Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/XI

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Di ciò che a Dante accadde dopo il suo esilio

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§. XI.

Di ciò che accadde a Dante dopo il suo esilio.

Sentitasi da Dante la nuova del suo esilio, prestamente partito di Roma, a Siena si condusse per intender più da vicino la relazione del fatto1. Quivi avendo saputo chiaramente ciò che era seguito nella sua patria, nè vedendo alcun riparo, pensò di unirsi con gli altri esuli, e incamminatosi alla volta di Arezzo, a Gargonza piccolo Castello soggetto alla detta Città2 con loro si abboccò. Appena furono riuniti insieme i Bianchi in Firenze, che risolverono di fermarsi in Arezzo per raccorre un’esercito, col quale potessero tentare di aprirsi a forza la strada per il ritorno nella loro patria. Elessero con questo fine per loro Capitano il Conte Alessandro da Romena3, e fecero dodici Consiglieri, del numero dei quali fu il nostro Dante4. In Arezzo si trovava allora messer Busone dei Raffaelli di Gubbio, il quale come Ghibellino era stato discacciato dalla Patria due anni avanti, cioè nel mese di Giugno 1300.5; e qui contrasse quel forte nodo di amicizia col nostro Poeta, mercè la quale si rese celebre il suddetto Busone, particolarmente per aver poi dato ricetto in sua casa allo stesso Dante. Dino Compagni6 ci narra che in quel tempo era Potestà di Arezzo Uguccione [p. 111 modifica]della Faggiuola, e che aderendo ai disegni del Pontefice Bonifazio per ambizione di vedere inalzato il suo figliuolo al Cardinalato, fece tante ingiurie ai Bianchi dell’Umbria, e della Toscana, che doverono partirsi da detta città7, e andarsene a Forlì dove era Vicario della Chiesa Scarpetta degli Ordalaffi8. Ma noi possiamo seguitare le orme dei Bianchi, nè facil cosa sarebbe l’indagare, se con essi sempre vi fu il nostro Poeta. Egli è per altro molto probabile, che almeno Dante sempre stesse a portata di profittare di qualunque occasione gli si presentasse, e che con i consigli, se non altro, ajutasse i suoi Cittadini, che con esso avevano comune la disgrazia di stare fuori della loro patria. Un moderno storico Pisano9 racconta esservi costante fama che Dante intorno a questo tempo se ne venisse a Pisa; «che quivi procurasse ogni mezzo possibile con gli altri fuorusciti di Firenze d’interessar nella loro causa i Pisani, acciò dessero loro ajuti più potenti, ed efficaci per ottenere il loro ritorno in patria a forza d’armi; che Dante certamente più dotto ed eloquente degli altri ne trattasse col Senato; che trovandosi allora i Pisani in quiete con la Repubblica fiorentina per la pace poco prima giurata, e stanchi altresì, ed afflitti dalla precedente lunghissima e sanguinosissima guerra, non vollero perciò pigliar nell’affare de’ fuorusciti parte maggiore di quella che per patto di confederazione erano [p. 112 modifica]tenuti di prendere per i Ghibellini, e che perciò rigettassero le istanze e le premure di Dante». Per lo che, soggiunge lo stesso, nacque nell’animo di lui tanto sdegno, che d’indi in poi mostrossi così nemico de’ Pisani, che quantunque Ghibellini non meno di lui, non ostante gli maltrattò con quelle nere invettive le quali andò scrivendo nel Canto XXXIII dell’Inferno. Ma siccome non fa quest’Autore molto conto di simile tradizione, quindi ancor noi passando avanti senza dirne di più osserveremo, che afflitto sommamente Bonifazio VIII. dalle ingiurie fattegli da Filippo il Bello Re di Francia suo capital nemico, mentre minacciava una strepitosa vendetta, terminò di vivere il dì 11. Ottobre 1303.10 e nè 22. dello stesso mese gli successe nel Papato il Cardinal Niccolò dell’Ordine de’ Predicatori, Vescovo d’Ostia, il quale prese il nome di Benedetto XI. L’indole pacifica di questo nuovo Pontefice fregiato di tutte le più belle virtù, le quali convengono ad un Vicario di Cristo in terra, lo fece risolvere ad interporsi candidamente nelle civili discordie, che rovinavano l’Italia, ed in particolare la nostra Firenze. In effetto avendo nella sua prima promozione del dì 18. Dicembre del sopraddetto anno 1303. creato Cardinale di S. Chiesa Frà Niccolò da Prato della famiglia Albertini, uomo di gran sapere, e di molta capacità11, lo spedì subito in Toscana in qualità di suo Legato. Egli giunse in Firenze in compagnia del P. Andrea Balducci Generale [p. 113 modifica]dell’Ordine de’ Servi nel Marzo del 1303.12, computando gli anni dal giorno dell’Incarnazione del Verbo, e fu ricevuto con indicibil consolazione. Conobbe ben presto il Cardinale, come osserva il dotto Scrittore della sua Vita13, che a’ Nobili non piaceva che ritornassero i Bianchi alla loro Patria, ma che ciò al Popolo era incominciato ad esser cosa desiderabile, perchè vedeva che, dovendo essere continue le gare dei Bianchi e Neri, se quelli fossero stati nella città, fra loro sarebbero durate le contese, ed il Popolo sarebbe lasciato vivere in pace; se poi stavano i Bianchi di fuori, l’armi che avevano in mano, venivano ad esser non meno contro a’ Neri, che contro al Popolo stesso; perciò con grande applicazione si pose a favorire il governo popolare, e con questo mezzo si conciliò grandemente l’animo della Plebe. Scrive Giovanni Villani14, e Dino Compagni15, che egli era di natura Ghibellino, e per questo i Bianchi si rallegrarono molto della sua venuta, e forse ancora si adoperarono presso il Pontefice, acciò lo mandasse Paciario in Toscana16. Comunque sia di ciò, egli è certo, che il Cardinale procurava di rimettere i Bianchi in Firenze o per i suoi fini particolari17, o veramente per rendere la desiderata pace ad una Repubblica che tanto si era dimostrata parziale per i Pontefici. Questa buona intenzione di Niccolò dispiacque molto ai Capi della parte Nera, onde non potendo con la forza impedire l’esecuzione de’ suoi pensieri, si volsero agl’inganni, e fecero a tutti credere, che egli teneva stretta intelligenza con i Fuorusciti18; [p. 114 modifica]ed ora con finzioni19, ora con offendere scopertamente la sua persona20 tanto si adoperarono, che il dì 9. di Giugno del 1304.21 senza avere nulla operato per la pace, fu il Cardinale costretto a lasciar Firenze in gran confusione22. Andò tosto Niccolò a ritrovare il Papa in Perugia, e poco appresso vi vennero ancora molti Capi della fazione dei Neri che governavano Firenze, o fosse per iscusarsi volontariamente del cattivo trattamento fatto al Legato23, o perchè Benedetto gli avesse obbligati a portarsi da lui, per rendergli conto di ciò che era seguito24. In questo mentre i Bianchi fuorusciti pensarono di tentare l’ultimo sforzo per riacquistare la loro Patria. Invitarono adunque nascostamente tutti quelli del loro partito per essere in un giorno determinato in un certo luogo, e (senza saputa dei Neri che erano in Firenze) in numero di 160025 uomini d’arme a cavallo, e 9000. pedoni, arrivarono alla Lastra, luogo distante due miglia dalla città per la parte di tramontana. È facile a comprendersi in quale spavento si trovasse Firenze, e quei principalmente, contro dei quali [p. 115 modifica]erano rivolte le forze dei Bianchi. La troppa fretta per altro che ebbero questi di accostarsi alle mura, prima che fosse riunito tutto quell’Esercito, che da varie parti attendevano, e la poca perizia di Baschiera Tosinghi che era quasi lor Capitano26, fece loro perdere il frutto della vittoria. Imperciocchè entrati con poco contrasto nella città, e condottisi fino presso la Chiesa di Santa Reparata27, sorpresi da un falso timore, conoscendo già, che più non erano ajutati da quei di dentro, con i quali avevano avuto intelligenza, dubitando d’esser traditi, si volsero indietro, e pieni di confusione senza più, lasciarono l’impresa28. Io non dubito punto, che fra coloro i quali vennero per sorprendere la nostra città non vi fusse il nostro Dante, ma avendo veduto riuscir vana la speranza concepita di rientrare nella Patria, è probabile che lasciasse la Toscana, ed in Padova si refugiasse. Quivi si trattenne certamente qualche tempo, trovandosi per sicuri riscontri, che egli vi aveva fermato il piede nel 1306.29. Era già [p. 116 modifica]seguita la morte di Benedetto XI. e già in luogo di lui era stato eletto Papa, per i maneggi del mentovato Cardinale Niccolò30, Bertrando del Gotto31, Arcivescovo di Bordeaux ne’ 23. di Luglio 1305. il quale aveva preso il nome di Clemente V. Questo Pontefice era creatura di Bonifacio VIII. e benchè gli Elettori lo avessero creduto nimico del Re di Francia Filippo il Bello, non ostante si era riconciliato con esso lui per ottenere il Papato, ed egli fu quello che trasferì da Roma in Avignone la Santa Sede Apostolica, ove 70. anni in circa vi si mantenne32. Or Clemente V. per consiglio del detto Cardinale da Prato, mandò suo Legato in Toscana il Cardinale Napoleone degli Orsini33 per liberare la città di Pistoja dall’assedio, con cui la tenevano stretta i Fiorentini, e per torre, se fosse stato possibile, le fazioni. Essendo state per altro, nel tempo che era per viaggio, aperte le porte di Pistoja ai Fiorentini34, il Legato si ristette dal porre il piede in Toscana, e ad altre cose volse il pensiero35, finchè l’anno dopo [p. 117 modifica]1307.36 dalla Romagna passò in Arezzo, e si diede a radunar gente per vendicarsi dei Fiorentini, i quali non avevano voluto prestargli ubbidienza; ma nè con l’armi alla mano, nè coi preghi potè da essi ottenere di rimettere gli esiliati in Firenze37; onde rimosso dalla legazione per segrete cabale dei Fiorentini38, se ne ritornò di là da’ monti al Pontefice. Io trovo che in questo medesimo anno 1307. i Ghibellini, ed i Bianchi fecero un congresso nella Sagrestia della Chiesa Abbaziale di S. Gaudenzio in Mugello, nel quale intervenne il nostro Dante39. Egli è per questo da credersi che avendo sentito il nostro Poeta il preparativo, che faceva il Cardinale Orsini per ajutare i Fuorusciti, da [p. 118 modifica]Padova si fosse qua portato su la speranza di rientrare con gli altri suoi compagni nella Città, e senza fallo io stimo che esso fosse nel Castello di Monteaccanico della Casa Ubaldini di Mugello, quando venne in potere dei Fiorentini, salve le persone che dentro vi tovarono, siccome racconta il Villani40. Essendo adunque questa volta ancora svanita la speranza dei fuorusciti, i quali credendo di riacquistare la loro patria, avevano speso assai senza alcun frutto, mai più si raunarono, come dice Dino Compagni41. Allora Dante vedendo le cose sue ridotte a mal partito, se ne andò nella Lunigiana per implorare la protezione del Marchese Maorello Malaspina42, il quale benchè avesse molto favorita la fazione dei Neri43, con tutto questo essendo un gentile e cortese Signore, graziosamente ricevè Dante; onde per segno di gratitudine per le gentili accoglienze fattegli da detto Marchese Maorello, a lui dedicò la seconda Cantica della sua [p. 119 modifica]Commedia, cioè il Purgatorio. Che poi in quest’anno appunto 1306. come apparisce dalla missione a Sarzana si portasse Dante nella Lunigiana, ed ivi fosse dal Marchese Maorello con molta piacevolezza accolto e trattenuto, non può contrastarsi, perchè di tanto lo stesso Dante ce ne assicura44. [p. 120 modifica]

Note

  1. Leonardo Aretino Vita di Dante.
  2. Gargonza è un Castello in Capo della Valdambra sul confino dell’Agro Sanese, ed Aretino presso Civitella del Vescovo, poi compreso nel Vicariato del Monte S. Savino. Questo Castello dai Guelfi di Firenze fu tolto agli Aretini il dì 24. Maggio 1308. Giovanni Lelmi Diario pubblicato dal Lami nelle sue Deliciae Erudit. pag. 82. e seg. colla P. III. dell’Istoria Sicula dei Buonincontri.
  3. È rammentato da Dante nel C. XXX. dell’Inferno vers. 77.
  4. Leonardo Aretino loc. cit.
  5. Il sopraccitato Francesco Maria Raffaelli nel suo Trattato della Famiglia della persona degl’Impieghi ec. di messer Busone da Gubbio cap. IV.
  6. lib. 2. pag. 50.
  7. S’è vero che a lui dedicasse Dante la prima Cantica della sua Commedia, come siamo per dire altrove, bisogna che Uguccione non si dimostrasse in questo tempo scortese verso il Poeta. Comunque sia, vedasi quanto scrive di questo celebre capitano, e condottiero il Cavalier Lorenzo Guazzesi nella sua dissertazione del dominio del Vescovo d’Arezzo in Cortona pag. 189. in not. e seg.
  8. Di lui parlano gli Storici di quei tempi; e dalla Cronica di Forlì pubblicata dal Muratori nel T. XXII. Rer. Italic. Script. si ha che egli nel 1310. con Pino e Bartolommeo della stessa Casata fu messo prigione dal Re Roberto di Napoli. Da’ Bianchi fuorusciti fu fatto lor Capitano, quando passarono nel Mugello. Ved. Dino Compagni lib. 2. pag. 51.
  9. Questi è Flamminio dal Borgo, che ha dato in luce nel 1761. un I. Tomo di dissertazioni sopra la storia Pisana nelle quali a pag. 52. scrive quanto noi riferischiamo.
  10. Questo Pontefice fu dotato di grandi virtù, e di gran vizj; onde da Benvenuto da Imola nel suo Comento alla Commedia di Dante è chiamato «un magnanimo peccatore»: siccome era stato nemico implacabile dei Ghibellini, i quali perseguitò sempre a tutta sua possa, perciò Dante nel detto suo poema ne dice quanto male mai seppe.
  11. Di questo Cardinale tanto famoso nella Storia del XIII. secolo ne ha pubblicato in Livorno presso Antonio Santini l’anno 1757. in 8. la Vita il Can. Angiolo Maria Bandini, che lo denomina Martini. Ma il Padre Fineschi Domenicano, già da me in altro luogo mentovato, avendo dato in luce di poi un supplemento alla detta vita del Cardinale Niccolò, persuase esser piuttosto della casa Albertini.
  12. Bandini loc. cit. pag. 14.
  13. Il mentovato Bandini pag. 15.
  14. Lib. VIII. cap. 69.
  15. Lib. 3. pag. 56.
  16. Lo dice Dino Compagni autore contemporaneo op. cit. pag. 56. e 58.
  17. Se egli era Ghibellino, e se da quelli del suo partito era stata sollecitata la sua legazione, come dicono gli Storici, doveva desiderare di rimettere i Bianchi in Firenze per adempire le loro brame.
  18. Ved. Giovanni Villani lib. 8 cap. 69. il quale racconta come fu contraffatta una Lettera per far credere che il Cardinale aveva fatto venire di Romagna i Ghibellini per rientrare in Firenze con le armi in mano.
  19. Da Dino Compagni lib. 3. pag. 59. si ha che i Neri procurarono di allontanare di Firenze il Cardinal Legato, facendo finta che bisognava assicurarsi di Pistoja avanti di rappacificare le fazioni di Firenze.
  20. Dopo essere stato il Cardinal Niccolò a Prato ed a Pistoja senza frutto, ritornò in Firenze, ma di quì dovette ben presto partire, perchè i suoi nemici senza far conto del carattere che egli sosteneva, offesero la sua stessa persona, siccome narra il Compagni pag. 62. Se meritasse il Cardinale simil trattamento da’ Fiorentini, lasciò che altri ne giudichi, mentre io non so fare altro che compiangere le triste vicende della mia Patria.
  21. Dino Compagni loc. cit. pag. 62. Il Villani dice che il Cardinale si partì di Firenze il dì 4. dello stesso mese.
  22. Ved. il Villani lib. 8. cap. 71. e Dino Compagni loc. cit.; i quali narrano i mali che successero in Firenze dopo la partenza del Cardinale.
  23. Così dice Dino Compagni lib. 3. pag. 64.
  24. Giovanni Villani lib. 8. cap. 72.
  25. Giovanni Villani lib. 8. cap. 72. Dino Compagni dice, che gli uomini d’arme a cavallo erano MCC. Questa diversità ne’ numeri non si deve molto apprezzare, perchè ciò può esser nato da chi trascrisse i Codici.
  26. Dino Compagni loc. cit. pag. 65. Da costui famoso nella Storia Fiorentina di questi tempi si denominò una Porta della Città, detta del Baschiera, la quale era là ove è in oggi la Via de’ Cenni: Ammirato Storia Fiorent. pag. 1. lib. 1.
  27. Villani, e Dino Compagni loc. cit.
  28. Sono da vedersi gli accennati Cronisti. Del resto tal cosa successe il dì 20. Luglio 1304.
  29. In un’Istrumento esistente presso i Marchesi Papafavi di Padova riferito nelle Novelle Letterarie di Firenze del 1748. col. 361. si legge = Millesimo trecentesimo sexto Ind. IV. die vigesimo septimo mensis Augusti Padue in contrata Sancti Martini in domo Domine Amate Domine Papafave; presentibus Dantino quondam Aligerii de Florentia et nunc stat Padue in contrata Sancti Laurentii etc. Racconta Benvenuto da Imola nel suo comento sopra il Canto II. del Purgatorio che Giotto ricevè in casa Dante quando egli a Padova si condusse, ed il Baldinucci nella vita del medesimo Giotto Decenn. IV. del secolo I. pag. 49. ripone questo fatto dopo il 1316. senza dirne il perchè; or dunque o bisogna supporre che più volte Dante stesse a Padova, lo che non è veramente improbabile, o che questo autore si sia ingannato, o in fine che falso sia quanto scrive Benvenuto. Forse Baldinucci averà seguita la scorta del Vasari, il quale doppo detto anno fa’ che Giotto andasse a Padova; ma questo scrittore non trovo che racconti che allora Dante fosse quivi, anzi dice che la fama di Giotto arrivò agli orecchi di Dante mentre era a Ravenna.
  30. Vedi Bandini loc. cit. pag. 27. e seg.
  31. Prop. Muratori Annali d’Italia anno 1305. = Pastor senza legge = lo chiama Dante nel XIX. Canto dell’Inferno del Purgatorio vers. 83.
  32. Dante accenna ciò nel Cant. XXXII. del Purgatorio vers. 158.
  33. Lo Storico Ferreto Vicentino narra, che questo Cardinale ebbe mano nella prigionia del Pontefice Bonifazio VIII. Ved. il secondo lib. della sua Storia inserita nel Tom. IX. Rer. Ital. Script. Egli era un’ecclesiastico molto potente e per la grandezza della sua Casata, e per le aderenze che aveva.
  34. Tal cosa seguì il dì 10. d’Aprile 1306. Dino Compagni loc. cit. pag. 71. Simone della Tosa Annali: Storie Pistolesi pag. 36.
  35. Ved. il Muratori ne’ suoi Annali all’anno 1306. e Dino Compagni loc. cit. Simone della Tosa all’anno 1306. scrive «E in questo anno di maggio venne a Firenze messer Napoleone degli Orsini Cardinale per pacificare i Bianchi coi Neri, e stette poco tempo». Giovanni Villani lib. 8. cap. 85. dice espressamente che quei che reggevano la Città, non vollero che venisse in Firenze, e che perciò il Cardinale dopo avere scomunicato i Fiorentini, se ne era andato a Bologna. Da Dino Compagni egualmente non ci vien detto che egli entrasse in Firenze.
  36. Dino Compagni loc. cit. pag. 72. Villani lib. 8. cap. 89. Il Conte Giuseppe Garampi parlando di questo Cardinale, e delle sue legazioni nella XII. Dissertazione annessa alla storia della B. Chiara da Rimino dice che egli (pag. 347.) nel 1308. in Arezzo si dette a radunar l’esercito; ed un poco sopra dimostra che l’anno 1307. passò per lo più in Faenza ed in Bologna. Se ciò è vero, bisognerà dire che i nostri storici abbiano sbagliato di un anno nell’assegnar la venuta di Napoleone, o che verso la fine del 1307. solamente venisse in Toscana, e nel seguente operasse quello che fece; la qual cosa mi sembra più adatta a conciliare quel che dice il predetto Garampi, cioè che nel dì 12. Giugno 1309. ritornò in Roma doppo essere stato in Avignone dal Pontefice.
  37. Dino Compagni loc. cit. e Giovanni Villani.
  38. Dino Compagni pag. 73.
  39. Ciò apparisce da un’Instrumento Rogato da Ser Giovanni di Buto d’Ampinana Protoc. 3. a. 120. nel nostro Archivio Generale riferito non senza qualche errore dal D. Brocchi nella descrizione del Mugello pag. 58. «ed è di questo tenore: In Dei nomine Amen 1307. Actum in Choro Abbatie S. Gaudentii de Pede Alpium presentibus Orco quondam Gherardi Guidalotti de Florentia, et Davizino de Corbizis de Florentia Festibus D. Torregianus, Carbone, et Vieri de Cerchiis: D. Guellinus de Ricasolis. D. Neri, Bertinus Grossus, Bettinus, et Nuccius D. Acceriti de Ubertini, D. Andreas de Gherardinis: Branca et Chele de Scolaribus: Dante Allighierii: Minus de Radda: Bertinus de Pazzis: Lapus, Taddeus, Ghinus, et Azzolinus de Ubertinis. Isti omnes et quilibet eorum pro se omni deliberatione pensata promiserunt, et convenerunt Lapo Bertaldi de Florentia recipienti pro viro nobili Ugolino de Felliccione, et pro ejus filiis, et pro omnibus aliis de domo Ubaldinorum, et pro quolibet eorum omnia damna interesse, et expensas restituere facere, et emendare de eorum propriis bonis, que vel quas predictus Ugolinus, vel eius consortes incurrent seu reciperent tam in bonis temporalibus, quam etiam in beneficiis ecclesiasticis occasione novitatis sue guerre facte vel facende per castrum Montis Accianichi, vel per aliquam aliam eorundem fortilitiam, vel fideles vel per ipsosmet ad arbitrium eorum sub pena duo mille marcarum argenti etc. pro quibus obligaverunt etc.».
  40. Ved. Villani lib. 8. cap. 86. Egli dice che i Fiorentini andarono a oste sopra il detto Castello nel mese di maggio 1306. e lo stesso narra ne’ suoi Annali a detto anno Simone della Tosa.
  41. Dino Compagni loc. cit. pag. 72.
  42. Egli è chiamato diversamente dagli Scrittori; noi lo nominiamo Maorello sulla fede delle Istorie Pistolesi pag. 20. e 35. Ved. Mons. Fontanini Eloq. Ital. lib. 2. cap. 19.
  43. Benchè i Malespina fossero del partito dei Bianchi, Maorello non ostante, siccome fu in molte cose contrario agli altri della sua famiglia, così tenne dalla parte de’ Neri. Ved. Tommaso Porcacchi nella Storia della Famiglia Malaspina pag. 178. Edizione di Verona 1585. in 4.
  44. Dante dopo aver lodato meritatamente nel C. VIII. del Purgatorio ver. 122. e seg. la Casa Malaspina, fa dire a Corrado della detta Famiglia, con cui finge di ragionare in quel Canto ver. 133. e seg.

         — — Or và, che ’l sol non si ricorca
              Sette volte nel letto, che ’l Montone
              Con tutti e quattro i piè cuopre, ed inforca,
         Che cotesta cortese oppinione
              Ti fia chiavata in mezzo della testa
              Con maggior chiovi che d’altrui sermone.

    Dante, come altra volta si dirà, finse d’avere avuta la Visione nel 1300. onde da questo passo apparisce che nei detti versi ebbe in animo d’indicare l’anno 1306. Il detto Maorello dicesi essere stato figliuolo di questo Currado, ed avere avuta per moglie quell’Alagia Nipote di Papa Adriano V. della Famiglia Fieschi de’ Conti di Lavagno rammentata nel C. XIX. del Purgatorio ver. 142. Porcacchi loc. cit. pag. 173.; ma il vero è che Maorello con Corradino, di cui più a basso, Manfredi, Federigo, Azone, e Giovanni Malaspina, nacquero dal Marchese Opizzone del Marchese Federigo di questa casata, e da Donna Tobia di Lanfranco Spinola, e che ebbe due Sorelle una per nome Bettina, e l’altra Orietta, la quale è quella Orietta moglie di messer Geri di messer Manetto Spini che si annojò del cavaliere poco bravo parlatore di cui discorre il Boccaccio nella I. Novella della VI. Giornata. Rilevasi ciò da una cartapecora del 1301. dell’Archivio Strozzi rammentata dal Manni nella sua illustrazione del Decamerone par. II. pag. 380. e da un altra del 1332. del medesimo Archivio nella quale è rammentata la suddetta Orietta già vedova. Ho avuta in mano copia di queste due carte le quali meriterebbero di essere riferite per l’intero, se non facessero un poco troppo lontane dal nostro soggetto. L’Alagia moglie di Maorello si disse anche Alascina, e fu figliuola di Niccolò, Vicario Imperiale in Italia, di Tedisio di Ugone Fieschi, ebbe due sorelle che una maritata ad Alberto Malaspina per nome Fiesca dal qual parentado discesero i marchesi di Filattiera siccome apparisce da un istrumento di divisione di Feudi della casa Malaspina in Lunigiana del dì 18. aprile 1275., e l’altra si chiamò Giacopina fu moglie di Opizzo Sesto da Este signor di Ferrara secondo quello che leggesi a pag. 59. nella storia della famiglia Fiesca scritta da Federigo Federici e stampata in Genova in foglio, senza indicazione d’anno, ove si discorre del predetto Niccolò, e di queste sue figliuole senza però notare il nome della seconda, che dalla citata carta soltanto si rileva.
     Nuovo riscontro poi della protezione che prese la casa Malespina della persona di Dante è stato ritrovato (Settembre 1765.) nel pubblico archivio di Sarzana in un istrumento del dì 6. Ottobre 1306. con cui Franceschino de Marchesi Malespina costituisce l’Allighieri suo Procuratore a far pace con Antonio Vescovo di Luni non tanto in nome proprio che di Maorello, e Corradino fratelli Malespina, che stimo essere figliuoli del suddetto marchese Opizzone, benchè nelle carte di cui parliamo, il loro padre si dice Oppecino, ed il primo di questi lo stesso Maorello protettore del nostro Poeta, qunantunque di un altro Marouello, e di un Franceschino si faccia parola nel nel citato documento del 1301. tanto è vero che il nome di Maroello, e Maorello era comune con questa casata, e che la ripetizione di nomi stessi nelle medesime famiglie rende assai difficile ai Genealogisti il fissare l’identità, e le relazioni delle medesime persone. Un altra carta si trovò nel medesimo Archivio dello stesso giorno mese ed anno, contenente il rogito di detta Pace, ed ambedue furono pubblicate nelle novelle letterarie del Lami dell’anno 1767. ai numeri 38. 39. e 40.