Notizie storiche delle maioliche di Castelli e dei pittori che le illustrarono/Capitolo VIII/Grue Francescantonio

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Capitolo VIII - Grue Francescantonio

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GRUE FRANCESCANTONIO.

Dottore in Filosofia e Teologia.

A Carlantonio Grue ed Ippolita Pompei nacque il dì 7 marzo 1686 un figliuolo, a cui diedero il nome di Francesco Antonio Saverio1.

[p. 79 modifica]Sin dai primi suoi anni anni il padre avendo scoperto in lui ingegno eccellente, si pose in animo di avviarlo alla Chiesa, acciò maggior lustro ne venisse alla sua famiglia: onde, senza frammettere indugi, allogollo nel Seminario di Penne. Quivi mentre con diligenza attendeva agli studi, tratto dal suo natural genio, prese assai stretta dimestichezza col pittore Giovanni Lavalle: il quale in vedere l’eccellente disposizione del fanciullo all’arte del pennello, volentieri prese ad ammaestrarlo ne’ principi del disegno. Ad onta di ciò, egli continuò con amore lo studio delle lettere, e soprattutto si diede alla poesia; alla quale mostrò maggior attitudine, forse per quella stretta amicizia e quasi parentela ch’essa ha con la pittura. Non trascurò la filosofia, dalla quale, per obbedire ai paterni comandi, passò alla teologia: ma avvicinatosi l’ora, che profferir dovea il voto solenne, consigliero egli sol di sè stesso nottetempo fuggì del Seminario, e si mise nella via di Urbino. Quella città, salita in gran fama per le sue maioliche dipinte, da gran tempo desiderava di vagheggiare; onde non piccola dovette essere la gioia del suo animo, allorchè giunse alla patria di Raffaello. Colà fatto pienamente libero di sè, mentre dava compimento e perfezione ai suoi studî di pittura, non abbandonò le più gravi e difficili discipline: chè ben conosceva come le arti congiunte alle scienze, ricevono incremento e lume. Nel 1706, poco dopo il suo arrivo, diede una pubblica prova del suo ingegno in quella Università, e meritò la laurea dottorale in filosofia e teologia.

[p. 80 modifica]Non sappiamo quanto tempo il Grue dimorò in quella città: certo è che la fam dell’ingegno e del sapere di lui giunto agli orecchi del padre, questi lo richiamò e fecegli amorevoli e liete accoglienze. Tornato in patria, si applicò a dipingere maioliche, e tanto studio vi posse, che in breve lasciò addietro tutti della sua età, che in Castelli facevano professione di pittura: nè ci fu in avvenire chi gli ponesse il piè innanzi.

Le prime opere di questo artista, delle quali ho avuto notizia, son quelle che si veggono nella Chiesetta di S. Angelo presso Lucoli, nella provincia aquilana: vi figurò i più memorandi fatti di S. Francesco Saverio. Questi dipinti, lodati dal Leosini2, furono eseguiti dal nostro pittore in Bussi, piccolo paese dell’anzidetta provincia, dove anche al dì d’oggi si lavora assai mediocremente la maiolica: il che si scorge dalla seguente iscrizione ivi apposta:

franc. ant.s xaver.s grue
phil. et teol. doctor
inventor et pinxit
in oppid. buxi
anno d. 1713.

Due sonetti in lode dell’Apostolo delle Indie si leggono sotto queste pitture, i quali mostrano quanto il Grue valesse in fatto di poesia3.

[p. 81 modifica]Nel 1716 i Castellani essendosi sollevati contro la squadra del marchese Mendozza, che con la forza della armi tentò esigere un’ingiusto balzello, come per ordine si è narrato al capitolo 1; Francescantonio, ch’aveva un’indole pronta a trascorrere a violenza, ebbe gran parte in quel tumulto. Però a caro prezzo pagò questa sua bravura; dappoichè fu preso e menato prigione in Napoli. Ad onta di questa sciagura, non dismise colà l’esercizio dell’arte ch’era la sua delizia ed il suo amore: di che fa chiara testimonianza un tondino dipinto a paesaggio, esistente nel museo Bonghi; in esso si legge così:

doctor franc. ant. grue f. neap. anno 1718.

Lasciato libero dopo otto anni di prigionia, temendo che l’ira non fosse al tutto spenta in petto al Marchese, stimò meglio rimanersi in Napoli. Quivi preso dalla bellezza di Candida Ruggieria, meritò di averla per moglie verso il 1730. Poco appresso avvenuta la morte del Mendozza nel 1735, senza più, con la moglie ed il piccolo figliuolo Saverio si ricondusse in Castelli: dove visse riposatamente, attendendo ora a dipingere majoliche, ed ora a far incisioni in legno: ai quali esercizii spesso frammischiava la lettura de’ poeti. Sopra tutti ebbe caro il libro delle metamorfosi di Ovidio, dal quale forse toglieva la scintilla per accendere la sua nobilissima fantasia. Finchè visse non più si allontanò dalla sau patria; onde malamente alcuni scrissero che fu in Napoli a dirigere la Real fabbrica di porcellana: il che [p. 82 modifica]forse dovette avvenire dall’aver scambiato questo artista col figlio Saverio, il quale fu direttore di quella officina.

Giunto il Grue al sessantesimo anno, colpito da grave malattia, cessò di vivere il dì 24 agosto del 1746. Per le sue virtù e per la valenzia nel dipingere fu caro a molti, ed in particolar modo ai suoi cittadini, che gli diedero pubblico segno di benevolenza. È fama che nel condursi in Napoli in tempo d’inverno, fu sorpreso da tanta neve nel piano di cinque miglia, che fu per perdere la vita: onde per voto fe’ scolpire una bellissima statua di S. Francesco Saverio, che riportò in dono alla sua patria. Questa, per dimostrare in quanto pregio avea sì valente pittore, annoverò quel Santo tra’ suoi Protettori, e stabilì di celebrarne ogni anno la festa a pubbliche spese.

Della fama ch’egli ebbe mentre fu in vita, ne porge bella prova l’essere stata richiesta la sua opera, come afferma il De Minicis, a dipingere alcuni vasi della celbre spezieria di Loreto; stimata dalla Regina di Svezia sopra tutto il tesoro della Santa Casa4 Dipinse parimente per la spezieria dell’Ospedale degl’incurabili in Napoli molti vasi, ove bizzarramente rappresentò gl’infermi in varia attitudine più o meno forzata, seconda la viva o debole azione prodotta dal farmaco, dentro contenutovi. Mio padre, ch’avea più volte ammirato questi [p. 83 modifica]bellissimi dipinti, trovandosi in quella città per causa di studi, nel 1799 ebbe il dispiacere di vederli distrutti dalla plebe, che in quel memorabile anno si levò a tumutlo.

Il Grue ebbe l’ingegno acconcio ad ogni maniera di pittura, ma prese particolar diletto nel dipingere storie. Per dare al benevole lettore un’idea della maniera di dipingere del nostro artista, mi piace qui riferire le descrizioni di due dipinti maiolica dateci dal Cherubini. L’uno, il cui argomento è tolto dalle sacre carte, vien da lui descritto nel seguente modo.

«Nel libro undecimo de’ Giudici si racconta come gli Ammonei fieri nemici del popolo ebreo, per forza di armi cercavano soggettarselo. Israello venuto ad estremo pericolo di cadere in balia di quella gente idolatra, non aveva altro, il quale potesse capitanare coraggiosamente un esercito, da Jefte infuori, figliuolo di Galaad, quel tanto dispregiato una volta; a questo fu uopo ricorrere. Jefte, prima di venire alle mani col nemico, fece solenne promessa a Dio, che ove egli giungesse a sperdere e vincere l’oste avversaria, avrebbe sacrificato vittima a Jeova chiunque pel primo gli fosse uscito incontro, ritornando in patria. Ebbe il duce ebreo compiuta vittoria sopra i figli di Ammone, ed ardeva dal desiderio per adempiere alla promessa fatta, e già co’ suoi soldati era a vista delle mura di Masfa, quando in danze e suoni vede farglisi innanzi la bellissima figliuola. Ecco quello che il Grue prese ad effigiare in un grosso vase. La ebrea [p. 84 modifica]donzella è vestita a festa; la seguono altre, le quali anche tripudiando in liete carole, mostrano da’ loro sembianti come, sciolte dal timore di straniera servitù, si abbandonavano a quella affettuosa gioia innanzi a colui, che valorosamente avea sgominato e rotto il poderoso esercito de’ nemici. Tutto questo avviene a poca distanza da Masfa, domicilio di Jefte. Ti si apre avanti una vasta e serena campagna, da lungi coronata da monti, la quale di tanto va indietro, di quanto, come dice Dante «può mietere un occhio»; qua e colà sparse tu vedi piante di palme, di quell’albero maestroso e robusto, che colla fosca e verde ombra rende più leggiadro il diafano zaffiro del cielo orientale. La giovinetta è a faccia a faccia del genitore, ma ahi! quanto variamente sono commossi i loro cuori; quello della donzella trabocca di letizia pel padre salvo, e vincitore: quello di Jefte è sprofondato dall’affanno. Affetti entrambi sacri. Ma tu, o infelice uomo, dove farai riposo al tuto trafitto animo paterno? il dolor tuo non si supera, nè si agguaglia; ogni blandimento non giunge a sanarti la sanguinante piaga; l’inviolabile religione del voto non ti lascia pur pensare alla salvezza della figliuola: aperui, tu dicesti, enim os meum ad Dominum, et aliud facere non potero. E la fanciulla? ahi ch’ella non sa come il padre l’abbia votata in sacrifizio al Dio degli eserciti; poveretta! irradiata di giovinezza, e di leggiadria deve abbandonare la vita in quella età, in cui le dorate speranza piucchè mai allietano le [p. 85 modifica]fresche fantasie. Ognuno di noi rammenta que’ beati giorni pieni di cari desiderii!

Lo sconscolato genitore vorrebbe torcere altrove il volto atteggiato a raccoglimento di dolorosi pensieri; vorrebbe non vedere quel dolcissimo capo, ma ogni umano accorgimento torna inutile per chi fece solenne patto coll’Onnipotente; il su cuore debb’essere chiuso a pietà. In questo atto il Grue ce lo rappresenta, e fa che ogni anima gentile sospiri per commiserazione del lagrimevole caso5

Ecco come il Cherubini descrive l’altro dipinto rappresentante una scena mitologica.

«Mi è accaduto di vedere, non ha gran tempo, un piatto, dentrovi rappresentato Sileno che festevolmente viene portato in trionfo per mano di molti satiri. Chiunque abbia l’occhio un po’ assuefatto alle cose delle arti, non potrà non esser preso dalla bellezza di questa scena silvestre. Nella quale il Grue diè splendida pruova di sicurezza di mano e di squisito giudizio di condurla, per i molti e difficili atteggiamenti in che gli convenne mettere quella dibaccante famiglia de’ satiri: de’ quali chi fa puntello del petto a sostener Sileno, chi si sobbarca colla schiena, chi incrociate le mani ne sorregge i piedi, e chi sgambettando al suon di cornamuse, precede la briaca cerimonia: uno ve n’ha in atto di scaricare da un paniere molta uva: tutti aventi verità di movenze, e [p. 86 modifica]collocati con ottimo magisterio d’arte in gruppo piramidale. Così è uso farsi da’ valenti pittori, affinchè le figure tutte del quadro rilevate e spontanee si presentino all’occhio del riguardante, che non debbe al certo qua e colà andarle con fatica ricercando. Son presenti a questa scena due ninfe Oreadi, le quali quasi fuor dell’azione, co’ loro carissimi visetti prendono gran piacere a riguardare quella matta orgia. Alcuni leggiadri puttini, a cui daresti un bacio, si trastullano con una capra, che sembra soffrire di buona voglia la noja che le danno que’ cattivelli. Il Sileno è rappresentato come c elo descrisse la ridente fantasia de’ poeti, dal grosso corpo, danon digradarne quello d’un bue, colle membra lasse e spenzolate come a chi abbia cioncato molto vino, con un volto esprimente insipida contentezza ed animo scevro affato di cure. Sorride a quella turba di satiri, che ancor essa avvinazzata, traballa in mille guise non mai esagerate, ma sempre vere e naturali. Tale spettacolo avvine in aperta campagna, ove con diletto ancor si guarda quel fuggir lontano di prospettiva aerea. Che dire poi dell’arie delle teste, in cui l’artista fa pruova solenna di vigoroso ingegno nel tradurvi le varie affezioni dell’animo? Esse hanno tanta movenza, e spirito tanto, che ti pare udire le incomposte grida di que’ forsennati. E qui parlandosi di teste, non vuolsi tacere che il Grue nelle sue moltissime opere non soffrì giammai che l’una somiglievole fosse all’altra; e mi ricordo d’aver letto di quell’immenso [p. 87 modifica]ingegno del Buonarroti, darglisi molta lode per questo, che di tutto il gran popolo di figure da lui dipinte, una non ve ne fu che sembiante fosse all’altra. Per le quali cose nessuno saravvi al certo che vorrà negare al Grue fama di esimio conoscitore di quella fisiologia artistica dell’uomo, posto nella varie condizioni della vita6».

Le opere di questo artista son d’ordinario segnate del suo nome: ma chi ha l’occhio fino le riconosce agevolmente dalla correzione del disegno, dalla varietà e vivezza delle teste, dalla espressione e naturalezza della figure, dal facile piegar delle vesti, dall’accordo dei colori, e dal poco e savio uso ch’egli fece del giallo.

Note

  1. Tutti quelli che parlarono di questo pittore malamente asserirono nacque nel 1680
  2. Monum. Stor. Art. ecc. pag. 262
  3. V. Documento Z.
  4. V. le cinque lettere sulla raccolta delle maioliche dipinte di G. Delsette, p. 8. — Bologna 1845.
  5. V. Scritti artistici p. 8. — Chieti 1851.
  6. V. Pit. il Pol. an. 1845, pag. 392.