Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/X

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Dell'Uffizio del Priorato, e dell'esilio di Dante

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IX XI


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§. X.

Dell’Uffizio del Priorato, e dell’esilio di Dante.

Pervenuto il nostro Dante all’età di anni 35. fu creato dei Priori, Supremo Magistrato nella Repubblica Fiorentina, ed eguale nella Giurisdizione al Gonfalonierato1. Si costumava allora di eleggere, non di estrarre dalle Borse delle respettive Arti, come di poi si usò, questi Priori, i quali per altro dovevano prendersi anche in quel tempo fra quei Cittadini che erano in alcuna delle dette Arti matricolati; o per meglio dire ascritti2. Risedè Dante [p. 96 modifica]in questo uffizio dal dì 15. giugno al dì 15. agosto del 1300. essendo Gonfaloniere di Giustizia Fazio da Micciola3. In questo tempo principiarono tutte le avversità del nostro Poeta4 a motivo delle civili fazioni, che regnavano nella Repubblica. Benchè fosse stato discacciato dalla Patria fino dall’anno 1294. Giano della Bella ardito difensore della verità, non ostante le cose non rimasero quiete in Firenze, e quei che in qualche modo avevano favorito la parte di Giano, erano in varie maniere molestati dagli avversarj, i quali non lasciavano di corrompere ancora la giustizia per arrivare ai loro fini5. La mala amministrazione del Governo fomentava le gare dei privati cittadini, che per pascolare la loro ambizione, non per desiderio di giovare alla Patria, si procuravano i primi Uffizj della Repubblica, nei quali potevano più comodamente dare sfogo alle loro passioni, danneggiando gl’inferiori. Fra le altre famiglie potenti si distingueva allora quella dei Cerchi «uomini di basso stato, ma buoni mercatanti, e gran ricchi»6 i quali abitavano nel [p. 97 modifica]Sesto di Por San Piero presso a’ Donati «più antichi di sangue, ma non sì ricchi»7, onde questi cominciarono a nutrire molto odio contro i Cerchi, quasi vergognandosi di vedersi superati da quei che erano loro inferiori per nobiltà. Questa invidia, a poco a poco accrescendosi, venne a tanto, che messer Corso Donati8 cavaliere di grand’animo e nome, per vendicarsi dei Cerchi, i quali avevano procurato di torgli un’eredità, fece avvelenare alcuni di loro. Un tal fatto, benchè non si fosse potuto provare, impegnò i Cerchi a farsi dei partitanti, e tal cosa non fu loro difficile l’ottenere, perchè ricchi erano, e popolari, e facilmente si prestavano agli altrui servigj. Crescendo l’odio per una parte e per l’altra, ed essendo già la città in due fazioni divisa, fu sparso dagli aderenti dei Donati, che i Cerchi per farsi forti avevano fatta lega con i Ghibellini di Toscana; la qual cosa avendo risaputa il Pontefice Bonifazio VIII. che allora reggeva la nave di Pietro, mandò a Firenze, per pacificare apparentemente i due partiti, Matteo d’Acquasparta Cardinale Portuense9, ma in effetto per abbassare i Cerchi, [p. 98 modifica]perchè temeva che se più si fosse avanzato il fuoco della discordia, i Guelfi aderenti alla Chiesa non venissero a decadere, come altre volte era accaduto, dal governo della Repubblica Fiorentina. Conosciutasi dai Fiorentini la vera intenzione del Legato, forte se ne sdegnarono; onde presero per compenso di fare in modo, che egli di qui si partisse; ed intanto, per soffogare il primo impeto delle due fazioni, mandarono a confine i capi di esse. Non per questo restarono in pace quei che erano rimasi dentro la città; anzi la sfrenata licenza di alcuni giovani della fazione dei Donati avendo la sera del dì primo maggio 1300. tentato di offendere i Cerchi, e fra l’altre cose avendo troncato il naso ad un tal Ricovero10 o Ricoverino di questa casata; di qui nacque un maggiore incendio, per cui tutta avvampò la città nostra. Ad una tale sciagura se ne aggiunse un’altra, che non meno servì di pascolo al fuoco della discordia, il quale già troppo grandemente minacciava un generale esterminio. La città di Pistoja risentiva in quel tempo, non meno della nostra i cattivi effetti delle cittadinesche discordie, mentre la famiglia de’ Cancellieri, una delle più numerose e potenti, che fossero allora in Toscana, essendo divisa in due fazioni a cagione di brighe sopravvenute fra loro11, aveva [p. 99 modifica]svegliato nel restante dei cittadini lo spirito di parzialità per alcuna parte di essa. I Fiorentini, prendendosi forse maggior cura di ciò che fuori accadeva, di quello che facessero degli scompigli, nei quali si trovava la loro propria città, crederono di doversi interessare in porre in pace i Pistojesi; e perciò fecero ogni sforzo per costringere i capi delle due fazioni a venire a Firenze12. Ma siccome in quel tempo bollivano fortemente le gare dei Cerchi e dei Donati, così quei del partito dei Cancellieri neri (giacchè in Cancellieri neri, e in Cancellieri bianchi13 era divisa questa casata, e la città tutta di Pistoja) essendosi ridotti nelle case dei Frescobaldi oltr’Arno, che erano del partito dei Donati14, e gli altri in quelle dei Cerchi, non fecero che maggiormente porre in iscompiglio i nostri cittadini, i quali allora scopertamente si dichiararono per una delle due fazioni15. Essendo adunque a mezzo giugno entrato nell’Uffizio del Priorato il nostro Dante, e proponendosi di cercare un [p. 100 modifica]compenso per sopprimere i mali che da tante divisioni erano minacciati, fu da alcuni creduto, che il miglior rimedio di tutti fosse il procurar la venuta di Carlo di Valois Conte d’Angiò, e fratello di Filippo il Bello re di Francia16. Stimò Dante, il quale era del partito dei [p. 101 modifica]Cerchi17, benchè avesse per consorte una della casata dei Donati,18 che una tal venuta in Toscana di Carlo poteva apportar danno ai Bianchi, ai quali il Pontefice Bonifazio VIII. mostrava bene di esser contrario19, e a tutta sua possa vi si oppose20, benchè inutilmente, come fra poco vedremo. In questo mentre essendo tornati alcuni della parte bianca dal loro confine, gli amici dei Donati si radunarono nella Chiesa di S. Trinità, perchè dispiaceva loro di veder rimessi nella Patria quei cittadini, che odiavano come nemici, quantunque membri di un medesimo corpo, ed ivi risolsero di usare ogni mezzo per rovinargli. La Signoria mal volentieri sofferse un tal fatto, e per punire quei che avevano maneggiata la [p. 102 modifica]congiura, condannarono Messer Simone dei Bardi, il Conte Guido da Battifolle, e Federigo Novello suo figliuolo21. Ma non ostante questo, tanto si adoperarono i Neri presso Bonifazio VIII. che egli promesse di procurar ad essi l’ajuto del suddetto Carlo «il quale era partito di Francia per andare in Sicilia contra Federigo» secondo figliuolo di Piero d’Aragona, e successor di suo padre nel Regno22. Giunto questi in Bologna23 si ristette per allora dall’intromettersi negli affari dei Fiorentini, che non avevano mancato di spedir colà Ambasciatori per pregarlo a non esercitare alcun segno di ostilità contro di loro, e passando presso Pistoja nell’agosto del 1301.24 senza entrare nella città, mostrando per altro contro ad essa mal talento, andò al Pontefice25, da cui fu onorato del titolo di Conte di Romagna, Capitano del Patrimonio, e Signore della Marca di Ancona26. Cominciò allora il Papa a trattare con i capi di parte nera, e particolarmente con Messer Corso dei Donati, di spedir Carlo in Toscana, prima che passasse in Sicilia contra Federigo27; e perciò fornitolo di danaro28 e di truppe, lo [p. 103 modifica]inviò per la parte di Siena a Firenze. Fermatosi Carlo nella detta città di Siena spedì alla nostra Repubblica alcuni Ambasciadori, e fra questi un messer Guglielmo «cherico, uomo disleale e cattivo, quantunque in apparenza paresse buono e benigno»29 per intendere se aderiva che venisse per Paciario in Toscana. Dopo una lunga consulta fu risoluto di sì30, e per onorare maggiormente la venuta di Carlo, la Signoria gli mandò incontro Ambasciadori commettendo ai medesimi, che procurassero di ottenere una capitolazione, in virtù della quale egli si obbligasse «che non acquisterebbe contro a noi niuna giurisdizione, nè occuperebbe niun’onore della città, nè per titolo d’impero, nè per altra cagione, nè le leggi della città muterebbe, nè l’uso»31; lo che fu fatto. Stabilite in questa forma le cose, Carlo entrò in Firenze in giorno di domenica il dì 4. novembre 130132 con 1200. cavalli al suo comando, ed andò a smontare nelle case dei Frescobaldi di là d’Arno; le quali non erano ancora rinchiuse nel terzo cerchio della città33. Quali scompigli, e quali revoluzioni [p. 104 modifica]accadessero allora in Firenze, e come con gran dissimulazione andasse procurando il detto Carlo di scacciare dal governo della Repubblica non solo, ma dalla Patria ancora i Bianchi, perchè si sospettava che costoro fossero in cuore Ghibellini; lunga cosa sarebbe il distesamente narrarlo, tanto più che di tutto questo una sincera, e patetica storia ce ne ha lasciata il nostro Dino Compagni, il quale fu presente, ed ebbe mano in ciò che allora accadde34. Or Dante, come si disse, avendo con altri suoi compagni nel Priorato impedita la venuta in Firenze di Carlo, dopo che egli a dispetto loro vi fu arrivato, e che cominciò a portarsi in modo da far comparire il mal’animo, che nutriva contro i Bianchi, essendo stato eletto per potestà messer Cante Gabrielli da Gubbio35, fu lo stesso Dante mandato in esilio, e condannato in pena pecuniaria. La via del dar bando fu questa, al dire di Leonardo Aretino «legge fecero iniqua e perversa, la quale si guardava indietro, che il Potestà di Firenze potesse, e dovesse conoscere i falli commessi per l’addietro nell’ufficio del Priorato, con tutto che assoluzione fosse seguita». Ed in vero nella sentenza di detto messer Cante del dì 27. gennajo 1302.36 apparisce che ex [p. 105 modifica]officio egli condannava all’esilio, e in ottomila lire di pena Dante Alighieri del Sesto di S. Pier maggiore con messere Palmiero degli Altoviti del Sesto di Borgo37, Lippo Becchi del Sesto di Oltrarno, e Orlanduccio Orlandi del Sesto di Porta del Duomo38, per avere i due primi, mentre erano Priori, contraddetto alla venuta di Carlo di Valois, e per avere commesse delle baratterie39 contro alle leggi. Di questa condanna fa ancora menzione Dino Compagni, là dove nella sua Storia40 annovera coloro, i quali furono scacciati dalla Patria, come aderenti alla fazione bianca. Egli per altro la pone nel mese d’aprile di detto anno, quando noi siamo assicurati per altra parte, che ella era stata data tre mesi avanti41. Questa sentenza venne poi confermata con altra del [p. 106 modifica]10 marzo dello stesso anno, ed in essa Dante e più altri, se per sorte cadessero nelle mani del Comun di Firenze, furono condannati ad esser arsi vivi42. Dante era in [p. 107 modifica]quel tempo presso il Pontefice, come Ambasciatore della Repubblica Fiorentina, o almeno della Parte bianca, la quale se non ardì nella venuta di Carlo di mettersi in armi43 per bilanciare la potenza dei Neri loro nemici, almeno procurò di accomodarsi col Pontefice promettendo di ubbidire a quanto fosse stato veramente il suo volere. Ma tutto fu vano; imperciocchè ad onta delle promesse, e dei giuramenti di Carlo, messer Corso Donati rientrò in Firenze con i suoi, ed i Bianchi furono in numero di 600. miseramente scacciati44. Se adunque non è la giustizia non è la giustizia, ma la prepotenza ebbe mano in questo affare, e se dal contesto della storia tutta di ciò che successe in Firenze nel tempo che quivi si trattenne Carlo di Valois, [p. 108 modifica]apertamente apparisce che egli, o tratto dai consigli del Pontefice45, o dai denari, e dai maneggi della Parte nera, non aveva procurato di far altro, se non distruggere il partito dei Cerchi, dobbiamo noi maravigliarci che in una sentenza Dante venga dichiarato barattiere? In vero se tanti furono i disordini, e le ingiustizie commesse nella città46, se l’impegno, la forza, l’odio, l’invidia consigliava in questi miserabili tempi gli animi di coloro che governavano la Repubblica, o se piuttosto i Magistrati dovevano a forza ubbidire al volere di quei privati, i quali tiranneggiavano la loro Patria, si può egli credere che Dante Allighieri macchiato fosse di quel fallo, che gli vien rinfacciato nella sentenza data da messer Cante, ed in un’instrumento del 134247? E con qual faccia poteva lo stesso Dante nella sua Divina Commedia48 riprendere come barattieri messer Baldo di Auguglione49 e Bonifazio, detto Fazzio Giudice de’ Mori Ubaldini, se di questa pece fosse stato imbrattato egli stesso? A ciò riflettendo Scipione Ammirato50, lasciò scritto che «era necessario dire, o che sì virtuoso uomo (cioè Dante) fosse condannato a torto, come scrive il Villani51, o che senza ragione metta altri nell’Inferno per il peccato, del quale era macchiato». Ma comunque fosse, racconta l’Aretino che non essendo comparso [p. 109 modifica]Dante a difendersi, nè avendo nel termine prefisso, pagata la somma di ottomila lire, in cui era stato condannato, furono i suoi Beni rubati, guasti, e poi confiscati a tenore della mentovata Sentenza52. Questi suoi fondi furono dopo 40. anni dal suo figliuolo Jacopo riscattati53. E qui potremmo noi esaminare se veramente avanti il suo esilio il nostro Poeta cominciasse a comporre il suo Divino Poema, se di questo non volessimo più acconciatamente in altro luogo parlare.

Note

  1. Vedi Dino Compagni lib. 1. pag. 10. Del resto l’Uffizio del Priorato, come si ha da Giovanni Villani lib. 7. cap. 82. e da Simone della Tosa ne’ suoi Annali, fu creato nel 1282. e quei che lo componevano, furono detti Priori delle Arti, perchè erano Cittadini ascritti ad alcune delle Arti, nelle quali era divisa la Città di Firenze. Questi Priori in principio furono III., poi VI. e nel 1292. nella celebre Riforma fatta per opera di Giano della Bella fu creato il Gonfaloniere di Giustizia, cioè quello a cui apparteneva portare l’insegna del Comune di Firenze. Villani lib. 8. cap. 1. ed Annali di Simone della Tosa a detto anno. Il numero dei Priori non fu sempre lo stesso, come si può vedere ne’ nostri Storici, ma in fine fu di VIII. Toscana illustrata vol. 1. pag. 182.
  2. I famosi ordini di Giustizia fatti nel 1292. e inseriti nel lib. III. dei nostri Statuti, comandavano, che quei che volevano godere l’Uffizio del Priorato, fossero Popolani, cioè ascritti ad alcuna delle nostre Arti, e Dino Compagni scrive lib. 1. p. 11. che i Signori Priori vecchi con certi arroti dovevano eleggere i nuovi in virtù di questa Riforma. Ved. Leonardo Aretino nella Vita di Dante.
  3. Così l’Ammirato il Giovane tom. 1. delle sue Storie pag. 206. Da altri questo Gonfaloniere è chiamato Fazio Domicola. Melchiorre di Coppo Stefani lib. IV. rubrica 222. li segna tra i Priori da mezzo febbrajo 1299. a 1300.
  4. Così si esprime Dante in uno squarcio di lettera riportato da Leonardo Aretino. Ved. la Nov. CXIV. di Franco Sacchetti, nella quale si narra che la prima cagione dell’esilio di Dante nacque da un fatto seguito con uno della famiglia Adimari.
  5. Dino Compagni è quello, che con maggiore esattezza racconta le cose succedute in Firenze nei tempi, dei quali dobbiamo discorrere. Dino adunque abbiamo spezialmente seguito in tutto quello che siamo per dire, perchè egli era presente ai fatti che ci ha nella sua Storia epilogati. Per altro non sempre segue rigorosamente ne’ suoi Racconti l’ordine cronologico.
  6. Dino Compagni lib. 1. pag. 18. Per altro questa Casata fu molto illustre, e Signora del Castello d’Acone in Valdisieve (Dante Parad. Cant. XVI. vers. 65.), benchè uomini di basso stato sieno dal Compagni chiamati quei della loro discendenza, perchè, come osserva Francesco Cionacci nella Parte IV. cap. IV. della Storia della Beata Umiliana, i Fiorentini scrittori stimarono sempre barbaro ed incivile ogni altro sangue, che dal Romano non derivasse.
  7. Dino Compagni ivi. Lo stesso Dante nel Cant. XVI del Parad. vers. 119. ci fa vedere di quanta nobiltà si credeva andare adorna questa famiglia.
  8. Di messer Corso Donati parlano tutti i nostri scrittori; e Dante, che in tutto il suo Poema sfuggì di nominarlo, nel XXIV. Cant. del Purg. vers. 81. e seg. accenna, quasi profetando, la sua morte succeduta alla Badia di San Salvi al dì 15. di settembre 1307. per più ferite fattegli dare da’ suoi nemici. Ved. Dino Compagni lib. III. pag. 76. ove da bravo Storico ci descrive senza parzialità il suo carattere.
  9. Questo Cardinale è accennato da Dante nel Cant. XII. del Parad. vers. 124. La sua venuta seguì di giugno nel 1300. al dire di Simone della Tosa ne’ suoi Annali. Ma Dino Compagni lib. 1. pag. 20. racconta prima la venuta del Cardinale, e poi l’offesa ricevuta da Ricoverino de’ Cerchi. Giovanni Villani nel lib. 8. cap. 59. mostra di accordarsi a Simone della Tosa; ma comunque vada la cosa, ciò niente monta per la sostanza della storia. È per altro da avvertirsi lo sbaglio del Muratori, il quale all’anno 1300. dice che il Pontefice mandò in Firenze il Cardinale Matteo con ordine di riformar la terra; e poi all’anno 1301. racconta che questo Cardinale venne nel novembre del detto anno 1301. dopo Carlo di Valois. Il Villani dice, che Matteo nel partire lasciò la città scomunicata, ma il Compagni non fa parola di questo Interdetto.
  10. Il Villani loc. cit. cap. 38. lo chiama Ricovero di messer Ricovero de’ Cerchi, e Dino Compagni, Ricoverino. Egli fu dal Potestà di Firenze condannato in contumacia sotto dì 3. maggio 1302. essendo già fuori della città per timore di Carlo, che quantunque mostrasse di venir Paciario in Toscana, non ostante era nemico della sua fazione. Ved. il cap. 4. della Parte IV. della Storia della B. Umiliana di questa Casa, scritta dal Cionacci.
  11. Tutti gli Storici della Toscana raccontano, come nascessero queste fazioni nella famiglia de’ Cancellieri di Pistoja, ma variano alcun poco nelle circostanze. Fra gli altri vedansi le storie Pistolesi delle cose avvenute in Toscana dal 1300. al 1348. compilate da un’Anonimo di quel tempo, ed Jacopo Maria Fioravanti nelle sue Memorie Storiche di Pistoja, stampate in Lucca nel 1758. cap. XVIII. E benché il nostro Giovanni Villani, ed altri riferiscano all’anno 1300. il principio delle rivoluzioni di Pistoja, Tolomeo da Lucca in Annal. inseriti nel XI. tom. Rerum Ital. Script. pag. 1296. le fa cominciare nel 1286. nel qual anno racconta il fatto di messer Dore di Guglielmo Amadori, a cui per vendetta fu tagliata la mano da uno dei fratelli di messer Vanni di Gualfredo, che da lui era stato ferito.
  12. Avendo la Repubblica Fiorentina presa la signoria di Pistoja, per porre qualche rimedio alle gare nate fra quelli della famiglia de’ Cancellieri, pensò di mandare i Capi delle due fazioni a confino in Firenze, come narra Giovanni Villani lib. 8. cap. 37.
  13. Da un padre solo, ma da due donne essendo discesa la schiatta dei Cancellieri di Pistoja, al dire del mentovato Villani, per distinguere quei di un lato di essa da quei dell’altro lato, vollero gli uni chiamarsi Cancellieri neri, e gli altri Cancellieri bianchi; ma non si sa l’origine di questa denominazione.
  14. La famiglia dei Frescobaldi era del partito dei Neri, benchè un tal messer Berto Frescobaldi, per essere di grosse somme debitore ai Cerchi, fosse del partito di questi; Dino Compagni lib. 1. pag. 22. Non è questo il solo esempio di Casate, le quali nelle fazioni si divisero fra loro. Il detto Dino racconta che «la maggior parte dei Bardi aderiva alla parte dei Donati». In quei tempi le nostre famiglie erano assai numerose, onde non è maraviglia se fossero fra loro discordi nel seguitare diversi partiti.
  15. Villani loc. cit.
  16. Questo è quel Carlo, di cui in persona di Ugo Capeto dice Dante nel XX. canto del Purg. ver. 70. e seg.

         Tempo veggh’io, non molto dopo ancòi,
              Che tragge un’altro Carlo fuor di Francia,
              Per far conoscer meglio a sè, e i suoi.
         Senz’arme n’esce, e solo con la lancia,
              Con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
              Sì ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
         Quindi non terra, ma peccato e onta
              Guadagnerà, per se tanto più grave,
              Quanto più lieve simil danno conta.

    Di esso parlano a lungo gli storici della Toscana. Il padre Ilarione della Costa nella storia de’ Re di Francia da lui aggiunta ai vari ritratti di questi Re, ed il L’Enfant in un artic. del tom. II. della Bibl. Germanica credono che lo spirito di odio, e vendetta concepito contro questo Principe da Dante lo movesse a dare al suddetto Ugo in questo medesimo canto vers. 52. la discendenza da un beccaio di Parigi. Quale forza abbia una tale opinione per spiegare quel celebre verso del nostro Poeta:

    «Figliuol fui d’un beccajo di Parigi»

    non è quì luogo il cercarlo dopo tanti che ne hanno parlato. Cosa troppo fuor di proposito sarebbe il farlo, bastando che per difesa di Dante si possa sostenere che un diritto era di certe famiglie, alcune delle quali sussistono ancora, il provvedere questa gran città delle bestie da macello, e formavano una specie di collegio come appresso i Romani, di che può vedersi l’Enciclopedia Art. Boucher e la Storia di Francia di Velly proseguita dal signor Villaret Vol. XIII. pag. 154. edizione in 12°. Parigi 1764; onde altro quella espressione non significhi se non che Ugo era appunto discendente da una casata la quale godeva di tal privilegio. È egli inverisimile che nel secolo XIII. vi fosse questa credenza? Comunque sia l’opinione avanzata da Dante era comune in quei tempi, e Giovanni Villani, che parla da Storico, la riporta come creduta dai più, lib. IV. cap. 3. È quì da riferire ancora che Gaillard nella vita di Francesco I. tom. 8. pag. m. 198. e 199. narra ciò che Dante spaccia di Ugo Capeto ed asserisce che Luigi Alamanni avendolo mostrato a quel Re, questi andò in collera e fu sul punto di proibire la lettura di quel Poeta; ei la spaccia per calunnia, ma che tale sia, ha lasciato di provarlo, lo che far doveva, la storia non essendo dimenticata dai suoi ancora.

  17. L’amicizia che passava fra Dante e Guido Cavalcanti implacabile nemico di messer Corso Donati, e de’ suoi, come si vede nella Storia di Dino Compagni lib. 1., potè far sì, che il nostro Poeta aderisse più tosto al partito dei Cerchi, che a quello dei Neri; ed è probabile che Dante fosse uno di quei giovani, i quali al dire di Dino loc. cit. pag. 20. aveva il Cavalcanti inanimati contro messer Corso. Imperciocchè essendo stata la sua famiglia della fazione Guelfa, pareva che Dante dovesse più ai Neri, che ai Bianchi attaccarsi, con i quali tenevano tutti i Ghibellini. Si osservi poi che Dante non parlò nella sua Commedia con disprezzo della casata dei Cerchi, come alcuni pensarono, ma che anzi ciò che ne dice ridonda in loro decoro. Cionacci Vita della B. Umiliana part. IV. cap. IV. § 23. e 24.
  18. Io non ho potuto fin qui scoprire se stretta parentela vi fosse fra la Gemma Donati moglie di Dante, e messer Corso, ma certamente non pare che Dante avesse alcun riguardo all’affinità con i detti Donati, e quindi l’alienazione dalla moglie.
  19. Perchè sapeva il Pontefice che la maggior parte dei Bianchi era composta di Ghibellini, ed in conseguenza di suoi nemici; o almeno perchè messer Corso Donati con altri suoi amici gli faceva credere che la parte Guelfa periva in Firenze. Dino Compagni lib. 1. pag. 23.
  20. Nella condanna di Dante, che noi accenneremo più sotto, si dice espressamente, che egli avea contraddetto alla venuta di Carlo in Toscana.
  21. Bisogna confessare, che la storia di queste fazioni è molto oscura, e che gli Scrittori hanno confusi i fatti. Leonardo Aretino nella Vita di Dante narra diversamente queste cose; ma noi abbiamo piuttosto voluto seguitare Dino Compagni, che meglio si può credere informato delle cose seguite sotto i suoi occhi. Ved. il primo libro delle sue Storie pag. 23. e 24.
  22. Dino lib. 2. pag. 28. Egli è quello che da Dante nel Canto XIX. del Parad. vers. 130. è caratterizzato per un avaro, e per un vile.
  23. Dino loc. cit. pag. 29.
  24. Storie Pistolesi pag. 14.
  25. Era in Anagni piccola città della Campagna Romana, ove il medesimo Pontefice aveva avuto i natali. Muratori Annal. d’Ital. all’ann. 1294.
  26. Muratori ivi all’anno 1301.
  27. Sbagliano le Storie Pistolesi narrando pag. 14. che Carlo prima di venire in Firenze passò in Sicilia. Quando gli altri scrittori non fossero contrarj ad esse, facile non ostante sarebbe il conoscer l’errore, se si considerasse che fra l’agosto e il novembre, ne’ quali mesi era Carlo replicatamente venuto in Toscana, non vi corre tanto tempo da poter collocare la spedizione della Sicilia.
  28. Dino Compagni lib. 2. pag. 31. dice che in Corte del Papa da’ Neri erano stati depositati 70000. fiorini pel soldo suo, e de’ suoi Cavalieri; e pag. 33. che per trarlo di Siena, ed affrettare la sua venuta in Firenze gli furono donati 17000. fiorini.
  29. Dino loc. cit. pag. 31.
  30. Tutti accordarono che fosse lasciato entrare Carlo in Toscana fuori che i fornai, i quali preveddero, che egli veniva per distruggere la città. Dino loc. cit. pag. 22.
  31. Dino ivi pag. 32.
  32. Lo assicura il Compagni pag. 34. onde non si sa perchè il Muratori all’anno 1301. dica che Carlo entrò in Firenze il giorno di Ognissanti; tanto più che Dino racconta pag 32. che era stata presa la precauzione di non lasciarlo venire in quel giorno «perchè il popolo minuto in tal dì facea festa con i vini nuovi, e assai scandali potrebbono incorrere».
  33. Il terzo Cerchio delle mura, benché s’incominciasse nel 1283. (Villani lib. 7. cap 98. e gli Annali di Simone della Tosa) pure non era principiato di là d’Arno alla venuta di Carlo, il quale pensò appunto di smontare in quel luogo, perchè era sicuro, vale a dire perchè non poteva esser rinserrato nella città. Di ciò ne abbiamo sufficienti prove nell’operetta del Sig. Domenico Manni sopra le mura di Firenze.
  34. Si avverta per altro, che quantunque Dino si dimostrasse Guelfo, non ostante è stato creduto che in cuore pensasse altrimenti (Lettera dello Stamp. nell’Ediz. di Firenze del 1728. pag. 14.). Per altro nella sua Storia compianse amaramente le disgrazie della sua Patria, ed il mal talento d’alcuni suoi cittadini, i quali per gare private accesero un fuoco, che andò a divampare in un’aperta rottura.
  35. Questo era stato Potestà di Firenze nel 1298. (Annal. di Simone della Tosa); e al dire di Dino Compagni lib. 3. pag. 69. fu Capitano dei Fiorentini nel 1305. all’assedio di Pistoja. Il Villani per altro lib. 8. cap. 82. chiama questo Capitano messer Bino de’ Gabbrielli, e le Storie Pistoiesi pag. 35. messer Bino d’Agobbio. Il detto Dino dice lib. 1. pag. 43. di Cante, che nel tempo del suo governo il quale principiò su’ primi di novembre 1301. «riparò a molti mali, e a molte accuse, e molte ne consentì».
  36. Il Villani lib. 9. cap. 135. pare che dica, Dante essere stato cacciato con gli altri Bianchi nel 1301. ma della detta sentenza chiaramente apparisce che ciò è falso. Ci maravigliamo per altro che Fontanini nel lib. 2 della sua Eloquenza Italiana cap. 13. abbia confuso tutto il fatto, dicendo che nel 1300. Dante era Ambasciatore al Pontefice ec. Dino Compagni nella sua storia lib. 3. pag. 48. Ediz. del Manni dice, che quando fu esiliato allora era ambasciatore del Pontefice.
  37. Egli era stato uno dei Priori, quando i Neri fecero la raunata in S. Trinita, e fortemente riprese quei che avevano ad essa cooperato; Dino Comapgni lib. 1. pag. 24. Probabilmente questo fu il suo delitto, per cui venne punito. Aveva già congiurato contro Giano della Bella Compagni ivi pag. 13.
  38. È nominato ancora da Dino Compagni lib. 2. pag. 48 fra gli altri esiliati con Dante. Nella sentenza è detto Orlandinum Orlandi.
  39. È quel traffico che si faceva vendendo la giustizia per denaro, o guadagnando illecitamente sopra gli stipendi del Comune.
  40. Lib. 2. pag. 48. acceperunt quod non licebat, vel aliter quam licebat per leges, ec. in lib. viij. m. prò uno, et si non solverint fra certo tempo, i loro beni devastentur et mittantur in comune, et si solverint, nihilominus pro bono pacis stent in exilio extra fines Tuscie duobus annis.
  41. In effetto la mentovata condanna, secondo che leggasi in uno spoglio di Vincenzo Borghini esistente nella Magliabechiana Cod. 43. clas. XXV. pag. 49. è del dì 27. Gennajo 1302. E si legge stampata nelle Delizie degli Eruditi Toscani, tomo X. cart. 94. tra le altre condanne fatte da Cante Gabbrielli Potestà di Firenze.

      MCCCII. XXVII. Januarii
              Dom. Palmerium de Altovitis de Sextu Burghi
              Dantem Allagherii de Sextu S. Petri majoris
              Lippum Becchi de Sextu Ultrarni
              Orlandinum Orlandi de Sextu Porte Domus

    accusati dalla fama pubblica, e procede ex officio ut supra deprimis, e non viene a particolari, se non che nel Priorato contraddissono la venuta Domini Caroli, e mette, che fecerunt barattarias, et

  42. Questa sentenza è stampata più estesamente nelle Delizie degli Eruditi Toscani tom. XII. cap. 258. ed è la seguente:
    Nos Cante de Gabriellibus de Eugubio Potestas Civitatis Florentiae infrascriptam condepnationis summam damus, et proferimus in hunc modum.

              Dominum Andream de Gherardinis.
              Domunim Lapum Saltarelli Judicem.
              Dominum Palmerium de Altovitis.
              Dominum Donatum Alberti de Sexto Porte Domus.
              Lapum Dominici de Sexto Ultrarni.
              Lapum Blondum de Sexto S. Petri majoris.
              Gherardinum Diodati populi S. Martini Episcopi.
              Cursum Domini Alberti Ristori.
              Junctam de Biffolis.
              Lippum Becchi.
              Dantem Allighieri.
              Orlanduccium Orlandi.
              Ser Simonem Guidotti de Sextu Ultrarni.
              Ser Guccium Medicum de Sextu Porte Domus.
              Guidonem Brunum de Falconeriis de Sextu S. Petri.

    Contra quos processimus, et per inquisitionem ex nostro Offitio, et Curie nostre factam super eo, et ex eo quod ad aures nostras, et ipsius Curie nostre pervenerit fama publica precedente, quod cum ipsi, et eorum qu libet nomine, et occasione baracteriarum, iniquarum extorsionum, et illicitorum lucrorum fuerint condepnati, ut in ipsis condenaptionibus docetur apertius, condepnationes easdem ipsi, vel eorum aliquis termino assignato non solverint. Qui omnes, et singuli per Nuntium Comunis Florentie citati et requisiti fuerunt legiptime, ut certo termino iam elapso mandatis nostris parituri venire deberent, et se a permissia inquisitione protinus escusarent. Qui non venientes per Clarum Clarissimi publicum Bapnitorem posuisse in bapnum Comunis Florentie subscriberunt, in quod incurrentes eosdem absentatio contumacia innodavit ut hec omnia nostre Curie latius acta tenet ipsos, et ipsorum quemlibet deo habitos ex ipsorum contumacia pro confessis secundum jura statutorum et ordinamentorum Comunis et populi civitatis Florentie et ex vigore nostri arbitrii, et omni modo et jure quibus melius possumus, ut si quis predictorum ullo tempore in fortiam dicti Comunis pervenerit, talis perveniens igne comburatur, sic quod moriatur. In hiis scriptis sententialiter condepnamus.
    Lata, pronuntiata et promulgata fuit dicta condepnationis summa per dictum Cantem Potestatem predictum pro Tribunali sedentem in consilio generali Civitati Florentie, et lecta per me Bonoram Not. supradictum sub anno Domini millesimo trecentesimo secundo, v. s. Ind. XV. tempore Domini Bonifatii Pape Octavi die decimo mensis martii presentibus testibus Ser Mario de Eugubio, Ser Bernardo de Camerino Notariis dicti Domini Potestatis, et pluribus aliis in eodem consilio existentibus.
    In un libro poi di provvisioni delle Riformagioni, ove si tratta del consiglio tenuto, se si dovesse dar sussidio, e provvisione al Re Carlo, figliuolo del Re di Francia, evvi al margine, della stessa o poco diversa mano, questa memoria: Che per essersi Dante opposto a detta provvisione, fu questa la vera occulta causa del suo esilio.
    Si leggono nello stesso tomo XII. (pag. 245. e seg.) l’imbreviature d’istrumenti attenenti ai fratelli, figliuoli, ed altri congiunti di Dante; la sua già riferita condanna per contumacia; la sua difesa del 1451. fatta da Francesco Filelfo; ed in fine una supplica fatta al Granduca nel 1587. dall’Accademia Fiorentina per erigerli un busto.

  43. I Priori stessi della Repubblica consigliarono i Cerchi a difendersi, ma questi per avarizia, e per viltà niun riparo fecero nella loro cacciata. Dino Compagni lib. 2 pag. 45.
  44. Dino Compagni lib. 2. pag. 48. dopo aver nominati i molti che erano stati esiliati, conchiude «che furono più di uomini 600. i quali andarono stentando per lo mondo, chi quà, e chi là».
  45. Certamente Dante nella sua Commedia, in particolare nel Canto XVII. ver. 49. e seg. del Paradiso, dà la colpa al Pontefice Bonifazio VIII. d’aver procurato per mezzo di Carlo la cacciata dei Bianchi.
  46. Senza orrore non si può leggere il 2. libro di Dino Compagni, ove si raccontano le cose successe nella venuta di Carlo in Firenze.
  47. Si riferisce più abbasso.
  48. Canto XVI. del Parad. ver. 55. e seg.
  49. Di messer Baldo di Auguglione ved. il tom. 18. dei Sigilli di Domenico Manni, ove num. 7. s’illustra appunto un Sigillo di esso. Messer Donato Alberti, al dire di Dino Compagni lib. 2. pag. 52. quando fu preso da’ Neri, e condotto al Potestà, nominò Baldo d’Auguglione fra quei che avevano distrutta Firenze.
  50. Stor. tom. 1. pag. 215. Ediz. di Firenze del 1647. in fogl.
  51. Lib. 9. cap. 135.
  52. Ved. Leonardo Aretino, ed il Boccaccio nelle loro respettive Vite di Dante.
  53. Così apparisce dalla seguente notizia di un pagamento fatto da un figliuol di Dante per ricuperare i Beni confiscati al Padre; la qual notizia è estratta da un libro manoscritto in carta pecora del 1342. al tempo del Duca di Atene, che esiste nell’Archivio del Monte Comune di Firenze a 117. Ella è accennata dal Manni nel tom. XVIII. de’ suoi Sigilli pag. 77. e 78. ma noi l’abbiamo trascritta dall’ann. V. della Soc. Colombaria pag. 164. «Die VIII. Januarii» Cum Durante olim vocatus Dante quondam Alagherii de Florentia, fuerit condepnatus, et exbannitus per Dominum Cantem de Gabriellibus de Eugubio olim, et tunc Potestatem Florentiae in anno 1302. de mense — in persona et in confiscatione bonorum ipsius in comune Florentiae, pro eo quod debuit turbasse Statum Partis Guelfe Civitatis Pistorii, et commisisse baracteriam, tunc existente in officio Prioratus, et alia fecisse pront in formula dicte condepnationis continetur, et pro quadam alla condepnatione de ipso Dante facta in anno 1315. de mense octobris per Dominum Rainerium Domin. Zacharie de Urbeveteri olim et tunc Vicarium Regium civitatis Florentie pro eo quod non comparuit ad satisdandum de eundo ad confinia prout in forma dicte condepnationis plenius continentur. Et ut assuerit Jacobus filius quondam Durantis olim vocati Dantis praedicti et filius, et heres pro dimidia Dominae Gemme olim ejus matris et uxoris olim praedicti Durantis dicti Dantis per medietatem pro indiviso unius Poderis tunc comunis cum Francisco patruo suo, et olim fratre dicti Dantis filii olim dicti Alagherii, quod infra Bona sunt relata, et incorporata in Comuni Florentiae in ofitio Bonorum Rebellium, et exbannitorum. Et maxime pro quadam condepnatione personaliter de dicto Dante facta per Dominum Cantem de Gabriellibus de Eugubio ec. dictus Jacobus pro sua petitione facta solvit cum decreto manu scripto S. Andreae Donati de Florentia Notarii Florenos 15. auri Bona vero petita sunt. Una possessione cum vinea, et cum domibus super ea combustis, et non combustis posita in Populo S. Miniati de Pagnola cui a primo 2. via etc.
    S. Miniato a Pagnola è nel Vicariato del Ponte a Sieve.