Sopra le vie del nuovo impero/Il generale Giovanni Ameglio

Da Wikisource.
Il generale Giovanni Ameglio. - Kos e Kalimno

../Le opere italiane a Rodi ../Le tre soluzioni IncludiIntestazione 29 marzo 2016 100% Da definire

Il generale Giovanni Ameglio. - Kos e Kalimno
Le opere italiane a Rodi Le tre soluzioni
[p. 177 modifica]

Il generale Giovanni Ameglio.


[p. 179 modifica]



Rodi, Luglio.

Il generale Ameglio, veterano della guerra eritrea, comandante delle forze italiane in Cina, non era celebre in Italia un anno fa. La presa di Bengasi lo scoprì, la battaglia delle Due Palme, lo sbarco di Kalitea, Psithos lo resero di gran lunga il più popolare di tutti i nostri generali che ora comandano i corpi combattenti. Come Umberto Cagni, anche Giovanni Ameglio fu detto dagli italiani garibaldino, e quando gli italiani adoprano questo vocabolo, vogliono fare il più grande elogio a un uomo di guerra, vogliono dire che esso è veramente uomo di guerra, ha la dinamica della guerra, la veemenza, che porta con sè gli uomini. E infatti è così.

Come il Cagni, anche l’Ameglio è uno dei pochi per cui generale non significa [p. 180 modifica]professore di strategia, sibbene capitano nel buon senso antico, condottiere, conduttore d’uomini. Egli è veramente uomo di guerra. Fra il professore e la cosa che esso fa; fra il professionista e la cosa che esso fa, voi vi accorgete che c’è di mezzo qualcos’altro: la cultura, per esempio; e così il generale professore elabora i suoi «piani» per cultura, ma è distante dall’azione della guerra e dal soldato; mentre il generale condottiere, l’uomo veramente di guerra, il garibaldino, il Cagni e l’Ameglio, fanno tutt’uno. Come il professore è accosto alle regole, così essi sono accosto all’azione guerresca e al soldato col loro istinto, con tutta la loro vita.

Io non ho mai avuto la fortuna di vedere Giovanni Ameglio sul campo di battaglia, ma l’ho visto nei suoi ufficiali, nei soldati che mi hanno raccontato di lui. Ciò che un generale è stato sul campo di battaglia, quando veramente è stato lo spirito dinamico de’ suoi uomini, si rivede poi in questi splendidamente. E così si rivedeva Garibaldi nei racconti de’ suoi garibaldini, perchè erano ancora tutti pieni e frementi di lui come del Dio; così si rivedeva Napoleone nelle vecchie generazioni; così si rivede il distributor di coraggio Umberto Cagni nei racconti dei marinai che sbarcarono a Tripoli, così l’Ameglio nei racconti dei soldati di Psithos e [p. 181 modifica]delle Due Palme. C’è qualcosa che se restasse, più dell’opera d’arte stessa potrebbe essere lo specchio dell’artista, ed è la commozione da cui l’opera nacque; e così dall’ardore dei soldati che raccontano, si misura quanta forza dinamica seppe sprigionare da sè il generale che non li mandò, ma li portò contro il nemico. Generali simili sono di natura artistica; fanno la guerra d’istinto e per intuizione, e l’azione guerresca è loro organica come la circolazione del sangue e il pensare.

Dinanzi a Kalitea, avanti dello sbarco l’Ameglio si doleva con i suoi vicini di essere capo supremo della spedizione e di non potere perciò scendere a terra tra i primi. Quelli scesero, dopo averlo salutato devotamente, ma passato qualche momento, se lo ritrovarono accanto. E più volte durante la battaglia di Psithos si dovette avvertire che essendo capo supremo non avrebbe dovuto occupare il punto che occupava sotto il tiro degli shrapnells nemici; ma fu invano; perchè l’Ameglio non può non essere dove c’è fuoco, perchè la battaglia gli è organica, non può, quando avviene, accadere lontano, fuori di lui: soldato, è trascinato dove egli trascina i soldati.

Data questa sua comunione con la guerra, ne trae regole semplici, pratiche, piene del [p. 182 modifica]senso e del buon senso della guerra. Spesso ha vedute tutte sue, semplici, istintive, d’una nuova giustezza. — Mi spazzi quel terreno! — dice ad un comandante di artiglierie; e questi, che non vede ombra di nemico dove il generale accenna, secondo le regole osserva: — Generale, non c’è nessuno! — Non importa, contro le regole risponde l’Ameglio, voglio andarci io! — L’Ameglio vuol dire: — Deve andarci la mia fanteria. — Ha il senso acuto di quanto l’artiglieria sia scudo della fanteria. Altre volte sembran minuzie: a Rodi ogni soldato, anche l’attendente per la spesa, non può uscire senza fucile, e sebbene l’isola sia vuota di turchi, i reggimenti debbono tenere ancora le trincee e le ridotte, perchè l’Ameglio vuole averli sempre in punto: è guerra, il soldato non si deve rilassare dalla guerra. Per lo sbarco di Kalitea dette quest’ordine: — I comandanti dei corpi scendano con i primi reparti. — E un colonnello, uomo d’alto ingegno e di profondo sentire militare, mi diceva: — A legger quell’ordine, stupii dentro di me. Come io colonnello scendere con i primi reparti? E com’è difeso il capo del reggimento? È contro le regole. Ma appena fui a terra, capii quanto giusto fosse l’ordine del generale, perchè subito avevo sotto mano tutti i miei soldati via via che [p. 183 modifica]scendevano, e tutti, prima di scendere, erano già affidati dalla mia presenza in terra. — Il generale Ameglio ha questo suo modo di vedere intorno all’italiano e all’arabo e al come il primo si deve far combattere contro il secondo. — L’arabo dà la vita non curandola, spesso ignorando anche il pericolo. Non è valoroso, è delirante. L’italiano conosce il pericolo ed ama la vita; la dà per maggiore, per vero valore. Regola, troncare gli indugi: non continuare a farlo schioppettare, ma portarlo subito sotto all’arabo a testa bassa, e allora un mangiatore di cipolle si troverà di fronte a un mangiatore di carne tanto più forte e soccomberà. — È esatto e geniale.

Le operazioni di Giovanni Ameglio, in Libia e nell’Egeo, hanno tutte quante un’impronta, l’impronta che gli italiani chiamano appunto garibaldina, almeno per la rapidità: sono ardite, rapide, esatte, concludono al fatto compiuto. Le Due Palme furono concepite, ordinate, eseguite in due ore. Aiutato da un capo di stato maggiore di cui non so precisare nessuna virtù, ma in cui c’è la stoffa, son certo, d’un generale eccellente, dal maggiore Mombelli, il generale Ameglio seppe fare di Psithos un piccolo poema militare perfetto, piccolo capolavoro perfetto, che s’inizia e si compie nel giro di cinquantadue ore. [p. 184 modifica]

Ciò accade perchè l’Ameglio ha tanto chiara e pronta la visione di ciò che deve fare, quanto ha serio e ostinato il sentimento che ciò che si deve fare, si deve fare: il sentimento del dovere. A Psithos si riuscì, non dico per il combattimento che fu piccolo, ma per la marcia e tutta l’azione che furono grandissime e al disopra delle forze dell’uomo; a Psithos si riuscì, soprattutto perchè il generale Ameglio volle che si riuscisse; e volle perchè ebbe lucida la visione che bisognava riuscire a quel modo, e non altrimenti, e lucido il sentimento del dovere, che era dovere riuscire. Egli fu ostinato. Questa ostinazione di carattere terribile e religioso sta al centro della battaglia di Psithos che fu eroica e sovranamente bella pur senza strage. Vidi, come già narrai, questa ostinazione del generale Ameglio, questa volontà che portò tutti, perchè andare bisognava, salire bisognava, guadagnare la cima bisognava, circondare, combattere, vincere, catturare bisognava; altrimenti nella minuscola Rodi si sarebbe scatenata la guerriglia che si teme nell’immensa Libia; vidi questa ostinazione del generale Ameglio, questa volontà che fu la forza di tutti via via che le forze di tutti venivano a mancare, questa forza che col comando si partecipava, la vidi sulla faccia stessa delle rocce. Venne [p. 185 modifica]un ufficiale superiore e disse: — Generale, quel battaglione non ne può più! — Il generale rispose: — Alle quattro voglio essere a Psithos. — E accennò avanti. Questo rappresentò sulle rocce indimenticabili di Rodi un generale italiano, per se stesso, perchè anch’egli dette quanto agli altri chiese, per i suoi ufficiali e soldati: un mirabile organismo nel quale e attraverso il quale il sentimento del dovere si trasformò nella stessa forza per compiere il dovere, superato lo sfinimento.

Tale è il tesoro scoperto dalla guerra.

Ma io lo celebro soprattutto per il suo amor di patria. Non ho avuto mai, ripeto, la fortuna di vedere il generale Ameglio sul campo di battaglia, e soltanto nel racconto de’ suoi testimoni ho visto la veemenza con cui porta gli uomini. Ma più volte ho avuto la fortuna di vedere un’altra veemenza in lui che è sorella gemella della prima, congenita, della stessa sorgente: quella con cui egli parla dell’Italia, dell’avvenire d’Italia. L’amore della patria ha in Giovanni Ameglio la sua espressione più bella, quella della fede sicura, senza ombra di dubbio, nell’avvenire della patria. In questo amore e in questa fede l’italiano e il soldato fanno tutt’uno, e si avverte che il soldato è soldato perchè italiano, e la professione dell’armi [p. 186 modifica]diventa missione. La fede d’Ameglio nell’avvenire della patria! Una volta parlavamo insieme di guerre future che inesorabilmente saranno combattute e a cui forse nè lui nè io assisteremo, ed eravamo d’accordo sul nemico e sulle ragioni. Ma io sentivo nella sua voce il cuore balzargli come durante i combattimenti da lui condotti, sul primo mostrarsi della vittoria: egli vinceva quelle guerre che non vedrà, le guerre della grande patria italiana, fatta tanto più grande nell’avvenire che non può mancare. Ho sentito una volta a un pranzo che gli fu offerto, la sua fede che si confonde col presente, tanto è sicura, diventare la sua maschia eloquenza di soldato, impetuosa e spezzata. Un bravissim’uomo che gli è devoto, aveva ricordato in un brindisi le vittorie del generale Ameglio, e questi, uomo d’azione, di fatti, rese omaggio alla virtù dell’animo, della fede, dell’idea, ed esclamò: — I fatti non mancano, quando l’anima è forte e l’idea è grande! — E Giovanni Ameglio voleva dire l’anima forte nell’amor di patria e l’idea grande, cioè, l’idea della grandezza della patria.

È superfluo aggiungere che un tal generale ama i suoi soldati. Li ama, questo terribile Ameglio che ordinò la marcia di Psithos, come figliuoli, perchè gli sono vicini, e perchè vede in loro i figliuoli d’Italia, e perchè [p. 187 modifica]vede in loro i piccoli operai della grandezza d’Italia. Li ama e li stima, d’un amore e d’una stima che grazie a Dio nella Libia e nell’Egeo ho ritrovati molto diffusi presso gli ufficiali superiori e inferiori per i loro soldati, non nei discorsi di conversazione, il che non è nulla, ma come sentimento profondo degli animi, il che è tutto. Guai a chi tocca i soldati italiani! Il generale Ameglio diventa furente. Una volta gli raccontai di aver letto qualche ora prima un giudizio d’un generale straniero sui nostri soldati. Quel giudizio non era affatto sfavorevole, ma non era pieno, almeno quale l’Ameglio l’avrebbe desiderato; talché lo vidi balzare in piedi ricoprendo d’improperii lo straniero che è pure glorioso, e celebrando le virtù dei soldati italiani, la loro sobrietà, la loro docilità, la loro affezione, la loro forza di resistenza, il loro coraggio nei combattimenti: dei suoi soldati di Psithos, di Rodi, delle Due Palme, della Giuliana, de’ suoi soldati d’Eritrea, di tutti i soldati italiani che hanno combattuto sin qui, e di quelli che combatteranno domani.

I lettori sanno quanto il generale Ameglio sia amato dai suoi soldati assuefatti ad acclamarlo vittorioso. Egli è veramente amato da tutti. È il solo uomo che ho trovato in vita mia e del quale posso dir questo: in [p. 188 modifica]un mese che ho passato a Rodi, per quanto egli sia preposto a molte cose civili e militari, non ho sentito mai parlar male di lui da nessuno.

È amato, perchè ama. Come il generale Ameglio nei combattimenti trascina perchè va, così poi è amato perchè ama. Su tutto, su quante virtù gli si possano enumerare e celebrare, sta ancora una virtù maggiore: sta il grande cuore d’Ameglio. Da principio, quando non si conosce, si sospetta della cordialità di questo siciliano ligure, perchè tanta è e così pronta che non vi par sincera, Ma poi vi accorgete che è sincera quella cordialità fiduciosa che lo fa parer simile ad un fanciullo. La natura che confonde i maldicenti e i logici, ha voluto dare in Giovanni Ameglio il modello d’un tipo di grandi soldati, non rari: terribili e gran cuore di fanciulli. Il che prova ancora che la virtù della guerra non nasce dall’odio, ma da un grande amore.