Leonardo da Vinci/Capitolo 3 - Disegnatore. Ingegno versatile
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CAPITOLO III.
Disegnatore. — Ingegno versatile.
Nei disegno pose tal cura, che sembra impossibile che potesse far tanto; ma il tempo non manca mai a chi sa impiegarlo. I volumi suoi a Milano, a Londra, a Firenze, racchiudono una immensa quantità di studi d’ogni genere. Comincia dal feto e prosegue tutta l’anatomia interna ed esterna, con tanta diligenza; come se avesse disegnato tavole per Heistero, per Hunter, per Morgagni o Spallanzani. Il celebre Giambattista Porta, non abbastanza studiato dalla gioventù, non analizzò con più acutezza di mente e con più profonda scienza la forma e la costruzione del corpo umano, il meccanismo dei suoi movimenti e la sua analogia sorprendente con un grande numero di animali. Inoltre Leonardo studiava gli animali e segnatamente i cavalli, di cui era amantissimo. Fece migliaja di caricature imitate dal vero, la cui scelta mostrava quanto egli fosse osservatore anche delle forme più bizzarre, perchè tutte aventi una espressione, indicando il carattere, le inclinazioni, le passioni che alle volte la capricciosa natura informa in quei ridicoli e quasi storpi corpi. La prontezza, la facilità, la versatilità della matita del nostro immaginoso ed universale pittore erano maravigliose. Egli riusciva anco nel fantastico. In questo genere di composizione mostrò come il mondo fantastico sfugge alle leggi della pittura ordinaria. Egli non ha nè luna, nè sole, nè prospettiva, nè scala di colori; egli corre come un pianeta sviato nella regione dei fenomeni e delle meteore. Ma non è concesso che ai genii poetici d’intravederlo e di scrutarlo; — quindi, personaggi chimerici, diavoli, esseri strani, metà reali e metà magici, frammischiati di verità e di sogni; stile delle tavole shakespeariane. Le immaginazioni poetiche, che dar sanno agli spiriti un corpo, e ad ogni corpo uno spirito, vivono d’ordinario nelle brevi ore del loro delirio, abitatori di un mondo che non esiste, e fingon del pari, e con passione eguale, una silfide amante, un’ondina, una salamandra, o altro spirito elementare, od un fiore, un albero o qualunque siasi pianta. Sopra queste idee fantastiche si basarono la matita ed il bulino di Leonardo: ciò che poi fecero, imitandolo, Salvatore Rosa, Callot, Fuseli, e parecchi altri.[1]
Il Vinci trattò magistralmente tutti i generi della pittura, tutti i caratteri, da Apelle al Callota, ciò che provano i suoi quadri a olio ed i suoi affreschi; applicossi anche a dipingere rabeschi, fiori, frutta, erbe, in modo diligentissimo ed assai vago. Trattò tutte le parti dell’arte e in tutte riuscì. Insomma, ogni ragion di cosa disegnava, imitava, e, ponderando, faceva servire alle idee sue, le quali sempre furono grandi, nuove, ardite ed utili.
Dotto matematico ed ingegnoso meccanico, fece macchine per artiglierie, per chiese, e saracinesche, opere idrauliche, armi, ed armi antiche adattate all’uso moderno. Perfino tentò il volo; fece correre davanti a Lodovico XII re di Francia un leone con macchine che gli aprivano il petto per dischiudere i gigli di Francia: omaggio a questo principe, il quale ne fu soddisfattissimo. — Dicesi pure che Leonardo, accompagnando da Firenze a Roma il duca Giuliano de’ Medici, facesse per suo diletto delle figure che s’innalzavano da loro stesse, e dopo si posavano a terra. Poteva questa invenzione motivare quella dei palloni aereostatici. L’ingegno matematico-meccanico del Vinci uguagliava il suo ingegno artistico-poetico. [2]
Egli, in Milano, mostrò di essere un profondo ingegnere, nel condurre in questa città le acque dell’Adda col mezzo di un canale di una esecuzione difficilissima, a segno, che sino allora si era creduta impraticabile. Tutti gli ostacoli cedettero alla portentosa mano di Leonardo, e le acque attraversarono le valli e i monti. — Egli operò l’unione dei navigli dell’Adda e del Ticino, imaginò le conche e le cateratte che vediamo in opera sul Naviglio, incominciando da Pavia sino a Milano, e più oltre, mercè le quali venne attivata la navigazione da Milano al Ticino, ad onta di un disparatissimo livello di terreno, trasportandosi l’acqua dall’alto in basso, e viceversa. Stupenda opera idraulica. [3]
Leonardo fuse bronzi, animò tavole e pareti; riusci nella plastica, modellando egregiamente in creta ed in cera; fu lodevole scultore ed architetto, e perfezionò l’arte della prospettiva; ingegnosissima ed utilissima fu la sua invenzione della camera ottica, origine dell’odierna fotografia, ch’egli predisse mercè l’effetto che produceva codesto suo ritrovato che appellò: Camera ottica oscura. [4]
Il gruppo dei cavalieri che combattono una bandiera parve un miracolo dell’arte, e fu lo studio dei primi artefici.
Per commissione del duca Lodovico Sforza, detto il Moro, Leonardo intraprese pure l’esecuzione di un grande colosso equestre rappresentante il duca Francesco Sforza, colosso che venne distrutto dai Francesi condotti da Luigi XIII re di Francia, nella sua meritata sciagurata campagna d’Italia, in cui il suo grande esercito fu battuto a Seminara ed a Cerignole, — ed in ultimo, perduta la battaglia a Novara, fu obbligato ad abbandonare precipitosamente l’Italia. (7)
Come abbiamo notato, era Leonardo uno di quei genii arditi che di nulla si sbigottiscono, perchè nulla ad essi sembra nuovo, e che in qualche modo nascono con le cognizioni, diremmo, che gl’ingegni mediocri acquistare non ponno senza una lunga ed ostinata fatica. Le arti, le lettere e le scienze erano famigliari a questo grand’uomo; direbbesi alcune volte, tanto era la sua percezione e la rapidità del suo sguardo d’Aquila, ch’egli le indovinava. Egli è dunque, per la forza dell’immaginativa, che le cose s’inventano, e che trovansi le cose nascoste; quindi lo studio deve essere di ajuto nelle ricerche; — l’azione dell’immaginazione produce le visioni.
Note
- ↑ [p. 50 modifica]Ciò rammenta le novelle fantastiche degli Alemanni, degl’Inglesi ed ultimamente degli Americani, e sopratutto il Genio di Socrate, e le Visioni del Tasso.
A tale proposito, ne piace di qui discorrere della vivace, ardente e possente fantasia di un pittore inglese chiamato Blake, [p. 51 modifica]la cui biografia fu pubblicata perciò in una enciclopedia di cui ebbi l’onore di essere uno de’ collaboratori, descrivendo gli uomini e le cose risguardanti la Francia e l’Italia (1832). Con questa mia versione dall’inglese, del frammento in cui è descritta l’azione veramente straordinaria dell’immaginazione del Blake, accenniamo anche ai fisiologi un curioso ed interessante fenomeno.
Sarebbe d’uopo di volumi se si volesse raccogliere tutte le conversazioni in prosa che Blake ebbe con i demonii, e quelle ch’ebbe in versi cogli angioli. Egli in buona fede credeva alla realtà di queste visioni; di più il suo entusiasmo era sì contagioso, che persone di buon senso e d’ingegno, udendolo parlare con calore e convinzione, scuotevano il capo, e figuravansi che Blake era un uomo straordinario, e che qualche cosa di vero eravi in ciò che diceva.
Uno dei suoi colleghi alquanto rinomato, sovente l’impiegava a disegnare i ritratti di coloro che Blake vedeva nelle sue visioni. Il momento più favorevole a queste visite di angioli era dalle nove ore della sera alle cinque del mattino, e questi immaginarli modelli erano sì docili alle sedute, che lo facevano al minimo desiderio dei suoi amici. Però succedeva di quando in quando, che l’ombra che voleva dipingere facevasi aspettare lungo tempo; — egli allora se ne rimaneva pazientemente seduto, davanti la sua carta, colla matita alla mano, e gli occhi vaganti nello spazio. Ad un tratto incominciava la visione; egli si accingeva all’opera come se fosse invaso dallo spirito.
Il di lui confratello gli ordinò il ritratto di sir William Wallace; Blake ne fu incantato, perchè ammirava questo eroe. — William Wallace! egli sclamò, lo veggo in questo momento là, là! Quanto egli ha l’aria nobile! Recami le mie matite! — Dopo avere qualche tempo lavorato con la mano e con l’occhio, con tanta attenzione come se lo stesso modello gli fosse innanzi, Blake si fermò ad un tratto dicendo: — Non posso terminarlo! Il re Edoardo I viene a porsi fra lui e me. — ‘Per mia fe’, questa è una fortuna, disse l’amico, poichè abbisogno pure del ritratto di Edoardo. — Blake prese un altro foglio di carta, e schizzò i lineamenti di Plantagenet; dopochè, Sua Maestà sparì gentilmente, lasciando l’artista terminare la testa di Wallace. — Ditemi, vi prego, signore, chiese un gentiluomo che udiva l’amico di Blake raccontare questa storia, sir William Wallace aveva egli veramente l’aria di un eroe? ed il re Edoardo quale specie di uomo era egli? — Signore, rispose l’amico, voi li vedete inquadrati ed appesi [p. 52 modifica]a quel muro in fondo, siatene giudice voi stesso. — Vidi in effetto, racconta l’incognito, due teste di guerrieri grandi al vero. Quella di Wallace era nobile e marziale, — quella di Edoardo dura e crudele. La prima era di un Dio, e l’altra di un Diavolo.
L’amico che ci ha procurato questi aneddoti, vedendo l’interesse che vi prendevo, mi disse: — Molte ne so intorno a Blake; fui suo camerata durante nove anni. Alcune volte rimasi presso di lui, dalle dieci ore di sera sino alle tre del mattino, talora assopito e talora svegliato; ma Blake non dormiva mai. La carta e la matita alla mano, aspettava, e mi disegnava i ritratti dì coloro che più desideravo. Vi mostrerò parecchi suoi lavori. — Prese un grande portafoglio pieno di disegni, l’aprì, e continuò: — Osservate lo slancio poetico di cui brilla questo viso; gli è Pindaro vincitore ai giuochi olimpici. Questa incantevole testa è quella di Corinna che ottiene il premio della poesia ai medesimi giuochi. Questa cortigiana che vedete, è odiata con tutta l’impudenza che caratterizza il suo mestiere. Ella venne a situarsi fra Blake e Corinna, ed egli fu obbligato di fare il di lei ritratto, onde sbarazzarsene. E quest’altra testa di genere diverso, sapete chi è? — Di qualche furfante, senza dubbio! — Precisamente, ed ecco una grande prova dell’esattezza di Blake. Gli è la testa di uno scellerato. Tale è quest’altra, potete voi immaginarlo? — Probabilmente nulla di buono. — Avete ragione, poichè dessa è il demonio; rassomiglia, in modo che colpisce, a due uomini che mi asterrò di nominare. La prima è un grande avvocato, e l’altra.... Vorrei nominarlo. Gli è un fabbricante di falsi testimoni. — Ed ora, questa testa? — Ella parla da sè stessa. Gli è quella di Erode. Come rassomiglia a quella di uno dei primi uffiziali dell’esercito! — Chiuse il suo libro, e, prendendo un piccolo quadro da uno scaffale particolare: — Eccovi tutto ciò che vi mostrerò, disse egli, ma è il più curioso. Rimarcate la ricchezza del colorito, ed il carattere originale del soggetto. — Vedo, gli dissi, una figura nuda, un corpo pieno di vigore ed un collo cortissimo; — occhi ardenti che chiedono lagrime, ed un viso degno di un assassino; tiene una coppa di sangue in cui sembra bramar dissetarsi. — Non vidi mai nulla di più strano, e gli è la prima volta che vedo un colorito sì ricco e sì curioso; gli è una specie di verde brillante e di oro scuro ricoperti da una magnifica vernice; ma vi prego caldamente di dirmi che è questo. — Gli è un’ombra; l’ombra di una pulce, — di una pulce spiritualizzata. Blake mi disse averla veduta altra [p. 53 modifica]volta in una visione. Vi dirò tutto ciò che ne so. Passai una sera da Blake, ed il trovai più animato del consueto. Mi disse avere veduto una cosa sorprendente, — l’ombra di una pulce! Potreste voi disegnarla? gli domandai. Veramente no, riprese egli; vorrei averlo già fatto, ma lo farò se dessa ricomparirà. Gettò uno sguardo inquieto verso un canto della stanza, dicendo: Eccola, datemi l’occorrente, non voglio perderla di vista. Il fantasma si avvicina, la lingua alterata lambe le sue labbra; tiene in mano una coppa, onde raccoglie il sangue. Gli è coperta di una pelle di scaglie d’oro e verdi. — Il suo disegno era conforme alla sua descrizione.
Questi racconti sono appena credibili, però la loro autenticità non è dubbia. Un altro amico, la cui sincerità è per me del più gran valore, si recò una sera da Blake e trovollo occupato a disegnare un ritratto, con tutta l’apparenza di un uomo importunato di dover dipingere un modello difficile. Guardava, e disegnava, disegnava, ma niun essere vivente vedevasi nella sala. Non mi disturbate diss’egli con voce bassa, un tale è in seduta. — In seduta, rispose il visitatore, ov’è egli, chi è desso? Nulla veggo. — Ma lo veggo io, signore, rispose Blake sorridendo; eccolo, il suo nome è Loth. Voi avete letto la sua avventura nella Bibbia. Egli è in seduta pel suo ritratto... (Fin qui il biografo inglese).
Potrebbesi caratterizzare di fantastico, il colorito di Rembrandt. Le sue ombre sembrano scaldate al bitume; il fisico delle sue figure, abbenchè robusto, forte, ed avente alcunchè di pesante, non hanno perciò meno anima. Questi personaggi sono disegnati e coloriti con una energia, un’arditezza ed una facilità che colpiscono; hanno del sovrumano. Per lo più agiscono in località di un’ardente oscurità, e presentano contrasti di grande effetto, i quali scuotono come quelli dei Caravaggio, del Calabrese, di Salvator Rosa, dello Spagnoletto. L’impasto de’ colori del Rembrandt è più immaginoso che ricercante i veri colori degli oggetti. Il suo fare è quello di un pittore che ha per iscopo di presentare eccentricità, più che verità, perchè quelle colpiscono e sorprendono di più. I dipinti di questi artisti hanno del magico; è lo stile delle leggende nordiche, e di tutte le fantasticherie degli scrittori d’oltremonte: tra’ quali distinguonsi Hoffmann, Dickens e vari altri, loro imitatori i Francesi. - ↑ [p. 53 modifica]Lo studio delle matematiche illumina la mente e la sviluppa. Fra tutte le scienze che parlano alla ragione, gli elementi [p. 54 modifica]delle matematiche, esposti convenevolmente e con chiarezza, ponno essere agevolmente capiti dalla generalità, e penetrare facilmente nell’intelletto. Dessi danno ordine, rettitudine e precisione alle idee. Esercitandoli, tutto si misura, si paragona, si analizza, si apprezza, tutto si fa con giusta proporzione, esattezza, e riesce chiaro, semplice, intelligibile e sicuro. Tutte le verità, tutti i fatti, sono immediatamente dimostrati e provati, o non lo sono. Si può considerare la geometria come l’A B C delle matematiche, ed i nostri sensi sono, in geometria, i nostri primi maestri, ed hanno sempre una grande autorità in tutto il nostro ragionare. Le matematiche sono adattatissime a dare consistenza alle nostre idee ed a mantenerle nella sola via che devono percorrere esponendo e spiegando il solo oggetto che ci occupa, e ciò, costantemente senza mai confonderlo con altri, e così deviare e diminuire l’attenzione di coloro ai quali dirigiamo il nostro discorso, o le nostre operazioni. Da ciò s’impara la più eccellente di tutte le dialettiche, la stessa dialettica messa in opera. La miglior via onde imparare a ragionare, è di sempre ragionare con esattezza, come si fa in geometria. Operando matematicamente, si va al sicuro, al positivo, a ciò che veramente è. La scienza delle matematiche non dipende assolutamente nè dalle convinzioni degli uomini, nè dai loro pregiudizi, di qualunque natura sieno; con questa scienza si determinano i rapporti di tutti gli esseri che ne sono sensibili; ella è scienza infallibile. Perciò vediamo gli antichi artefici porvi un grande studio, studio utilissimo a cui furono debitori del loro perfezionamento, e delle molte e varie cognizioni che li resero quasi enciclopedici nelle arti e nelle scienze. Forse potrebbesi raccomandare in alcuni collegi lo studio degli elementi delle matematiche, e considerarlo come un ramo dell’insegnamento generale, e ciò per le ragioni anzidette. Si può dire della scienza delle matematiche, quello che un pensatore francese disse della scienza in generale, cioè: la science est l’æil et la lumière, qui font discerner avec justesse et clareté tous les objets au milieu desquels on se meut. (Volney).
La scienza consiste nella cognizione di moltissime cose utili, o piacevoli, o curiose. Tutto, nella natura, merita osservazione e studio. - ↑ [p. 54 modifica]Girodet, esaminando in tutto Leonardo, cita i suoi lavori dell’Adda: «Que dirons-nous enfin du précurseur du divin Raphaël, de cet immortel Léonard, que la nature avait également doué de la grace qu’il savait allier au grandiose de Michel-Ange, [p. 55 modifica]sans en avoir l’austérité barbare; dont le génie investigateur, trop vaste pour se renfermer dans les limites de l’art de peindre, s’élance dans les abstractions des théories les plus trascendantes; tantôt lisant dans les cieux plus loin même que les savants de son siècle, et y signalant des astres inconnus avant lui; tantôt forçant les flots désordonnés de l’Adda de restituer leurs usurpations, de se renfermer, dorénavant plus sages, dans le lit qu’il leur avait creusé, et de ne plus couler désormais que pour la salubrité et l’ornement de sa patrie? Et c’était ce même homme qui, favori de Polymnie, de Terpsichore et d’Uranie, avait, nouveau Mercure, créé une lyre nouvelle, et reçu du dieu des vers la révélation de ses secrets!
«En nous élevant par la pensée à la hauteur de ces hommes sublimes, ne nous semble-t-il pas voir dominer au-dessus de nos têtes, les géants des premiers àges du monde?» - ↑ [p. 55 modifica]Ad un dettato del signor P. Lanzi (1841), intorno alla Storia degli Italiani che precedettero la scoperta di Daguerre, togliamo i seguenti cenni:
« Noi lamentiamo continuamente la sfortuna di vederci rapito il vanto delle scoperte, quando ne abbiamo primi trovato i germi. Abbenchè assai frequente sia fra noi così fatta doglianza, non si potrebbe dirla però sempre giusta, quando si pensi che il merito di un trovato sta forse meno talvolta nel vedere il primo lampo d’una verità e lasciarla negletta, che nel perseguirla, raggiungerla e svilupparla compiutamente; nel che senza dubbio è riposto l’utile che ne deriva alla società.
» Gli avanzamenti delle scienze e delle arti, come di tutte le cose, procedono da rigoroso progressivo metodo d’osservazione, che esamina i fatti, li coordina, li paragona, e sulla loro conoscenza e su i confronti delle loro relazioni, si eleva a generali principii, indaga e scopre le leggi fondamentali che insieme li comprendono e li rannodano, e deduce poi quelle sì vaste e quasi non credibili applicazioni di cui tanto si gloriano i nostri tempi. È di tal modo che la teoria tende alla pratica; è in tale filosofico procedimento che è racchiuso il segreto del rapido ed incessante progresso a cui muovono ogni dì più le arti e le scienze. Le quali, chiamando a nuovo esame i fatti e le osservazioni de’ nostri padri, fecondano colla luce di tante recenti dottrine i primi germi delle antiche scoperte, cui l’incompleto ordinamento delle scientifiche discipline aveva resi inutili e dimenticati.
[p. 56 modifica]» Così avvenne di quel prodigioso trovato che levò a tanta fama il nome del francese Daguerre. Da quasi due secoli era già stata conosciuta in Italia la potenza chimica della luce sovra alcune sostanze, ed eransi fatti non inutili tentativi per valersi dei raggi solari nelle arti del disegno. Ma in quell’età la scienza chimica ed ottica non erano distenebrate come al presente da tante luminose teorie; in quell’età nè conoscevasi la natura dei metalloidi, nè fra questi immaginavasi l’esistenza dell’iodio; in quell’età, le leggi delle chimiche combinazioni e decomposizioni a cui oggidì son dovuti i miracoli di Daguerre, non erano pur sospettate. » E fu appunto in quel secolo che diede alle scienze un’epoca sì tenebrosa, fu nel secolo XVI, che il nostro italiano Giovanni Battista Della Porta, fondatore in Napoli dell’Accademia dei Segreti e della scienza fisionomica, inventò la famosa Camera oscura; ingegnosissimo ritrovato in cui allora niuno avrebbe pensato che stessero le basi di una delle più sublimi scoperte, che doveva empire il nostro secolo di meraviglia. Fu egli il primo che raccogliendo i raggi riflessi dagli oggetti in una cassetta armata di lente convessa mostrò che se ne dipingevano le immagini sopra un vetro appannato. » Emulo quasi di Della-Porta, un altro italiano, Marco Antonio Cellio, fu il primo che in Parma, al cospetto dell’illustre Accademia fisico-matematica dei Lincei, nel dì 4 agosto del 1686 fece solenni esperimenti a comprovare un nuovo suo metodo di trar disegni dai raggi solari, e primo il Cellio pubblicava poco dopo una breve Memoria intitolata: Descrizione di un nuovo modo di trasportare qual siasi figura disegnata in carta, mediante i raggi riflessi solari in un altro foglio di carta da chi che sia benchè non sappia di disegno, inventato da Marco Antonio Cellio e dimostrato nell’Accademia fisico-matematica romana, tenuta il 4 agosto 1686. » Fu Cellio che applicò la Camera oscura a questo ramo dell’arte pittorica, e il metodo del Cellio, e il suo strumento rendono bensì l’abbozzo delle immagini, ma però talmente imperfette ne’ loro contorni, che è mestieri che dappoi si ritocchino da chi è pratico dell’arti del disegno. » Fu un italiano, il professore Moricchini, che scoprì nel raggio violetto la potenza di magnetizzare il ferro; scoperta importante, e che i fisici sanno quanto proficua dovesse riuscire a Daguerre, per calcolare colla maggiore esattezza la forza della luce.
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