Scola della Patienza/Parte seconda/Capitolo V
Questo testo è completo. |
◄ | Parte seconda - Capitolo IV | Parte seconda - Capitolo VI | ► |
CAP. V.
Come l’afflittione è utilissima in molti modi, e come molte volte le cose, che nuocono ci sono di grande ammaestramento.
Hora diciamo di piu, che l’afflittione è utilissima in diversi modi all’huomo, che non sia troppo impatiente; di maniera che è vero quel detto: Quae nocent, docent. Spesse volte le cose, che sono di nocumento, ce son di documento. Di, che ce ne fa ampia fede Creso appresso Herodoto quando dice, Mei casus, fuerint quidem ingrati licet, mihi tamen extitere disciplina. Le mie cadute, e le mie disgrazie, benche mi siano state ingrate, cioè benche mi siano dispiaciute, e l’habbia sentite assai, nondimeno mi sono state di grande ammaestramento. Quae nocent, docent. E come breve ed elegantemente dicono i Greci: παθήματα; μαθήματα. Con le bastonate s’impara. E questo è quello che hora un poco più diffusamente andaremo provando.
§.1
L’Acque nelle scritture sacre sono simbolo dell’afflittione. Quindi è, che il Real Profeta disse: Intraverunt aquae usque ad animam meam.3 Mi sono entrate fino all’anima: cioè le tribolationi, e l’afflittioni mi sono arrivate fino all’anima. E si come Dio và di maniera temperando le pioggie al mondo, che ne il lor mancamento gli sia di danno, ne la copia; (se non quando vuol punire i peccati) così và talmente moderando tutti i nostri travagli, e dolori, che nè ci manchi essercitio, per non marcir nell’otio; ne meno ci manchi ogni consolatione per non ci perdere nè venir meno. E questo fù quello, che domandò il Profeta quando disse: Non me derelinquas usquequaque:4 Signore non mi abandonate del tutto. Non lo prega, che non l’abandoni, che non lo travagli, e non l’affliga, ma lo prega solamente che non lo lasci del tutto, come haveria meritato per i suoi peccati. Che se tal volta Dio manda una pioggia impetuosa, grande, e repentina, che paia che voglia rovinar la terra; s’ha da pensare, che ciò venga per castigo. Ma tutto questo ancora per nostro maggior bene. E sarà cosa molto buona per noi, quando Dio ci vorrà humiliare a questo modo: poiche Quae nocent, docent.
Vi sono alcuni alberi così tenaci dei proprij frutti, che non ne darebbono niente, se non gli fusse tolto per forza. Di questa sorte sono le noci, l’amandole, e le querce. E se qualchuno crolla leggermente questi alberi come si fa nè peri, e nelle brugne, non ne coglierà pur uno, non dico solamente de’ frutti, ma anche una foglia. Però bisogna adoperarvi le pertiche, i bavoni, e i sassi perche ci diano a forza di percosse quello, che non ci danno di buona voglia.
Noi altri huomini ancora siamo simili a gl’alberi, i nostri frutti son le nostre attioni fatte con divotione Iddio desidera, e dimanda di questi frutti non con asprezza, nè per forza, ma alla buona, cortesissimamente, e di buona voglia. E questi ce li dimanda un’infinità di volte: Fili, honora Dominum, et valebis: praeter eum vero ne timeris alienum. Fili mi, ne oliviscaris legis meae. Audi, Fili mi, et suscipe verba mea ut multiplicentur tibi anni vitae. Serva mandata mea, et vives. Praebe, Fili mi cor tuum mihi, et oculi tui vias meas custodiant.5 Figliuolo honora il Signore, e starai bene: e fuor di lui non haver paura d’alcun’altro. Figliuol mio non ti scordare della mia legge. Ascolta, figliuolo mio, e piglia le mie parole, acciò ti siano concessi più anni di vita. Osserva i miei comandamenti, e viverai. Figliuol mio, dammi il tuo cuore; e gl’occhi tuoi stiano sempre attenti a non uscir mai dalla dritta via de’ miei precetti. Ma perche il nostro buon Dio con tutte queste sue preghiere spesse volte non ottiene da noi cosa alcuna, nè ci è verso, che cada da questo albero qualche frutto, è sforzato a tirargli de’ sassi, e sbatterlo bene con pertiche, e con bastoni, per haverne a questo modo i frutti, che ne sperava. La conscienza spesse volte ci avvisa, ci avvisano i predicatori, l’Angelo Custode, e altri, ma è tanto grande la contumacia, e l’ostinatione di questo albero, che ne anche a questo modo vuol dare i desiderati frutti. Adunque albero mio tu non devi haver a male, se poi sei mal trattato. Così fece Dio con gli hebrei: Tradidit eos in manus gentium, et dominati sunt eorum, qui oderint eos. Et tribulaverunt eos inimici eorum, et humiliati sunt sub manibus eorum.6 Li diede in potere de’ gentili, e quei, che li odiavano furono i lor padroni. E li nemici loro furono quelli, che li afflissero: e furono molto ben’humiliati sotto le mani loro. E questo accioche i travagli gl’insegnassero a procedere. Con, che ragione adunque si può lamentar l’albero de i sassi, e de i bastoni? s’egli dasse di buona voglia ciò, che tanto giustamente se gli richiede, non haveria tante bastonate.
Naaman leproso si sdegnò molto; ch’Eliseo gli rispondesse così secco come a lui parve; E però sprezzato il Giordano determinò di ritornarsene nella Siria. Ma i suoi servitori così placarono questo lor padrone, dicendogli: Pater, et si rem granem dixisset tibi Propheta, certe facere debueras, quanto magis, quia nunc dixit tibi: Lavare et mundaberis?7 Signore, anchorche il Profeta vi havesse detto, che faceste qualsivoglia gran cosa, la dovevate fare, hor quanto più, havendovi detto solamente, che vi laviate, e sarete mondato? Indotto a queste ragioni, si lavò nel Giordano, come gli fù ordinato, e mandò via la lepra.
O piacesse a Dio, che ancor noi ci lasciassimo persuadere a questo modo! L’istesso si dice ancora a noi per riacquistare la sanità non del corpo, ma dell’anima: Ancor che Dio vi havesse ordinato qualsivoglia cosa, la dovevate fare. Percioche è di tanta importanza la Beatitudine eterna, che se ci fusse commandato, che per qualche tempo dovessimo patire etiandio le pene dell’inferno, non ci s’haveria da pensar niente, ma subito senza veruna dimora, e con ogni prontezza si doveriano patire quei tormenti, purche l’anima si salvasse per sempre. Anzi se l’eterna beatitudine non durasse più di cento anni, si doverebbe nondimeno patir più tosto qualsivoglia cosa di quà per lo spatio di molti anni, che perderla. E così parimente se l’inferno non havesse a durare se non per cento anni, ci metteria nondimeno più conto a patir di quà qualsivoglia gran cosa, che aspettar d’esser per quel tempo castigati di là. Hor quanto maggiormente doveressimo patir hora ogni cosa allegramente essendo che le cose, che noi patiamo, durano poco, e passano in un momento; e dall’altra parte tanto il premio, quanto la pena, che ci aspettano, sono eterni, e durano per sempre.
Stimulando qui S. Chrisostomo la nostra pigritia così dice: Quid dicis homo: ad regnum vocatus es, ad regnum filij Dei: et oscitabundus es totus, ac desidum more scalpis, et corpus? Si namque singulis diebus vel in mille mortes insiliendum fuisset; an non omnia facere oportebat? Atqui principatus gratia nihil non faceres: cum vero consors futurus sis regni unigeniti Dei, non objicies te, vel mille gladijs non insilies in ignem? Et istud non dum grave quidquam fuerit.8 Che dici, ò huomo: sei stato chiamato ad un regno, com’è quello del figliuol di Dio: e te ne stai tutto spensierato, e ti stai grattando come un poltrone senza pensarci? E se tu havessi havuto da patir ogni giorno mille morti, non le dovevi tu sopportar tutte allegramente? E che cosa non faresti tù per guadagnare un principato? Et hora per essere compagno nel Regno dell’Unigenito figliuol di Dio, non t’esporrai fra mille spade, e non ti getterai nel fuoco? E se tu facessi tutto questo non saria tanto gran cosa.
Note
- ↑ [p. 487 modifica]Iob c. 26. 8.
- ↑ [p. 487 modifica]Iob c. 12. 15.
- ↑ [p. 487 modifica]Ps. 81.
- ↑ [p. 487 modifica]Ps. 118. 8.
- ↑ [p. 487 modifica]Pro. c. 3. 1.c. 2. 10. c. 7. 1. 2. c. 23. 26.
- ↑ [p. 487 modifica]Ps. 106. 41. 42.
- ↑ [p. 487 modifica]4. Reg. c. 5. 13.
- ↑ [p. 487 modifica]Chrys. to. 4. hom. 2. in c. 1 ad Coloss.
§. 2.
Quivi, ò Christiani, vedete un poco diligentemente, quanto conto s’habbia a fare di questa liscia, la quale è forte, non si può negare, ma è buonissima per levar le macchie. Non si trova alcuno fra gl’huomini, che sia senza macchia. Il Santissimo Giob dice: Si lotus fuero quasi aquis nivis, et fulserint, velut mundissime manus meae, tamen sordibus intinges me, et abominabuntur me vestimenta mea.1 S’io mi lavassi con l’acqua della neve, e per la pulitia mi risplendessero le mani; nondimeno voi Signore mi ci trovarete macchia, e sarà tale, che i miei vestimenti stessi ne haveranno nausea. Adunque Giob ancora s’ha da lavare? E che si dirà de gl’altri? Ma quello, che al metallo fa il fuoco, la lima al ferro, e il sapone al panno; questo fa l’afflittione à gl’huomini: li purga, e leva loro le macchie.
Predicando il Profeta Daniele grandi calamità a gl’Hebrei. Ruent, dice egli, in gladio, et in flamma, et in captivitate, et in rapina dierum.2 Saranno messi a fil di spada, saranno perseguitati a fiamma, e fuoco, saranno fatti schiavi, e saranno tutti rubbati, e assassinati. E perche di gratia tanto male? Ut conflentur, et eligantur, et dealbentur usque ad tempus praefinitum; quia adhuc aliud tempus erit. Per essere nettati, purificati, e mondati molto bene fino al tempo determinato; perche poi verrà un altro tempo. Questa liscia dunque della calamità, ci purga molto bene dalle nostre macchie; e con essa siamo fatti bianchi, e ben purificati. E così è vero, che le bastonate ci giovano: Quae nocent, docent. Et è molto ben per noi, che Dio ci humilij, e ci travagli.
Il beatissimo Rè David dicea: Conversus sum in aerumna mea, dum configitur Spina.3 Signore mentre che la spina della mia colpa mi tormenta la conscienza, mi son convertito nella miseria del mio peccato. Gli pungean talmente l’animo le spine del peccato, che gli parea d’esser come un Riccio d’ogn’intorno tutto trafitto di spine, e di saette. Quindi è; ch’era tanto grande il dolore, che haveva nell’animo suo, che non gli lo poteva far passar, ne la dignità Reale, nè le ricchezze immense, nè quanti piaceri ò spassi ritrovar si potevano. Tanto sentiva David d’haver offeso Dio, e tanto si spaventava della bruttezza del peccato, che di molta buona voglia si vestì d’un’asprissimo cilitio, come se fusse stato un morbidissimo vestimento foderato di mollissime pelli d’Armellini: si macerò con digiuni, pianse giorno, e notte, e mescolò le sue orationi con continue lagrime, gemiti, e sospiri.
O se noi ancora guardassimo la bruttezza immensa del peccato con quegl’occhi, che la mirò David! Dio sia quello, che ci dia una buona bilancia per veder bene quanto grande sia il peso de’ peccati; ci parrà di niun peso, e molto leggiera qualsivoglia altra gran miseria, e afflittione, che pur haveranno il lor fine: e ci parrà come una piuma rispetto a una gran montagna, tutto ciò, che di contrario ci avverrà in questa vita; ne ricusaremo questa liscia ancorche sia fortissima, perche con quella ci leviamo le macchie dell’anima. E sarà molto ben per noi se Dio ci humiliarà.
Note
§. 3.
Questo è un bel modello, e un verissimo ritratto di questo mondo. Percioche, che altro è il mondo, che un’hospedale pieno d’innumerabili infermi? Hora per rimediare a tanti infermi, venne dal cielo l’Angelo del gran consiglio, e mosse l’acque. Et è cosa maravigliosa, che essendo in Gierusalemme tante acque pure, chiare, e cristalline, nondimeno si compiacesse Iddio di mettere questo stupendo dono della sanità in un’acqua putrida, torbida, e fangosa, e ch’era tutta puzzolente, e guasta dal macello, peli, e sangue di tanti animali, che in quella si lavavano. Non sarebbe egli stato meglio, che questo miracolo si fusse fatto, ò nel fiume Giordano, ò in qualche altro più netto, e odorifero fonte, che in quel lordissimo, e fetidissimo stagno? Vedete, Christiani, quanto siano differenti i giuditij di Dio da quelli de gl’huomini; Iddio vuole, che l’anima si lavi, non con l’acque di Hierico, o di Damasco; ò con altre odorifere, ò delicate; ma si bene in quelle, ch’egli stesso hà intorbidito con la sua sanguinosa Passione; nel falso mare delle miserie, e nel vasto oceano delle calamità. Questo è il nostro bagno, queste sono le nostre Terme, a questo modo ci laviamo. Ordinò Dio anticamente a gl’Hebrei, che per mondare, e purificare le cose immonde, si servissero d’acqua mescolata, ò con cenere, ò con sangue. Nè con altr’acqua si lava, e purga mai meglio l’anima dell’huomo. Fontane di sangue vengono a noi dalle piaghe del Crocifisso; e le miserie continue di questa nostra vita ci somministrano ogni giorno una forte liscia, ch’è l’acqua passata per la cenere. A queste sorgenti ci conserviamo la sanità dell’animo; Qui ci nettiamo dalle macchie; qui ricuperiamo le forze. Ma non lascio ancora la Probatica Piscina.
Essendo dunque entrato il Salvatore nel sudetto portico, vi trovò un grandissimo numero d’infermi, ma di quanti ven’erano uno solamente ne sanò. Dirà qui alcuno: ò come fù scarso il Signore in far benefitij? Non è dubbio, che con una minima parolina li haverebbe potuto sanar tutti; ma perche, di gratia, restituì la sanità solamente ad uno? forse per fare, come faceva quella Piscina, che non sanava se non uno alla volta? Ma questo è quello, che noi cerchiamo. Per qual cagione Iddio, ch’è infinitamente misericordioso, e potente, e si compiacque di dare virtù a quell’acque di sanare; non sanasse egli all’hora tutti quegl’infermi? Percioche si come il Sole sparge, e difonde con gran beneficenza i suoi placidissimi raggi sopra innumerabili persone senza alcun danno; così nè anche l’istesso Creatore del Sole patirebbe danno alcuno, se liberasse molti insieme dall’infermità, e miserie loro. Rispondo, che il Sole illumina con l’ameno suo splendore ogni cosa, e suavemente comunica a tutte le cose la sua luce, purche dalle nuvole non sia impedito. Li peccati sono densissime nuvole, con le quali s’esclude il Sole della misericordia, e piangendo Gieremia per questo male, diceva: Opposuisti nubem tibi, ne transeat oratio.1 Havete frapposto fra di noi una nuvola, che non lascia passare l’oratione. La moltitudine delle nostre colpe spessissime volte è la cagione per la quale non ci liberiamo da tutte le nostre miserie. Che Christo poi non sanasse se non uno, la Probatica Piscina, nè potè forse essere la cagione, perche non ve ne trovò altro, che fusse degno di quel beneficio. Ma fussero pure stati tutti puri, netti, e innocenti, perche uno solamente ricuperò la sanità? Rispondo di nuovo, che così era espediente per loro; ed era assai bene per essi, che fussero così humiliati. Non tutte le cose convengono a tutti. Vi sono molti migliaia d’huomini, che sono infermi, i quali se fussero sani; se ne andariano a gara all’inferno; ma stando infermi, se ne vanno al cielo.
E’ verissimo dunque che spesse volte le bastonate ci giovano: Et quae nocent, docent. Buon per te, buon per me, ò Christiano, buono per molti altri, che Dio ci humilij. Sà molto bene il Maestro quello, che sia più espediente a ciascuno de’ suoi scolari. Quante volte un’estrema calamità è stata un principio di salute? Quante volte un danno è stato la causa d’un grandissimo guadagno? Perciò s’ha dire spesso insieme con Temistocle; Eravamo belli e perduti, se non ci perdevamo.
Son tenuti per beati i vermi della seta, perche hanno una casa di seta, e vi lavorano molto riposatamente. Ma se miriamo bene la cosa, come sta; trovaremo, che quello, che noi chiamavamo casa è una sepoltura, e che quei poveri vermi lasciano la vita in quel loro lavoro: Al medesimo modo accade molte volte, che quello, che il nostro desiderio giudica per utile, e giocondo lo trovi poi dispiacevole, e nocivo. Anzi si hà da tenere per cosa certissima, che quando l’appetito nostro desidera tanto qualche cosa (se non hà direttamente per suo scopo Iddio) senz’altro vi sia peccato. Quindi è, che Christo ci dà molte volte più liberamente quelle cose, che più ci giovano. Et invitando tutti, non alla gloria del mondo ma alla Scuola della Patienza dice: Si quis vult post me venire abneget semetipsum, et tollat Crucem suam, Et sequatur me.2 Se alcuno mi vuol venire appresso, nieghi se stesso; e pigli la sua croce, e mi segua, non già in qualche ameno, e delitioso giardino, mà si bene nel sordido, e puzzolente calvario.
§. 4.
L’anno 167. in Roma M. Aurelio, e Lucio Vero volsero, per far una mostra, e un segno di publica allegrezza, che tutti i soldati andassero coronati di lauoro. Ma vi fù un soldato Christiano, che non si volse metter altrimente quella corona in capo, ma la volse portar nel braccio. Dimandato, perche causa egli solo non facesse come gl’altri in quel publico trionfo? Rispose, che non conveniva che un Christiano fusse coronato in questa vita. In difesa del qual detto tanto generoso Tertulliano compose quel suo libro de militis corona; nel quale con grande eloquenza si mantiene, che il detto soldato fece prudentemente. E veramente non conviene ad un Christiano coronarsi d’altro, che di spine, poiche non fù coronato altrimenti il nostro capo. O come disdicono, e come male si confanno insieme, membri delicati, e imbellettati; e un capo tutto insanguinato, e di pungenti spine trafitto?
Ponderando S. Agostino quelle parole dell’Apostolo S. Giacomo: Ecce beatificamus eos, qui sustinuerunt; sufferentiam Iob audistis, et finem Domini vidistis, dice. Ne ideo patienter sustinerent temporalia mala, ut sibi hoc restitueretur, quod recepisse legimus Iob. Nam et ab illo vulnere, atque putredine salvus factus est, et si cuncta quae amiserat duplicata sunt restituta. Ut ergo non talem remunerationem speraremus, quando mala temporalia pateremur, non ait sustinentiam, et finem Iob audistis, sed ait: sustinentiam Iob audistis, et finem Domini vidistis, tanquam diceret: Mala temporalia, sicut Iob sustinete, sed pro hac sustinentia non temporalia bona sperate, quae illi aucta redierunt, sed aeterna potius, quae in Domino praecesserunt.1 Accioche non tolerassero con patienza i mali temporali, perche fusse poi lor restituito, ciò che habbiamo letto, che ricevette Giob. Poiche e fù sanato da quelle sue putride piaghe, e gli furono restituite duplicate tutte le cose, che haveva perduto. Perche dunque non spettassimo una tal rimuneratione, quando patissimo mali temporali, non disse: sustinentiam, et finem Iob audistis; ma disse: sustinentiam Iob audistis et finem Domini vidistis; come se havesse voluto dire: sopportate i mali temporali, come Giob, ma non sperate per questa vostra sofferenza beni temporali, che a lui ritornarono con aumento; ma sperate più tosto i beni eterni, che il Signore vi hà preparato.
Si ha dunque a patire di maniera, che si speri di riceverne il premio là, dove non haveremo più da patire. Molti sono levati in alto, perche maggiore poi sia la caduta: Per il contrario Dio lascia che molti facciano qualche gran caduta, per levarli poi più in alto, ivi si trova maggior tormento, quivi è maggiore il premio.
Nelle divine scritture l’huomo giusto s’assomiglia spesse volte alla palma. Hor sentite ciò, che dice il celeste Hortolano. Dixi: Ascendam in palmam, et apprehendam fructus eius.2 Io dissi, salirò sopra la palma, e coglierò i suoi frutti. O Signor Dio mio, che bisogno havete voi di salire? Non vi basta haver longhe le braccia per raccogliere questi frutti? E pure a voi tanto è facile il raccorre i frutti, che sono in cima, quanto quelli, che sono da basso, mà considerate di gratia, la sapienza del divino consiglio: I frutti che sono da basso l’Hortolano stando in piede se li coglie, tirando lentamente, e a bell’agio i rami, mà per cogliere quelli, che sono nella cima, bisogna, che saglia sopra l’albero, che il calchi co’ piedi, e talvolta ancora gli spezzi qualche ramo.
Habbiamo detto, che l’huomo vien assomigliato all’albero: I frutti di questo albero sono le divote, e sante operationi: I frutti della cima, direi, che fussero gl’atti delle più perfette virtù, com’è una singolare Humiltà, una Patienza illustre, e una segnalata Carità. Per coglier questi frutti il celeste Hortolano sale sopra l’albero, lo calca co’ piedi, e gli rompe i rami. Quindi è, che un’huomo perde parte del suo dinaro, un’altro un poco d’honore; quegli un’appoggio d’un’amicitia: quell’altro perde un ramo del suo gusto, e del suo contento. E così mentre l’hortolano ci calpesta a questo modo, ne raccoglie i frutti più maturi. In questa maniera noi stiamo più sopra di noi, siamo più ferventi alle opere buone, e attendiamo piu alle devotioni. E così è verissimo quel detto, che bene spesso si dice: Quae nocent, docent. Le cose, che ci apportano dolore ci sono di giovamento.
§. 5.
Ma tù mi dirai; Io son huomo, e non hò il petto di ferro, ne di bronzo, ne d’acciaio, e non posso sopportare sì gran dolori. Ma io ti prego, a non voler dir così: perche il maestro di questa nostra scuola sa molto bene la capacità di ciascuno de’ suoi scolari: a questo dà cinque versi da imparare, a quello dieci, e ad altri ne dà vinti: alcuni vuole, che imparino le carte intiere; e ad altri fa mandar a mente in un sol giorno ben longhe orationi. Ei conosce benissimo le forze, e l’ingegno di ciascuno. FIdelis Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum1 Iddio è fedele, e non patirà, che siate tentati sopra le vostre forze; ma sarà ancora, che dall’istessa tentatione voi caviate profitto. Senti uno che dice spesse volte: Et in che modo questo huomo può patire così gran cose? Io per me non potrei patirle. la gratia di Dio è quella, che gli dà forza; la quale se tù havessi potresti ancora tu quello, che possono gl’altri, de’ quali tu ti maravigli.
Dice benissimo S. Chrisostomo: Illic coronae, ubi poenae: Ubi namque tribulatio, ibi et consolatio: Ubi consolatio, ibi et gratia est.2 le corone, dove sono patimenti, perche dov’è la tribulatione ivi è la consolatione, ivi la gratia. Dove non è afflittione, ivi molte volte non vi è ne anche Iddio. Perche, come dice l’istesso Santo: Tunc enim, et anima purgatur, cum propter Deum tribulatur.3 All’hora si purga l’anima quando è tribulata per amore di Dio? Perche la tribulatione reprime la superbia, e taglia ogni pigritia, prepara alla patienza, scuopre la viltà delle cose humane; e introduce copiosamente la sapienza; E questo vuol dire: Quae nocent, docent. Con le bastonate s’impara.
Sovvengati di Salomone: Questi mentre fù tribulato, fù giudicato degno di quella visione; come poi si diede alli spassi, e passatempi, se ne precipitò nel baratro d’ogni malvagità. Che diremo di suo Padre, quando egli fù mai più mirabile, e piu glorioso? non fù egli forse tale, mentre che se ne stette nelle tribulationi? Finalmente senti ciò che di se, e de’ suoi dice San Gio. Chrisostomo. Quid opus est antigua recensere? Si quis enim nostra nunc discutiat, quantum sit tribulationis lucrum videbit: nunc enim pace potientes recidimus, et defluximus, et innumeris implevimus malis Ecclesiam: Cum vero pellebamur, et modestiores, et humaniores eramus, et studiosi magis, et ad has conciones promptiores, et serventes ad audiendum. Quod enim ignis est auro, hoc et animis tribulatio, sordem abstergens, faciens mundos, claros reddens, et splendidos. Haec via in regnum introducit, illa vero in Gehennam: Qua propter haec quidem est lata, illa vera angusta: Propter hoc, et ipse dicebat: In mundo praessuras habebitis, tanquam magnum nobis bonum relinquens. Itaque si discipulus es, angustam, et asperam incede viam, nec egre feras, nec indigneris. Non enim potest citra tribulationem, non potest citra tristitiam praesens vita transmitti; Non est vita sine miseria. Tu neque Paulo melior es, neque Petro, qui nunquam remissionem assecuti sunt sed fame, et siti, et nuditate laborarunt. Si vis eadem cum illis assequi, quid contrariam ambulas viam? Sivis ad illam peruenire Ciuitasem, quadigni suntilli patiti , illam perambula viam sluc serentera». Non illuc perducit remissionis via, sed tribulationis.4 Che stiamo noi à raccontare le cose antiche? Poiche, se alcuno andarà ben’essaminando le cose nostre, vedrà quanto sia il guadagno della tribolatione. Perche adesso, che stiamo in pace siamo ricaduti, e ci siamo lasciati andare, e habbiamo riempito la Chiesa d’infiniti mali. Ma quando eravamo discacciati eravamo più modesti, più cortesi, e più diligenti, e pronti a venire a queste prediche, e le stavamo a sentire con più fervore. Percioche quello, che fà il fuoco all’oro, questo fa la tribolatione all’anime: leva loro le macchie, le purifica, le fa chiare, e risplendenti. Questa via conduce al cielo, quell’altra all’inferno; onde questa è larga, e quella è stretta. Per il che egli ancor diceva: Nel mondo haverete de’ travagli, come se ci lasciasse qualche gran cosa. Per tanto se tu sei suo scolare, và per la strada stretta, e aspra; nè l’havere a male, nè te ne sdegnare perche questa vita non si può passare senza tribolatione, e mestitia; Nè si trova vita senza miseria. Tu non sei migliore di S. Paolo, nè di S. Pietro, i quali non si riposarono mai; ma sempre patirono fame, e sete, e nudità. Se tu vuoi conseguire le cose ch’essi conseguirono, perche te ne vai per la contraria strada? Se vuoi arrivare a quella Città, di cui essi furono reputati degni, và per quella strada, che ti ci mena. Poiche là non si và per la strada del riposo mà per quella della tribolatione. Il Popolo Hebreo tanto fù modesto, quanto fù tribulato, e afflitto; e all’hora cominciò ad essere insolente, quando cominciò a star meglio. Iudaei (dice S. Gio. Chrisostomo) dum luto fuerunt, et operi lateritio alligati, mites erant, et continue Deum vocabant: Postquam vero libertate potiti sunt, murmurabant, et Deum exacerbaverunt, et se malis infixerunt innumeris. Ne adversis itaque casibus frangamur, sunt enim correctio. I Giudei mentre stavano occupati nella creta, e a far mattoni, erano mansueti, e chiamavano continuamente Dio; ma dopo che hebbero la libertà, mormoravano, onde fecero sdegnare Iddio, e si misero in innumerabili fastidij. Non ci perdiamo dunque ne’ casi avversi, perche ci vengono per nostra correttione.
Si deve dunque replicar cento volte, Habbi patienza, Christiano mio, sopporta pure tutte quelle cose, che ti occorrono, ò siano longhi tedij, ò miserie gravi, ò danni quanto si siano grandi, sopportali pure, poiche. Quae nocent, docent. La tribolatione t’insegna.
Note
§. 6.
Tu vedi, che un cavallo pigro s’eccita con la sferza: La veste si netta dalla polvere con la verga: E la noce percossa dà copiosamente i suoi frutti. Nè altrimente siamo ancor noi ammaestrati à far del bene, se non con le percosse. Le bastonate mettono cervello, e le cose, che son di nocumento sono spesso ancor di documento. Rallegrisi dunque il Christiano, quando è tribulato; perche ò si prova, se esso è giusto, ò se è peccatore, si corregge. Tema colui, che Dio non castiga in questo modo, perche hà determinato di castigarlo nell’altro.
E’ cosa dunque conveniente, che obediamo à un ottimo maestro, etiandio quando insegna cose difficili. Conviene, che siamo grati à un medico tanto amorevole, etiandio che adoperi con noi più rigidi rimedij. Non sempre giovano le cose leni. L’esser caduti alcuni in acqua da mezo inverno, è stato lor di sanità: ad alcuni, con bastonarli è passata la febre quartana, e un subbito timore, e una paura repentina col divertire altrove l’animo, hanno spesse volte fatto passare l’hore sospette della febre, come se non havesse havuto tempo d’attendere all’infermità. E quanti n’hà liberati l’infermità dalla militia? Alcuni perche non fussero oppressi dalla rovina delle proprie case, fur trattenuti fuori da fiera tempesta; altri col far naufragio sono scampati dalle mani de Corsari.4 E così lo sbassamento, e la calamità hanno inalzato fin’al cielo un’infinità di persone. Della quale cosa hanno saviamente, e dottamente trattato i Santi Padri antichi, mà meglio di tutti S. Agostino, il quale inculcando bene spesso a i suoi ascoltatori questo istesso, ne discorre divinissimamente in più luoghi.
Note
§. 7.
Adunque (il che s’ha da inculcare spesso, e in ogni occasione) Adunque Christiano mio, non ti turbare quando ti trovi nel mezo di molti travagli; non ti perdere d’animo, ne ti sdegnare, e credi questo almeno a S. Agostino: che la tribulatione è una medicina contra il peccato; il flagello di Dio ammaestra i buoni; Dio corregge a tempo; non condanna per sempre. Nec ulla causa (dice S.Agostino) probabilior occurrit, cur iusti homines laborent plerumqu in hac vita, nisi quia hoc eis expedit.4 Ne vi è altra ragione più probabile; perche gli huomini da bene siano per il più travagliati in questa vita, se non perche questo è loro molto espediente. E così appunto: Quae nocent, docent. Le cose avverse spesso ci giovano.
Note
- ↑ [p. 525 modifica]S. August. to. 9. in ps. 103. et in Ps. 91. post. med.
- ↑ [p. 525 modifica]S. August. to. 8. [p. 526 modifica]ps. 93. post med.
- ↑ [p. 526 modifica]Idem. to. 10 ser. 105. de temp. et to. 8. in ps. 79.
- ↑ [p. 526 modifica]S. Aug. to. 5. l. de Civ. c. 8. init. et to. 8. in ps. 93. et to. 4 l. 83 quaest. q. 82.