Novelle (Sercambi)/NOTE/Nota biobibliografica La vita e le opere di Giovanni Sercambi/III. Le Croniche di Lucca

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Nota biobibliografica La vita e le opere di Giovanni Sercambi - III. Le Croniche di Lucca

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III. LE «CRONICHE DI LUCCA»


Le Croniche di Lucca sono l’opera più estesa del Sercambi, non solo per la vastità della materia ma anche per l’impegno che essa richiese dal cronista, il quale vi attese dal 1368 fino a qualche mese, o qualche giorno, prima della morte1. Le Croniche sono divise in due parti, la prima delle quali narra gli avvenimenti che vanno dal 1164 al 6 aprile del 1400, allorché il Sercambi aveva deciso di arrestarsi e non procedere [p. 775 modifica]oltre; la seconda invece venne iniziata nel maggio del 1400, quando sotto la pressione degli eventi il cronista decise di continuare la registrazione delle sue testimonianze, e giunge fino al luglio del 1423.

Le due parti formano due distinti e preziosi codici che dovevano andare in dono al signore ed amico Paolo Guinigi2, anche se il progetto non venne certo iniziato con questa intenzione. Del primo di essi esistono pure tre altre copie: una che risale alla prima metà del secolo xvi e venne prodotta a cura di una commissione di tre cittadini, cui nel 1536 fu dato incarico di provare i diritti di Lucca sopra alcuni territori contestati; una seconda ed una terza che risalgono invece al secolo xviii e vennero tratte da Bernardino Baroni e da Tommaso Gaetano Sergiusti3. Del codice contenente la seconda parte delle Croniche4 esistono anche due copie incomplete e scorrette, una delle quali va dall’inizio fino al 14095, e l’altra che comprende la registrazione degli eventi dall’anno 1418 alla fine6. Il codice della prima parte è anche illustrato da miniature e figure a pieni colori che lo rendono inestimabile e che il Bongi pensa possano attribuirsi allo stesso cronista7. Nel secondo codice mancano le miniature, ma si vedono gli spazi lasciati perché esse venissero aggiunte in un secondo tempo.

Le Croniche rimasero sconosciute agli studiosi, eccezion fatta per i lucchesi, finché il Muratori non trovò il cod. Ambrosiano contenente la copia parziale della seconda parte e lo stampò nel tomo xviii dei R.I.S.8 Messo però sull’avviso dalla dichiarazione del cronista stesso che si rifà alla parte precedente, si mise alla ricerca del cod. contenente la prima parte con tanto zelo da insospettire le autorità lucchesi, che fecero fallire le ricerche9. [p. 776 modifica]

L’iniziativa di pubblicare le Croniche fu presa invece molto tempo dopo, in pieno clima risorgimentale, dalla direzione dell’«Archivio storico italiano», subito dopo la sua fondazione nel 1842 da parte del Vieusseux, che ne affidò l’incarico a Girolamo Tommasi, allora direttore dell’Archivio dello Stato di Lucca. Il Tommasi si accinse all’impresa scrivendo come introduzione alle Croniche il suo Sommario della storia di Lucca10; egli però morí nel 1846 senza poter condurre a termine l’opera, e, quattro anni dopo, trasformatosi l’«Archivio storico» in periodico, il progetto venne abbandonato. Pare che intorno allo stesso tempo, e precisamente nel 1848, l’idea di portare alla luce le Croniche sia venuta anche ad un altro illustre storico lucchese, il Mazzarosa, senza però che il progetto trovasse seguito11.

Finalmente, la sezione lucchese della Deputazione di storia patria per la Toscana l’Umbria e le Marche avanzò la proposta di pubblicare le Croniche all’Istituto storico italiano, il quale nel 1866 decideva di assumersi l’impresa affidandone l’incarico a Salvatore Bongi, anch’egli direttore dell’Archivio dello Stato di Lucca. Le Croniche apparvero dunque nel 1892 in un’ottima edizione in cui poterono financo essere incluse le riproduzioni a disegno delle miniature che illustrano il primo codice. L’opera occupa i voll. 19, 20 e 21 delle «Fonti per la storia d’Italia»; i primi due di essi sono dedicati al contenuto della prima parte delle Croniche, mentre il terzo è occupato dalla seconda parte assieme agli indici ed ai glossari12.

Il Sercambi cominciò a scrivere le Croniche all’età di vent’anni, nel nel clima entusiastico del 1368, quando le speranze dei lucchesi di scuotere il giogo pisano cominciavano a diventare realtà. Egli cominciò appunto registrando i documenti che consacravano la liberazione di Lucca. Solo più tardi si accorse che quegli avvenimenti non potevano rimanere isolati dal resto della storia lucchese durante il secolo xiv e vi aggiunse, quasi come introduzione, una parte che narra gli avvenimenti importanti nella storia di Lucca e della Toscana a partire dal 1335, l’anno cioè [p. 777 modifica]in cui Benedetto xii liberò la cittá dall’interdetto scagliato contro di essa ai tempi di Castruccio. Non essendo egli stato testimone diretto dei fatti narrati in questa parte, si servi di pochi documenti e di molte testimonianze indirette che lo fecero incorrere in molte imprecisioni.

Più tardi, e forse sotto la spinta data dall’esempio delle cronache fiorentine, volle giungere più addentro nel passato, e pensò di valersi di una cronichetta lucchese in volgare13, mutila, che comincia dal 1164. Accrescendo man mano il materiale contenuto nella cronichetta con l’aiuto di altre fonti14, il Sercambi porta questa parte fino all’anno 1313, data della fine della Repubblica per la conquista di Uguccione della Faggiuola. Questa parte occupa i primi 117 capitoli.

Ma che essa sia stata aggiunta in un secondo momento è provato dal fatto che il vero inizio, con invocazioni e dediche e professione di fede e di credo, si trova nel cap. cxviii, al principio cioè della seconda partizione della materia, che va, come si è detto, dal 1335 al 1368.

In questo capitolo, dopo aver dichiarato di volersi attenere alla verità nel registrare gli avvenimenti della storia lucchese e toscana, l’autore passa a ricercare una giustificazione alla sua opera di cronista, dividendo gli scrittori in tre categorie: nella prima egli pone quelli che compongono «libri teologi e divini coi quali si difenda la fede di Christo dalli heretici e scismatici, judei e da altri li quali volessero la dieta fede di Christo diminuire»; nella seconda, «i gran maestri e poeti in scienzia esperti», ai quali spetta di scrivere libri di «leggi civili e morali, filozofia, medicina et di tucte le vii scienzie», sempre che non offendano la fede di Cristo e la verità; alla terza categoria egli assegna infine quegli «homini senza scienzia aquisita, ma segondo l’uzo della natura experti e savi», ai quali compete «compuonere canti di bactaglie, canzoni, suoni et altre cose, a dare dilecto alli homini simplici et materiali, e alcuna volta dinotare alcune cose che appaiono inne’ paezi».

Nessuna meraviglia, aggiunge, se i libri di questa categoria di scrittori non sono così corretti come si converrebbe né così consoni alla ragione, poiché, come dice il proverbio, «nemo dat quod non habet». Bisogna dunque apprezzare la volontà di far bene e la buona fede: «Assai [p. 778 modifica]fa l’uomo quando fa alcuna cosa puramente, posto che non abbia saputo me’ fare, pur à facto a buon fine». Il Sercambi pone se stesso in quest’ultima categoria, reputandosi «non ammaestrato in scienza teologa, non in leggie, non in filozofia, non in astrologia, né in medicina, né in alcuna delle septe arti liberali», e sapendo invece di scrivere «corno homo simplici e di pogo intellecto, materialmente».

Le Croniche sono il diario dell’uomo politico lucchese, che ne è il vero centro prospettico, ed attraverso le cui passioni ed i cui interessi gli eventi vengono filtrati. Ciò porta, come avviene nelle cronache di questo genere, ad una certa deformazione dimensionale dei fatti: ci passano davanti, nelle identiche proporzioni, le scaramucce periodiche fra pisani e lucchesi, la fine della cattività babilonese, casi di abigeato nel contado lucchese, la conquista fiorentina di Pisa, l’esecuzione capitale di un ladro, l’incoronazione di Giovanna di Napoli o la guerra dei Cento anni.

Ma per la stessa ragione, e cioè in virtù di quell’individuabile centro prospettico, una certa vitalità s’insinua nella narrazione, che non rimane mai fredda ma di frequente si leva in un tono di coraggiosa enfasi a rinfacciare ai contemporanei le loro viltà, le loro inutili crudeltà, gli errori di governanti o i vizi della curia, o ad apostrofare imperatori, papi, tiranni e popoli. Verso la fine della sua vita, quando non gli erano più rimasti peli sulla lingua, il Sercambi giunge al punto di fare i nomi dei lucchesi che esercitavano «la notaria senza alcuna ragione di gramatiche»15, quasi ad additarli al disprezzo dei posteri.

Di apostrofi morali se ne trovano moltissime sparse nelle due parti delle Croniche: alcune brevi come delle semplici annotazioni moraleggianti, altre invece di struttura ampia, involuta, vero commento morale ad un avvenimento, specialmente quando il cronista scorge in esso un gioco di forti istinti e di passioni umane. Egli impianta perfino dei lunghi dialoghi con immaginari interlocutori che si difendono malamente dalle accuse incalzanti.

Nelle apostrofi e nei suoi giudizi sembra che le due costanti più caratteristiche che il Sercambi riconosce alla prassi politica siano l’utile particolare come movente e fine, e l’assoluta necessità, come mezzo pratico, di appoggiare il potere sugli amici fidati e di diffidare dei nemici. In forza della legge dell’utile particolare egli spiega e comprende i moventi dei nemici suoi e di Lucca. Tipico a questo proposito è l’atteggia[p. 779 modifica]mento che egli assume nei confronti di Iacopo d’Appiano, signore di Pisa, astutissimo nemico di Lucca, che il cronista detesta chiamandolo «piccolo verme» e «maestro di tradimenti», presentandolo come l’incarnazione del demonio. A lui rivolge le apostrofi più eloquenti e le più tremende minacce, rivelandone gli stratagemmi più subdoli e le più ciniche macchinazioni. Pure, egli non può fare a meno di subire il fascino dell’uomo che, sfruttando ogni minima circostanza e mettendo da parte scrupoli e leggi morali, realizza il suo utile particolare. E nel bel mezzo delle descrizioni di abietti tradimenti e congiure, il Sercambi esce in improvvise esclamazioni di plauso («O quanto questo modo di parlare fu sagacie, ché con bello dire si partio a dare ordine al suo pensieri!»; «O astutia d’uomo savio, in piccolo tempo prendere riparo al suo danno!»)16, allo stesso modo che egli difficilmente riesce a nascondere la sua interna soddisfazione narrando in tutti i particolari il complotto che portò il Guinigi al potere nel 1400.

L’ideale virtù del Sercambi è volitiva ed operante: egli ammira il vincitore che ha saputo e voluto soggiogare circostanze ed eventi. Virtù che forse in lui non fu mai consapevolezza di giudizio, ma istinto. Ma è appunto a causa di questo istinto che la sua narrazione acquista rilievo e dimensione, e che fa sentire sotto il piatto paesaggio della cronaca il pulsare della storia.

  1. L’ultima frase delle Croniche rimase infatti incompiuta. Il S. stava registrando la notizia della peste, scoppiata nel luglio del 1423 e di cui egli sarebbe morto da lì a qualche mese. Siccome egli aveva l’abitudine di notare i fatti dopo qualche mese da che erano accaduti, si può anche pensare che la frase rimasta in sospeso fosse stata scritta qualche giorno prima della sua fine.
  2. II primo di essi fu infatti rinvenuto fra i libri appartenenti a Paolo Guinigi all’atto del sequestro dei suoi beni (cfr. S. Bongi, Di Paolo Guinigi e delle sue ricchezze cit., p. 79). È ora conservato nell’Archivio dello Stato di Lucca, al n. 107.
  3. Le copie sono conservate nella Biblioteca governativa di Lucca, rispettivamente ai nn. 108, 931 e 1572. Per la descrizione di questi mss. si v., del Bongi, l’Inventario dell’Archivio dello Stato di Lucca, iv, 343-346.
  4. Ora nell’Archivio dello Stato di Lucca, al n. 266 (Arch. dei conti Guinigi). Per la sua descrizione si v. più sotto alle pp. 811-14.
  5. Finita nella Biblioteca Ambrosiana, dove si conserva al n. D 391.
  6. Nella Bibl. governativa di Lucca, n. 1634.
  7. Pref. cit., p. xxxv.
  8. Johannis Sercambii auctoris synchroni Ckronicon De Rebus gestis Lucentium ab anno MCCCC listine ad annum MCCCCIX nunc primum in lucern productus e manuscripto codice Bibliotecae Ambrosianae, in R.I.S., t. xviii, Milano, 1781, pp. 793-898.
  9. Per questa strana vicenda dei rapporti fra lo stato di Lucca ed il Muratori a propostio del cod. delle Croniche, che qualche volta giunse anche ad assumere dei toni comici, si v. la pref. cit. del Bongi, pp. xxxvi-xli, e lo studio di C. Sforza, L. A. M. e la Repubblica di Lucca, in «Memorie della R. Acc. delle Sc. di Torino», lvii (1907). pp. 227-68.
  10. Cfr. la pref. di C. Minutoli al Sommario (che uscì appunto nel 1843, come vol. x dell’«Arch. stor. ital.»), pp. xx-xxi.
  11. La notizia è data dal Renier, nella sua pref. alle Novelle inedite di G. S. cit., p. xxv, n. 3.
  12. Sull’ed. del Bongi, si v. la recensione del Renier, in «GSLI», xxi (1893), 157-60, e quella di G. Rondoni, in «Arch. stor. ital.», xii (1893), 424-35.
  13. Di cui esistono due copie, una che va dal 1070 al 1304, ed un’altra che dal 1164 giunge fino al 1260. Un raffronto fra le due copie mostra che il S. si è dovuto servire della seconda (le Croniche infatti hanno inizio con il 1164). Ambedue furono stampate dal Bongi, in «Atti della R. Acc. Lucch. di Sc. ed Arti», xxvi (1893), rispettivamente alle pp. 223-42 e 243-54, precedute da un’introd. Uno squarcio della seconda è pubblicato in La prosa del Duecento, a c. di C. Segre e M. Marti, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, pp. 903-06.
  14. Su di esse v. la pref. del Bongi, pp. xx-xxi.
  15. iii, 326.
  16. Nelle Cron., rispettivamente i, 290, e ii, 70.