Novelle (Sercambi)/NOTE/Nota biobibliografica La vita e le opere di Giovanni Sercambi/I. La vita

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Nota biobibliografica La vita e le opere di Giovanni Sercambi - I. La vita

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NOTE - Nota biobibliografica La vita e le opere di Giovanni Sercambi NOTE - II. La Nota ai Guinigi
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I. LA VITA


Giovanni Sercambi nacque nel 1348, durante la peste, nella cittá di Lucca e precisamente «innella contrada di Santo Christofano, innelle case di messer Santo Falabrina», come egli stesso annota nelle sue Croniche1, da Lucia Campori di Fibbialla e ser Jacopo di ser Cambio, speziale. La famiglia, il cui capostipite pare fosse il notaio ser Jacopo da Insegna, era oriunda da Massarosa, da dove era stata trasferita verso l’inizio del secolo xiv dal figlio di lui, ser Cambio, anch’egli notaio, dal quale i discendenti presero il cognome.

Dal padre, morto verso il 1370, Giovanni era stato avviato verso l’arte dello speziale, ma dovette certo ricevere da maestri privati2 una [p. 762 modifica]istruzione che, a giudicare dai titoli dei libri esistenti nella sua biblioteca3 e dalle citazioni che s’incontrano nelle sue opere, possiamo definire buona per i tempi, che gli permetteva una certa familiarità col latino e con gli atti cancellereschi, indispensabile ad un uomo di governo della sua esperienza, e che gli diede un forte stimolo ad apprendere. Prese in moglie, quando ancora non aveva forse vent’anni, una Pina Campori che proveniva dalla stessa famiglia della madre e gli portò una buona dote ma nessun figlio.

Allorché l’imperatore Carlo iv si recò a Lucca rispondendo alle istanze dei rappresentanti lucchesi ansiosi di scuotere il giogo pisano, nell’anno 1368, il Sercambi si recò da lui assieme al suo amico Davino Castellani per presentargli una supplica in versi, opera dell’amico, a nome del Comune4. Subito dopo la liberazione, volendo il Comune rioccupare il castello di Pontetetto ancora in mano ai pisani, il Sercambi si arruolò come balestriere5. Egli aveva allora ventun anno e si affacciava alla vita pubblica nel clima d’entusiasmi provocato dalla fine della servitù della patria durata per quasi tutto il secolo. Fu in quello stesso anno che, come diremo in appresso, egli diede inizio alle sue Croniche.

La vita politica costituì forse la vera vocazione di Giovanni, il quale, appena poté, lasciò la bottega di speziale ereditata dal padre in altremani, forse piú esperte6, per dedicarsi completamente alla vita pubblica. [p. 763 modifica]

Dal 1372 in poi, non vi è forse ufficio militare, diplomatico e politico in cui il Sercambi non assuma incarichi di alta responsabilità, acquistando quella vasta esperienza che varrà a far di lui, verso la fine del secolo, un eminente statista.

Già nel 1372 fa parte del Consiglio Generale della Repubblica, in cui lo troviamo ripetutamente fino al 1397; così come ritroviamo spesso il suo nome fra i membri del Consiglio dei Trentasei, a partire dal 1381. Di questo stesso anno è la prova più evidente della stima in cui era tenuto dai suoi compatrioti, che lo inviarono a capo di un’ambasceria al temutissimo conte Alberigo da Barbiano, il quale, dopo aver crudelmente saccheggiato Arezzo, si apprestava a muovere verso Lucca. La missione ebbe buon risultato, poiché, pur non riuscendo il Sercambi a moderare le pretese del conte che si concretavano in cinquemila fiorini d’oro, riuscì a scongiurare il pericolo di un’azione armata contro Lucca. La città fu salva, ed il risultato dell’ambasceria accrebbe il prestigio del Sercambi.

Intanto la classe dei mercanti rientrati in Lucca dopo la caduta di Giovanni dell’Agnello aveva riportato in patria le forze finanziariamente e socialmente dinamiche che erano le sole che potessero far sperare in una ripresa della vita economica e politica dello stato, e senza le quali Lucca sarebbe tornata ad essere disponibile, come lo era stata per cinquantanni, all’ambizione e all’ingordigia dei vicini tiranni. Con il ritorno di quella classe, dunque, la vita politica lucchese, che si era arrestata dopo le giornate di Bonturo Dati, torna a rifiorire e diventa ineluttabilmente lotta di partiti e di fazioni7. Il Sercambi si allinea ben presto con la fazione capeggiata dalla potente famiglia dei Guinigi.

Questi, che erano riusciti ad accumulare un’enorme fortuna con l’industria della seta e le attività di cambio, erano stati costretti all’esilio volontario dalle pressioni finanziarie di Giovanni dell’Agnello. Tornati in patria subito dopo la sua cacciata, essi fondarono una società di cambio con agenti a Genova Pisa Venezia Napoli Firenze Roma Bruges e Londra, e durante i regni di Gregorio xi ed Urbano vi divennero an[p. 764 modifica]che collettori ed amministratori della Camera Apostolica. A capo della famiglia Guinigi era Francesco, il quale assunse presto in Lucca una funzione simile a quella che circa mezzo secolo dopo Cosimo de’ Medici avrebbe assunto nella vicina Firenze. Attorno a loro si raccolgono determinate forze sociali che tendono ad assumere il controllo totale della vita lucchese.

L’opposizione ai Guinigi è rappresentata dal sorgere di un’altra coalizione, capeggiata dalla famiglia dei Forteguerri. Francesco Guinigi muore nel 1384 aprendo un vuoto che nessun altro membro della famiglia sembra poter colmare. L’egemonia finanziaria e politica, che per tanti anni era stata appannaggio dei Giunigi, passa presto dalla parte dei loro avversari. La situazione precipita allorché nel 1392 Forteguerra Forteguerri viene eletto Gonfaloniere di Giustizia. Il 12 maggio di quell’anno i Guinigi con la loro consorteria scendono in piazza San Michele dove vengono affrontati dagli avversari e dalle milizie del Gonfaloniere, che tuttavia dopo una giornata di lotta rimangono sopraffatti. Trucidati i capi della fazione dei Forteguerri, incluso il Gonfaloniere di Giustizia, i Guinigi si trovano aperta la via verso il potere incontrastato; infatti, il figlio maggiore di Francesco, Lazzaro, assumerà ben presto nella vita lucchese il posto che era stato per tanti anni tenuto dal padre. I fatti del 1400, per cui i Guinigi divengono finalmente signori di Lucca con Paolo, non sono che un epilogo di quelli del maggio 1392.

Da quest’anno in poi il Sercambi, che aveva combattuto a fianco dei Guinigi, è legato alla loro fortuna e negli otto anni che vanno fino al 1400 egli rimane alla ribalta della vita civile e militare di Lucca. Nel 1393 è uno dei quattro capitani lucchesi inviati in aiuto al marchese di Ferrara in una spedizione contro il ribelle Opizzo di Montegarullo; nel luglio del 1396 viene inviato al campo militare contro i pisani ed i fuorusciti lucchesi come uno dei due Commissari del Comune; sei mesi dopo circa, eletto fra i condottieri della Repubblica, è mandato in Garfagnana a preparare la resistenza armata contro le truppe alleate di Pisa e di Milano, che, dopo aver devastato gran parte del territorio lucchese, si erano accampate minacciosamente a Moriano; nel giugno dello stesso anno lo troviamo, come Commissario del Comune, a Camaiore, che i fuorusciti lucchesi incitavano alla ribellione. Più di una volta, poi, viene inviato ad ispezionare e provvedere alle opere di fortificazione di castelli lucchesi8. [p. 765 modifica]

Dopo essere stato membro della balìa formata subito dopo i fatti del 1392, anziano per il bimestre settembre-ottobre dello stesso anno e poi per il bimestre marzo-aprile 1396, il Sercambi viene infine eletto alla suprema magistratura dello stato, quella cioè del Gonfaloniere di Giustizia, il 23 agosto del 1397, per il bimestre successivo; ufficio che egli ricoprirà ancora una volta, in sostituzione di Stefano di Poggio, nel 1400, all’epoca cioè in cui il suo aiuto diventa indispensabile perché Paolo Guinigi possa strappare al popolo lucchese i pieni poteri.

Naturalmente, in questo schizzo biografico non si è tenuto conto che delle tappe più importanti della carriera politica del Sercambi, avendo evitato di menzionare gli uffici ed incarichi minori come pure le missioni diplomatiche di minore importanza che gli venneto affidate. L’esperienza accumulata in questi anni fu condensata nella Nota ai Guinigi, di cui parleremo fra poco, e nella Nota a Lucca, inserita nella prima parte delle Croniche9. Dalla lettura di questi due documenti si nota come non vi fosse problema importante per la vita della Repubblica del quale il Sercambi non avesse diretta conoscenza ed al quale egli non avesse cercato una soluzione. Quei due documenti provano chiaramente che il Sercambi aveva avuto modo di formarsi delle idee precise sul modo di reggere la Repubblica e di preservarne l’indipendenza. È bene dunque notare che sul piano della prassi politica tornava più utile ai Guinigi potersi avvalere di un uomo di tale esperienza, che viceversa.

Non fa perciò meraviglia se, non appena se ne presenta l’occasione, il Sercambi, da attore, anche se importante quale era stato, divenga protagonista della storia di Lucca.

Si è detto già che negli ultimi anni del xiv secolo le redini del potere erano state raccolte nelle mani di Lazzaro Guinigi, capo riconosciuto e rispettato della famiglia, che governava con polso fermo ed un certo acume politico e diplomatico. Ma il 15 febbraio 1400 egli cadeva sotto il pugnale del proprio fratello Antonio e del cognato Nicolao Sbarra, per motivi che riescono poco chiari10. [p. 766 modifica]

L’assassinio di Lazzaro mise la fazione dei Guinigi in serio pericolo. Se il delitto, come pur si mormorava, aveva trovato incitatori a Milano ed a Pisa, il momento non poteva essere più opportuno: mancavano infatti gli uomini migliori dei Guinigi, essendo Michele, fratello di Francesco, e Dino, cugino, troppo vecchi per poter prendere alcuna iniziativa, ed essendo morto, dopo Lazzaro ed Antonio (condannato a morte in seguito al delitto), anche il terzo figliuolo di Francesco, Roberto. Rimanevano, dei figli maschi, i due più giovani, Bartolomeo e Paolo. Per di più, la peste era entrata in Lucca nel settembre del 1399, e, benché se ne fosse allontanata col sopraggiungere dell’inverno, vi rientrò in primavera con tanta violenza da mietere, scrive il Sercambi, «più di cl persone per die»11. La città era perciò rimasta vuota dei cittadini più influenti e responsabili che avevano cercato scampo altrove. Si stentava a mantenere i servizi indispensabili. Il morbo, infine, colpi i figli superstiti di Francesco Guinigi: Bartolomeo ne morì, mentre Paolo ne uscì immunizzato.

Firenze seguiva intanto gli avvenimenti con la massima attenzione: anzi, per non lasciarsi sfuggire un’eventuale occasione propizia, aveva mandato delle truppe in Valdinievole e in Valdarno, pronte ad intervenire, mentre i fuorusciti lucchesi ed i nemici interni davano i Guinigi per spacciati, dicendo apertamente che ormai «la casa dei Guinigi non valeva uno boctone», e brigavano essi stessi coi fiorentini.

Approfittando di questa situazione, nella notte fra il 13 ed 14 ottobre del 1400, Paolo Guinigi convocò i membri della balìa creata qualche mese prima per assicurare i servizi più urgenti in tempi così calamitosi, e chiese i poteri assoluti. La mattina dopo corse la cittá senza incontrare alcuna resistenza.

Pare che il colpo di stato fosse stato architettato in ogni dettaglio dal Sercambi, come egli stesso dà ad intendere12, e da lui, allora Gonfaloniere di Giustizia, messo in esecuzione. Queste responsabilità gli diedero la fama, presso gli storiografi lucchesi risorgimentali13, di nemico delle libertà popolari, e gli venne rivolta l’accusa di essere stato il maggiore artefice della restaurata tirannide. Interpretazione dei fatti che potrebbe essere anche convincente se si isolassero gli eventi che condus[p. 767 modifica]sero al colpo di stato dalla storia di Lucca dell’ultimo trentennio del secolo, o, per meglio dire, della storia lucchese dal 1308 in poi.

Nel valutare le responsabilità del Sercambi, bisogna invece tener presente che non si può parlare di un vero e proprio colpo di stato, ma solo di un consolidamento di quella auctoritas che era stata appannaggio della casa Guinigi sin dal primo nascere della nuova Repubblica, del riconoscimento de jure di una trentennale situazione de facto. Però, mentre Francesco e Lazzaro Guinigi avevano potuto reggere lo stato, pur non essendo ufficialmente a palazzo, in virtù del loro indiscusso prestigio personale, questo mancava al giovane ed inesperto Paolo: il riconoscimento ufficiale della signoria dei Guinigi era indispensabile perché Paolo potesse governare senza contrasti interni e con apparenza di legittimità. È questo il senso e la portata politica del cosíddetto colpo di stato del 1400.

Per tutto il resto della sua vita, il Sercambi visse nella familiarità del Guinigi, di cui sempre gode l’amicizia ed i favori e dal quale gli vennero affidati delicati incarichi civili e militari. Lo troviamo quasi ogni anno fra gli eletti al Consiglio privato del signore, finché, dal 1407, non venne confermato nell’ufficio sino a data indeterminata, e cioè fino alla morte. Fu in vari tempi consigliere dell’Abbondanza, governatore della Dogana, ufficiale sull’entrata dell’amministrazione pubblica e di quella privata del Guinigi. Nel 1402 fu vicario nella valle Ariana, e nel 1405 comandò, assieme a Dino di Volterra, una spedizione militare contro la fortezza di Ortonuovo, che si era ribellata a Lucca dietro istigazione di Gabriello Maria Visconti, allora signore di Pisa.

Ottenne inoltre delle concessioni a favore della sua bottega, che aveva intanto trasferito in un punto centrale della città14. Non sappiamo per quanto tempo, ma sembra accertato che poco dopo l’inizio del nuovo regime, gli venne anche assegnata una sine cura di diciotto fiorini d’oro mensili15. A tutto questo bisogna aggiungere che la familiarità del Guinigi gli permise di vivere ad una corte piuttosto evoluta, nella compagnia dei dotti e degli umanisti protetti dal munifico Paolo16. [p. 768 modifica]

Verso la fine delle Croniche troviamo un gruppetto di capitoli raccolti sotto il titolo: Del danno che Johanni Sercambi di Luccha à ricevuto per essere stato amico della casa dei Guinigi e del signore Paolo Guinigi17. Questo titolo, più che il contenuto di quelle pagine, fece pensare il Minutoli18, prontamente seguito dagli altri biografi, ad una pretesa espressione di ingratitudine e rancore del Sercambi nei confronti di Paolo. Il cronista, che scriveva nel 1423 all’età di settantacinque anni, sembra fare il bilancio, in quei capitoli, dei danni ricevuti a causa della sua fedeltà ai Guinigi. E così, narra di essere stato assalito dai nemici del signore mentre si trovava a Venezia per affari; di aver avuto la bottega messa a fuoco da ignoti; e soprattutto di aver perduto, sempre a causa della sua fedeltà di amico e di suddito, l’eredità che un suo zio morto a Parigi, Giglio Sercambi, gli aveva lasciata. I danni ammonterebbero, secondo i suoi stessi calcoli, a ben diecimila fiorini. La narrazione di questi infortuni è preceduta da una serie di violente e circostanziate accuse contro i corrotti legulei lucchesi.

Nel corso di quelle pagine, però, il Sercambi trova modo di riaffermare la sua lealtà e la sua amicizia verso il Guinigi, a cui rimprovera solo di non aver appoggiato con sufficiente energia le richieste dell’amico nella lunga vertenza giudiziaria riguardante l’eredità dello zio Giglio. Più che da astio o da senso di ingratitudine, sia pur larvato, quelle pagine potrebbero forse, con più verisimiglianza, esser state dettate dal desiderio di reagire ad eventuali accuse, formulate dai suoi avversari dentro o fuori di Lucca, di aver approfittato dell’amicizia di Paolo per ottenere dei vantaggi personali.

Il Sercambi morì di peste il 27 marzo del 1424. La moglie gli sopravvisse di qualche mese, e l’eredità, in mancanza di figli propri, andò a quelli dell’unico fratello; i quali si affrettarono a scialacquare i beni ereditati, in tanta furia che il podestá, su istanza della moglie di uno di essi, dovette ordinare il sequestro di quello che ne era rimasto, e cioè i mobili del palazzo di San Matteo e dei libri dello scrittore19.

  1. Cfr. Le Croniche di G. S. lucchese, a cura di S. Bongi (Roma, «Istit. Stor. ital.»), Lucca, Giusti, 1892, i, p. 96. A proposito della data di nascita del S., si v. la prefazione del Bongi, p. xi. Le Croniche rimangono una fonte importante per le notizie biografiche sul S., ma per notizie più vaste, oltre che l’introd. del Bongi, si veda Vita di G. S. di C. Minutoli, in «Atti della R. Acc. dei Filomati», Lucca, Giusti, 1845, pp. 133-96 (poi ristamp. nel vol. Alcune novelle di G. S. lucchese ecc., Lucca, tip. Fontana, 1855, pp. v-lx), e specialmente l’articolo del Dinucci, G. S. e le sue Cronache, in «Rassegna Nazionale», ser. 2ª, lvii (1927), pp. 46-72 e 95-103, che rimane lo studio biogr. più ampio, condotto sui registri delle Riformazioni pubbliche lucchesi. Anch’esso è però molto scarno di notizie per la parte della biografia sercambiana posteriore all’anno 1400. Non c’è dubbio che gli archivi lucchesi contengano ancora molto materiale biogr. che gli studiosi potrebbero utilizzare.
  2. Sulla situazione delle scuole in Lucca ai tempi del S. si v. la sez. i dell’introd. dello studio di C. Lucchesini, Della storia letter. del duc. lucchese l. sette (vol. ix delle «Memorie e doc. per serv. all’Ist. della cittá e Stato di L.»), Lucca, F. Bertini, 1825; e il libro del Barsanti, Il pubbl. insegn. in Lucca dal sec. XIV alla fine del sec. XVIII, Lucca, A. Marchi, 1905, pp. 50-51.
  3. La lista è inclusa negli Atti civ. del Pod. di Lucca dell’anno 1426, nell’Arch. d. Stato di Lucca (filza n. 1038, cc. 52-53), ed è la seguente: «Un libro di novelle fece Johanni; Un testo di Dante in carta montonina; Una comedia di Dante del Paradiso; Una comedia di Dante disposto, colle coverte bianche, cioè il Purgatorio; Uno salterio di salmi, con coverte rosse; Uno libro d’Apollonio di Tiro con profetie, con coverte verdi; Uno Boetto tn carte di capretto; Uno Donato, in carte di capretto; Una tragedia di Senecha, in carte di bambace; Uno Doclrinale, in carte di bambace; Uno libro di medicine, in carte di capretto; Uno libricciolo di chiesa, con lettere antique; Uno libro di Rettoricha Marci Tullii Ciceronis, in carte di capretto; Uno Teseo in vulgare, in carta di bambacia; Uno libro di lettora anticha, in carta di capretto, di cose ecclesiastice; Uno libro di Salmi, in carta di bambacia; Uno libro da cognoscere Erbi, in carte di capretto; Uno libro di cose ecclesiastice, in lettere antiche et in carte di capretto; Uno libro, in carte di capretto, di cose ecclesiastice, in vulgare; Uno libricciolo, con coverte verdi, in carte di capretto; Uno libricciolo, con coverte verdi, tratta de’ Vitii et Virtù».
  4. Cfr. Croniche, i, 154, dove sono riportati anche i versi.
  5. Ibid., i, 165.
  6. Nelle mani del parente Gabriello Nerio; ma non completamente né cosí presto come crede il Minutoli (Alcune novelle cit., p. xi): che il S. fosse attivo in bottega anche nel pieno della sua carriera politica, lo dimostrano i conti pagati dal maestro Iacopo Coluccini (cfr. Il memoriale di Iacopo di Coluccino Bonavia medico lucchese, a cura di P. Pittino-Calamari, in «Studi di filol. ital.», xxiv (1966), pp. 92, 115 ecc.) ed ancor di più, il fatto che lo stesso maestro Iacopo fu socio del S. nel negozio di speziale per cinque anni a partire dal 1379 (ibid., pp. 155-57 e 172-73 )
  7. Per le vicissitudini di Lucca durante questo secolo, si veda, oltre alle Croniche, A. Mazzarosa, Storia di Lucca dalla sua origine al 1814, 3 voll., Lucca, Giusti, 1833; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dall’a. MIV all’a. MDCC (esteso in seguito dal Minutoli al 1799), t. x dell’«Arch. stor. ital.», Firenze, Vieusseux, 1847; A. N. Cianelli, Dissertazioni sopra la storia lucch. (t. ii delle «Memorie e doc. per servire all’ist. della città e stato di Lucca»), Lucca, Bertini, 1814; come pure la breve sintesi di A. Mancini, Storia di Lucca, Firenze, Sansoni, 1950.
  8. Cron., i, 318-19, e ii, 63.
  9. Ibid., ii, 117-54.
  10. Pare che Lazzaro avesse rifiutato ad Antonio l’ultima e ricca discendente di Castruccio, Caterina Antelminelli, di cui il giovane era innamorato, destinandola invece al fratello minore Paolo. Per i particolari di questo episodio, oscuro tuttavia, si veda l’op. cit. del Mazzarosa, i, pp. 249-50, e C. Minutoli, Alcune novelle cit., pp. xv-xvi. Il S., che dedica al tragico avvenimento molte pagine, più per divagare sulla personalità e sul destino di Lazzaro che per registrare i fatti, tace i moventi del delitto, indicandone il vero responsabile nel «nimicho dell’humana natura», il quale «di continuo è stato e sera chagione di far peccare l’humana natura» (cfr. Cron., ii, 405 sgg.).
  11. Cfr. la descrizione di queste giornate e del flagello in Cron., iii, 4 sgg.
  12. Ibid., 6-18.
  13. E specialmente il Tommasi (op. cit., pp. 286-88); per una esposizione più pacata degli avvenimenti, si v. anche la Storia cit. del Mazzarosa, vol. i, pp. 250 sgg. La difesa del S. fu presa dal Dinucci (art. cit., pp. 63 sgg.) con argomenti sui quali, tuttavia, non possiamo trovarci d’accordo.
  14. Il Bongi, nella prefazione alle Cron. (pp. xiii-xiv), pubblica due documenti dai quali appare che al negozio del S. era concessa l’esclusività della fornitura non solo «pro libris, cartis membranis et bombicinis, atramento, cera rubea et viride, spago, pennis, vernice ed aliis quampluribus rebus necessariis, datis Cancellarie et aliis officialibus Domini», ma anche «pro nonnullis quantitatibus cere, confetionum et spetierum ab eo habitarum pro usu Palatii, ac medelarum et unguentorum datorum familiaribus stabuli pro equis».
  15. Ibid., p. xiv.
  16. Sulla corte di Paolo Guinigi e sul suo mecenatismo, si veda soprattutto lo studio del Bongi, Di P. Guinigi e delle sue ricchezze, Lucca, Guidoni, 1871. Sugli umanisti a Lucca intorno a questo periodo, si veda anche lo studio di A. Mancini, Per la storia dell’Umanesimo in Lucca: i, G. Vanni Cirignani, Lucca, Artigianelli, 1957, e ii, Ser Cristoforo Turrettini e Leonardo Bruni, estr. del «Bollett. stor. lucch.», xi (1939), n. 1, pp. 1-16.
  17. Cron., 333-48.
  18. Alcune novelle cit., pp. xxiv-xxv.
  19. Si veda la prefazione del Bongi alle Cron., p. xv, e l’articolo cit. del Dinucci, a p. 100.