ultima conclusione e sigillo di questo mio breve Discorso, quando l’ipotesi presa, e corroborata per l’addietro solo da ragioni ed osservazioni filosofiche ed astronomiche, fosse, in virtù di più eminente cognizione, dichiarata fallace ed erronea, converrebbe altresì non solamente revocar in dubbio questo che ho scritto, ma reputarlo del tutto vano e fuori di proposito; e per quanto appartiene alle quistioni proposte, dovremmo o restar con desiderio che i medesimi che avessero mostrata la fallacia de’ discorsi ne arreccassero le proprie e vere ragioni, o pur reputare queste essere di quelle cognizioni che Iddio benedetto ha voluto ascondere a gli umani intelletti, o finalmente, con miglior consiglio, rimuoverci da queste ed altre vane curiosità, le quali ci consumano gran parte di quel tempo che assai più utilmente potremmo o dovremmo impiegare in studii più saluti feri. E qui, baciandogli riverentemente la vesta, umilmente me gli raccomando in grazia.

Scritta in Roma, dal Giardino de’ Medici, li 8 di Gennaio 1616.
3. altri scrittori, G, Z, P1 — 23. dovremo, R, A, Am., T, Ta., H, P1, P2 — 25. queste cose esser, Gr, P2 — 29. potremo e dovremo, R, Z, Am., Ta., P1, H — 32. Scritta... 1616 manca nel cod. P2; Scritta manca nei cod. Z. P1; Scritto, T — li 5 di Gennaio, Am. — 1616 al Romano, T — 1616 da Galileo Galilei [Galilei manca in H], filosofo e matematico primario del Serenissimo Gran Duca di Toscana, B, H — Nel cod. A dopo 1616 si legge, d’altra mano e d’altro inchiostro e in un’altra linea, a modo di firma, Galileo Galilei fiorentino.



Note

  1. Lettera di Cosmo II ad Alessandro Orsini, del 28 novembre 1615, nell’Archivio di Stato Fiorentino, Filza Medicea 87, car. 284. Cfr. A. Wolynski, La diplomazia toscana e Galileo Galilei, Firenze, 1874, pag. 19.
  2. Cfr. pag. 266 di questo volume.
  3. Lettera di Galileo a Curzio Picchena, in data di Roma, 6 febbraio 1616, nei Mss. Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, Par. I, T. IV, car. 63.
  4. Lettera di Galileo a Curzio Picchena, in data di Roma, 20 febbraio 1616, nei Mss. Galileiani, Tomo cit., car. 65.
  5. Cfr. pag. 377-378 di questo volume.
  6. Cfr. pag. 266 e 277 di questo volume.
  7. Ci limitiamo a citare corno prova della diffusione che ricevette il Discorso, oltre alle numerose copie manoscritte, la traduzione latina fatta da Niccolò Aggiunti, che si legge nel T. IV della Par. IV dei Mss. Galileiani (car. 68r. — 82r.); le opposizioni di Alessandro Padoani, che, con la data «Di Forlì, li 15 di Febbraro 1618», si trovano in questo medesimo T. IV (car. 82br. — lOOt.); e un Breve ristretto del pensiero del Sig.r Galileo Galilei, primo Filosofo del Serenissimo Gran Duca di Toscana, intorno al flusso et reflusso del mare. All’Illustrissimo et Eccellentissimo Sig.r Conte di Nauvilles (sic), Ambasciator in Roma per Sua Maestà Christianissima, che è, di mano del sec. XVII, a car. 241r. — 246t. del cod. Casanatense 675. Invece nessuna menzione del Discorso rimane nelle tre lettere del Card. Orsini a Galileo che giunsero fino a noi (Mss. Galileiani, Par. I, T. XIV, car. 116, 133 e 158; con le date 26 giugno 1616, 12 gennaio 1618, 19 luglio 1619), nè nell’Archivio della famiglia Orsini in Roma, che abbiamo diligentemente consultato.
  8. Dobbiamo fare una speciale menzione del cod. A, perchè leggendovisi, dopo le ultime parole del Discorso, d’altra mano, d’altro inchiostro e in linea separata, a modo di firma, le parole «Galileo Galilei fiorentino», fu creduto che questa fosse la firma autografa del Nostro; così pure si giudicò di mano di Galileo la parola «ne», che è scritta sul margine della pag. 15, come correzione della parola «ma», che si legge nel testo ed è un manifesto errore dell’amanuense (vedi pag. 385, lin. 12, di questo volume: «nè però restano»): e, in vista di quella firma e di questa correzione, si attribuì una singolare importanza al codice, anche nel rispetto del testo (Cfr. il n° 154 nella Biblioteca Manzoniana. Catalogo ragionato dei manoscritti appartenuti al fu Conte Giacomo Manzoni, redatto da Annibale Tenneroni. Quarta parte, con dodici facsimili. Città di Castello, 1894.). Ora, per quanto la diuturna pratica del carattere di Galileo ci permette di giudicare, noi siamo convinti che quelle parole «Galileo Galilei fiorentino» (delle due lettere «ne» poco si può dire) non siano di mano del Nostro, bensì chi le ha scritte ne abbia imitato non troppo felicemente la scrittura: ad ogni modo poi, tanti e sì gravi errori s’incontrano, non corretti, in questo codice, che il suo pregio, quanto al testo, è di molto inferiore a quello d’altri manoscritti, nè si può credere che Galileo rivedesse siffatta copia, lasciando passare inosservati dei passi che non danno senso. Basti citare, come esempio, alcune lezioni del codice: pag. 377, lin. 19-21, «La qual cosa poi che non ci vien porta... dalla ragione addotti sin qui»; pag. 378, lin. 12-13, «senza alcuna altra attione di esso elemento» e, lin. 25, «Faremo dunque nel nostro discorso» (manca principio) e, lin. 33, «verso la medesima declività» (manca parte della) e, lin. 34, «indietro, con tal ragione» ; pag. 379, lin. 19, «verso la prima inclinata» e, lin. 23-24, «in tanto non è in un vaso»; pag. 380, lin. 28-29, «poppa: e quanto più manifestamente»; pag. 382, lin. 4-5, «in tempi eguali della circonferenza» (manca parti eguali); pag. 384, lin. 33, «verso quella estremità» (manca questa e); pag. 385, lin. 22, «e di ciascheduna»; pag. 386, lin. 22, «esser più cagione»; pag. 388, lin. 2-3, «vibrazioni dal 2, 3 o 4 ore» e, lin. 24, «dalle sei ore»; pag. 389, lin. 18, «dall’istorica»; pag. 390, lin. 27, e pag. 392, lin. 21, «borforo» e «borfori»; pag. 392, lin. 13, «a soffrire venti»; pag. 394, lin. 2, «ne i moti più remoti»; pag. 395, lin. 2, «s’in qui» e, lin. 8, «delle conferenze e rincontri», ecc. Nel cod. A si trovano poi, senza che siano state corrette, forme come longo, duoi, notarò, cessarebbe, ecc.
  9. Una particolarità singolarissima del cod. P2 è che dopo le parole «necessità d’obbedire» (pag. 393, lin. 19) continua con le parole «dell’arrivo delle navi» (pag. 394, lin. 30), omettendo tutto il tratto intermedio; probabilmente perchè l’amanuense tralasciò di copiare una o più carte del codice da cui trascriveva. — Sebbene i codici del Discorso non si possano, come abbiam detto, distinguere in più famiglie, tuttavia dimostrano più strette relazioni tra di loro, così da formare un gruppo, i cod. G, B, T, H, P2, e soprattutto G e P2. Un altro gruppo è formato dai cod. Z, Am., Ta., P1, e specialmente da Z e P1.
  10. Soprattutto con l’aiuto del cod. G abbiamo riparato a poche omissioni del cod. R, le quali notiamo appiè di pagina. Abbiamo poi corretto, senza registrarle volta per volta, alcune forme che s’incontrano, ma di rado, in R: p. e., longa, trapassarà, medemo, duoi, Elesponto, dodeci per dodici, de per di, essente per esente, ecc.
  11. Dialogo di Galileo Galilei ecc. dove ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, Tolemaico e Copernicano ecc. In Fiorenza, per Gio. Batista Landini, MDCXXXII. Cfr. specialmente pag. 421 e seg. del Dialogo con
  12. pag. 383 (a partire da lin. 32) e seg. del presente volume. Tra i passi nei quali ci è stato utile il confronto con la lezione del Dialogo, notiamo quello a pag. 388, lin. 22-23, dove abbiamo corretto le lezioni diverse dei codici del Discorso (che sono registrate appiè di pagina), secondo richiede la ragione logica e suggerisce il luogo corrispondente del Dialogo, pag. 426: «Al che si risponde, che tale determinazione non si può in verun modo avere dalla cagion primaria solamente; ma vi bisogna inserire le secondarie, cioè la lunghezza maggiore o minore de i vasi e la maggiore o minor profondità dell’acque in essi contenute».
  13. Quando più codici concordavano in una variante, salvo leggiere diversità grafiche, ci siamo attenuti, per brevità, alla norma seguita altre volte e indicata a pag. 269, nota 4, di questo volume.
  14. Il cod. Riccardiano 3805 è affine specialmente al cod. R, e il Pavese al cod. G.