Pitti, albergo de' Regi

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Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Letteratura Intestazione 4 luglio 2023 75% Da definire

Poichè gli abissi di pregar fu lasso Spirto d'un solo vento
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni eroiche di Gabriello Chiabrera


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LXV

PER LE DAME

Che ballarono mascherate nella vegghia delle Grazie.

Pitti, albergo de’ Regi,
     Per le stagion festose,
     Quai nelle notte ombrose
     Furo i maggior tuoi pregi?
     Quando udisti d’Orfeo note dogliose
     Per la città di Dite?
     O quando il piè d’argento
     In te degnò mostrar l’alma Anfitrite:
     O quando a bel concento
     Di tamburi guerrieri
     Fur tanti Duci alteri
     D’infinito ornamento?
No, ch’io ti vidi in seno
     Mar, che assorbe ogui fiume;
     Sol, che oscura ogni lume,
     Ti vidi in sen non meno;
     Ma s’invidia destarsi ha per costume
     Ver l’altrui sommo vanto,
     Ella si desta in vano,
     Quando di Pindo si rinforza il canto;
     Dunque l’arco Tebano
     Arma, Euterpe celeste,
     E l’invidiosa peste
     Sia spoglia di tua mano;
Allor che il Sol depone
     I rai dell’aurea fronte,
     Di famiglie più conte
     Sedeano alte corone;
     Loreno, onde il Giordano, onde l’Oronte
     Di libertà fur lieti;

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     Austria, che al suo valore
     Vede inchinarsi l’una e l’altra Teti;
     Medici, il cui splendore
     10Su nell’Olimpo ascende,
     E stelle ivi raccende
     Di non più visto ardore.
Ed ecco nobil squadra
     Di beltà femminile,
     15Per sembianti gentile,
     Per abiti leggiadra:
     Di varj fior, quanti ne serba Aprile,
     Splendean le ricche vesti,
     Che con mani ingegnose
     20Ivi novella Aracne avea conteste.
     Le guance erano ascose,
     Non per altrui celarsi,
     Ma per altrui mostrarsi
     Via più meravigliose.
25Or chi degli occhi i rai,
     Onde Amore tentava
     Allor, ch’ei più beava,
     Chi potrà dir giammai?
     Chi la neve del piè, ch’ora s’alzava,
     30Ora radeva il suolo,
     Ma nol lasciava impresso
     Sì, che non era passo, anzi era volo?
     E chi l’orgoglio espresso,
     Col dar volta, e fuggirsi?
     35Chi l’atto del pentirsi,
     Con inchinar dimesso?
Quinci gran meraviglia,
     Nel gorgon di Perseo
     Abbominato e reo
     40Sassificò le ciglia;
     O di quante alme vinte alzò trofeo
     Per quei Soli notturni
     Amore, e quanti accenti
     Trasse fuori de i cor più taciturni?
     45Vidi io ne’ più dolenti
     Scherzi, sorrisi e giochi,
     Piaghe, tormenti, e fochi
     Vidi io ne i più contenti.
Cor mio, soverchio ardito
     50Oggi innalzi l’antenne;
     Mira, che ne fai penne
     Per pelago infinito:
     L’ancora salda, che Parnaso dienne,
     Afferri umida arena
     55Dentro porto sicuro,
     Mentre che ci fa calma aura serena.
     È vile il pregio e scuro
     Di qualunque altro piede;
     A risco di mia fede,
     60Odalo Apollo, il giuro.
Sento ben debil voce,
     E una Fama, che canta
     Per l’antica Atalanta,
     Come in corso veloce;
     65Ma che sa dir? velocità cotanta,
     Come sciocca ed avara
     È nell’obblío caduta:
     Bella Virtute i nomi altrui rischiara,
     Nè Parnaso rifiuta
     70Ornare alme ben nate;
     Ma per altrui viltate
     Sempre ogni Musa è muta.