S. Benedetto al Parlamento nazionale (Tosti)/IV

Da Wikisource.
IV.

../III ../V IncludiIntestazione 17 maggio 2011 100% Cristianesimo

III V
[p. 19 modifica]

IV.


Nell’ideale della cristiana giustizia, che munisce di un divino diritto le mura della famiglia, dello stato, e della nazione, noi abbiamo contemplato questo civile risorgimento dell’italiano popolo. Alla sua luce non ci è venuta mai manco la speranza di vederlo una volta [p. 20 modifica]signore dei suoi destini. L’oscena tresca, che per secoli han menata nella sua casa forestieri padroni, ci ha messo scandalo, abbominio: disperazione non mai; perchè non vacillammo mai nella fede della immortalità ed onnipotenza di quello ideale. Molte generazioni piansero, lottarono, soccombettero, e quello non cadde mai: egli ha dato la mano alle presenti a sorgere e trionfare. Sarà duraturo il trionfo? è chiusa la vicenda delle sconfitte e delle vittorie? Da voi dipende, o signori. Quanto più forte aderirete a quell’ideale, quanto più riverenti vi concentrerete, a mo’ di dire, la virtù delle vostre idee legislative, tanto più parteciperete alla immortalità ed onnipotenza della sua.

Quell’ideale non si vede nè si palpa; egli è come una potenza, un principio, che ha sede nella Chiesa di Cristo; e di là per invisibile irradiazione agitat molem di tutta la cristiana compagnia. Tutte le fronti dei credenti in Cristo ne sono irraggiate, tutti i cuori ne sono scaldati; ma molti lo sconoscono. Questi vorrebbero toccarlo per credere in lui: rimescolano gli umani fatti del sacerdozio per trovarlo, e non lo trovano; il fallito trovato li fa miscredere. Ma quello non serpe sotto questo indumento adamitico della carnale forma; quello luce nello spirito della Chiesa, nell’intelletto del Cristo. Sempre opera come potenza; ma spesso anche si rivela nella superficie storica degli umani avvenimenti, per aiutare alla inferma fede dei pusilli di cuore.

Nel Medio-Evo, fanciulla l’umana compagnia civile, quell’ideale era sempre alla superficie: il prete faceva tutto. Poi fece poco nell’ordine civile e politico, [p. 21 modifica]progressivamente, secondo che l’umanità diveniva sui juris, operante l’idea propria. Oggi operiamo la nostra idea intorno alle individualità nazionali; ma l’ideale cristiano generatore di quella non ci abbandona: egli ci governa, egli ci educa con una più potente virtù, perchè meno sensibile e più psicologica pel razionale principio, che oggi si annesta a quello del sentimento. Iddio volle darcene un sensibile argomento ai nostri giorni.

Tutti sappiamo la storia della nostra patria nel tempo che corse dall’anno 1815 al presente. Dopo l’amaro della conquista, l’Italia patì il ludibrio repubblicano: due fatti che la lacerarono, la dirubarono, la umiliarono; ma non toccarono al diritto della sua autonomia nazionale. A combatterlo vi bisognava un principio e non un fatto: e per crearlo, con brutto peccato di materialismo, si unirono nel viennese sinedrio i potentissimi dei principi europei, e definirono — L’Italia non è nazione — Beato il popolo, che è combattuto dalle armi di questi principii manofatti! questi solo hanno la forza di destare quella dei veri. Se si dovesse lapidare qualcuno per quel che avviene oggi in Italia, il primo sasso toccherebbe a Metternich. Infatti l’Italia tacque esterrefatta sotto la spada di Bonaparte; delirò briacata dai sanculotti; ma l’Italia punta da meretricia infamia, parlò all’uscio del Viennese Congresso — Io sono nazione — Non la intese Metternich; perchè questa era una idea e non un fatto, imprigionabile nei quaderni di un protocollo; e mentre col vincastro politico sequestrava, attruppava, intedescava l’italiano armento, senza che se ne addasse, questo armento pel tocco di quel vincastro operava intorno alla salutifera idea, figlia del [p. 22 modifica]cristiano ideale. A questo dovevano rivolgersi gli animi degli operanti: ma tra perchè erano magagnati di lepra volteriana, e perchè adombrarono nel vedere il Papa tornato in seggio dal Congresso di Vienna, tirarono l’Italia nelle tenebre a cospirare. Ai pugnali rispondevano i capestri, alle aspirazioni i giudizii; e, come un coro di tragedia greca, rispondeva a tutti il cigolare delle ferrate porte dello Spielberg. Ed appunto in questa torre di anatema cittadina finalmente la santa idea, bruttata di sangue, disonestata dai tristi, pura come una stella rutilò dall’anima più cristiana ed italiana che mai sia stata, da quella di Pellico, e si ricongiunse al genitore ideale del Cristo.

Da quel dì cominciò la rivelazione di quell’ideale, che dalle viscere della Chiesa eruppe visibile nel fatto di un Pontefice che benedisse finalmente l’Italia, ed accennò all’Absburgese di valicare l’Isonzo. La benedizione di Pio IX, fu parola profetica, che corse dall’Alpi al mare suscitando le ossa aride: l’Italia che oggi vediamo in piedi drizzossi per papale imperio. Quante cose non si dissero allora contro il Papa da alti e reverendi uomini! quante lingue non si snodarono contro il Santo del Signore! Iddio... Iddio registrò nel libro della sua giustizia il sagrilego vaniloquio; ed oggi sappiamo chi lo dicesse. Ma la benedizione fu confermata nei cieli.

Nel Vicario di Cristo intendevano gli animi, dal suo labbro pendevano le consolate turbe; egli il maestro, egli il fratello, egli il padre; il nome suo un simbolo di patria da redimere, di nazione da ordinare: la civile compagnia divenne, a mo’ di dire, fanciulla, per [p. 23 modifica]erudirsi nella beata pedagogia di un Pontefice; pareva che il medio-evo gittasse un raggio della sua luce crepuscolare su questo superbo secolo, che amava in quei dì men ragionare che sentire ai piedi del celeste clavigero. Quante speranze non isbocciarono allora dai rinfrancati petti! quante lagrime di gioia non si versarono per la intuizione di un avvenire, che ci si apriva innanzi da chi aveva le chiavi del regno dei Cieli! Non eserciti, non tesori possedeva costui; e la fede dei popoli, che avevano valicato il torrente dell’anno 1789, non era certo quella dei Crocesegnati di Urbano II. Quale dunque la sua forza a tanta commozione di genti? quale la logica a sì repentina persuasione? Fu la forza del Cristo, che svolge ancora nell’ordine civile il suo atto redentore, fu la logica del Verbo, che svolge nel tempo l’atto eterno di creazione, fu l’ideale di ogni giustizia, che sfavillava dagli occhi della Chiesa. Un’altra individualità sociale montava pei gradi dell’umano progresso che voleva vivere, la nazione: e la Chiesa accorreva, e si accostava all’Italia consueta messaggiera al mondo della sua parola.

Operava la Chiesa, e senza che gli uomini se ne addassero, la sua opera vestiva la forma sociale. Nella Chiesa splendeva il radiante principio; gli occhi delle menti fermati in lei non videro come quello fin dal 1843 venisse qui su questo Monte Cassino a destare dal suo sepolcro S. Benedetto, ed a chiedergli l’indumento della sociale forma del suo istituto, per entrare come azione nel cuore dell’Italia. Ma noi lo vedemmo, noi lo sentimmo; noi pochi, noi poveri della sapienza del secolo, noi forestieri nei conventicoli della politica. [p. 24 modifica]Ma perchè cittadini nella scuola della fede, fummo molti, fummo veggenti a vedere, capaci a sentire nei nostri cuori tutta Italia risorgente alla voce di chi le diceva: Surge et ambula. La virtù della tradizione ci ammonì, che era a fare qualche cosa, che la società nazionale era a formarsi. Mano all’aratro, dicemmo; torniamo monaci del VI° secolo: le turbe han fame; asciughiamo paludi, seminiamo campi.... Il nostro aratro fu la stampa; era una nazione, che chiedeva il pane del Cristiano ideale.

Quale frutto avrebbe arrecato al mondo da incivilire l’opera di S. Benedetto, se l’avesse circoscritta, associando gli uomini col solo istinto della preservazione, e della conservazione? Egli li associò col vincolo del pensiero religioso. La terra, la città si unificò per cura dei monaci col sodalizio degli spiriti credenti nello stesso Cristo. Così oggi l’Italia doveva innanzi ordinarsi con la fratellevole concordia delle menti, con la unificazione del pensiero, perchè fosse veramente nazione nell’ordine dei fatti. Ed a questo intendemmo. Mentre l’istinto nazionale stringeva le inoneste federazioni delle sette, noi ordimmo la grande federazione del pensiero italiano. Questo languiva nell’esilio, trepidava nella patria, taceva per tutto. Noi lo andammo a trovare ovunque fosse stato: passammo incolumi nel campo delle fazioni, perchè protetti dalla neutralità del nostro sajo monastico. La tessera della nostra fratellanza era — Cristo e l’Italia — Tutti ci conobbero, tutti risposero, venivano tutti. L’Ateneo italiano da compilarsi dai monaci, da pubblicarsi coi tipi di Monte Cassino, questa Enciclopedia della nostra patria, sarebbe stata la nazione del [p. 25 modifica]nostro pensiero. Vincenzo Gioberti fu il primo a rispondere da Brusselle al pietoso appello, poi Balbo, Mamiani, Troya, Jannelli, Galluppi, de Grazia, Rosmini, Pellico, Cibrario: tutti con tanta carità di affetto verso la comune patria, con tanta unità di proposito, che il concorrere delle loro anime su questa badia, portate dal nazionale desìo, aveva del dantesco.

E chi eravamo noi da piegare quei sovrani ingegni a comunanza di pensiero e di affetto? quale autorità s’aveva il nostro nome da fermarli in questa badia nel santo sodalizio della sapienza? No: noi poveri salmeggianti non eravamo da tanto: fu l’idea del Cristo, principio di ogni umano assembramento, che dalla sociale forma del monachismo, persuadeva, innamorava quegli animi; fu S. Benedetto. Le lettere di que’ valentuomini a noi scritte recano il documento di questa verità; documento inestimabile di quel che chiede oggi da voi la patria, di quel che noi dobbiamo fare per lei. Imperocchè il divisamento dell’Ateneo italiano non fu solo una parola che corse per le alte cime delle italiane intelligenze, esso fu un discorso di idea che tacito penetrò nell’intimo della nazionale coscienza, che toccò la fibra del cuore del nostro popolo, quella che freme sempre alla vigilia dei civili risorgimenti. Voi lo ricordate: a quei dì l’Italia non pensava che con la mente dell’autore del suo Primato Civile, non sentiva che col suo cuore, non parlava che con le sue parole, e l’Italia riconoscente deputò il Gioberti a salutare S. Benedetto in questa metropoli dell’occidentale monachismo.

« Mirabile Monte Cassino, scriveva il Gioberti, cuna e seggio perpetuo del loro istituto, faro luminoso e [p. 26 modifica]porto sicuro di pace tra le tenebrose procelle dei secoli selvaggi, domicilio puro e sereno, che prospettando dall’alto il bel paese che lo circonda, sembra invitare gli uomini a mettere in atto la bramata concordia della terra e del cielo. E come nella età rozza il Santuario di Apolline, divenuto tempio del Dio vero, fu gradito albergo delle Muse santificate, e volse a pro de’ mortali la contemplazione e l’azione, il convitto e la solitudine, l’eremo e la cella; così ai nostri giorni, che la coltura di alcuni pende alla irreligione, e la religione di altri rinvertisce alla barbarie, l’illustre Cenobio memore dei suoi principî, insegna col proprio esempio, che gli ordini umani e divini abbisognano gli uni degli altri per crescere e fiorire nè si possono scompagnare senza perdere la loro essenza.... Possano tali esempî trovar molti imitatori, anche fuori d’Italia, e provare al mondo, che la vena fruttificante della religione non è esausta, e che dall’astro conduttore dell’aurora ai popoli Cristiani si può aspettare il meriggio della civiltà. 1 »

Quando parlano le nazioni, sono fatidiche; ogni sillaba un vaticinio: guai a chi la sperde! Con quel saluto l’Italia, nazione, si confessò consapevole del Cristiano ideale, che dalla Chiesa le rinversava nel seno S. Benedetto.

Brievi sempre queste immediate rivelazioni di un ideale, perchè vengono tosto le idee ad informarlo. Il Cristo trasfigurato sul Taborre fu l’ideale della sua gloria: [p. 27 modifica]corruscò come folgore, e poco dopo intenebrò di agonia nell’orto; perchè sopravvenne l’idea del martirio, nella quale doveva viaggiare quell’ideale, per isfolgorare poi in eterno nel cielo. Così avvenne all’Italia del 1848. La Chiesa trasfigurossi in madre della sua nazionalità: ma non che gridammo: Bonum est nos hic esse; fu un Getsemani per tutti: Pio IX a Gaeta, Carlo Alberto ad Oporto, Radetscki a Milano, Gioberti.... noi... Fu l’ira della idea che ci travolse nella fatica dei fatti. Beato chi esilarato un tempo nel Papa dell’ideale, non iscandalizza oggi nel Papa dell’idea! Pio IX cammina con S. Pietro su la faccia delle acque, che voi gli agitate. Non contristate quel capo, sul quale la Provvidenza sta sciogliendo un nodo terribile. Aspettatelo al lido.


Note

  1. Del Primato Morale e civile degli Italiani. Avvertenza per la seconda edizione. Bruxelles, 1845, pag. XCI.