Novelle (Sercambi)/NOTE/Nota biobibliografica La vita e le opere di Giovanni Sercambi/II. La Nota ai Guinigi

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Nota biobibliografica La vita e le opere di Giovanni Sercambi - II. La Nota ai Guinigi

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II. LA «NOTA AI GUINIGI»


La testimonianza più significativa dell’esperienza acquistata dal Sercambi nelle cose di governo è costituita, oltre naturalmente ai dati biografici passati brevemente in rassegna, dalla Nota ai Guinigi, già conosciuta nella scorrettissima edizione che ne fece il Mansi1, e restituita finalmente dal Bongi alla sua forma genuina2. Il titolo completo del breve scritto è: Nobilibus et potentibus viris Dino, Michaele, Lazzarino et Lazario de Guinigiis - Nota a voi, Guinigi. Essa fu certamente scritta, come osserva il Bongi3, fra il 1392, l’anno cioè in cui i Guinigi, sopraffatta la fazione Forteguerri, riacquistano la supremazia politica in Lucca, ed il 1400, l’anno della morte di Lazzaro, uno dei quattro destinatari della Nota.

Questo arco di tempo si potrebbe tuttavia ulteriormente restringere, tenendo presente che la Nota vien dedicata ai quattro capi della famiglia e non al solo Lazzaro, il quale specialmente a partire dal 1395 veniva riconosciuto universalmente come l’unica guida dello stato e del partito; che proprio all’inizio dello scritto si accenna ai «pericoli che passati sono», «ai pericoli presenti» e a quelli che «puonno avvenire», frasi che possono comprendersi solo se inserite nel clima che segui i fatti del 1392 ed al quale debbono riportarsi anche le strette cautele contemplate dal documento per la difesa personale dei membri della famiglia Guinigi; ed infine, tenendo presente che essa è un programma di governo e come tale da supporsi scritto perché servisse da testo ai nuovi oligarchi e non certo per correggere il corso politico già impresso allo stato. Non si andrebbe lontano dal vero, perciò, se si assegnasse alla Nota la data appunto del 13924. [p. 770 modifica]

Lo scritto potrebbe esser diviso in tre parti: la prima, che comprende i consigli riguardo la difesa di Lucca e della oligarchia; una seconda, che contiene raccomandazioni sulla politica amministrativa, ed una terza con suggerimenti di natura politico-finanziaria. Nella prima parte il Sercambi prescrive il numero esatto di armati necessari alla difesa della città e dei castelli, nonché un numero fisso di armati per la difesa delle persone dei Guinigi e dei loro beni. Questa parte sarà più tardi sviluppata, nel 1398, ed integrata dalle raccomandazioni sul numero di uomini e sui mezzi necessari alla difesa di ciascun forte e castello dello stato, nella Nota a te, Lucca5.

Un’importanza maggiore rivestono invero le altre due parti del documento, quelle cioè riguardanti la politica amministrativa e finanziaria dello stato. Il Sercambi consiglia prima di tutto la nomina di un «consiglio di commissari», con autorità legislativa uguale a quella del maggior consiglio, del quale dovrebbero far parte parenti ed amici fidati degli oligarchi, in numero non superiore a diciotto. Esso dovrebbe avere come scopo che «quello che per consiglio generale vincere non si potesse, o vero che a loro paresse non doversi a quel consiglio mettere, si potesse per questo ottenere». Comunque, tutte le cariche più importanti, come appunto il consiglio dei commissari, «l’officio dell’anzianatico, [...] conductieri, gonfalonieri, vicari di Pietrasanta, Montecarlo, Camaiore, Castillioni, segretari, officio di balya», ecc., dovrebbero essere gelosamente affidate a «homini amici e confidanti», mentre le cariche amministrative di minore importanza dovrebbero esser distribuite fra «tucti i ciptadini, acciò che non paia in tucto dalli honori di Lucca exclusi»6.

Secondo il Sercambi, poi, la sorveglianza sui confinati politici dovrebbe esser resa più rigida, ponendo financo taglie sui più pericolosi di loro, mentre tutti coloro i quali «senza colpa» si fossero allontanati dalla città e dal contado dovrebbero esser costretti con le buone o con le cattive a rientrarvi, «acciò che la [...] ciptà non vegna meno di mercadanti e d’artefici ciptadini né contadini».

Il popolo dovrebbe essere tenuto in pace ed in tranquillità; onde [p. 771 modifica]prevenire ribellioni, tutte le armi in possesso dei privati dovrebbero esser confiscate.

Un altro suggerimento importante è quello di creare un organismo che avesse l’ufficio di conciliare i piati legali «che non bene chiari per l’una parte e per l’altra mostrare si puonno». Organismo che naturalmente non dovrebbe sostituire il giudice ma solo adoprarsi a che le parti, temprando gli animi, giungessero ad un accordo pacifico prima che la vertenza finisse in mano ai legulei, cosa che spesso portava i contendenti alla rovina economica.

Raccomanda il Sercambi che si proceda immediatamente al censimento di tutta la popolazione, così che si possa aver sempre presente il numero esatto dei cittadini di cui si può disporre in caso di guerra o di crisi economica, il loro stato, la loro residenza. Il pennoniere della contrada dovrebbe occuparsi di segnalare al governo ogni mutamento di domicilio di ciascun cittadino. Con tali misure il popolo potrebbe esser tenuto sotto stretta sorveglianza ed i pericoli di ribellione diminuirebbero di gran lunga.

Per poter attuare un simile programma, specialmente nella parte riguardante le misure di difesa interna ed esterna, sarebbero necessari dei fondi finanziari di una certa consistenza. Il Sercambi si domanda appunto da dove si potrebbero ricavare tali fondi, e la risposta che egli dà rappresenta la parte più interessante del documento. Lo scrittore invoca qui prima di tutto una politica finanziaria protezionista: Lucca non esporta piú seta, un tempo principale fonte di ricchezza per lo stato; si dovrebbe dunque imporre «forte e smisurata gabella» sulle importazioni, in special modo sul vino forestiero che aveva messo in forte pericolo la produzione locale. Si dovrebbe poi proibire per tutto il territorio di Lucca l’importazione di merci (eccezion fatta per il legname, avena, bestiame, cacio, pesce, carne salata e vino) che non venissero tratte direttamente da Lucca. I commercianti sarebbero cosí costretti ad aprire dei fondachi nella città, «e di questo avrebbe il comune du’ gabelle, l’una nello in trare, l’altra innell’uscire e il guadagno rimarrebbe in Lucca».

Si dovrebbe riordinare il catasto (una riforma catastale era stata auspicata da Francesco Guinigi, ma non venne attuata che dal figlio Paolo, forse anche sotto le pressioni dello stesso Sercambi, nei primi anni del suo governo) e lo stato dovrebbe cercare di disfarsi, o mettere a frutto quei possedimenti immobiliari che fossero improduttivi o non potessero essere sfruttati con profitto. Sercambi mostra di aver riflettuto a lungo su questo punto, giacché conosce esattamente quale sarebbe il gettito di tale operazione. [p. 772 modifica]

Egli conclude infine affermando che «delli altri modi soctili ci sono, li quali colla penna in mano trovare si puonno» e che potrebbero apportare nuova ricchezza allo stato. Reticenza che senza dubbio potrebbe esser interpretata come un invito ai destinatari della Nota a valersi più direttamente dell’opera dell’esperto uomo politico. Invito che sarà stato accolto, se, come abbiamo visto, la carriera politica del Sercambi registra i maggiori successi proprio a cominciare dal 1392.

Come si vede, se le prime due parti in cui abbiamo diviso la Nota rappresentano il risultato più cospicuo della riflessione dell’uomo politico e dell’esperienza del funzionario, gli spunti più originali e dibattuti del documento sono tuttavia contenuti nella terza parte. In forza di essi la Nota è stata indicata come il documento in cui per la prima volta appaiono espressi i principi del protezionismo economico7. Al Bongi pare invece impossibile «che i cittadini delle nostre antiche repubbliche, che passavano la lor vita fra le gare politiche e i traffici ed erano cosí sottili gabellieri, non avessero molto tempo prima del Sercambi pensate, sapute e forse scritte le stesse massime, ch’erano infine quelle che dettava il più facile opportunismo»8. Così infatti era stato, e nella stessa Lucca9. Ma il problema rappresentato dalla Nota ai Guinigi supera i limiti supposti dal Bongi (al quale si potrebbe comunque ribattere che anche i metodi discussi e propugnati nel Principe erano parte normale della prassi politica delle istituzioni signorili), come anche va al di là dei limiti entro i quali era stato collocato dal Burckhardt, per il quale essa stava a testimoniare che «in Italia la riflessione politica si svolge assai prima che in tutti i paesi del settentrione»10.

Le misure propugnate dal Sercambi miravano soprattutto a rendere possibile allo stato di accumulare il capitale necessario alla difesa ed alla preservazione delle istituzioni oligarchiche, e apprestare i fondi [p. 773 modifica]necessari a condurre a termine il loro programma politico. Sotto questo punto di vista esse vanno messe in rapporto con le idee che alcuni secoli dopo dovevano formare l’oggetto della ricerca di Antonio Serra.

Ma a parte questo, la Nota va collocata sullo sfondo della politica perseguita dai Guinigi, eminentemente difensiva e protettiva, concepita come unica alternativa alla perdita dell’indipendenza così faticosamente riconquistata dopo tanti decenni di servitù. Sercambi vuole essere dunque assertore ed interprete di quella direttrice politica che egli aveva chiaramente intuita; la Nota contiene perciò un programma realisticamente pensato ed adattato allo stato delle cose in Lucca sullo scorcio del secolo xiv.

Realismo politico che trasse in inganno gli studiosi del Sercambi e della pubblicistica economica in generale, e nel quale si trovano, da una parte le limitazioni del trattato, e dall’altra la sua originalità ed importanza. In quanto la Nota non si preoccupa di fondare la prassi propugnata su leggi politiche o economiche di ordine generale, se ne può parlare come di una raccolta di massime. In quanto poi essa si propone la formulazione di un programma d’azione amministrativa inteso a difendere le istituzioni dello stato, bisogna riconoscere ad essa il valore di primo trattato sul reggimento di una signoria.

Il Sercambi rimase certamente al di fuori sia delle correnti di pensiero politico che facevano capo agli scolastici, sia delle nuove correnti giuridico-politiche iniziate da Bartolo di Sassoferrato o da umanisti come Coluccio Salutati11. Nelle sue opere non si trova traccia della pur minima informazione tratta dalla pubblicistica politica contemporanea. Nondimeno egli doveva conoscere le prassi istituzionale e costituzionale che erano state al centro della riflessione di Bartolo. Nella Nota ai Guinigi, infatti, egli evita accuratamente di accennare alla legittimità delle istituzioni lucchesi durante il predominio dei Guinigi. Carlo iv, liberando Lucca dalla tirannide pisana nel 1369, l’aveva presa sotto la sua diretta sovranità; l’anno successivo il cardinale Guidone, suo vicario, aveva trasferito la fonte della legittimità, in questo caso il vicariato, nelle mani degli anziani della città. Soltanto nel 1413, dopo vani e ripetuti tentativi, riuscirà Paolo Guinigi ad ottenere dall’imperatore il vicariato sulla città e sullo stato lucchese. Fatto di grande importanza, che [p. 774 modifica]però il Sercambi, di solito informatissimo su quello che capita al Guinigi, passa sotto silenzio. Nelle Croniche, invece, nel narrare gli avvenimenti del 1392 e quelli che portarono al colpo di stato del 1400, egli insiste sull’impellente necessità di salvare la libertà di Lucca. Egli tenta così di giustificare le istituzioni signorili invocando lo stato di necessità ed il bene universale della Repubblica, venendosi così a trovare, e non sappiamo fino a qual punto inconsapevolmente, sulla linea della riflessione di Bartolo.

Nella Nota ai Guinigi, dunque, il Sercambi, evitando di affrontare una questione di diritto (che d’altra parte era fuori luogo, anche per il carattere programmatico che lo scritto doveva avere) ed evitando di riflettere sulla origine o legittimità delle istituzioni lucchesi, ricerca solo le misure utili al loro mantenimento e, riconoscendo la validità di certe norme della prassi ed assumendole come valide de facto, le applica alla situazione contemporanea degli affari lucchesi. Il Sercambi ci appare perciò come il primo teorico delle istituzioni signorili, un precursore del genio politico del Machiavelli e del Guicciardini dei Discorsi sul reggimento di Firenze.

Sul piano puramente storico, infine, la Nota indica come già alla fine del secolo xiv le istituzioni signorili avessero acquistata piena coscienza di sé e fossero giá impegnate a ricercare i mezzi necessari alla propria preservazione.

  1. In Stephani Balutii Tutelensis Miscellanea Novo Ordine digesta, Lucca, 1764, pp. 81-83; per le vicissitudini attraverso cui il documento giunse al Mansi, si v. la pref. del Bongi alle Croniche cit., p. xvii n. Sul testo del Mansi essa venne pubblicata da P. Vigo, col titolo di Monito ai Guinigi, Livorno, V’igo, 1889.
  2. La si veda in appendice alle Croniche, iii, 397-407. Su questa ed. fu esemplata da C. Varese e pubbl. assieme ad alcuni brani delle Croniche in Prosatori volgari del Quattrocento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1955, pp. 125-33. Per le citazioni dal testo ci siamo valsi dell’ed. del Bongi.
  3. Cron., iii, 398.
  4. Corre dunque a proposito ricordare qui lo scritto del Guicciardini più vicino alla Nota, e cioè il discorso Del Governo di Firenze dopo la restaurazione de’ Medici nel 1512.
  5. Cron., ii, 117-44. Per la datazione di questa Nota si v. le pp. 118-19 dello stesso vol.
  6. L’idea che i signori dovrebbero reggersi sulla fedeltà degli amici sembra molto cara al Sercambi, ed egli vi ritorna ogni qual volta ne ha occasione, sia nelle Croniche che nelle Novelle. I biografi hanno in ciò visto la prova del fatto che egli scrivesse pro domo sua. Ci sembra invece che ciò procedesse da una profonda convinzione radicata nelle sue idee politiche e nella sua esperienza, più che da semplice opportunismo. Ricordiamo in proposito le idee del Guicciardini dei Discorsi.
  7. Si v. L. Cossa, Guida allo studio dell’economia politica, Milano, Hoepli, 1876, p. 128 (il quale peraltro registra lo scritto, che egli legge sull’ed. del Mansi, con il titolo di Avvertimenti politici); ma anche ciò che afferma il Renier, Novelle inedite di G. S., a c. di R. R, Torino,Loescher, 1889, pp. xxti-xxiv.
  8. Si v. la prefazione alle Croniche, p. xviii.
  9. Come sapeva bene il Bongi, editore dei Bandi lucchesi del sec. XIV (Bologna, tip. del Progresso, 1863), dove è riportato il bando del 7 genn. 1346 (n. 182), che proibiva l’esportazione o l’importazione di «alcuna victualia o strame» se non attraverso Lucca e pagando la debita gabella (ibid., pp. 118-19). Ma queste misure (come spiega lo stesso Bongi nelle Annotazioni, p. 365) furono prese durante una situazione di emergenza, e cioè la memorabile carestia del 1346 che afflisse soprattutto la regione lucchese.
  10. Cfr. La civiltà del Rinascimento in Italia, trad. it. a c. di G. Zippel, Firenze, Sansoni, 1944⁴. p. 101.
  11. E, come si sa, Coluccio era ben conosciuto a Lucca; sul soggiorno del famoso umanista a Lucca si v. A. Mancini, in «Marzocco», 10 apr. 1927, e l’art. di G. B. Bellissima, Nuovi documenti sulle compagnie degl’Inglesi e dei Bretoni in Italia (contributo all’epistolario del Salutati), in «Annali delle Università toscane», n. s., xi (1927), 137-45.