Lotario/Parte seconda

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Parte seconda

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PARTE SECONDA



Argomento.

Torbide vicende politiche per le quali riesce a Berengario di occupare il seggio di Ugone il cui figlio associasi al regno per apparenza di gratitudine. Ma il virtuoso Lotario non è re che di nome, mentre Adelaide a lui fidanzata, e già ostaggio di pace fra il genitore e Rodolfo di Borgogna padre di lei, vien tenuta prigioniera in Pavia dal novello signore per avere ricusato le nozze di Adalberto suo figlio che erasene acceso.


 
     Ma dall’arco degli anni scoccato
Negri giorni ha quel veglio immortale
Che a sè stesso serbandosi eguale
Via trascorre de’ mondi il confin;
5Che compagno, non suddito, al fato,
Strugge e passa in suo eterno cammin.

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     Nè Ugon più siede sul Lombardo seggio,
Chè rimanere alla natia Provenza
Allor fu d’uopo (onde sottrarsi a peggio)
10Che Berengario, di sua folle assenza
Lieto, al Ticin giungea col suo corteggio
Gli stolti ad appagar di sua presenza
Che per cangiar di mal speran salute
E, ciechi al ver, al ver le lingue han mute.

      15Nè distornar potè la ria tempesta
Dal regio capo la possente sposa;
Eppur Marozia1 mai d’oprar non resta,
E invan promette, e si travaglia, ed osa;
Però che sempre ai costor danni è dêsta
20La scaltra mente, e mai e mai non posa,
Di quel Pastor2 che ai Milanesi insegna
Non l’Evangel, ma sì a mutar d’insegna.

     Lotario intanto il generoso figlio
Del re che a lungo avea con lui diviso
25Lo scettro, ed or seco eleggea l’esiglio,
Vuol Berengario ancor sul trono assiso,
Onde evitare anche maggior periglio;
Che l’ama il volgo, e ben è scaltro avviso
Grato mostrarsi a cui la vita ei deve:
30Gioco gli fia torsel dinante in breve!

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      Ma pria che torva del destin la faccia
A Ugon si mostri, ei da Rodolfo astretto
Che ad ogni istante il regno gli minaccia,
(E anco sovente il mise in gran distretto,)
35Poi che nemico sempre invano il caccia,
Non pur amico alfin lo stringe al petto,
E dell’avito suo dominio a parte
Pone, che ognor più dall’Italia il pârte;

      Ma lui congiunto chiede; e che la bella
40Figliuola di Rodolfo abbia in isposa
Lotario ha fermo, onde amistà novella
Suggelli amore al quale è invan ritrosa
L’alma innocente di regal donzella.
Vaga Adelaide è qual ridente rosa:
45E n’arde il prence di gentil desio
Onde ogni cosa e sè pone in obblio.

      Nè acceser men la vergine pudica
Del prence l’opre ed il leggiadro aspetto;
E il dolce arcano asconde ella a fatica
50D’un bel rossore innanzi al suo diletto.
Sol con Igilda, più che ancella, amica,
Il fren discioglie all’amoroso detto,
E delle nozze osa toccare alquanto
E s’abbandona ad un soave pianto.

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      55Del suo gioir non è lontano il giorno;
E intanto di Pavia, nobile ostaggio,
Nella regal magion far dee soggiorno:
E vi sfavilla come ardente raggio
Che tutto abbella, tutto allegra intorno:
60Ma l’aquilone all’alitar di Maggio
Succede; e abbatte la crudel sventura
Ahi! nel suo fior la speme sua matura.

      Nell’improvviso turbin che lo avvolse,
Il fido prence non l’avea negletta:
65«Se entrambi del destin lo sdegno incolse,
Uniti almea sfidiamlo, o mia diletta!»
Ma invan così supplice a lei si volse:
«Ferma Adelaide qui il suo fato aspetta».
Quella rispose. Ond’egli smania e freme
70Chè oprar la forza per lei sola ei teme.

      Ed or che in soglio il nuovo re si asside,
Quella Adelaide che d’Ugone in corte
Tenuta in onoranza il mondo vide,
Provò cangiata la volubil sorte;
75E di costanza il nobil cor provvide
D’onor seguendo le fidate scorte:
Poi che Adalberto3 del monarca figlio
Non volse indarno alla donzella il ciglio.

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     Per lei si strugge egli d’ amore insano,
80E a quelle nozze il genitore inchina;
Però sperar ch’ella v’assenta è vano,
Ch’ella a tal prezzo mai non fia reina.
A cui promise ella darà la mano,
O incontro andranno all’ultima ruina:
85Lotario intanto a lor sottrarla spera
Di cui la vergin langue prigioniera4.



     Qual tortore romita
Che innalza un flebil grido
Dal vedovo suo nido
90Come il dolore a lamentar l’invita,

     I suoi perduti giorni
Così la verginella
Piange nell’erma cella;
E invoca il dì che a libertà la torni.

95 Ma la gentil speranza
Del riso suo fa bello
Quel solitario ostello;
Però che con amor sempre ella ha stanza.

     D’Igilda sua fu vanto
100Lotario a quelle soglie,
Sotto mentito spoglie,
Addur protetto dal notturno ammanto

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     «Che valmi e scettro e regno
Se sconsolato io vivo?
105Sol del mio ben son privo,
Schiavo, diss’egli, d’un potere indegno?»

     E poi che iniqua sorte
Fra lor barriera pose
Le furie empie, gelose
110Che ad ambo cruda anco minaccian morte,

     Che seco andarne assenta
Del suo reame in bando,
Ei prega lagrimando
Colei che l’onta più che il duol paventa.

     115Angoscia disperata
E prepotente affetto
Combatte il giovin petto;
Ma ergendo alfin la faccia desolata,

     Rispose: «In pria che spenta
120Sepolta il re può avermi,
Ma non d’altrui vedermi;
E non fia mai che d’esser tua mi penta!

     Ah! dica almen s’io t’ami
La mia costanza invitta
125Ne’ mali ond’hammi afflitta
Quegli che mai non fia che padre io chiami.

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     Che più da me richiedi?...»
E a lui prostrata cade
Quella regal beltade
130Che fra’ singhiozzi profería: «deh cedi!»

     Con impeto amoroso
Rialza ei la pudica
Troppo severa amica,
Ed avvampar più sente il foco ascoso.

     135Esclama poi tremante
Dal pianto suo conquiso:
«Rasciuga il dolce viso!
Chè al tuo pregar non regge un’alma amante.

     Ma vegga Italia omai
140Te di Lotario sposa,
O questa a me oltraggiosa
Vita abbia fin che per te sola amai.

     Forse parole estreme,
O donna, io ti favello;
145Ma o teco o nell’avello,
Tuo sarai quei che sol te perder teme».

     Il pallido sembiante
D’ alto martire è impresso;
E riguardando in esso
150Ella smarrita stassi al prence innante.

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     Commosso egli sel vede,
E con dolce atto, umìle
La bianca man gentile
Bacia cadendo della bella al piede.

     155China la vaga testa,
E a lui disfiora il volto
Essa col crin disciolto
Che lungo scende sulla bianca vesta.

     Ei la si strinse al petto;
160Portò la mano ardente
Al fronte poi repente...
E in un balen si tolse al caro aspetto.

     Incontro all’uom sì forte
Parve il femmineo core;
165Ma or fa vendetta amore,
E cadde tinta del color di morte.



Note

  1. [p. 26 modifica]L’Arcivescovo di Milano il quale affatto indipendente dal Sommo Pontefice gareggiava allora con lui non pure di potere e d’autorità, ma ancora nel mal vezzo di chiamare ad ogni istante in Italia principi stranieri d’ogni fatta e d’ogni sangue, sebbene quì non si trattasse d’un principe d’oltr’alpe.
  2. [p. 26 modifica]Ugone aveva disposata Marozia duchessa di Toscana e vedova di suo fratello Guido per consolidare il proprio col potere di lei e giovarsi della sua influenza che era grandissima nelle corrotte corti italiane.
  3. [p. 26 modifica]Adalberto figliuolo di Berengario e della regina Villa nipote di Ugone di Provenza.
  4. [p. 26 modifica]Questa è pure quella santa e leggiadra giovane che ne dipinge la storia in Adelaide di Borgogna.