Rime (Guittone d'Arezzo)/Nota

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Trattato d'Amore/Sguarda, amico, poi vei ciascuna parte ../Indicazioni delle fonti IncludiIntestazione 11 agosto 2018 75% Da definire

Sguarda, amico, poi vei ciascuna parte Indicazioni delle fonti
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NOTA

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Da quando Flaminio Pellegrini pubblicò in un’edizione critica il primo volume delle Rime di Guittone d’Arezzo (Versi d’amore)1 sono trascorsi circa quarant’anni! L’opera dell’insigne professore rimase troncata dalla morte; né da allora c’è stato chi abbia tentato di riprenderla e completarla.

Parecchi anni or sono mi posi io al lavoro, che l’esame della parte pubblicata dal Pellegrini dimostrava giá abbastanza gravoso, arduo e lungo, e che s’è rivelato ogni giorno piú irto di difficoltá d’ogni genere. È ben lontano da me il proposito di dare ora una [p. 280 modifica] edizione rigorosamente critica; non sarebbe, tra l’altro, nella natura di questa raccolta; ma debbo pur anche dire che, senza riferir nelle note l’apparato critico, esso è stato tenuto presente nel tentativo di dare una lezione, che meglio rispondesse alla intelligenza dei componimenti ed a quanto si può arguire circa la lingua e la grafia guittoniana. Sarebbero stati necessari frequenti e laboriosi ragionamenti critici per segnalare le ragioni per le quali mi discosto — e spesso in modo assai netto — dagli editori precedenti; e spiegare su quali elementi si fonda la lezione nuova che presento, senza peraltro aver la pretesa ch’essa sia definitiva e perfetta. Ma alla maggior parte di essi ho dovuto rinunciare per conformarmi alle norme degli Scrittori d’Italia.

Delle rime di Guittone esiste solo l’edizione che nel 1828 pubblicò in due volumi, uno di canzoni e l’altro di sonetti, Lodovico Valeriani. Il volume edito dal Pellegrini comprende i soli versi d’amore. Per le rime ascetiche e morali, e non per esse soltanto, dovremo continuamente riferirci alle fonti manoscritte, che, componimento per componimento, sono indicate nell’indice che segue2.

Delle 50 canzoni, 13 si leggono in un solo ms., delle quali ii esclusivamente nel ms. B (Laur. Red. IX); e dei 251 sonetti, 146 hanno un’unica fonte che per ben 107 è il ms. B.

È possibile in queste condizioni ricostruire un testo sicuro? E quale norma si potrá avere per i fenomeni fonetici e grafici? Com’è noto il ms. B è uscito dalla penna d’un amanuense pisano-lucchese; e piú volte si è dubbiosi di fronte a lezioni che sono caratteristiche appunto dei dialetti toscani occidentali. Ma come impedire che il testo finisca appunto col colorirsi di pisano-lucchese nell’impossibilitá in cui siamo di variare il ms. B lá dov’esso è unico, cioè in ben 11 canzoni e 107 sonetti? E come accogliere d’altra parte le forme di A (Vat. 3793) che è viceversa opera di amanuense fiorentino? Donde dunque si potrá mai trarre quell’impronta aretina, che pur dovrebbe trovarsi in Guittone, il quale ci parla addirittura di «lingua artina»?3. [p. 281 modifica]

Certo Guittone visse la vita aretina solo nella sua giovinezza, fino a Montaperti; e poi, convertitosi e voltosi alla religione ed all’ordine dei frati di Santa Maria o frati gaudenti, si staccò da Arezzo ed ebbe contatti letterari e politici specialmente con i pisani e visse a Firenze, dove morì4. Un allontanamento dal tipo «artino» potrebbe trovarsi nel linguaggio di Guittone se mai e soltanto nelle rime da lui composte dopo la conversione, per le circostanze speciali della sua vita. Perché se è vero che Arezzo al tempo di Guittone era ormai del tutto sotto l’influenza politica e commerciale di Firenze, questa però non poteva ancor esser tale da influire profondamente sul dialetto e sul linguaggio degli aretini, linguaggio che in seguito si fará sempre piú toscano, laddove ancor doveva conservare molte e profonde analogie con l’umbro.

Tutto questo vale comunque come orientamento generale. In realtá, se, come mi par doveroso, non possiamo permetterci di variare la lezione dei mss., quando sono fonte unica, come potremo impedire confusioni e discordanze?

È tuttavia nostra ferma opinione che l’inconveniente finisca con l’essere quasi utile e comunque non grave pel fatto che non esistevano certamente al tempo di Guittone norme fisse e costanti di morfologia e di grafia. Se dunque noi leggeremo qua «onne», lá «onni», od anche «ogni» ed «ogne», e se queste diverse forme ricorreranno nello stesso componimento o persino nello [p. 282 modifica] stesso verso, ci accosteremo di piú all’uso del tempo di quello che non faremmo dando assoluto predominio, per es., alla forma «onne», che potrebbe forse considerarsi piú propria dell’aretino.

Né la rima vale a farci riconoscere le forme autentiche, ché anzi spesso essa porta ad esagerazioni e licenze, che non possono esser considerate normali. Se, per es., accanto a «veggio», forma piú comune del presente di «vedere», la quale appare anche in rima, con «seggio» (X, 1), si trova la forma «veo», che piú particolarmente ricorre lá dove era richiesta dalla necessitá di rimare con «Deo, eo, creo, reo, ecc.», non possiamo da un lato dubitare che la forma «veo» non sia legittima, ma possiamo anche credere ch’essa non fosse la piú corrente. Comunque avremo anche da questo una conferma dell’uso promiscuo di forme diverse.

Quanto alla rima, non desidero addentrarmi nella questione della cosí detta rima aretina, rimandando a quanto ne dissero il Parodi e il Bertoni5, ma constato:-otti: -utti; -otto:-utto;-ono: -uno; -ona: -una; -ora: -ura; -oso: -uso; -oi: -ui; -ose: -use; -ere: -ire; -eve: -ive; -edi: -idi; -esce: -isce; -esa:-isa; -sto: -isto; -ento: -into; ecc. ecc. Ora si potrebbe certo arrivare ad accogliere «misora» per «misura» (XXV, 30), ma sarebbe mai possibile, per ristabilire la rima, che è sempre in -ura: «rancura: dura: pura: aventura: natura: bruttura: paura: ventura», modificare «tuttora» (XLIV, 31) che è dato da entrambi i mss.: A e B, in «tuttura» .6 Ben diverso è il caso di «ciascono, alcono, comono, ono, catono», che possono ammettersi senza sforzo: «alcon» è anche fuori di rima (XLIX, 28).

È inutile soffermarsi ancora: si deve ammettere la possibilitá di rimare -ono: -uno; -oso: -uso; -ere: -ire; -edi: -idi; ecc. ecc.

Per la grafia ho un poco dubitato se non fossero da accogliere grafie speciali rivelatrici di una peculiaritá fonetica, come, ad es., «rasgiona, presgio, relesgione, malvasgio, ecc.». E forse piú vicina ancora alla pronuncia sarebbe la rara grafia che, come «disprescia» (XXV, 55) ci è data eccezionalmente dal ms. A, del quale è proprio «sg», di contro al «g» di B e alla «s» di C. (Per es., al v. 21 della canzone VIII troviamo: A: casgione; B: cagione; C: casone). Ma che forse la grafia moderna impedisce anche oggi [p. 283 modifica] al toscano di pronunciar «rasgione» dove trova scritto «ragione», e al romano di pronunciar «disce» dov’è scritto «dice»?

Analogo è il caso di «a Dio» che si pronunzia: «addio» e che nei mss., conforme alla pronunzia, trovasi appunto scritto cosí. Esempi: «addeo (168,14); affareme (169,9); effrate (172,7); eddite (174, 7); apporto (174, 13); essé (179, 3); èllui (179, io); ecc. ecc.

Tutte queste grafie ed altre sono state rapportate all’uso moderno, come «lgl» per «gl», «ngn» per «gn», «s» per «z», «ci» e «gi» per «c» e «g» avanti «e», ecc. Lo stesso si dica per l’«h» ristabilita, all’uso odierno, nelle voci del verbo avere. Ma piú cauto sono stato peraltro nei raddoppiamenti e sdoppiamenti piú o meno irrazionali, poiché per uniformarmi all’uso moderno ho richiesto la conferma e l’autoritá di almeno un ms.

Anche per la grafia e — aggiungo — per la fonetica e la morfologia sono sempre piú persuaso di quanto scrissi giá altrove, che cioè «invano ci sforzeremmo di ridurre a regole fisse ciò che il tempo evidentemente lasciava all’arbitrio degli scriventi»7. E pertanto si vedrá qui largamente sancito il criterio dell’uso promiscuo. Cosí in un verso che ricorre identico nella canz. XXXII e nel son. 161, troveremo qua «soperbia» e lá «superbia»; e nello stesso son. 41 «misèra» e «miseria»; e nel son. 2: «miso» e «messo»; e nella canz. XXV tutte le forme di «come»: come (v. 4), como (vv. 28, 71, 81, 103), com (v. 9), con (v. 77), co (vv. 11, 16).

Come abbiam detto, trovan posto in questa raccolta 50 canzoni e 251 sonetti. Il Val. pubblicò 60 canzoni e 239 sonetti. Ma il Val., mentre omise le canzoni XII e XIII, ne incluse altre dodici, delle quali quattro non sono di Guittone: 1) «Appena pare ch’eo saccia cantare», che il ms. A attribuisce a Jacopo Mostacci e il ms. C dá adespota, e che è stata forse scambiata per rima del nostro a causa della somiglianza del primo verso con il principio della canz. XXV, «Ora parrá s’eo saverò cantare»; 2) «Noi sem sospiri di pietá formati», che è attribuita a Guittone dalla Giuntina, ma è evidentemente posteriore; 3) «Non desse donna altrui altro tormento» che è una ballatella che non parrebbe attribuibile a Guittone, sebbene a lui la assegni il ms. K (Riccard. 2846); 4) «O signori onorati», che è un frammento che non si sa perché dovrebbe attribuirsi a Guittone, e che ci è dato dal ms. C, [p. 284 modifica] che alla c. 58 b reca il principio d’una ballata di «fra Guittone d’A.» (canz. L), che si interrompe a metá del verso 8 per la mancanza d’un foglio. Al principio del foglio seguente, dopo la lacuna, si legge: «... non si trova — se non vera prova — diversamente giova — in ciascuna manera. O signori honorati ecc.». Mancano dunque l’intestazione del componimento e almeno i primi sei versi della strofa precedente a quella con la quale il Val. fa cominciare la canzone: «O signori onorati ecc.», che attribuisce al nostro perché anche le precedenti erano rime di lui. Ma l’argomento non ha gran valore, se si considera che le seguenti non sono viceversa di Guittone. Infine il Val. stampò — e certo non a torto — tra le canzoni anche quelle otto che, essendo dirette a persone determinate, hanno quasi l’aspetto di lettere e furono dal Bottari8 e poi dal Meriano stampate tra le Lettere. E sará bene attenerci alla tradizione e lasciarle lá.

A solo scopo di informazione si ricorda qui che ci sono ballate di Guittone, che non rimangono in nessun manoscritto, riportate dal Trissino (cfr. Fl. Pellegrini, Codici smarriti. Nella Rass. bibliogr. della lett. it., II, 16, segg.).

E veniamo ai sonetti. Dei 251 che qui si leggono, sei sono di corrispondenti, ai quali Guittone rispose; ed è necessario conoscerli per intendere la risposta. Sono i nn. 29, 204, 206, 208, 235, 238: altri del genere abbiamo omesso, quando si possan leggere in altri volumi giá pubblicati degli Scrittori d’Italia. I sonn. guittoniani sono dunque 245.

Il Val. ne pubblicò 239, dei quali tre sono ripetuti e sono nella numerazione di quella raccolta i nn. 185, 200, 205 che riproducono, in lezione peraltro diversa perché tratta da altra fonte, i nn. 86, 31, 32; tre sono di corrispondenti di Guittone, ed otto sono, del gruppo della Giuntina, quelli che concordemente si esclude possano attribuirsi a Guittone (v. la nota al son. 118): ne restano di veramente guittoniani 225. Il Val. ha infatti escluso i sonn. no, 113, 114, 220, 223, 231, 237, 239, ed è naturalmente mancante dei 12 sonn. che dal cod. del Escorial io resi noti per la prima volta nel 19319.

Sono stato alquanto dubbioso sull’ordine delle rime. In primo luogo si trattò di decidere se si dovessero porre prima le canzoni [p. 285 modifica] e poi i sonetti o viceversa (il Pellegrini dette la precedenza ai sonetti), oppure se si dovessero porre innanzi le canzoni e i sonetti d’amore (press’a poco quel che è il volume del Pellegrini) e poi le canzoni e i sonetti ascetici e morali. La distinzione dei componimenti in canzoni e sonetti è certo del tutto esteriore, laddove tra le rime d’amore e le morali corre un divario profondo. Si potrebbe dire che s’hanno due poeti diversi: delle prime Guittone d’Arezzo, delle seconde Fra Guittone d’A. E cosí infatti le rubrica il codice che per le rime del nostro è da considerare il piú importante, cioè il ms. B, che pone prima 24 canzoni morali (XXV-XLVIII) di «Frate Guitton d’Arezzo», o «F. Guittone», o «F. G.»; e poi 24 canzoni d’amore: «Guittone canzone d’amore», o «G. d’Arezzo»; e, per i sonetti ci dá ai nn. 125-210 i «sonetti d’amor di Guittone d’Arezzo» per il primo e per i seguenti semplicemente: «Guittone» o «G» e poi dal n. 211 al 304 i «sonetti di frate Guittone d’Arezzo» pel primo e pei seguenti: «F. G.» o «Frate G.». Non si potrebbe esser piú chiari.

L’autoritá di questo ms. e l’intelligente opera di chi vi raccolse quei componimenti son tali, che sono stato tentato di seguirlo senz’altro e di pubblicare quindi al primo posto la canz. XXV, la prima di «Frate G.», quella che inizia la serie delle rime originali del nostro, che lo caratterizza e ne fa un rimatore singolare e vigoroso. Guittone dei primi tempi è uno dei tanti trovatori delle corti feudali d’Italia o di Provenza; Frate Guittone è l’assertore audace e baldanzoso delle possibilitá artistiche del nuovo comune: «Ora parrá s’eo saverò cantare!». Ma se questa è veramente la presentazione che di sé fa il poeta nella sua maturitá spirituale ed artistica, bisogna pur riconoscere ch’essa non si comprenderebbe senza conoscere quel ch’egli era stato fino a quel momento. Mi sembra perciò che l’ordine cronologico si imponga. Ma, ammesso questo principio, se fosse possibile datare o, almeno, disporre in un ordine logicamente cronologico tutte le rime, canzoni o sonetti che siano, cosí e non altrimenti dovremmo collocarle; ma questo non è possibile. Non riusciamo neppure talvolta a dire con sicurezza se abbiamo un componimento del primo o del secondo periodo.

Il Pellizzari, il Pelaez10 ed altri hanno esercitato la loro acuta [p. 286 modifica] critica per tentare un ordinamento delle rime: ma ritengo ch’esse debbano ancora essere a lungo studiate e sondate prime di azzardarsi a dare un ordinamento non arbitrario. In queste condizioni dobbiamo umilmente riconoscere che in fondo in fondo quegli ignoti che nel secolo XIV le raccolsero, le comprendevano nel loro complesso forse meglio di noi; e che fino a quando la filologia, la storia e la critica non abbiano squarciato i veli che ancora in gran parte le avvolgono, si debbon lasciare nell’ordine che l’intelligente raccoglitore della silloge laurenziana dette loro, anche quando possa sembrare evidente qualche spostamento. Unica differenza, sará la precedenza accordata, per evidenti ragioni cronologiche, alle canzoni d’amore.

Anche nella divisione dei due gruppi mi sono attenuto alla fonte principale, d’accordo con il Pellegrini, aggiungendo poi ai due gruppi, cosí come son dati dal codice Laurenziano, i componimenti sparsi che ci son noti per altre fonti.

Che se, ad esempio, non sembra che canzoni come la XVII, la XVIII e la XIX sian da considerare «amorose», piuttosto che «morali», si deve d’altro canto supporre che il collocamento tra quelle del primo gruppo non sia stato fatto dal compilatore del codice senza una ragione. Non si può immaginare che Guittone abbia un bel giorno istantaneamente cambiato pensiero e vita, animo e linguaggio. Il fatto d’un giorno fu soltanto il mutamento del vestito, che portò anche con sé il mutamento del nome: Guittone diventò Frate Guittone, nel mondo del suo tempo cosí come nelle rubriche delle sue rime. Tra le rime del primo gruppo potremo dunque trovarne anche alcune che giá rispecchiano il mutamento operatosi nell’animo del poeta prima ancora ch’egli vestisse l’abito di frate; ma il compilatore del ms. B considera soltanto il fatto esteriore: per lui esistono due poeti diversi, Guittone e Frate Guittone, e soltanto con questo criterio stabilisce i due gruppi, che abbiamo creduto di dover rispettare.

Note

  1. Le opere e i lavori, che piú frequentemente si citano in questa Nota, saranno indicati con le seguenti sigle:
      Pell.: Flaminio Pellegrini, Rime di G. d’A. (Versi d’amore). Bologna, Dall’Acqua, 1901.
      Val.: Lodovico Valeriani, Rime di Fra G. d’A. Firenze, Morandi, 1828. Voll. due.
      Mer.: Francesco Meriano, Le lettere di Fra G. d’A. Bologna, R. Comm. per i testi di lingua, 1922.
      Mon.: Ernesto Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli. Cittá di Castello, Lapi, 1912.
      Pellizz.: Achille Pellizzari, La vita e le opere di G. d’A. Pisa, Stab. tip. Nistri, 1906.
      Par.: Ernesto Parodi, recens. all’ediz. del Pell., Bull. della Soc. Dant., N. S. IX, 286-293.
      Tratt.: Francesco Egidi, Un trattato d’Amore inedito di G. d’A., nel Giorn. stor. d. lett. it., XCVII, 49 70.
      Eg. Guitt.: F. Egidi, G. d’A., i Frati Gaudenti e i Fedeli d’Amore. Nella Nuova rivista storica, XXI, 1937.
      Not.: F. Egidi, Noterelle guittoniane, in Lingua nostra, 1939.
      Post.: F. Egidi, Postille guittoniane, negli Studj romanzi, XXVIII, 1939.
      Gloss.: Glossario nel vol. Il libro de varie romanze volgare. Cod. Vat. 3793 a cura di F. Egidi. Roma, Soc. fil. rom., 1908.
      Caix: N. Caix, Le origini della lingua poetica italiana. Firenze, 1880.
      Santang.: S. Santangelo, Appunti sulle lettere di G. d’A. Adernò, 1907.
  2. V. alla p. 287. Per le sigle con le quali si indicano i mss. v. alla stessa pagina in nota.
  3. Per l’aretino e la lingua di Guittone ho avuto presenti: G. I. Ascoli, Saggi aretini. Arch. glott. it., II, 443-453; S. Pieri, Note sul dialetto aretino. Pisa, 1886; B. Bianchi, Il dialetto e l’etnografia di Cittá di Castello, 1888; A. Michel, Die Sprache der Composizione del Mondo des Ristoro d’Arezzo nach cod. Ricc. 2164, Halle, 1905; Ludwig Röhrsheim, Die Sprache des Fra Guitt. v. A. Beihefte zur Zeitschrift f. rom. Phil. 15 Heft. Halle, 1908; U. Viviani, I. Parte II: Vocabolario di alcune voci aretine fatto per scherzo da Francesco Redi aretino. Arezzo, 1928; A. Schiappini, Influssi dei dialetti centromeridionali sul toscano e sulla lingua letteraria, nell’Italia Dialettale, IV e V.
  4. Sulla vita e le opere di Guittone si vedano: L. Romanelli, Di G. d’A. e delle sue opere. Campobasso, De Nigris, 1875; P. Vigo, Delle rime di Fra G. d’A. nel Giorn. di filol. rom., n. 4, 1879; W. Koken, Guittone’s v. A. Dichtung u. sein Verhältnis zu Guinicelli v. Bologna. Hannover, Riemschneider, 1885; F. Torraca, Nuove rassegne. Livorno, Giusti, 1895; G. Vitali, I cavalieri godenti e G. d’A. nella Rass. Naz., vol. 126; S. Santangelo, Appunti sulle lettere di G. d’A. Adernò, 1907; C. de Lollis, Arnaldo e Guittone in Idealistiche Neuphilologie-Festschríft für K. Vossler. Heidelberg, 1922; S. Santangelo, «Sole nuovo» e «sole usato», Dante e Guittone. Estr. dall’Annuario del R. Ist. Magistr. di Catania, 1926-27. Catania, Soc. tip. ed. siciliana, 1928; F. Egidi, G. d’A., i Frati Gaudenti e i «Fedeli d’Amore». Nella Nuova riv. storica, XXI, 1937. Il lavoro generale piú importante resta quello di A. Pellizzari, La vita e le opere di G. d’A. Pisa, Stab. tip. Nistri, 1906.
  5. E. G. Parodi, Rima siciliana, rima aretina e bolognese, nel Bull. d. Soc. Dantesca, N. S., XX, p. 133 sgg.; e G. Bertoni, nell’Arch. romanicum XI, 581 sgg.
  6. In questa stessa canz. troviamo «possedere» e «avere» in rima con altre sette parole in «ire» e viceversa «dire» in rima con altre dieci in «ere».
  7. F. Egidi, Per una nuova edizione del «Reggimento e costumi di donna». Osservazioni ed appunti. Negli Studi romanzi. Roma, 1937.
  8. G. Bottari, Le lettere di Fra G. d’A. con le note. Roma, Antonio de’ Rossi, 1745.
  9. Eg., Tratt.
  10. M. Pelaez, Rec. all’ediz. del Pell., in Giorn. Stor. d. Lett. II., XLI, pp. 354 segg.