Prose (Foscolo)/VIII. Scritti vari dal 1805 al 1806/IV. Sul Commentario della battaglia di Marengo scritto dal generale Alessandro Berthier/Appendice

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IV. Sul Commentario della battaglia di Marengo scritto dal generale Alessandro Berthier - Appendice

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IV. Sul Commentario della battaglia di Marengo scritto dal generale Alessandro Berthier - Parte seconda

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APPENDICE

[Nella stampa del Commentario si è seguita la stesura piú breve, comparsa negli Annali di scienze e lettere di Milano, fascicolo dell’aprile 1811, e che pare rappresentasse l’ultima volontà dell’autore. Qui si riproduce l’altra stesura, molto piú larga e inedita, data dall’autografo foscoliano.]

BATTAGLIA DI MARENGO


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Per quam . . .
crevere vires, famaque, et imperi
porrecta maiestas. . . .

 Horatius, lib. IV, od. XV.

}}

Tutti i disegni di campagna di Bonaparte hanno tale carattere proprio d’audacia e di prudenza, che non sarà mai bastantemente studiato dai militari.

Nel IV, V e VI anno, conquistò tutta l’Italia settentrionale, sostenne con un esercito di trenta in quarantamila uomini i maggiori sforzi dell’Austria, ed in tre anni fece sei campagne.

Campagna prima.

Bonaparte attira sotto Genova il generale Beaulieu, lo assalisce nei fianchi, gii soverchia la diritta, lo rompe a Montenotte, accorre alternativamente or a Dego or a Mondovi, incalza Beaulieu sul Milanese, Colli in Turino, sottomette il re di Sardegna, supera il ponte di Lodi, s’impadronisce della Lombardia, traversa il Mincio, investe Mantova, e, in meno di due mesi, dai monti liguri pianta le sue bandiere sui tirolesi, varca l’Italia ed è ai confini alemanni.

Vive ancora la memoria dello stupore, di cui sí splendidi fatti percossero tutta l’Europa. Le passioni delle parti in Francia e la rabbia dei nostri nemici rappresentavano, nel generale di ventisei anni, un giovine impetuoso, che troverebbe ben presto nella sua propria audacia la sua confusione e la sua perdita. [p. 230 modifica]

Campagna seconda.

Primo effetto di vittorie sí illustri fu l’Alsazia sgombrata da Wurmser, costretto a ripassare il Reno per accorrere con quarantamila uomini in aiuto del Tirolo: dopo non molto, si affaccia sull’Adige con ottantamila combattenti, occupa Monte Baldo, penetra per Valsabbia e giunge ad un tempo a Verona ed a Brescia.

Nuovo e formidabile nemico, cui non possiamo opporre piú di trentamila uomini. Doveansi conservare le conquiste; assediavasi Mantova, presidiata da piú di ottomila uomini, già in procinto di arrendersi. In questa seconda campagna, Bonaparte appar superiore a Federigo, trovatosi quasi in pari posizione. Non si ostina all’assedio di Mantova, come il re all’assedio di Praga; ma le sue risoluzioni sono rapide e le operazioni rapidissime. L’inimico, stupefatto da tanta prontezza di movimenti, non trovava mai all’alba l’esercito francese dove avealo lasciato la sera. Ripiegando al numero colle marce, Bonaparte mostravasi quasi ovunque superiore al nimico. Le battaglie di Lonato e di Castiglione coronarono sí belli ed ardimentosi concetti; e Wurmser, vinto ad onta della sua numerosa cavalleria e dell’artiglieria immensa, rifuggí nelle gole del Tirolo, lasciando ai francesi gran parte del suo esercito.

In tutti questi movimenti, sorgente d’utili studi per chi attende alla milizia, Bonaparte fece conoscere che sovente l’espediente migliore per difendersi è l’assalire e che il genio della grande guerra posa sovranamente nell’arte di racquistare l’offesa, ove i primi vantaggi del nimico l’avessero preoccupata. Allora la sua fama si fondò in tutta Europa; i generali francesi di ogni arma lo acclamarono loro maestro, e gli antichi commilitoni di Federigo preconizzarono l’eroe che dovea ripigliare lo scettro della guerra, inoperoso dopo la morte di lui.

Campagna terza.

Bonaparte avea vinto; ma si vide tratto in ardui frangenti e n’era punto altamente. Ricordava che Wurmser avea piú volte occupato il suo quartier generale, né credea bastante vendetta l’aver dissipato i divisamenti di lui, sterminandogli parte dell’esercito. Dopo sei settimane di riposo, ode che questo generale [p. 231 modifica] riceveva rinforzi e che levava il campo dal Tirolo verso la Brenta. Bonaparte rimonta subito l’Adige, va a Roveredo, rompe in quell’insigne giornata mezzo l’esercito austriaco, avanza verso Lavis, fa viste di marciare a Inspruch, e repentinamente torce verso la Brenta. Tutti gli accorgimenti austriaci, per opporre argine a questo torrente, riescono vani e senza pro. Bonaparte combatte il nimico, lo sconfigge, lo insegue colla spada ne’ fianchi e lo ributta sull’Adige, che varca a Ronco prima di lui; e, se non che s’attraversò un di que’ casi che eludono tutti gli avvedimenti, Wurmser rendeva le armi; ma, sciagurato nella sua ventura, questo accidente gli apre Mantova per unica ritirata, ove è forzato a rinchiudersi con diecimila cavalli, alcuni eletti reggimenti di corazzieri, tutto lo Stato maggiore e la salmeria dell’esercito.

Fu sí pronta l’esecuzione di tutti i movimenti e sí solenne la sconfitta di questo terzo esercito, che la corte di Vienna ignoravane la fortuna, quando ella dalla voce pubblica seppe essere omai senza esercito in Italia, le sue frontiere senza presidi e il suo generale chiuso, colle reliquie de’ suoi soldati, nella sola piazza che le rimanesse.

Riesce agevole osservare che Bonaparte nelle sue ardite operazioni non aveva nulla avventurato al caso; e, quantunque le sue marce sembrino a prima vista straordinarie, meditandole apparirà che egli aveva provveduto sempre alla ritirata e combinati i rovesci ai ripieghi. I militari coglieranno con ardore le tante mirabili relazioni di questa campagna con quella dell’esercito di riserva, in ambedue delle quali vedranno Bonaparte esercitare la sua tattica sulla linea d’operazione del nemico, porsi fra lui e i suoi magazzini, attraversargli la ritirata e decidere con un unico colpo il destino di un esercito intero.

Campagna quarta.

Tante avversità dovevano ultimamente irritare ia corte di Vienna. Non ignorando che Bonaparte aveva appena una banda d’armati, divisò di non risparmiare mezzi onde trarre dal blocco il suo feldmaresciallo, lo Stato maggiore di un esercito e salvare ad un tempo la piazza di Mantova. E fu tanto Io sforzo, che Alvinzi ebbe piú di cinquantamila uomini nel Friuli, mentre il suo luogotenente avevane ventimila sul Tirolese. Era impossibile al generale francese di resistere a cotante forze e di occupare un [p. 232 modifica] terreno troppo ampio alle sue: onde non cercò a principio se non d’arrestare i movimenti del nimico con vari corpi d’osservazione sulla Brenta. Alvinzi, indugiato parecchi giorni, passa la Piave. Bonaparte è costretto a sgombrare dal paese fra la Brenta e l’Adige. Provasi a Caldero di riguadagnarsi l’offesa; ma l’esperimento non fu, in quella giornata, felice, e seppe ad un punto le divisioni nimiche insignorite della sponda diritta dell’Adige e giunte a Rivoli. L’Italia parea perduta senza riparo e teneasi inevitabilmente levato il blocco di Mantova. Alla rassegna in Verona dopo la battaglia di Caldero, i francesi si trovano quindicimila, non piú; e, quando a notte l’esercito sfilò, correa universale parere che si continuerebbe la ritirata. Aspettativa delusa. Comandasi alle schiere di seguire-l’Adige, che alle ore due sull’alba traversano a Ronco, e Bonaparte presente l’insigne battaglia d’Arcole. Quantunque la mira principale del capitano svanisse al principio della giornata, pure quella sapiente tattica gli giovò a cacciare dalla bella posizione di Caldiero il nimico, attirarlo in palude, stringerlo, a combattere sugli argini, ove il numero superiore non lo vantaggiava. Per tre di le divisioni nimiche, rotte a mano a mano, scoraggiandosi, cedono il campo di battaglia; e tutto l’esercito, inseguito, rivarcò sbandato la Brenta.

Bonaparte, riconducendo sempre le vittorie alle nostre insegne, fe’ tale stimare al mondo, giudice per lo piú dell’evento, che tutto fedelmente gli prosperasse; ma i militari osservatori conosceranno quanti progetti ottimamente combinati gli si convertirono in danno: bensí non ci ebbe mai uomo piú pronto né piú sperimentato a’nuovi espedienti, con che imponeva alla fortuna di secondarlo.

Campagna quinta.

Fu questa la campagna delle battaglie di Rivoli e della Favorita, donde venne la presa di Mantova. La giornata campale di Rivoli fu piú gloriosa all’esercito di quella di Marengo, perché Bonaparte con diciottomila ne sconfisse quarantamila, ventisettemila de’ quali rimasero prigioni. Inferiore di tanto, ed in un campo di battaglia di cinque leghe quadrate, il capitano spiegò sovranamente la grande arte di apparire superiore in tutti i punti di attacco. Non previene le colonne austriache in distanza di sette in otto leghe, né in trentasei o quarantott’ore di spazio; [p. 233 modifica] ma le rompe ad una ad una, sebbene non distanti fra loro se non di un’ora al piú di cammino. Queste giornate sí splendide di Rivoli e della Favorita sono frutto di una piena cognizione del campo di battaglia, d’una somma avvedutezza a penetrare i disegni del nimico e della prontezza a creare sul fatto i mezzi di eluderlo.

A Rivoli la divisione nimica destinata a cingerci alle spalle giunge di fatto nella posizione che dovea occupare; ma giunge quando le altre divisioni austriache sono sconfitte: onde si trova avviluppata e prigione.

Campagna sesta.

Bonaparte, padrone di Mantova, marcia con soli quindicimila combattenti a Roma; e, quando l’Europa lo credea oltre gli Appennini, egli soscriveva il trattato di Tolentino. Non si lascia traviare dalla vanagloria di entrare trionfante in Campidoglio; ma torna, senza perdere un’ora, all’esercito sulla Piave, ove principia la sesta campagna. In meno di due mesi, disfatto il principe Carlo al Tagliamento, all’Isonzo e a Tarvis, varcate le Alpi Giulie, la Drava, la Sava e la Muehr, costringe l’Austria alla pace, mentre l’esercito francese tenea Trieste e l’Istria, la Carniola, la Carinzia, la Stiria e gran parte dell’Austria anteriore.

Nel tempo in cui, venticinque leghe sotto Vienna, concedea l’armistizio a’ generali Bellegarde e Meerfeld e, soscrittolo, tracciava i limiti degli eserciti, non senza lungo dibattimento per li corpi dei generali Bernadotte e Joubert: — Ove credete voi, signori — disse Bonaparte ai generali austriaci, — che sia il generale Bernadotte? — Forse è giunto a Fiume — rispose Bellegarde. — No — soggiunse Bonaparte, — è nella mia sala, e mezza lega distante vedrete la sua divisione. Ma — prosegui egli — ove presumete voi il generale Joubert? — Forse a Inspruch — replicò Bellegarde, — se pure valse a far testa alle colonne di granatieri che giunsero dall’esercito del Reno. — Anch’egli — disse Bonaparte — è nella mia sala, e la sua divisione non è lontana due leghe. —

Queste due risposte colpirono gli austriaci; tanto piú che il generale aveva appunto allora spediti gagliardi distaccamenti onde sostenere la Carniola e il Tirolo, dond’ei congetturava che i generali Bernadotte e Joubert dovessero penetrare. Cosí, mentre i [p. 234 modifica] nimici si sparpagliavano, Bonaparte riammassava in un terreno di cinque in sei leghe quadrate tutte le sue forze, di circa quarantaseimila uomini.

Campagna d’Egitto e di Siria.

Bonaparte, non molto dopo la pace, naviga in Egitto. Presentasi a Malta: l’autorità del nome, la fiducia nell’intervento di lui ed il vigore degli assalti di tutti i lati dell’isola, non permettendo respiro al nimico, gli danno in potere quella formidabile piazza, che non era stata mai presa. Sbarcato in Egitto, giudica da’ primi giorni il sistema di guerra voluto dal paese e dalla specie di armati che lo difendevano, e presente la nuova tattica ch’ei dovea creare.

La battaglia delle Piramidi alle porte del Cairo, l’altra del monte Tabor nel cuor della Siria e quella d’Aboukir sono tutte e tre variamente ideate. Si preservò d’ogni errore, ed applicò a nuove circostanze e diverse tutti gli espedienti dell’arte della guerra.

Intanto noi eravamo sconfitti a Stockach e sull’Adige; la Francia era sovrastata dalla sua rovina, temporeggiata appena per la vittoria di Tusurgo. L’Italia perduta; gli eserciti, disarmati, senza unità nella direzione e nei movimenti, non erano piú omai di spavento ai nemici del nome francese. La guerra civile ardeva nella Francia occidentale e meridionale; la pubblica economia a soqquadro; le sètte sbranavansi; ed un governo destituto di forza cercava indarno la propria sicurezza nelle divisioni.

Campagna dell’esercito di riserva.

Bonaparte approda dall’Egitto; la speranza rinasce e a’ 18 brumale è giustificata: tutto si riunisce, tutto cede al genio che concepisce, alla possanza che ordina, alla moderazione che affida. Né bastava riordinare con leggi lo Stato: era pur necessario conquistargli la pace con la vittoria. Eleggevasi primo console, ecc.

[E l’autografo continua, salvo poche e insignificanti varianti meramente formali, anzi grafiche, conforme il testo a stampa, fino alle parole «posavano al sereno sulla posizione ch’essi occupavano prima della battaglia» (p. 227, r. 14). Indi continua cosí:]
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Perderono gli austriaci in questa giornata quattromilacinquecento morti, ottomila feriti e settemila prigionieri, dodici insegne e trenta cannoni. I francesi, mille e cento morti, tremilaseicento feriti e novecento prigionieri. Al dí seguente, sull’alba, i nostri granatieri attaccano i posti avanzati, lasciati dal nimico a capo del ponte della Bormida: presentasi un parlamentario, annunziando che il generale Melas chiedeva d’inviare un uffiziale del suo Stato maggiore a Bonaparte. Dopo la prima conferenza, il generale Berthier, ricevute le istruzioni ed investito da Bonaparte della facoltà necessaria a trattare, se ne va ad Alessandria. Alcune ore dopo, presenta alla sanzione di Bonaparte la capitolazione seguente, sottoscritta dal generale Melas.

[Segue il testo dell’armistizio, che si omette per brevità.]

Dopo la battaglia di Marengo, il generale Saint-Julien sottoscrisse in Parigi i preliminari di pace; ma l’imperatore d’Alemagna, governato dai consigli di un ministero compro dall’Inghilterra, ricusò di ratificarli: onde s’ebbe ricorso alle armi. L’esercito del Reno era nel cuore della Baviera; quello d’Italia sull’Adige; ambidue bene provigionati ed animati dal sentimento della vittoria.

Anche a quel tempo Bonaparte convocò un esercito di riserva a Digione; ma la sua tattica fu diversa assai dalla prima. Lo compone di cinque divisioni, di forse ottomila fanti in tutto e di quattro reggimenti a cavallo, capitanato dal generale Macdonald, con ordine di marciare al passo dei Grigioni. Il nemico, computando i soldati dal numero delle divisioni e rammentando i fatti del primo esercito di riserva, stimò questo secondo destinato a conquistare il Tirolo, né gli parve far troppo, mandandovi alla difesa trentamila uomini; il che snervò, sull’Inn, il suo esercito, che fu poi, nella giornata memorabile d’Hohenlinden, solennemente rotto dal generale Moreau.

Colà pure si segnalarono i generali Richepanse e Ledere, morti sul campo d’onore. La gloria custodirà tutti i nomi di quei che guidavano attraverso l’Alemagna le nostre schiere vittoriose. I preliminari vennero sottoscritti, e l’armistizio con l’Austria die’ all’esercito del Reno di potere spaziare sino a Leoben, abbracciando a destra parte di quanto conquistò Bonaparte nell’anno quinto. Cosí, con ottomila, per lo piú reclute, il secondo esercito di riserva tenne a bada trentamila soldati eletti, ed in men di [p. 236 modifica] due anni fu due volte conclusa la pace sotto Vienna. Esempi che ammoniranno alcune potenze quanti piú gravi pericoli avrebbero, se, ora che i nostri soldati sono piú numerosi, piú agguerriti e meglio provveduti, esse attendessero alle suggestioni dell’Inghilterra, o dessero fede a ministri prezzolati da questa potenza e pronti a strascinare a una guerra perniciosa i loro sovrani. E le lagrime, che per questa guerra si verserebbero sul continente, sariano sorgente di esultanza all’Inghilterra, che avrebbe concitate sui popoli tante calamità, e calamità irreparabili.

Bonaparte fe’ ad un tempo passare Monte Cenisio da diecimila uomini, radunati da prima ad Amiens, indi acquartierati a Digione, e li die’ a comandare al generale Murat. Questo corpo, quello del generale Macdonald e l’esercito del generale Brune in Italia, formavano una forza superiore assai alle austriache. Bonaparte volea comandare in persona e rinnovare la sua sesta campagna, varcare il Tagliamento, la Drava, la Sava e la Muehr e traversare la Carniola, staccare il generale Murat con ottomila cavalli, venticinquemila fanti e cinquanta cannoni... Ma non giova parlare d’un disegno di campagna che restò ineseguito.

NOTA. — Il volume si chiude con una grande tavola, contenente la Situazione dell’armata di riserva, li 25 pratile, anno ottavo.