Rime varie (Alfieri, 1912)/XLVI e XLVII. Vorrebbe che la Natura gli fosse compagna nel dolore; ma, se potrà vivere con la sua donna, essa gli sembrerà più bella

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XLVI e XLVII. Vorrebbe che la Natura gli fosse compagna nel dolore; ma, se potrà vivere con la sua donna, essa gli sembrerà più bella

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XLVI e XLVII. Vorrebbe che la Natura gli fosse compagna nel dolore; ma, se potrà vivere con la sua donna, essa gli sembrerà più bella
XLV. Anela il termine delle sofferenze sue e della sua donna XLVIII. Alla malinconia

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XLVI [xliii] e XLVII [lxiv].1

Vorrebbe che la Natura gli fosse compagna nel dolore;

ma, se potrà vivere con la sua donna,

essa gli sembrerà più bella.

Ad ogni colle che passando io miro,2
Cui pingue ulivo, o allegra vite adorni,

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Dico fra me: Beati almi soggiorni,
4S’ella qui fosse! e in cosí dir, sospiro.
Se in ubertoso pian poscia mi aggiro,
Fra limpid’acque, ombrosi cerri, ed orni,
Forza è che invano a dir lo stesso io torni:
8Ma, del non esser seco, al fin mi adiro.
Poggi, valli, onde chiare, erbose piagge,
Che ardir fia il vostro di abbellirvi, or quando
11La mia donna nel pianto il viver tragge?
Pace e letizia son dal mondo in bando;
Contrade siete inospite selvagge,
14Fin ch’io da lei sto lungi lagrimando.3


Ma, se un dí mai, quella in cui vivo amando,
Di sue pupille a un tempo ardenti e sagge
Avvien che il cor mio solitario irragge;4
4Oh giorno a me vitale e memorando!
Come il sublime rapido comando,
Del creator dal nulla il tutto estragge,
E di tenebre rie luce ritragge,
8L’orbo ingrato universo illuminando:5
Cosí tu, donna, ove il tuo Sol raggiorni,6
Ecco, è muto all’istante ogni martíro
11Ecco natura e il mondo rïadorni.
Rida ogni prato allor; puro zaffiro
Sia il cielo; e in doppia aurata luce aggiorni:
14L’angoscia e il pianto al tuo apparir spariro.


Note

  1. Questi due sonetti, il primo dei quali fu composto, come si rileva dal ms., il 2 luglio 1783 fra Zurlesco, Lodi e Marignano, sono intimamente collegati per il senso e per la disposizione delle rime; il secondo infatti prosegue e compie il pensiero del primo, e le rime delle sue terzine e delle sue quartine riprendono rispettivamente le quartine e le terzine del primo.
  2. 1-4. Il Petrarca, (Rime, XXXVII):
    Ogni loco m’attrista, ov’io non veggio
    Quei begli occhi soavi
    Che portaron le chiavi
    De’ dolci miei pensier, mentro a Dio piacque...
    Allegra, che dà allegria: con ragione il De Benedetti (op. cit., 56) ricorda a questo punto i colli per vendemmia festanti del Foscolo.
  3. 8-14. Non è certo casuale l’analogia fra il pensiero espresso in queste terzine e quello contenuto nelle due seguenti del Petrarca (Rime, CCCX), che tengon dietro ad una superba descrizione del ritorno della primavera:
    Ma per me, lasso!, tornano i piú gravi
    Sospiri, che del cor profondo tragge
    Quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;
    E cantare augelletti, e fiorir piagge
    E ’n belle donne oneste atti soavi
    Sono un deserto, e fere aspre e selvagge.
  4. 3. Irragge, irradii, illumini.
  5. 5-8. Il fiat lux della Bibbia. Piú brevemente e piú efficacemente dell’A. il Monti nella Bellezza dell’universo (25 e segg.):
    Dalle cupe del nulla ombre ritrose
    L’onnipossente creator comando
    Uscir fe’ tutte le mondane cose...
  6. 9. Raggiorni, torni a risplendere: Dante (Purg., XII, 84):
    Pensa che questo di mai non raggiorna;
    ma il pensiero di tutte e due le terzine è indubbiamente ispirato a’ seguenti versi del Petrarca (Rime, XLII), che descrivono la letizia del creato all’avvicinarsi di Laura, come nel sonetto antecedente il Poeta ne aveva descritta la desolazione per l’allontanarsi di lei:
    Dal lito accidental si move un fiato
    Che fa securo il navigar senza arte
    E desta i fior tra l’erba in ciascun prato.
    Stelle noiose fuggon d’ogni parte,
    Disperse dal bel viso innamorato
    Per cui lagrime molte son già sparte.