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I promessi sposi è il titolo di un romanzo storico, scritto dal massimo esponente del panorama letterario milanese ottocentesco, Alessandro Manzoni, pubblicato fra il 1840 e il 1842, nel pieno Risorgimento italiano.
La prima idea del romanzo risale al 24 aprile1821, quando Manzoni cominciò la stesura del Fermo e Lucia: compose circa in un mese e mezzo i primi due capitoli e l'Introduzione; interruppe però il lavoro per dedicarsi al compimento dell'Adelchi e al progetto, poi accantonato, di un'altra tragedia, Spartaco. Dall'aprile del 1822 il Fermo fu ripreso con maggiore lena e portato a termine il 17 settembre1823 (fu pubblicato postumo nel 1916 da Giuseppe Lesca col titolo "Gli sposi promessi"). In questa prima redazione i personaggi appaiono meno edulcorati e forse più pittoreschi di quella che sarà la versione definitiva. Sullo sfondo la Lombardia del XVII secolo è dipinta come scenario non pacificato, il cui potere politico coincide con l'arbitrio del più forte, la cui ragione (come insegna Jean de La Fontaine) è sempre la migliore. Di fronte alle storture del potere spagnolo, l'autore stende la luminosa esperienza della Repubblica di Venezia, cui Fermo, e successivamente Renzo, giunge dopo la fallimentare esperienza della rivolta del pane.
La prima edizione de I promessi sposi fu pubblicata nel 1827; Manzoni non era, tuttavia, soddisfatto del risultato ottenuto, poiché ancora il linguaggio dell'opera era troppo legato alle sue origini lombarde. Nello stesso 1827 egli si recò, perciò, a Firenze, per risciacquare - come disse - i cenci in Arno, e sottoporre il suo romanzo ad una revisione linguistica ispirata al modello fiorentino.
Tra il 1840 e il 1842 pubblicò quindi la seconda e definitiva edizione, cui oggi si fa normalmente riferimento.
L'opera comprende una introduzione in cui compare l'inizio della trascrizione di un presunto manoscritto del '600 contenente il resoconto della storia di Renzo e Lucia, infine, in appendice fu pubblicata la Storia della colonna infame, il resoconto di un processo agli untori durante la peste del 1630.
Nastagio degli Onesti, amando una de' Traversari, spende le sue ricchezze senza essere amato. Vassene, pregato da' suoi, a Chiassi; quivi vede cacciare ad un cavaliere una giovane e ucciderla e divorarla da due cani...
In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d'assemplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia.
I primi sofisti sconvolsero la vita culturale e politica di Atene con una capacità dialettica in grado di rendere credibili costruzioni filosofiche in contrasto con le più radicate certezze della civiltà greca. Essi non tennero nascosto il segreto della loro abilità: la parte centrale dell'Encomio di Elena di Gorgia, caso esemplare di difesa vincente di imputato indifendibile, è a sua volta un elogio del lógos, al contempo "parola", "ragionamento" e "discorso".
Che se poi da tale eloquenza fu persuasa, che la sua mente ne restasse ingannata, non è pur difficile intorno a questo difenderla, e liberarla dall'accuse, che a lei si fanno. Ella è l'eloquenza un gran Principe, che in un picciolissimo, e assai vil corpo divinissime imprese fa eseguire. Ed ha tal forza di sottrarre alcun dalla tema, d'alleggerirgli il dolore, di cagionargli allegrezza, e d'accrescergli compassione. Il fatto adunque fu tale, quale io vi mostrerò.
Ma fa d'uopo con ornamento agli Uditori narrar le cose. La Poesìa tutta io la giudico, e la chiamo un'Orazione fatta con metro, colla quale negli Uditori fa nascere ed un orrore cinto di tema, e una misericordia piena di lagrime, e amica delle doglianze. Nell'opere altrui, e nella fortuna, e disavventura degli altrui corpi le proprie passioni sente l'anima per mezzo di tai discorsi. Or dunque da uno ad un altro ragionamento passando,
dico, che tai diletti nascono dall'eloquenza, che avendo in sè quanche cosa del divino, quando son d'allegrezza, e quando di rammarico apportatori. Ed all'oppenione dell'anima una certa portentosa forza è per natura attaccata, che molce, e persuade, e con incantesimo anche trasforma. Difficili però l'arti dell'incantesimo, e della magia si trovano, le quali non sono, che peccati dell'anima, ed inganni dell'oppenione.
Ma quanti intorno a varie cose l'altrui intelletto convinto hanno, e tuttavia convincono, col tessere ne' lo discorsi bugie! Poiché, se tutti di tutte le cose passate avessero memoria, e intorno alle presenti, e alle future accorgimento; non in diversa maniera, essendovi ragion eguale, che se cose fussero al dì d'oggi avvenute, potrebbero facilmente rimembrar le passate, le presenti comprendere, e indovinare il futuro; siccome fan molti, che intorno a molte cose somministrano all'anima un'opinione, e non ferma, coloro, che s'appoggiano ad essa, rimangono circondati da un'incostante, e non secura fortuna. Or dunque qual ragion proibisce, ch'Elena similmente, allorchè giovane era, quasi per violenza rapita fosse? Tanta è l'arte del persudere, che tira d'accorso un animo non altramente disposto.