Sonetti romaneschi/Prefazione: Da Pasquino al Belli e alla sua Scuola/II

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Luigi Morandi

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Prefazione: Da Pasquino al Belli e alla sua Scuola - I Prefazione: Da Pasquino al Belli e alla sua Scuola - III
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II.


Il documento più particolareggiato, più autorevole e, in un certo senso, anche più antico, “dell’origine et della natura di maestro Pasquino,„ è sempre la “brieve istoria, che Antonio Tibaldeo da Ferrara, essendo già pieno d’anni, soleva raccontare,„ e che il Castelvetro nel 1558-59 mise in carta.

“Diceva adunque„ (il Tebaldeo) “che fu in Roma, essendo egli giovinetto,1 un sartore assai valente di suo mestiere, chiamato per nome maestro Pasquino, il quale teneva bottega in Parione, nella quale egli e i suoi garzoni, che molti n’havea, facendo vestimenti a buona parte de’ corteggiani, parlavano liberamente et sicuramente in biasimo de’ fatti del Papa et de’ Cardinali, et degli altri prelati della chiesa, et de’ signori della corte, delle villane parole de’ quali, sì come di persone basse et [p. cxlii modifica]materiali, non era tenuto conto niuno, nè a loro data pena ninna, o malavoglienza portata di ciò dalla gente. Anzi, se aveniva che alcun per nobiltà, o per dottrina, o per altro riguardevole raccontasse cosa non ben fatta d’alcun maggiorente, per ischifare l’odio di colui, che si potesse riputare offeso dalle parole sue, et potesse nuocergli, si faceva scudo della persona di maestro Pasquino, et de’ suoi garzoni, nominandogli per autori di simile novella, in tanto, che in processo di tempo passò in usanza commune, et quasi in proverbio vulgare l’attribuire a maestro Pasquino ciò, che cadeva nell’animo a ciascuna maniera d’huomini di palesare in infamia de’ capi ecclesiastichi et secolari della corte. Ma poscia, morto lui, avenne, che lastricandosi, o mattonandosi la strada di Parione, una statua antica di marmo in parto tronca et spezzata, figurativa d’un Gladiatore, la quale era mezza sotterrata nella via publica, et col dosso serviva a’ caminanti per trapasso, acciochè non si bruttassero i piedi nelle stagioni fangose, fu dirizzata in piede per me’ la bottega, che fu di maestro Pasquino, perciochè giacendo, come faceva prima, rendeva il lastricamento o il mattonamento meno uguale, et men bello. Alla quale essendo dal popolo imposto il nome di colui, che quivi vicino soleva dimorare, et dinominandosi maestro Pasquino, gli aveduti corteggiani, et cauti poeti di Roma, non si scostando dall’usanza già invecchiata di riprendere i difetti de’ grandi huomini, come divulgati da maestro Pasquino, a quella assegna,rono et assegnano i sentimenti della lor mente, quando vollero vogliono significar quello, che non si poteva o non si può, facendosene autori, raccontare o scrivere senza evidente pericolo….„2 [p. cxliii modifica]

Si corregga pure con quasi tutti gli archeologi moderni, che quel povero torso non rappresenta già un gladiatore (nè Ercole, nè un soldato di Alessandro Magno, come altri credevano, e neppure Aiace che porta il corpo di Achille, come crede l’Ulrichs); ma bensì Menelao, nell’atto di portar fuori della mischia Patroclo ucciso; si dubiti anche che il Pasquino di carne e d’ossa non fosse un sarto, giacchè il proemio ai Carmina quae ad Pasquillum fuerunt posita in anno M.CCCCC.IX,3 dice che era un literator seu magister ludi, e Celio Secondo Curione dice che era un barbiere;4 si arrivi perfino (e dove non arriva il nostro scetticismo critico?) a sospettare che quel Pasquino da Siena, esulato a Ferrara, e descritto dal Poggio in una delle sue Facetiae (clxxviii) come vir dicax et iocosus, possa avere qualche parentela col nostro; certo è che la strana metempsicosi, per cui si finse che l’anima del morto Pasquino fosse passata dentro a quella statua, fu opera della fantasia e dello spirito satirico del popolo di Roma, e della sua opposizione al Governo de’ Papi.

Origine consimile ebbe anche Marforio, antica statua colossale, rappresentante un fiume, e non l’Oceano come comunemente si crede.

Perchè Pasquino potesse rispondere argutamente, aveva bisogno d’essere interrogato; e il popolo affidò quest’ufficio a Marforio, che Pasquino fin dai primordi della loro celebrità, cioè almeno fin dal 1511, chiamava [p. cxliv modifica]fratello;5 ma, s’intende, fratello minore, giacché ne’ loro dialoghi recita quasi sempre la seconda parte. Né da questo dialogare deve argomentarsi, come fa qualche scrittore, che Marforio si trovi o si sia mai trovato vicino al suo vecchio amico. Prima che sotto Sisto V (1585-90) lo trasportassero in fondo al cortile del Museo Capitolino, dove tuttora si vede, Marforio giaceva da tempo immemorabile di faccia al Carcere Mamertino, sul principio della via o salita, che da lui prese ed ha ancora nome; e di lì appunto era cominciata, molto tempo innanzi, la sua conversazione con Pasquino, il quale però si trova a un buon miglio di distanza tanto dal Carcere, quanto dal Museo, che sono invece vicinissimi tra loro. E dunque certo che i due compari non si conoscono di persona; e quindi non si può supporre che ne’ loro dialoghi le domande venissero affisse su Marforio e le risposte su Pasquino: domande e risposte invece si affiggevano raramente sul primo, anche quando si trovava all’aria libera; quasi sempre sul secondo, che era ed è in luogo più centrale e più frequentato. Con l’andar del tempo, quando cioè l’esser colto nell’atto d’affiggere una pasquinata poteva costare una mano, o tutt’e due, o la lingua, la testa, si cominciò a tenere un modo più comodo e meno pericoloso. L’autore della satira, fingendo d’averla trovata affissa qua o là, la comunicava in gran segretezza a qualche sfaccendato, e così in ventiquattr’ore la sapeva tutta Roma. Circa poi l’etimologia di Marforio, io credo che abbia assolutamente ragione il Gregorovius,6 di ripudiare la vecchia e comunissima da Martis Forum (nome dato abusivamente da alcuni, per il tempio [p. cxlv modifica]di Marte che v’era, al Foro d’Augusto, dove forse in origine si trovava la statua); tanto più che ora conosciamo nel 1452 una famiglia Marfoli vicinissima al Carcere Mamertino;7 e tanto più che Marforio non cominciò la sua professione di satirico dopo il secolo decimosesto, come afferma il Gregorovius;8 ma di certo, come già abbiamo veduto, al principio di detto secolo, e molto probabilmente anche prima. Col nome, dunque, di codesta famiglia, o di alcuno de’ suoi, fu battezzato Marforio, come appunto Pasquino col nome del sarto, o maestro di scuola, o barbiere che fosse, e come col nome di persone reali e ad esse vicine furono battezzate tutte o quasi tutte le altre statue (Abate Luigi, Madama Lucrezia, Facchino e Babuino),9 le quali, in seconda linea dopo Marforio, fecero da aiutanti di campo a Pasquino.

Fecero, dico, perchè tutta questa brava gente e il suo capitano, nati soprattutto per combattere il dispotismo papale, furono uccisi, come io avevo facilmente profetato, dalla libertà della stampa dopo il 20 settembre 1870. Mentre, infatti, per ogni Conclave le pasquinate (opera per lo più in tale occasione di preti e di frati, e opera spesso così disonesta da scandalizzare anche i meno scrupolosi) inondavano Roma e l’Italia e l’Europa, tanto che con esse sole ci sarebbe da fare una biblioteca; per il Conclave da cui nel 1878 usci eletto Leone XIII, non ce ne fu neppur una: caso questo così notevole e consolante per il Papato spirituale, che sarebbe dovuto bastar [p. cxlvi modifica]da solo (e lo dico con la maggior serietà!) a compensare il nuovo papa della perdita del temporale.

Ma in quattro secoli di vita, Pasquino empì tutto il mondo della sua fama: appunto perchè il nemico ch’egli combatteva era un’istituzione mondiale.

Il Papato gli lasciò sul principio una certa libertà di parola; perchè Roma allora, secondo una frase di Alessandro VI, il quale non approvava l’intolleranza del figliuolo Cesare, era terra libera, dove si aveva consuetudine de dire et de scrivere corno l’homo vole10. Si può anzi affermare che il Papato cercasse di cattivarsi Pasquino, precisamente come fanno ora i governi liberi co’ giornali, di cui egli teneva il luogo. Chi primo infatti, nel 1501, lo fece collocare sopra un piedistallo a un angolo del Palazzo Orsini (dove poi sorse quello de’ Braschi), fu il pezzo più grosso del Sacro Collegio, Oliviero Caraffa, che abitava in codesto palazzo, ed era cardinale fin dal 1467; e comandò, col titolo di legato, la flotta papale che nella guerra contro il Turco (1471-74) operava d’accordo con la veneziana; e fu de’ pochissimi, che nell’elezione d’Alessandro VI non si bruttassero di simonia;11 e papeggiò in quattro o cinque conclavi. Oliverij Carafae beneficio hic sum, Anno salutis M.D.I.: così diceva un’iscrizione Ad Pasquillum,12 che venne forse tolta allorché demolendosi il Palazzo Orsini per fabbricar quello dei Braschi, il 14 marzo 1791 la statua "fu levata dal suo antico piedestallo e posta sopra il nuovo, espressamente eretto al cantone opposto,„ di dove poi, terminato il Palazzo Braschi, fu riportata nel suo antico luogo13.

[p. cxlvii modifica]Fatto nel 1501 il primo piedistallo, venne subito in uso di coprirlo con arazzi o tappeti il giorno di san Marco Evangelista (25 aprile), onde vi sedessero alquanto i preti di S. Lorenzo in Damaso; e da quest’uso si passò, con uguale prestezza, all’altro di vestire a festa, trasformandola per lo più in qualche personaggio mitologico, la statua stessa, e di farla in quel giorno parlare più assai che in ogni altro. E chi la vestì a sue spese, e la fece parlare il più delle volte a suo modo per mezzo de’ suoi familiari, fu appunto il Caraffa, fino al 1511, cioè finchè visse. Tutto ciò si rileva con sicurezza assoluta dalle raccolte delle pasquinate di quel giorno negli anni 1510 e 1511, ma soprattutto dalla prefazioncella già citata della raccolta del 1509, che è la prima che conosciamo.

Stando però a codesta prefazione,14 parrebbe che la statua passasse addirittura dal fango della strada sul piedistallo del Caraffa, e che l’usanza di appiccicarle [p. cxlviii modifica]versi e la conseguente sua celebrità cominciassero solo dopo un tal fatto, cioè dal 1501. Io credo invece (e chi potrà fare maggiori ricerche, ne troverà forse le prove), che l’usanza fosse già cominciata nel secolo precedente, quando cioè, morto il Pasquino di carne e d’ossa, la statua, levata di terra, dovette assai probabilmente stare per qualche tempo appoggiata al muro. Cosi mi spiego le parole del Castelvetro, il quale non parla punto del piedistallo e del Caraffa, ma dice semplicemente: "fu dirizzata in piede per me’ [accosto o dirimpetto] la bottega, che fu di maestro Pasquino.„ E se è vero, come per buone ragioni credono il Gregorovius e il Govi, che il poemetto di chi si nascose sotto il nome di Prospettivo Milanese fosse pubblicato prima del 1501, la mia ipotesi troverebbe conferma in questa terzina che vi si legge:

Ecci un mastro Pasquille in Parione:
Dal sasso spinse el so nimico in ario:
Questo è colui che extinse Gerione.15

Certo è poi che anche dopo alzato sul piedistallo per beneficio del Caraffa, il Pasquino ufficioso si muta spesso e volentieri nel Pasquino libero, come dal Castelvetro è descritto, e dietro al quale si celano "gli aveduti corteggiani et cauti poeti di Roma.„ Ne abbiamo un esempio perfino di quello stesso anno 1501, nel Diario del Burcardo e in una lettera da Roma di Agostino Vespucci al Machiavelli: esempio che, per me almeno, diventa anche più notevole, giacché è la prima pasquinata di data certa che finora io sia riuscito a trovare. — Il Burcardo scrive: "Feria sexta, 13 dicti mensis augusti, in mane, affixa fuit cedula statue magistri Pasquino nuncupate, site in angulo domus Rmi. D. [p. cxlix modifica]cardinalis Neapolitani, de obitu Pape [Alessandro VI], si recedat ab Urbe; quod sine mora per totani Urbem divulgatum est, et fuerunt eodem mane similes cedule in pluribus locis per Urbem affixe hujusmodi tenoris:

Predixi tibi Papa bos quod esses.
Predico: Moriere, si hinc abibis;
Succedet Rota consequens Bubulcum.16

E Agostino Vespucci, il 25 dello stesso mese, raccontava al Machiavelli come la satira fosse stata composta proprio nelle anticamere papali ("aveduti corteggiani!„), e gliene esponeva il senso e gli effetti: "Alli dì passati sendo il Papa in fregola di voler ire a spasso, et sendo in camera del Pappagallo uno circulo di 5 in 6 docti (chè invero ce ne è assai, benchè anche degli scelerati et ignoranti), ragionando et di poesia et astrologia etc, uno di loro fu che dixe esser solo uno a Roma ad chi il Papa prestava fede in astrologia, et costui havere male, et è in miseria et povertà per la gran liberalità di questo Principe. Et il Fedra dicendomi costui havere predicto al Papa che saria pontefice, sendo ancora cardinale, li mossi che si vorria fare qualche procnostico sine auctore, et lasciarselo cadere, et ita factum est. Prima ci partissimo di lì, questi 3 versolini furon facti... La [p. cl modifica]rota è insignia di Lysbona„ (cioè del Cardinal di Lisbona), "el bubulco è lui. Questo effecto se ne è visto, che mai poy ha ragionato di partirsi. . .„

Delle migliaia di epigrammi affissi a Pasquino trasformato in Giano il 25 aprile 1509, uno de’ pochi, che ci furono conservati dalla raccolta, dice il perchè della trasformazione, e promette, per opera di Giulio II, nientemeno che il castigo di tutti i tiranni e una pace universale e perpetua:

Iuppiter ex alto me Ianum misit Olympo,
   Armigero ut Marti tempia reclusa darem.
Qui ut primum iussu se accinxerit arma Tonantis,
   Imperet officio Iulius ipse suo.
Cum bene mulctati fuerint domitique Tyranni,
   Mundus perpetua pace quietus erit.

Ma accanto a pensieri così gravi e così favorevoli al reggimento papale, se ne incontrano altri di ben diversa natura:

Insulsus nuper vidit me rusticus: At at,
   Pasquilli miram nosco, ait, effigiem.
Innumeri vasta regnant quod in urbe latrones,
   Ut caveat, prudens, lumina utrinque tenet.

Iane, etiam a tergo quid lumine cernis acuto? —
   Ullus ne tangat posteriora mihi.

Il 25 aprile del 1510, Pasquino apparve in figura di Ercole che taglia la testa all’Idra lernea;17 e in un sonetto, che è forse l’unica cosa bella detta da lui in [p. cli modifica]italiano a que’ tempi, ispirò o secondò il famoso grido; Fuori i barbari!

   Padre dell'universo, almo pastore,
Che rapresente Iesu Christo in terra,
Chi tieni el loco di quel che apre et serra
La porta del sacro regno magiore;
   Mira l'Italia tua, che a tutte l'hore
Dinanzi ai sacri toi piedi s'atterra,
Gridando: "Patre sancto, hormai diserra
La spada contra '1 barbaro furore.„
   Guarda il suo corpo tutto lacerato
Dalle man d'esti cani amaramente:
Soccorri, padre mio più che beato.
   Per amor della patria tua excellente,
Porgi soccorso al popul flagellato,
Scaccia questa barbarica aspra gente.
               Vedrai poi incontinente
Italia farsi bella et riverdirsi.
Et contra i toi nimici teco unirsi.


Ma, in questo stesso giorno, si fece anco apostrofare cosi:

   Hercul, già da tua maza et brava mano
Varii monstri gustorno amara morte:
Hor qua richiede18 uno huom di te più forte,
Tanti cerbari pasce in Vaticano!

La raccolta dell’anno successivo,19 sfuggita finora, per quanto ne so io, a tutti gli autori che si occupano di Pasquino, ce lo presenta, nella solita incisione del frontespizio, vestito a lutto, come fu realmente, per la morte del suo protettore; e i carmi stessi (latini, italiani [p. clii modifica]e uno anche spagnuolo) son tutti in rimpianto e in lode del Cardinale:

Haec est illa dies qua tu, Pasquille, solebas
   Romulidum fìeri delitiae atque ioci ...
Sed nunc atra dies; nunc haec moestissima lux est,
   Quae nec delitias, nec dabit ipsa iocos . . .
Occidit heu tanto qui te exornabat honore:
   Occidit et musis qui favor unus erat.

E Pasquino ai Romani:

Propter vos toties feci metamorphosin: at nunc,
   Pasquillus causa fletque doletque sua.

— Per voi io mi son già trasformato in Saturno, Mercurio, Bacco, Marte e perfino in Giove e in Spagnuolo (Celtiber ipse fui), tanto che lo stesso Proteo n’ebbe invidia:

Invidit Protheus, quanquam deus aequoris esset.20

Ma chi mi trasformò in tutti questi modi e mi diede l’eternità, fu appunto il Caraffa:

Ille mihi variis formaverat ora figuris
Annua: et aeternum vivere posse dedit.

[p. cliii modifica]Ora dunque, lui morto, che cosa resta a me, assuelus ridere semper? Nient’altro che piangere: nil, nisi flere! — E a uno che gli fa l’onore di credere ch’egli sia sempre il buon patriotta Pasquino, e che pianga per le discordie d’Italia, no, no (risponde), io piango il mio padrone:

Viator.

Discordem Italiam luget Pasquillus in urbem;
   Assiduis lachrimis imbuit it ipse genas.

Responsio Pasquilli.

Non haec infestis lachrimis mea pectora vessant,
   Sed torquent domini fata odiosa mei.

Ripensando poi alla risoluzione di Didone in Virgilio:

Vixi, et, quem dederat cursum fortuna, peregi. . .
. . . . . . . . . . . Sic, sic, iuvat ire sub umbras;

anche lui esclama:

Vixi, et, quae dederat dominus mihi lustra, peregi:
   Nunc iuvat et dominum, morte querente, sequi.

Ma questa non è altro che una fugace velleità d’imitazione. La voglia di non morire e di continuare a ridere fa capolino anche tra i funebri pensieri, e dietro la gratitudine pel morto:

Gratia diis et qui me saxo hic condidit alto:
   Si forem humi, quererer mingere saepe canes.

Il 25 aprile del 1512, durante cioè la Lega Santa e quattordici giorni dopo la battaglia e il sacco di Ravenna, Pasquino, ch’era passato sotto la protezione del Cardinal d’Inghilterra, fu vestito da Marte. Due raccolte abbiamo dei Carmina, che gli furono apposti in [p. cliv modifica]quel giorno,21 e son quasi tutti bellicosi, in onore di Papa Giulio, e contro la Francia e i fautori di lei, come

                              quella nefaria Fiorensa,
Ch'altro che male et scandolo non pensa.

Una Profetia Pasquilli allude alle gravissime perdite dei Francesi, per le quali essi parevano più simili a vinti che a vincitori:22

Itala Gallorum pinguescet sanguine tellus.
Ante novas segetes perlicietur opus.


Ma la facezia volgare si mescola anche qui al tragico e al bellicoso. La gente, per esempio, si affolla per vedere la nova metamorfosi di Pasquino? Ed egli così l’apostrofa:

Quid me sic fictum Martem spectatis? at estis
    Vos asini: non me cernitis? ecce c..o.
Cedite: non ne pudet me sic spectare ca...tem?
    Afferte huc chartas: tergite monstro natos.

E pare che egli non avesse troppo a lodarsi del novo protettore, giacché la prima delle due raccolte citate termina con questi versi:

Je suis Pasquin le malheureux
D'estre tombé es mains d'Angloys:
J'aymasse myeulx estre foireux
Et tomber en main des Franczoys.

L’anno dopo, morto il Papa guerriero e succedutogli il letterato Leon X, Pasquino cambiò la lancia di Marte nella lira d’Apollo; e, secondo le due raccolte ufficiali,23 [p. clv modifica]egli non avrebbe fatto altro che dir male del morto e bene del vivo:

Exul eram: redii tandem regnante Leone:
    Nunc, iuvenes, studiis invigilate meis.
Namqiie Leone meo nemo indonatus abibit:
    Carminibus vates munera magna ferent.

Altrettanto parrebbe dalle due raccolte dell’anno 1514,24 nel quale egli fu camuffato da Mercurio. Ma forse i versi sfavorevoli furono esclusi. Certo è poi che nei Pasquillorum Tomi duo, pubblicati (dal Curione, si crede) a Basilea nel 1544, i quali contengono epigrammi del Pontano, del Poliziano, del Sannazzaro, dell’Hutten, ecc., ma anche alcuni delle piccole raccolte annuali che sono andato citando, e insieme molte altre satire ugualmente anonime e che in gran parte devono essere anch’esse vere e proprie pasquinate romane, Pasquino parla ben diversamente anche intorno a Leone X.

Non ostante, insomma, l’ufficiosità di cui era stato rivestito dal Caraffa, fino al propagarsi della Riforma egli potè parlare e parlò assai spesso liberamente, massime nel giorno della sua festa. Lo diceva egli stesso nel 1518:

Audite, o proceres: libertas maxima Romae
    Est hodie; scribit quod sibi quisque libet.
Nunc impune licet laudare, et carpere mores:
    Tanta est Pasquilli gratia multiloqui.

Quantunque poi ne cavasse una considerazione, tanto acuta quanto malinconica, e che può pur troppo applicarsi benissimo anche alla presente libertà di stampa, la quale riesce quasi vana, perchè i galantuomini, col [p. clvi modifica]non curarsi per lo più delle accuse false, dànno agio ai birbanti di ridersi delle vere:

Sed si forte aliquid falsum aut emunctius audes,
    Tollitur, ut vero non sit in Urbe locus.
Ergo haec libertas Romae est? o tempora vana!
    Non est libertas, sed grave servitium.25

Con la Riforma però, alla quale Pasquino prestò validi aiuti,26 cresciute le paure della Corte papale, passò anche lui de’ brutti quarti d’ora: se ne occuparono perfino nel Concilio di Trento;27 ebbe egli pure i suoi martiri,28 i suoi confessori, i suoi rinnegatori. Ma, com’è naturale, per tutto questo la sua fama e il suo potere, anziché scemare, si accrebbero: di lui e per lui si scrisse in tutte le lingue de’ popoli civili, e spesso dagli uomini più insigni; Lutero postillava un esemplare de’ Pasquillorum;29 e con ragione, alla fine del secolo XVI, [p. clvii modifica]uno de’ due Giangiacomi Boissard poteva dire: toto orbe celeberrima Pasquini statua;30 come più tardi il Settano:

Pasquillus, dorso qui scommata publica portat
Trans Alpes, Batavosque et pigri regna Bootae,
Unus ftagitii vindex, tacitumque flagellum.31

E al pari di tutte le grandi figure storiche, Pasquino pure ha non solo l’origine, ma anche qualche punto della vita avvolto di oscurità, o di dubbi, o di leggende.

Il 7 aprile del 1523, pontificando Adriano VI, Girolamo Negro scriveva da Roma: "Pasquino sta di mala voglia, perchè il Papa ha detto che non vuole che egli abbia la sua festa di San Marco, et ha fatto intendere che se coglierà qualch’uno, che scriva male o di sé, o d’altri, lo punirà atrocemente.,,32 E il Giovio, nella Vita di detto Papa (traduz. del Domenichi), racconta: "Haveva deliberato Adriano, si come quello ch’era manifestamente sdegnato co’ poeti, ruinare la statua di Pasquino, che è in Parione, et gettarla nel Tevere; ma Lodovico Duca di Sessa con ingegno civile et arguto [p. clviii modifica]disse che ciò non si doveva fare, soggiungendo che Pasquino, ancora nel più basso fundo del fiume, a uso delle rane, non havrebbe tacciuto. Disse alhora il Papa: — Ardasi dunque, et facciasene calcina, acciochè non vi resti alcuna memoria di lui. — Rispose un’altra volta il Duca: — La Santità Vostra dice bene ma benché così crudelmente s’ardesse, non però gli amici poeti taceranno, i quali con versi invidiosi honoreranno il padron loro, et ordinatogli un giorno solenne celebreranno ogni anno il luogo di supplicio. — Et cosi, con questi scherzi di parole, il Papa piacevolissimamente ritirò dallo sdegno a giuochi et allegrezza tutti i sentimenti suoi.»

Ma il Burckhardt33 afferma recisamente (senza però dire su che fondamento), che questi propositi contro il povero Pasquino, attribuiti dal Giovio ad Adriano, furono invece di Sisto IV. Ora, quantunque io, come ho detto, inclini a credere che Pasquino cominciasse il suo uffizio di satirico prima del 1501, cioè prima che il Caraffa gli facesse il piedistallo; tuttavia, fino al pontificato di Sisto IV (1471-1484) non oserei davvero [p. clix modifica]spingermi senza una prova ben certa e lampante; poichè dal racconto del Castelvetro pare che nel 1471-84 dovesse ancora esser vivo il Pasquino di carne e d’ossa; e Sisto IV, se mai, potrebbe aver avuto il proposito di far gettar questo nel Tevere, non la statua. Ma, per quanto le mie ricerche su tal particolare siano tutt’altro che definitive, il fatto è che io non son riuscito a trovare neppure il nome del Pasquino uomo o di quello di marmo in nessuno de’ parecchi autori contemporanei, da me consultati, che parlano di Sisto IV, benchè più d’una volta avessero opportunissima occasione di nominarlo, come, per esempio, l’Infessura in questo passo: "Condita fuerunt, nescitur tamen per quem, multa carmina in eum [Sisto IV, s'intende], videlicet:

Leno vorax, pathicus, meretrix, delator, adulter.
    Si Romam veniet, illico cretus erit.

Paedico insignis, praedo furiosus, adulter,
    Exitiumque Urbis, perniciesque Dei.

Gaudo, prisce Nero: superat te crimine Sixtus;
    Hic scelus omne simul clauditur et vitium.„34

Nè prova nulla il trovarsi ne’ Pasquillorum (pag. 76-77) un atroce epitaffio in tredici distici latini contro Sisto; giacchè Pasquino non vi è nominato, e, come tant’altra roba non sua, può essergli stato attribuito posteriormente.35 Lo stesso Burckhardt, pregato da me [p. clx modifica]indicarmi l’autore da cui attinse quella notizia, mi ha risposto d’averlo cercato invano tra i suoi appunti, benchè sia certo di non averla inventata.

Il più bello è poi, che nella Vita dì Torquato Tasso del Manso si legge: "Trattavasi tra’ Cardinali Pietro e Cinthio Aldobrandini, et altri Prelati e cavalieri di molta stima, di ritrovar modo d’impor freno alle molte Pasquinate, che quasi ciascuna notte erano di que’ tempi attaccate alla statua di Pasquino, e con le quali fieramente veniva ad esser punta la riputatione delle case pubbliche e l’honor delle case private; e vi fu chi propose doversi quella statua stritolare e gittare nel Tevero, per togliere il luogo a’ maldicenti, dove potere le loro carte appiccare: intorno a che dimandato Torquato del suo parere, rispose: — Non di gratia. Signore, perciochè dalle costui polveri nella riva del fiume nasceranno infinite rane, che gracchieranno la notte e ’l dì. — Volendo con queste parole significare, che non si possano i pensieri, nè le lingue, nè le penne de’ maldicenti impedire. Essendo poscia il Cardinal Pietro col Papa„ (Clemente VIII, suo zio), "et occorrendogli favellare intorno alla stessa materia, gli ridisse ciò che Torquato detto gliene haveva; onde il Pontefice volle dal Tasso medesimo un giorno udirlo; e richiestonelo, rispose Torquato: — Verissimo, Padre Santo; ma se Vostra Beatitudine vuol che le statue non favellino male, faccia che [p. clxi modifica]gli huomini ch’Ella pone ne’ governi operino bene.„36 E, per quanto l’opera del Manso meriti poca fede, non può su questo punto ripudiarsi così alla leggiera; giacchè egli la scrisse precisamente per richiesta dello stesso Cardinal Pietro,37 e, d’altra parte, il fatto è anche attestato da una pasquinata, che ha tutta l’aria d’essere autentica, benché si trovi nella raccolta del Lafon, il quale, secondo il solito, non dice di dove l’abbia cavata:

Marforlo à Fasquin.

Ah! que je suis content de te retrouver, cher ami! On te disait déjà en pièces et noyé dans le Tibre.

Pasquin.

Ils m’avaient brouillè en effet avec l’inquisition. Je comparus devant les cardinaux. Juge comme ils me condamnèrent! Sans un second Torquatus, la bouche de Rome était fermée par la main des barbares. Par bonheur, la raison désarma la haine, et la satire doit la vie à la poesie.38

È però evidente che la risposta del Tasso fu calcata su quella del Duca di Sessa. Mentre, all’incontro, è un mistero, come mai nel Voyage historique d’Italie, opera anonima non ispregevole di Michele Guyot de Merville,39 questa medesima risposta sia messa in bocca dello stesso Pasquino, in un dialogo con Marforio, dopo che il Papa (non è detto quale) ha respinto la proposta fattagli (non si sa da chi) di gettarlo nel Tevere. E più misterioso ancora è che il racconto, così rimpolpettato, sia attribuito a Flaminio Vacca, il quale, nell’unico [p. clxii modifica]lavoro che di lui si conosca, cioè nelle Memorie archeologiche scritte nel 1594, non dice nulla di simile.

Ecco dunque un punto, che non darà poco da fare al futuro storico del nostro eroe. Ed eccone un altro dello stesso genere.

Quella birba dell’Abate di Brantôme (1540?-1614), dopo aver detto come Luigi XI potesse benissimo, contro la fede data da due suoi capitani, far tagliare la testa al Duca di Nemours, poichè "à ce bon roy tout luy estoyt permis, et avoit sa dispense de tout, bien qu’il ne fust jamais à Rome pour l’obtenir du pape,„ prosegue: "A grand peine ce bon roy eust faict le traict, sur le poinct de sa foy donnée, que fit un de ces ans le pape Sixte, le plus redoubté pape pour la justice en toute l’Italie qui fut jamais; duquel et de sa sœur ayant esté faict un pasquin, sur ce que ledict Pasquin, vestu d’une chemise fort salle, se plaignoit qu’elle n’estoit point blanche, et que sa lavandière l’avoit quicte pour se faire duchesse (il disoit cela parce que la sœur du pape n’avoit pas longtemps qu’on l’avoit veue lavandière et laver le ling; et le pape l’osta de ce mestier et la fit duchesse, comme de vray il avoit raison de l’anoblir), il fut si en collere qu’ il fit faire un bandon que quiconque sçauroit l’autheur de ce pasquin ou l’auroit faict luy-mesmes, en luy révellant, qu’il luy donnoit la vie sauve et dix mille escus. L’auteur fut si impudent et si cupide du lucre, que luy-mesmes se vint accuser à Sa Saincteté, et luy dire franchement qu’il l’avoit faict, et demander son sallaire promis par le bandon. Le pape, l’aregardant, luy dist: — C’est raison. Ce que je t’ay promis, je te le tiendray; et pour ma vie je ne voudrois te faucer la foy. Parquoy je te donne la vie; et viste, qu’on luy donne les dix mill’escus: mais aussi ce que je ne t’ay promis je le tiendray, qu’est qu’on luy couppe le poing et la main qui a si mal escript, afin qu’il te ressouvienne de n’escrire [p. clxiii modifica]jamais plus parolles si scandalleuses et touchans de si près. — Force grandz personnages n’eussent pas si effrontément, en un tel faict si scandalleux et injurieux, gardé leur parolle. Et pour ce, faut louer ce grand pape, monstrant en cela qu’il importe beaucoup souvant à garder et rompre sa foy, et qu’il y va de la conscience, de la grand conséquance et de l’honneur d’aller à l’encontre.„40

Nella seconda metà del secolo decimosettimo, questo racconto si ritrova, con alcune varianti e con minore efficacia di stile, nella vecchia e nella nuova Vita di Sisto V del Leti; e nel 1711, con altre poche varianti, e con freddezza inglese, si ritrova ancora nel n.° 23 dello Spettatore dell’Addison. E chi sa in quanti altri autori! Ma se, come pare, esso è vero nel fondo, quale delle tante scritture su Sisto V ne fu la prima fonte? E quali particolari vi furono aggiunti o modificati via via? E chi era il disgraziato satirico? Tutte domande, a cui io non so, nè voglio cercar di rispondere; poiché il mio intento è di parlar di Pasquino quasi solamente quanto basta per mostrare in che ambiente storico sorge la figura del Belli. Ed eccomi quindi, senza più, a dare altri saggi di pasquinate e satire romane: lieto, tuttavia, se col detto fin qui e con quel che dirò, mi riuscirà anche di tracciare la strada e fornire qualche utile indicazione e qualche nuova notizia a chi vorrà trattar di proposito, e con rigore critico, del morto ma immortai torso di Palazzo Braschi.

Note

  1. L’iscrizione, postagli nel 1776 nella chiesa di S. Maria in Via Lata di Roma, lo dice morto nel novembre del 1537, di ottantun anno. Il Barotti e il Coddè, i quali non conoscono questa iscrizione, sono con essa d’accordo nel dirlo nato nel 1456, benchè poi lo facciano morire nel 1538.
  2. Castelvetro, Ragioni d’alcune cose segnate nella Canzone di messer Annibal Caro; pag. 141-42 dell’ediz. di Venezia, 1560, che in questo passo è del tutto identica all’altra, senza nome d’autore e senza luogo e data, che si crede la prima e fatta in Modena nel 1559.
  3. Questa raccolta, la più antica che si conosca finora, fu evidentemente pubblicata in Roma in quello stesso anno, ma senza nome di stampatore.
  4. "Ego enim, priusquam transivi in saxtim hoc, eram barbitonsor, eodem quo iam sum nomine... „ Pasquillus extaticus, pag. 470 de’ Pasquillorum Tomi duo, stampati noi 1544, e do’ quali dirò più innanzi. La stessa cosa, con parole diverso, ripete a pag. 51 della nuova edizione fattane in quel medesimo anno a Ginevra, col titolo: Pasquillus ecstaticus non ille prior, aed totus pliane alter, etc.
  5. Nella racooltina delle pasquinate di quell’anno, della quale riparlerò or ora, Pasquino dice a Roma:

    Quae mihi das, fratri des volo Marfurio.

  6. Storia della Città di Roma ecc.; Venezia, 1866-76; vol. III, pag 656, nota 2; e vol. VII, pag. 854.
  7. "A. 1452, Nardus Marfoli do centrata S. Adriani, sepultus in S. Maria do Araceli.„ Jacovacci, cit. dal Gregorovius.
  8. Vol. VII, pag. 854.
  9. «Cfr. Cancellieri, Notizie delle due fumose statue ecc.; Roma, 1854. — Por il Babuino pure io erodo probabile una simile etimologia; giacchè questo nome, nel senso di figura contraffatta e deforme, (lasciando anche staro che dovrebbe scrivorsi con due b, mentre ne’ documenti romani s’incontra quasi sempre con un b solo), è affatto estraneo al vero romanesco, che ha costantemente scimmia.
  10. Dispaccio dell’oratore ferrarese, 1 febbr. 1502, in Gregorovius, Op. cit., vol. VII, pag. 544, nota.
  11. Infessura, Diario; ediz. dell’Eccard, col. 2009.
  12. Schradero, Monum. Italiae; Helmaestadii, 1592; pag. 218v
  13. Diario Ordinario di Roma, 19 marzo 1791. Sbaglia, dunque, il Gregorovius (vol. VII, pag. 830, nota 1), affermando che nel 1791 fosse posta nel luogo dove ora si trova.
  14. Rarissima, di capitale importanza per le origini di Pasquino, e non ancora confrontata col racconto del Castelvetro. Eccola, dunque, testualmente, sciolto solo le abbreviature, e aggiunta la punteggiatura, che manca quasi del tutto:
       "Ad angulum domus Cardinalis Neapolitani statue [statua], et quidem insignis olim est, Herculis ut quidam congnecturant, quae, trunca inutilave [mutilave] cruribus, brachiis ac naso, in loco non multos podes ab eo, in quo Cardinalis inpensa nunc erecta conspicitur, distante abiecta iacuit ao sordibus obducta annos complures: contra illam literator seu migister ludi, cui Pasquino Pasquillove erat nomen, habitabat, unde post statuae nomen inditum est.
       "At cum septimo calendas Maii, festo divi Marci Evangelistae, sedile, quod ex lapide ad ipsam statuam est, exornari aulaeis vel Attalicis vestibus sit solitum, quod in eo de more sacerdotes Sancti Laurentii in Damaso consideant aliquantisper, coopta est et ipsa statua simul exormari [exornari]; et poni versus aliquot ad illam primulum coeperunt, et varie ei putorum [pictorum] opera formae fuerunt inducto, aliquo ex clientibus Cardinalis Neapolitani viro docto inveniente, et mercedem pictori Cardinale persolvente: in annos versuum numerus crevit. Hoc autem anno, quo Iani forma fuit illi inducta, circiter tria millia ad illum fuerunt posita. . .„
  15. Govi, Intorno a un opuscolo rarissimo della fine del sec. XV. ecc; Roma, 1876. — Gregorovius, Op. cit., vol. VII, pag. 663, nota 2.
  16. Ediz. curata dal Thuasne; Parigi, 1883-85; tom. III, pag. 157. — I tre versi sono dati scorrettamente da tutti i Mss. del Diario, o anche dalla lettera del Vespucci. Il Thuasne li ha corretti, raffrontando questa con quelli. Ma a me pare che, mettendo, come fa lui nel Diario, la virgola prima e dopo Papa, o mettendola prima e dopo bos, come fanno nella lettera del Vespucci, il Villari (Machiav., I, 583) l’Alvisi (Lett. Machiav., pag. 40), si tolga un’ambiguità molto spiritosa, por la quale il verso può intendersi in tre modi: Ti predissi che saresti un Papa bue; Ti predissi, o Papa, che saresti un bue; Ti predissi, o bue, che saresti Papa. Il soprannome di bos a Papa Alessandro, derivatogli dal bue del suo stemma, era comunissimo: s’incontra, per esempio, altro quattro volte negli epigrammi scritti nel luglio del 1502 alla morte del Cardinale di Modena, e riferiti dallo stesso Burcardo (tom. cit., pag. 215-18).
  17. Carmina ad Pasquillum Herculem obtruncantem Hydram referentem, posita Anno M.D.X. — In fine: Impressum Rome per magistrum Iacobum Mazochium Anno M.d.x. — Nel proemio, l’editore avverte: "Ingentem hoc anno carminum numerum fuisse ad Pasquillum positum mihi a quibusdam relatum est; ex quibus complures, antequam cuncti a Cardinalis Neapolitani ministris revellerentur, fuerunt a nonnullis reglutinati: quamobrem circiter quartam ipsorum partem fuisse perditam arbitror.„
  18. Forse, si chiede. Ma è possibile anche il richiede, col qua usato per soggetto, come il qui in Dante, Purg. XXI, 48, e l’altro da me avvertito in un documento del decimo secolo (Origine della Lingua italiana; 4° (ediz., pag. 66, nota 2).
  19. Carmina ad Pasquillum posita. Anno M.D.XI. E in fine: Impressum Romae per Iacobum Mazochium Romanae Acadamiae Bibliopolam. Anno M.D.XI. Die VI Maii.
  20. Le trasformazioni accennate qua e là ne’ Carmina del 1510 e 1511 sarebbero, a tutto il 1510 e se io le ho contate bene, nientemeno che diciassette: cioè, oltre le sopra notate, quest’altre: in Flora, Atlante, Minerva, Astrea, Venere, Cerere, Genio, Febo, Arpocrate (nel 1508, parrebbe), Giano (1509), Ercole (1510). Sicchè si comincerebbe dal 1494, sette anni prima che la statua fosse alzata sul piedistallo! Ma è probabile che alcune siano entrate ne’ Carmina come semplici licenze poetiche, o fors’anco che ne siano state fatte realmente delle straordinarie, oltre quella solita del 25 d’aprile, come in seguito se ne fece una a’ 4 dicembre del 1571 per il trionfo di M. A. Colonna, e altre per i solenni possessi de’ Pontefici. Non potendo quindi da codesti accenni ricavarsi nulla di sicuro, non mi son dato pensiero di verificare se ce ne fosse altri ne’ Carmina anteriori e posteriori al 1510-11.
  21. Carmina ad statuam Pasquini in figuram Martis presenti anno M.D.XII. conversi. (S. 1. e n. di stamp.) — Carmina Apposita Pasquillo M.D.XII. (Idem.)
  22. Guicciardini, Storia d’Italia; lib. X, cap. V.
  23. Carmina apposita Pasquillo anno M.D.XIII. (S. l. e n. di stamp.) - Versi posti a Pasquillo ne lanno M.D.Xiij. (Idem.)
  24. Carmina apposita Pasquillo An. M.D.Xiiii. (S. l. e n. di stamp. Anche questa raccolta è poco nota.) — Versi posti a Pasquino nel Anno M.D.XIIII. (S. 1. e n. di stamp.)
  25. Pasquillorum, pag. 8-9.
  26. Cfr. la raccolta dello Schade, Satiren und Pasquille aus der Reformationszait. (Seconda edizione. Hannover, 1863. Tre volumi.)
  27. Sarpi, Istor. del Conc. Trid.; ediz. Barbèra; voi. II, pag. 2. — E nel cit. Pasquillus ecstaticus (ediz. di Ginevra, pag. 19): "Pasquil. Audio cardinalem Teatinum nuper in sacrosancto concilio multum aspere contra me declamitasse. Marf. Qua ratione? Pasquil. Quod fuissem ausus eum vocare hypocritam.„ Ma questo è forse uno scherzo, perchè il Concilio non si aprì, formalmente, che l’anno dopo.
  28. Salvator Rosa, nella Sat. IV:

    Vanta i martiri suoi Pasquino ancora.


    E nella V, alludendo al distico:

    Papa Pius Quintus ventres miseratus onustos,
        Hocce cacatorium, nobile fecit opus,

    che fu, secondo alcuni, la cagione principale per cui Pio V mandò alla forca Niccolò Franco, esclama:

    Verrebbe ai sassi di gridar la fola;
    Mormora un Citarella, e s’arricchisce;
    Il Franco appena parla, e dà nel boia.

  29. Questo esemplare appartenne al Guizot, e, secondo un annunzio del Journal des Debats, doveva vendersi all’asta pubblica nel marzo del 1875. Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, n.° 53 di quell’anno.
  30. Prima pars Romanae Urbis Topographìae etc.; Francfordii, 1597; pag. 34.
  31. Satyrae; ediz. di Lucca, 1783; vol. II. pag. 338.
  32. Delle Lettere di Principi, ecc. Libro primo; Venezia, 1581; pag. 114v 115. — Adriano doveva in que’ giorni essere meno che mai disposto a tollerare gli scherzi o le pasquinate, se è vero, come pare, quel che racconta lo stesso Negro in un’altra lettera del 17 del mese procedente (Ibid., 113-113v): "Nuovamente è stata fatta una burla al Sommo Pontefice di questa maniera. Parmi, che un Bolognese, fece intendere a Sua Santità, ch’egli haveva un gran secreto importante a tutta la Christiana Republica; et se Sua Santità li dava il modo di venire da Bologna a Roma, verria. Il Papa rispose al mediatore, che è messer Vianosio, famigliare et favorito de’ Modici, che venisse et per viatico gli fesser mandati dodici ducati. Fu scritto a colui, il quale risposa, che ’l viatico non era sufficiente, perciochè egli era vecchio, et pover’uomo, et voleva etiandio havere il modo da potersene ritornare. Il Pontefice disse al medesimo Vianesio, che gli mandasse ventiquattro ducati do’ suoi, che poi glie li restituiria. Et così esso glie li mandò, et venne il Bolognese. Venuto che ei fu, messer Vianesio disse al Pontefice, che la persona era venuta, et che Sua Santità gli restituisse i suoi danari. Il Papa rispose: "Audiamus prius hominem.„ Et in somma non la volse intendere di dargli i ventiquattro ducati. All’ultimo, introdotto il Bolognese in gran secreto, disse: "Pater Sancte, se volete vincere il Turco, vi bisogna fare una grand’armata per mare, et per terra...„ et non disse altro. Rimase il Pontefice aggricciato, et colui se ne partì. Disse poi il Papa a messer Vianesio (il quale è ancora suo familiare, et venne di Spagna con Sua Santità): "Per Deum, iste vester Bononionsis est magnus truffator, sed truffaverit nos expensis vestris.„ Et così non gli ha voluto dare i ventiquattro ducati. Ho voluto scrivervi questa burla, la quale è stata verissima.„
  33. La Civiltà del secolo del Rinascimento in Italia. Traduz. del Valbusa. Firenze, 1876; vol. I, pag. 220, n. 3.
  34. Col. 1941 della cit. ediz. dell’Eccard, che dà pero questi tre distici uniti, mentre invece formano tre distinti epigrammi.
  35. Nel Pasquillorum ha questo titolo: In Sixtum III. Pont. max. Epitaphium; e non può far maraviglia il vederlo cambiato in Pasquin au Pape mort nella raccolta del signor Mary Lafon (Pasquino et Marforio, etc; Parigi, 1861 e 1876), poichè l’epitaffio vi è anche sdoppiato in due, e, por giunta, mutilato del quinto distico. La raccolta del Lafon, così nella prima come nella seconda edizione, non è già come afferma il Cantù (Gli Eretici d'Italia; Torino, 1806; voi. II, pag. 219-20), "poco meglio che copia di un articolo dei Mèmoires de Littèrature par M. De S. (tom. II, par. II, pag. 208; Aja, 1717), aggiuntevi mentosto satire contro i papi, che vere pasquinate, tolte da Hutten e da altri;„ ma è copia, diretta o indiretta, dei Pasquillorum, e di parecchi altri libri, giacchè arriva fino a Pio IX, e vi è dato per pasquinata (storpiandolo, s’intende) perfino il proverbio: Preti, frati e polli non si trovano mai satolli (2° ediz., pag. 215). L’articolo del De S. (Alberto De Sallengre) è una recensione con saggi de’ Pasquillorum; ma ne contiene assai meno, che la raccolta del Lafon. Rispetto alla quale va anche notato che fu letteralmente tradotta in italiano, e pubblicata senza il nome dell’autore, col titolo: Pasquino e Marforio, istoria satirica dei Papi; Italia, 1861.
  36. Ediz. romana del 1634; pag. 332.
  37. Cfr. le parole premesse da Gabriel Zinani alla cit. ediz. rom., da lui fatta fare sopra l’autografo, e più corretta e completa delle precedenti.
  38. Pag. 201-202 della seconda edizione.
  39. A la Haye, chez M. G. de Merville, 1729 (che è la prima edizione); tom. II, pag. 58.
  40. Œuvres complètes de Pierre de Bourdeilles, Seigneur de Brantôme, etc; Paris, 1884-82; tom. II, pag. 219-20.