Narrazione su la Vita e gli Studj di Girolamo Ascanio Molin
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narrazione
intorno alla vita e alle opere
di
girol. ascanio molin
patrizio veneto
Letta nell'Ateneo Veneto
il dì 16 giugno, 1814
Amara ad un tempo e grata incumbenza mi deste, egregi Accademici, impegnandomi a tenervi discorso intorno ad un vostro illustre concittadino che frequentava, non ha molto, le vostre tornate, e che ora non vivo più. Io che piango in esso la perdita di un costante signore, ed amico di cinque lustri, vi rendo grazie che prescelto mi abbiate a spargere di pochi fiori la onorata sua tomba, e sebbene questi fiori sien colti da umil pratello piuttosto che da giardino vago e pomposo, fia che riescanvi nientedimeno accolti, e li troviate non privi di deliziosa fragranza. Non è intenzione mia di tesservi in quest'oggi l'Elogio di Girolamo Ascanio Molin, ma io mi propongo di affisar alcun poco il tenore della sua vita politica e letteraria, le morali qualità, i virtuosi costumi, e quelle disposizioni colle quali egli ha saputo coronare il mortale suo corso, disposizioni che risveglieranno i ben composti animi vostri a sentimenti di considerazioni e di affetto.
Girolamo Ascanio Molin, patrizio veneziano, venne alla luce nel dì 8 di novembre dell’anno 1738, e fu ultimo rampollo di una antica, nobile e doviziosa famiglia. Egli avea Sortito dalla natura mente alta a qualunque scienza, ed ebbe la sorte di ottenere la sua istituzione letteraria sotto ottimi Precettori nel Collegio de’ Nobili, allora fiorentissimo, nella città di Modena. Cominciò di avere, avuto fra gli altri, ad educatore e maestro, il celebre poeta e filosofo Giuliano Cassiani. Cominciò di buon’ora a dare non ordinane prove d’ingegno, sì con ameni componimenti, come con pubblici letterarj esercizj; e cominciò di buon’ora ad essere guardingo e pesatissimo in tutte quelle azioni di cui si fosse potuto una volta pentire, dal che poi nacque che negli anni più tardi non volle mai pubblicar col suo nome lo opere che ha conseguate alle Stampe. Quanto è lodevole una circospezione che unica serve a far saggio del giudizio del pubblico, tribunale il più sincero e incorrotto!
Riconsegnato il nostro giovane a’suoi genitori, dopo avere onorevolmente compito il corso de’suoi studi, furon eglino ben contenti di riscontrare nelle parole, nelle azioni, nel consiglio, e per sin nel silenzio e nell'aria
del suo volto quella prudente condotta che, senza essere compagna di una timida e soverchia cautela, dà maravigliosi presagi di bella riuscita. E questa riuscita era quella che stava massimamente a cuore de’ Padri Coscritti, di quest’allora illustre Metropoli, che miravano ad accorre nel loro seno figli degni di assumer con lustro la toga patrizia.
Nell’età dalle leggi prescritta fece il nostro Molin il suo ingresso nel così detto Collegio corpo rispettabile dello stato in cui videsi ben presto decorato dell’onorevole ufficio di Savio agli Ordini. Lo sostenne egli con abilità e con applauso, temperando Un d’allora con bella industria le gravi cure del magistrato colle amene dell'uomo di buttero, e dando tai saggi, che l’ingresso gli apersero per una parte ad ufficj di maggiore importanza, e per l’altra alle adunanze delle Letterarie Accademie, allora fiorenti e in patria ed altrove.
Quella nobiltà di animo che rende, chi n'è fornito, nemico di ogni basso interesse, impenetrabile alle voci della seduzione, e inclinalo allo splendore e al generoso uso di larga fortuna, è il fregio più bello che possa ornare un personaggio distinto per nascita e per la
lenti, ed era essa il retaggio di Girolamo Ascanio. Egli cominciò di buon ora ad impiegare una parte delle sue fortune nella costruzione di fabbriche, nell'ospitale asilo degli uomini di lettere, nel raccogliere monumenti di arti e di scienze, e durò in lui si generosa attitudine per lutto il corso non breve della sua vita. E questa sua vita non v’ha chi possa inoltre non attestare che non fosse accompagnata da singolare lealtà, e da una sincerità senza pompa di parole, senza artifizj, e senza verun calore di esterne espressioni; di maniera che, richiesto questo personaggio di parere o di consiglio, esponeva sempre in franchi modi il suo sentimento, libero da ogni passione e senz’ombra alcuna di prevenzione. Le leggi dell'amicizia erano presso lui sacrosante, specialmente dove le vedea pure e sgombre da ogni interesse; e né il tempo, né la lontananza, né la letteraria corrispondenza interrotta, erano bastanti a punto scemare in lui la memoria di chi gli era stato caro una volta. I nomi egregi del marchese degli Obizzi di Padova, del conte Antonio Cerati di Parma, di Giacopo Giustiniani, che ora non sono più, e de’ tuttavia viventi Antonio da Ponte, Giovanni Correr, Giovanni Balbi, Giambatista Broc
chi, Iacopo Vittorelli, formavano per esso il più dolce soggetto o di rimembranza odi cure sempre affettuose. Ebbe pur tra’ suoi cari il conte Aurelio Guarnieri Ottoni di Osimo, cavaliere coltissimo, al quale, da immatura morte rapito, volle rendere una solenne testimonianza di cordoglio, di estimazione col fargli scolpire una lapida sepolcrale l’anno 1789 nel chiostro de’Frati, o sia de Minori Conventuali, di questa città.
Ma discorriamo alcun poco sulle azioni di questo personaggio siccome ornamento della sua patria, e togliamole da quel denso velo di rara umiltà in cui egli amavale involte. Promosso di buon'ora alla deputazione alle acque, dobbiamo tutti al suo zelo una provvidenza di cui cogliesi il frutto oggidì. Egli volle ed ottenne che fosse accresciuto il numero de' Pozzi di questa città, ed ebbe cura che fossero costrutte sicure difese a quelli che poteano restar danneggiati dall'escrescenze della marea, attesa la troppo bassa lor posizione. Le presidenze e le primazie, solite ad accordarsi a’ più distinti soggetti di un illustre Comizio, gli vennero tribulate nelle Quarantiae, tribunali, come ben sapete, cospicui in aristocrazia, siccome quelli che avevano per iscopo
non solo di assicurare in forme illibate e innocenti i diritti di proprietà, ma di preservare eziandio le ragioni de’ deboli patrizj contro le prepotenze dei forti. Il merito e la riputazione non tardarono poi a collocarlo in altra dignità eminente. Fu Avvogadore del comune, carica da cui non andavano disgiunti le prerogative e i pericoli che l’antica Roma accordava ai suoi tribuni del popolo, e carica dal Molin sostenuta con tanta probità ed opportuna energia, che servì a preconizzargli incumbenze ancora più luminose. Di fatto, poco appresso venne eletto a consigliere, o sia membro addetto a l’ormare l’unità della serenissima signoria; e siccome le patrie Leggi accordavano a questa il diritto di associare uno de’ suoi individui al tribunale supremo degl'inquisitori di stato, così fu ammesso tra tali individui il Molin, senza che alcun rivale osasse contendergliene il concorso. Fu onorato di sì maestosa rappresentanza appena che s’udì proclamato il suo nome.
Quando l’ottimo cittadino sia pervenuto a rendersi famigerato non solo colla integrità del costume, ma colla perspicacità de’ talenti e colla fermezza del carattere, bello è l’ufficio che può essergli imposto di metter freno
alle altrui sregolate passioni, etanto più splende egli allora come astro benefico quanto più la patria può in ardue circostanze valersi del possente suo ajuto. Io intendo di toccare di volo a questo luogo un’epoca strepitosa in cui rimase il veneziano orizzonte aristocratico coperto di nubi. La patria, minacciata da ingrate innovazioni, raccomandò principalmente al Molin la sua salvezza, ed egli, scevro da ogni umano riguardo, forte e costante nella saggezza di sue misure, non lardò un momento a deprimere gli autori di torbidi sistemi, a metter freno a’ loro proseliti, e ad abbandonare al disprezzo gli oziosi investigatori del procedere di un repubblicano severo e l’ermo, pronto e risoluto. Per consenso universale della nazione fu questa un’epoca che gli lasciò i più giusti dritti alla considerazione della sua patria, e gliene seppe essa buon grado collocandolo nell’eccelso Cconsiglio dei x, nel qual tribunale di alta polizia passò a sedere più volte, e sempre con esito per la causa pubblica utile e dignitoso.
Rincorderò, miei signori, anche un altro tratto della vita politica dell'illustre nostro Magistrato, a fine che conosciate in quanto conto egli era tenuto nelle straordinarie sop
pravvenienze della repubblica. Erano le venete province nell’anno 1783 flagellate dalla fame per mancanza di granaglie, e le afflitte popolazioni invocavano dalla liberalità del principe pronto e generoso soccorso. Si decretò alla straordinaria deputazione di Provveditore dell'Annona il Molin, il quale immediatamente misesi a percorrere le città cirstanti, a conoscere la estensione de’ mali, ed a porgervi pronto sollievo, tacendo uso dei mezzi senza limite assegnatigli dalla pubblica confidenza. É facile l’immaginarsi che nell’adempimento di commissione tanto benefica si attirasse gli encomj e le benedizioni di chi vedeva in lui il rappresentante della sovrana liberalità, ma non era agevol cosa l’ottenere l’intento a cui egli mirava precipuamente, cioè la depressione, il castigo, l’annientamento de’ monopolisti. Contro questi subito rivolse le sue indagini, contro questi si mostrò giudice severissimo, e giunse in tale circostanza se non ad estirpare così mal'erba, a diminuire almeno la possibilità di rendere le piaghe più cruente e più vive, ed a far tremare i colpevoli al solo ricordar del suo nome.
Ma bastino questi cenni intorno alla sua vita pubblica, mentr'io v’invito a tornare fra
le pareti domestiche del vostro concittadino, e non siavi discaro di venir meco ad osservarlo più d'appresso fra le distrazioni dello ingegno e le cure dell’amicizia. Vedetelo a buon conto nel seno di sua famiglia, siccome compagno d ottima e nobilissima sposa, divenir tenero padre di due figliuole, educate e cresciute alle virtù domestiche e alla pietà religiosa. Vedetelo non mai dominalo da sete ingrandimento di sua fortuna, non mai dimentico di quanto dovea alla onestà e alla rettitudine del suo carattere. Non potea desiderarsi segretezza, discrezione, tolleranza, assistenza maggior della sua dove lo richiedesse il bisogno. Le stagioni poi dedicate agli ozj campestri lo passava egli nella sua villa posta nel subburbio della mia Bassano, e quivi gli faceano corona ospiti che godevano di giocondissima libertà, e che spendevano lietamente il tempo non tanto nel dilettarsi di quei vaghi giardini della natura, quanto ne' trattenimenti di una sempre amena e sempre varia cultura di spirito. I giorni di allora non erano ancor minacciati da impetuoso bufere e niente era di ostacolo alla più sincera allegrezza.
A questi tempi, o Accademici, più distintamente appartiene ciò che vi riguarda, la
serie, cioè, de’ letterarj lavori che occuparono l’ingegno dell'illustre vostro socio. Non sono essi di poca importanza se vogliam prendere in considerazione, oltre agli stampati, quelli che rimangono inediti, e che forse sarebbero i meglio opportuni ad assicurargli un posto distinto nella posterità. In doppio aspetto vi si offre il nostro Autore agli sguardi, e come storico e come poeta. Siccome storico, pochi sono certamente que' cittadini che, caldi di vivissimo patrio amore, abbiano più costantemente di lui adoprato la penna ad. illustrare questa nostra Venezia. Incominciò egli dal recare dal latino nel nostro idioma la Storia di Andrea Morosini e lavoro si fu questo, si per la diligenza ed esattezza del volgarizzamento, come per la importanza delle narrazioni, di somma universale utilità.
Voi conoscete già, per le stampe due volte fattesi, la giudiziosa sua raccolta di Orazioni Elogi e Vite, scritte da letterati Veneti patrizj in lode di dogi, e di altri illustri soggetti, orazioni per la maggior parte da esso pulitamente dal latino recale all’idioma nostro. Spicca la dottrina del benemerito raccoglitore nella lunga e ben maturata prefazione all’opera, in cui si svolge la controversia intorno
al metodo da seguirsi nel tessere le vite degli uomini illustri; e la raccolta ci dà schierate quelle scritte da trenta patrizj veneziani, incominciando da un’orazione del secolo xv indirizzata a Carlo Zeno da Leonardo Giustiniano, e dando fino con due Concioni eloquentissime, una di Lodovico Arnaldi ed una del cardinale Flangini in lode del celebratissimo doge Marco Foscarini. Bella cosa è il vedere in due volumi riunite tante prove dei singolari ingegni del veneto patriziato, o se risguardare si vogliano come illustri nelle loro geste, o come maestri nell'arte dell'eloquenza. Ma anche questo ò picciol lavoro se debbasi confrontare con altri del nostro autore che giacciono inediti. La Storia della Veneta Repubblica nei cinque lustri che precedettero la sua caduta venne da esso scritta con maravigliosa esattezza, e voi scorgete in essa fedelmente registrate non solo le politiche e civili vicende de' Veneziani, ma eziandio le orazioni dette nel maggior consiglio e nel senato dai Contarini, dagli Zeni, dai Foscari, dai Giustiniani, dai Flangini, orazioni che formeranno sempre altra onorevolissima testimonianza del fiore in cui l'arte del dire si mantenne fra noi, arte però che venne meno
nel patriziato, e spirò quando que’ robusti sostenitori del patrio decoro finirono il corso di loro vita politica.
Altra opera giace inedita non meno vasta nel suo disegno che della vostra considerazione degnissima. Questa in cui travagliò l’autore sin agli ultimi periodi del viver suo, è un Quadro delle magnanime azioni, e pubbliche e private, nelle quali si distinsero i Veneziani dal nascere sino al tramontare della repubblica. E diviso il lavoro in più classi perché si veggano rispettivamente raccolte, e schierate le geste di chi si segnalò o per la prudenza ne’ consigli, o per la giustizia nelle operazioni, o per la dolcezza e la temperanza negli eventi, o pel valore nelle imprese di guerra. I fatti si trovano bene spesso puntellati dalle autorità di scrittori forestieri affinché ogni ombra di parzialità sia tolta, e si crei un giusto sentimento di maraviglia nell’animo di chi legge. Non vi parlerò di altre scritture in prosa di minor conio, che non mancano fra’suoi manoscritti dove sono e curiose dissertazioni, e lettere erudite, ed una commedia, e l’elogio di Pietro Loredan, celebre generale delle armi venete nel secolo xv. Erasi proposto il Molin di leggere questo elogio nelle vostre adunanze
in questi giorni medesimi; ma in queste adunanze e in questi giorni in vece, ahi, che per inopinata e luttuosa cagione io qui prendo il suo posto, rassegnato a quella Provvidenza che ridesi sempre degli umani nostri disegni!
Mi avvicinerò ora anche al Parnaso, ma per torcere assai presto il passo, sì perché a me non son famigliari le strade del sacro monte, sì perché io porto opinione non essere il nostro, d’altronde rispettabile socio, pervenuto ad alcun eminente posto nel bel corteggio delle Nove Sorelle.
Due volte vide la pubblica luce un suo voluminoso epico lavoro intitolalo Federico il Grande o sia la Slesia riscattata. Vastissimo n’è il disegno, colorito in ben quaranta canti, nè quali intese il Poeta a descrivere la guerra sostenuta dal grande Eroe della Prussia, incominciando dal momento in cui videsi cacciato dalla Slesia, e terminando in quello della sua restituzione al dominio della medesima nell’anno 1758. Volle spiegare in questo poema i sistemi e gli ordini dello grandi corti moderne, e i maneggi de’ gabinetti, romantico palesandosi prima che questo nome venisse in voga, introdusse episodj e pitture degli odierni costumi che tendono sempre il luogo
delle allegorie o de prodigi scavati fuori dall'antica mitologia. D'uopo è però il confessare che sì vasta impresa ebbe nel nostro autore un campione che mostrossi poco confidente ed amico di Apollo.
Altro poema scrisse il Molin a pochissimi noto, che porta il titolo di Venezia tradita. Ne fece eseguire la stampa in sua propria casa, e se ne divulgarono alcune copie soltanto, le quali eziandio vennero poco appresso per dilicati riguardi consegnate alle fiamme. In questa non breve opera, tutta calda di amor di patria, e piena di verità, in altri tempi ingratissime, volte colorire la storia di una rivoluzione su cui non occorre arrestarci, che ella non è funzion questa nostra da funestare con isterili lamentazioni! Non vi parlerò nemmeno alla distesa di un terzo epico lavoro del Molin, intitolato la Strage degli innocenti né di una sua raccolta di Poesie liriche, l'uno e le altre già venute alla pubblica luce.
Ma se non la palma di valoroso poeta, ben altra seppe meritarne il Molin, che fu uomo imperturbabile in mezzo alle più strane e più ingrate vicende. Se vorremo indagare il tenor di sua vita dall’epoca in cui cessò di esistere la repubblica fuio a quella in cui pagò il tri
buto, che ci è comune, noi conosceremo che in lui non si cicatrizzarono mai le piaghe lasciate aperte dalle funeste rivoluzioni di queste contrade. Vedremo però eziandio che non gli venne mai meno il coraggio nel lottare ora contro gli assalti dell’invidia cittadinesca, ora contro le macchinazioni della vendetta, ora contro la prepotenza di que’ dominatori che, secondo le sue espressioni, eran fra noi per tagliare le radici dell’albero dell’abbondanza con una mano, e per pretenderne inesorabilmente i frutti coll'altra. Giunser costoro sino a strapparle una volta dal suo pacifico campestre asilo, e a guisa di reo di ulta tradigione lo vedemmo strascinato a’ lor tribunali, ed obbligato a schermirsi da terribili insidie. Ma non gli fu d'uopo che di mostrare apertamente una fronte in cui l'insubordinazione o il delitto non poteano lasciar vestigio di macchia alcuna, e quindi videsi finalmente restituito innocente in seno della famiglia, togliendo dalle angustie più gravi gli animi dei suoi parenti e de’ suoi amici.
Ridonato agli ozj domestici, Sempre più raffrenando quella commozione che lo rendea mal sofferente ne’ tutt'ora strani sconvolgimenti della patria, cercò i sollievi dell'animo nel
l’accarezzare, olire alle lettere, anche le arti, e le scienze con sempre maggior ardore, e nel convertire, direi quasi, la sua abitazione in un tempio sacro a Minerva. Voi ne potrete scorgere le pareti rivestite di marmi, di sculture, d iscrizioni, di bei frammenti di antichità. In un canto di questa sua casa ammirasi un gabinetto in cui la natura fa pompa de tesori che stanno nascosti nelle viscere dei suoi monti, o negli abissi delle sue acque. Sorgono in altro cauto bei monumenti della pittura, della scultura, della incisione delle stampe; e la storia spezialmente de’ primordj della pittura veneziana scorgesi lineata dalle opere che in copioso numero a lui riuscì di scoprire e di acquistare. Raccolte di medaglie e di monete, oggetti di erudita curiosità, suppellettile abbondantissima di libri di storio, e di amena letteratura, e soprattutto codici contenenti antiche patrie memorie, tutto ciò, miei signori, è il risultamento delle nobili passioni, de’ dispendj e delle vigili cure del vostro concittadino. La patria poi, e la posterità doveano, por gl’inalterabili e nobilissimi suoi principi coglier il frutto di tanta sua industria; e voi sapete che lo colgono adesso mediante una generosa disposizione testamen
tarla la quale esiger dee illimitata gratitudine per parte nostra, e, direi ancora, qualche testimonio di nazionale riconoscenza. A tutti è
noto a quali usi restano riserbate le belle suppellettili dal solerte nostro socio di raccolte. Il Liceo di questa città, la pubblica Biblioteca, l'Accademia delle Belle Arti le custodiranno perpetuamente a proprio decoro, ad istruzione, ad esempio della nobile gioventù veneziana, e a testimonio dell’ultimo pegno di amore di un benefattor generoso.
Nel giorno sette dello scorso mese di maggio Girolamo Ascanio Molin, assalito da impetuosa febbre, vide imminente lo scioglimento suo dai legami di questa vita. Lo vide, e non si turbò, perché la condusse sempre intemerata ne’ rigorosi limiti prescritti al filosofo cristiano, e potè così tra le preci dei sacerdoti, tra il compianto de’ propinqui, degli amici chiudendo placidamente gli occhi per sempre, passare in seno della immutabile eternità.
Per le cose sin qui esposte senza pompa oratoria, senza eleganza di dettato, a me basterà, o egregi Accademici, d'essere nulladimeno riuscito a schierarvi dinnanzi le azioni principali della vita di un vostro socio illu
sire, a mantenere in voi viva la rimembranza delle sue prerogative, e ad adempiere in qualche guisa alla commissione di cui mi avete onorato. All’amarezza della perdita che abbiam fatta, io vengo in fine coraggioso a chiedervi un alleviamento e un ristoro. Consiste questo nell’eccitarvi di annoverare, fra quelli che sono onorati di sedere frammezzo a voi, il nome del conte Carlo Giusti di Verona, erede delle virtù e delle facoltà del defunto suo suocero. Questo giovane cavaliere non è al di sotto di chi che siasi ne’ nobili e virtuosi costumi: egli è caro alle Muse, egli è amico delle arti belle, egli è affezionatissimo a questa vostra città, che diverrà forse d’ora innanzi il suo stabile domicilio. Se vi piace di dargli un pegno di quella considerazione ch’io gli redo sinceramente dovuta, lo date altresì a me di quel generoso compatimento con cui vi piacque di ascoltarmi e di farmi nobil corona.delle lodi
di
luigi cornano
discorso
letto nella r. accademia di belle arti
in venezia
Per la distribuzione de' premi
nel dì 10 agosto 1817.
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