Lettere volgari/Lettera IX

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A Maestro Zanobi da Strada

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(MESSER GIOVANNI DA CERTALDO)

A MAESTRO ZANOBI DA STRADA


ALL’AMICO L’AMICO



Quanto pio, e quanto santo, e quanto venerabile il nome sia dell’amicizia chi può mai degnamente spiegarlo? Non io, quand’anche
          Dato mi avesse cento bocche Iddio
               Con cento lingue, ed alto ingegno, e tutto
               Chiuso avesse Elicona in petto mio.
Ch’ella è cosa in gran parte al di là delle leggi della potentissima natura. Imperciocchè sebbene l’egregia madre di tutte le cose per ministerio de’ vincoli di sangue i corpi de’ mortali spesso congiunge, nulla di meno que’ celesti spiriti pel sagacissimo furto di Prometeo inspirati nei carceri terrestri, Ella non potrà mai insieme unire giusta l’antica maniera de’ corpi, senza l’intervenzione di questo dolcissimo nume, il quale, anche a dispetto della stessa natura, ed i Parti indomiti, ed i Geti difficili, e gli Iberi insociabili, ed i Numidi sfrenati, e gli Etiopi facili non [p. 113 modifica]solamente congiungerà, e collegherà, ma anche, mediante virtù , farà di due un solo e solido che.

Ma non io m’affaticherò vanamente a mostrar in esempio, o dirò meglio, in prova d’una verità luminosa e Damone e Fitia, e Teseo e Piritoo, e Niso ed Eurialo, ed altri molti. Virtù ci fa simili a Dio, anzi ci fa tanti Iddii, e mantienci, e gli effetti di lei quanto invero più rari, tanto di più ammirabili essere chi negherà? Non io di certo, che ho da rendere dal canto vostro in me stesso una fresca testimonianza a tal verità. Ed in vero con quanta sollecitudine varia, con quanto disastroso travaglio, con quanta vigilantissima cura abbiate tentato, non è molto, di dar compimento a’ miei voti e ben mel ridisse il servo, e ben dalle vostre lettere il seppi, e lo dovetti ben credere per me stesso; che la cosa già fatta chiaramente il dimostra. Noi dunque, come ben faceste vedere, e desidero di mostrarlo anch’io, quantunque per sangue disgiunti, non dimeno e per amicizia e comunanza di patria siamo tutt’uno; lo che d’esser io diventato a voi me lo procurò la vostra virtù, ma che voi lo foste a me fu dono della mia fortuna, a cui di niun’altra cosa, tranne questa, son obbligato. Laonde perchè l’amico è un altr’io, nè lice a veruno di ringraziar sè medesimo delle proprie fatiche, perciò non ringraziovi de’ ricevuti officii per non sembrare di condurmi inconsideratamente inverso di me. Peraltro e bene e ardentemente dichiarovi d’essere in tutto prontissimo a conservare [p. 114 modifica]un’amicizia nata insieme con tant’opere laboriose; che anzi, a far piuttosto tutto quel che per me si potrà al primo cenno che me ne sia dato.

Credo che saranno pagate le mercedi dello scrittor Dionisio, almeno la maggior parte, come Angiolo nostro mi scrisse, cui ho fede intiera; il rimanente sarà pagato ad ogni richiesta; intanto consegnate ad Angelo il libro, che all’occasione lo manderà. Inoltre, quel vostro discorso adorno di retorico mirabile ammanto, saporitamente condito d’attico sale, e di mele ibleo soavissimamente cosperso, lessi e rilessi con ammirazione continua, gustandone quel più che si accostava ad un talento mediocre; all’ultimo ne presi copia, e quanto prima potrò rimanderollovi sino a casa per mano sicura.

Sinadora non ho ricevuto il Varrone, ma l’avrei avuto in breve, se non fossi per andare all’illustre re d’Ungheria nell’estremità degli Abruzzi e della Campania dov’è; imperciocchè l’inclito mio signore, e delle Pieridi ospitaliero gratissimo, si apparecchia insieme con molti grandi della Flaminia ad imitarne l’armi giustissime, dove anch’io per comandamento del mio detto signore sto per andare, non mica in forma di armigero, ma qual arbitro, per così dire, delle cose occorrenti; e coll’aiuto celeste a vittoria ottenuta, a trionfo compiuto ritorneremo gloriosamente a rivedere le proprie case; sendo che l’affezione, che mi scrivete del bravissimo Coppo buon padre nostro non da ora, ma [p. 115 modifica]quotidianamente si fa più chiara. E che poss’io offerirgli, porgergli, o regalargli? Niente altro fuor che me solo mi lasciò la matrigna fortuna, ed oh! esser potessi prelibato dono a tanta persona! Ma, a chi dà tutto quello che può, non altro per legge si chiede: son tutto suo. Credo che la mia lunga lettera vi abbia già infastidito assai qual siete in eliconici pensieri occupato; per che non scriverò altro colla presente, e del già detto vi chiedo scusa, se oltrepassai la misura. Ma non di meno vi scongiuro di più per l’amicizia nostra, per la fede amichevole, che se la vostra musa avesse mai cantato qualche cosa di nuovo dopo la partenza mia, facciate sì ch’io lo possa vedere. Conservatevi bene, addio.