Storia della controversia di Fra Girolamo Savonarola coi Frati Minori

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Augusto Conti/Dionisio Pulinari

1871 Indice:Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871).djvu Archivio storico italiano 1871/Storia Storia della controversia di Fra Girolamo Savonarola coi Frati Minori Intestazione 16 novembre 2017 75% Da definire

Questo testo fa parte della rivista Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871)
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STORIA DELLA CONTROVERSIA


di


FRA GIROLAMO SAVONAROLA


COI FRATI MINORI





Della Cronaca che in buona lingua del cinquecento scrisse il padre Dionisio Pulinari, non anche stampata, e della quale ho avuto una copia in mano, trascrissi alcune pagine, ov’egli racconta le controversie de’ suoi Frati Minori con Fra Girolamo Savonarola e il cimento del fuoco. Mi sembrò narrazione viva, e che dia lume a que’ tempi; e imparzialità pubblicarla io, che onoro la memoria del Savonarola. Dalle cronache di Fra Mariano da Firenze, testimone de’ fatti e morto al 1523 di pestilenza presa nel Ceppo assistendo gli ammorbati, traeva queste notizie il Pulinari; che ci avverte nel Proemio, gli scritti di Fra Mariano per buona parte andati a male. Più cose mi parvero da notarsi. Fra Girolamo non venne volentieri al cimento del fuoco, perchè allora, e sempre, i seguaci trapassano i capi, e l’errore di quelli mantengono questi per propria reputazione. Sentiamo, che il Savonarola desiderava, Fra Domenico entrasse nel rogo con l’ostia sacra, sperando che il sacramento lo salvasse dall’incendio; supposizione non ragionevole, ma ch’esclude impostura o eresia. Sentiamo, per un’altra parte, in certa malizia d’interpretazioni sulle litanie [p. 368 modifica]cantate da’ Padri Predicatori, e in qualche facezia non arguta, i vestigi di collere non pie; ma insieme, ne’ particolari tutti del racconto la persuasione d’una causa che i Frati Minori credevano giusta; sicchè abbiamo un’altra prova, che, a entrare nel vivo delle storie, la malignità umana ci apparisce men frequente o men grave ch’altri non crede. Sentiamo, poi, come la Signoria di Firenze, mancatala prova del fuoco, stanziasse a’ Frati Minori una elemosina per ventott’anni; e ciò dimostra, che fin d’allora volavano in peggio le cose del Frate, minorato d’autorità pur nell’animo de’ suoi parziali. E, infine, mi sembra documento nuovo da concludere, che il Savonarola ebbe ottima intenzione d’opporsi ad ogni corruttela di Clero e di Laicato, di vita politica e d’arti, di filosofia e di letteratura paganeggianti, prevedendo, com’ogni animo retto poteva prevedere, per tali corruttele la confusione della Cristianità e la servitù d’Italia; ma certamente poi, la veemenza dell’animo lo trasportava, e l’abito de’ comuni scaltrimenti lo seduceva, tantochè non mancarono apparenze vane da calunniarlo fraudolente od eretico, lui che il Machiavelli diceva doversene parlare con riverenza.



Fra Mariano pone qui la controversia che fu in Fiorenza in fra noi e li Padri di San Domenico per rispetto di Fra Girolamo da Ferrara sovvertitore della Città, per rispetto che incominciò in quest’anno (1496), e terminò poi nell’anno 1498, ed avanti al capitolo nostro, e però ancor io la metterò qui con più brevità che potrò, seguitando li scritti di Fra Mariano, il quale fu presente a tutte cose, et ingegnerommi ancora manco odiosamente che potrò. Dice dunque Fra Mariano, che circa li anni del Signore 1483 era in Fiorenza questo Fra Girolamo Savonarola da Ferrara, del quale dice il Volterrano nelle sue Croniche, che era uomo astuto, di [p. 369 modifica]mediocre dottrina, di facondo parlare, e di grandissima ambizione, e che simulava di essere profeta, e che egli seppe generare opinioni di sè, di santità appo di tutti. Costui un giorno pensò di comporre una predica, e provar con ragioni. che la Chiesa presto dovessi esser flagellata. Andò a predicare a San Gemignano, dove predicò due anni continui, sempre toccando di questi flagelli della Chiesa. Di poi ne predicò a Brescia, et altri luoghi della Lombardia, dove stette quattr’anni. Tornò di poi a Fiorenza, ove venuto in credito, e riputazione, fu fatto Priore di S. Marco, e lo separò dalla congregazione di Lombardia, e lo sottopose a sè stesso insieme con S. Domenico di Fiesole, e la Madonna del Sasso in Casentino. Il primo giorno d’agosto in S. Marco cominciò a predicare e leggere l’Apocalisse, cosa approposito alla sua fantasia; la quaresima poi che seguitò, predicò nel duomo, pur di questa materia, ingegnandosi di provare la sua opinione con ragioni. Vedendo poi d’essere udito volentieri, incominciò a dire d’averlo per rivelazioni di Dio; e cominciò poi a predicare contro del Papa, e contro del Clero, e contro tutti li Religiosi, e diceva che nessuno predicava la veritade, se non lui e li suoi. Comportava d’esser chiamato il vero lume; perchè li putti, quando lo vedevano comparire sopra al pulpito, melodiosamente cantavano lumen ad revelationem Gentium et gloria plebis suae Israel. Il che finito, lui incominciava a predicare. Ne fu avvisato Papa Alessandro VI, il quale per un suo breve li comandò che non predicassi più, e che egli andasse a Sua Santità, et egli non obbedì, nè andò a Roma, e non cessò di predicare, e le discordie crebbero in fra li cittadini. E quando lui andava per predicare nel duomo, andava nel mezzo di persone armate. Onde fra Domenico Ponzo, fra Michele d’Aquis, fra Giovanni Tedesco, fra Iacopo da Brescia, e fra Francesco della Puglia, nostri Frati, e Predicatori, arditamente parlavano in difesa dell’obbedienza, che si deve alla Chiesa, esclamando contro Fra Girolamo contumace, e la città era divisa e confusa. Essendo poi Fra Girolamo duro nella sua disobbedienza, il Papa li mandò nuove raggravatone, e lui manco obbedì, e scomunicato celebrava. Del che molti delli suoi si sdegnarono contro di noi; e Francesco Valori Gonfaloniere di [p. 370 modifica]Giustizia del mese di gennaio 1497 comandò a’ nostri frati che non predicassero nella Città, e li minacciò di non li lasciare entrare nella Città a far le cerche. Costui passato un anno e due mesi ignominiosamente fu morto. Il Papa vedendo la pertinacia di Fra Girolamo, mandò un breve a’ nostri Frati alli 12 di maggio 1497, comandando loro per obbedienza, che sotto pena di scomunica, che ogni giorno di festa pronunziassero per scomunicato Fra Girolamo; e tutti li suoi aderenti e fautori, e chi andava alle sue prediche, e che per modo alcuno li parlava, conversava con lui, tutti insieme voleva che fossero scomunicati e sospetti d’eresia; ma lui si fece beffe di tale aggravatola e predicava e diceva gli offìzi divini, e ministrava li Santissimi Sacramenti. Ma per paura di non esser morto restò di andare in duomo; ma in S. Marco sermoneggiava. In suo scambio, mandò in duomo Fra Domenico Fattoraccio. Di queste cose il Papa, e tutta la Corte Romana, s’alterò forte contro della Città e contro li delinquenti. E benché Messer Domenico Bonsi imbasciador de’ Fiorentini a Sua Santità scrivessi che non predicassi; anzi la domenica della settuagesima al 21 di febbraio pubblicamente predicò: del che ne fu ripreso ancora da suoi parziali, e continuamente cresceva il mormorar di lui e nel Clero e nel Popolo. E però Fra Domenico incominciò con parole solamente a offrirsi di voler mostrar segni. E fra Francesco della Puglia che predicava in S. Croce virilmente difendendo l’autorità della Chiesa Santa mostrando al popolo di Fiorenza, che egli era ingannato; e Fra Domenico si sforzava di difendere i detti e fatti loro. Onde una domenica mattina fece attaccare alle porte di S. Croce alcune Conclusioni, la prima delle quali era questa: la scomunica poco fa data contro del P. R. Fra Girolamo . è nulla; la seconda, quei che non la servano, non peccano; offerendosi di provarla con ragioni e segni soprannaturali, purché qualcheduno volessi concorrere con lui allo sperimento. Le quai leggendo fra Francesco, accettò l’invito e si offerse d’entrar nel fuoco con Fra Domenico Fattorancio solamente. Ei voleva entrare con le parole; però sì dimodo crebbero le mormorazioni, ch’egli era una grandissima mormorazione e sedizione nella Città. Onde li Signori di Fiorenza, per porre la Città in pace e quiete, furono [p. 371 modifica]sforzati di chiamare a loro ambidue li predicatori, acciò mettessero a effetto quello che avevano detto. E trovandoli pronti a far quello che avevano offerto, li fecero sottoscrivere. Fra Domenico Fattoraccio si offerse di entrare nel fuoco e si sottoscrisse col predicatore di S. Croce. Fra Francesco si sottoscrisse, e si offerse di entrarvi con Fra Girolamo, ma che con fra Domenico Fattoraccio entrerebbe un altro. Questa offerta di entrare nel fuoco non era piaciuta a Fra Girolamo, ma v’acconsentiva per mantenere la sua riputazione; purchè non v’entrassi lui, ma un altro. E li frati nostri ancora loro non volsero acconsentire che v’entrassi Fra Francesco se non con fra Girolamo. Ma offersero che con fra Domenico Fattoraccio entrerebbe un frate Giuliano Rondinelli, gentiluomo fiorentino. Questo fra Giuliano ancora lui si sottoscrisse, obbligandosi a questo. Al medesimo ancora si sottoscrisse Fra Niccolò di Giovanni Pilli. Per li Padri di S. Domenico si sottoscrissero molti frati, sotto le quali sottoscrizioni si sottoscrisse ancora Fra Girolamo facendo una lunga sottoscrizione, offrendosi sempre di dare chi entrerebbe; mai però offerendosi di entrarvi lui, anzi ingegnandosi di provare che lui non vi doveva entrare, allegando S. Giovan Gualberto, quando lui volle provare ch’el Vescovo di Fiorenza era Simoniaco, e che lui non entrò nel fuoco, ma vi fece entrare uno de’ suoi Monaci. Non credette mai fra Girolamo che fra Giuliano entrasse nel fuoco, e non entrando el nostro, el suo non era tenuto, e se pure el fosse occorso ch’el suo ci avesse a entrare, el non ce lo voleva lasciare entrare senza il Sagramento, sperando per virtù di quello el non saria offeso; e per spaventar il nostro Frate, operò che quel fuoco si facessi grande e con modo terribile, e però mandò a’ Signori della Città fra Malatesta da Rimini, acciò con loro ordinassi la forma del fuoco. Ma li nostri frati, come quei che camminavano in semplicitade di cuore non s’impacciavano di niente nè che nè come il fuoco si facessi. Pervenuto il giorno ordinato, cioè alli 7 d’aprile 1498 che fu il sabato avanti la domenica delle Palme, li Signori in quel giorno fecero uscir tutti li forestieri fuori della Città, e fecero serrar tutte le porte di quella, serraronsi ancora tutte le bocche della Piazza de’ Signori, e si prepararono i luoghi dove dovevano stare li Frati Minori e li predicatori, [p. 372 modifica]attorniati di molti soldati armati, e nel mezzo della Piazza, sopra un alto solaio di mattoni crudi e di legnasi fece un gran fuoco che metteva orrore, e spavento a chi lo vedeva, perchè era grande e orrendo. Iti questo tempo e per tutta la quaresima avanti, li frati non cessarono dell’orazioni, vigilie e discipline e pubbliche e private, quando invocando Dio in aiuto della verità in Messe solenni dello Spirito Santo e della Madonna e di S. Francesco; e quando solennemente cantando le Litanie, e quando, stando ciaschedun Frate da per sé rinchiuso in cella, si disciplinavano per infino che il Sagrestano non faceva il cenno con la campana; di maniera che pareva, che le mura insieme con li frati fussero tutte risolute in lagrime e pianti. Pervenuto finalmente il giorno, andarono tutti insieme a Santa Croce, dove giunti, dice Fra Mariano, non areresti avuto tanto orrore e terrore in tutto il mondo, quanto che averesti avuto in quella Chiesa. Qui non s’udiva se non pianti e lamenti di donne, uomini e putti che ferventemente e divotamente oravano. Finalmente andarono accompagnati da tutti li Padri Conventuali, che non ne restò in casa neppur uno per infino alla Piazza de’ Signori; andarono non processionalmente, ma tutti insieme mescolati in un mucchio, con gran comitiva di popolo, la qual cosa dice che concepiva gran compassione nelle viscere di tutti. E così pervenuti al fuoco preparato, stettero per due ore aspettando li Padri Predicatori. All’ultimo venne Fra Girolamo con li suoi frati processionalmente e con grand’ordine cantando. Avanti erano li ceroferai con la Croce parati, dipoi erano li altri frati, quasi tutti parati con tonicelle, dalmatiche, pianete, e piviali; doppo loro veniva Fra Domenico Fattoraccio che doveva entrare nel fuoco, vestito d’una pianeta d’oro sopra el semplice abito, con un gran crocifìsso in mano, dipoi Fra Girolamo vestito delle vesti sacerdotali, e portava il Corpo di Cristo nelle scomunicate mani, attorniato di una gran moltitudine di uomini e di donne, con li lumi e ceri rossi in mano. Entrati dunque nel luogo loro, cioè nella Loggia dei Signori, la quale era divisa con un muro d’assi, in una parte stavano loro, e nell’altra li frati Minori. Loro non restarono mai di cantare. In fra le altre cose quanto al coro, cantarono con alte voci ed alla distesa nel quarto tuono il Salmo 67 [p. 373 modifica]cioè exurgat deus et dissipentur inimici eius; il qual canto metteva non piccolo terrore ne’ cuori di quei che l’udivano; et il Salmo 64 Iudica domine nocentes me: e questi (salmi) due cantori cantavano solamente il primo verso, e tutti li altri Frati rispondevano li altri versi del Salmo. Indi il Salmo 43 Deus auribus nostris audivimus; e questi due cantori tutto il Salmo, e dopo ciaschedun verso tutto il coro rispondeva sempre a voce exprobantis et obsequentis, a facie inimici et persequentis. Dipoi solamente cantavano le Litanie, invocando tutti li Santi del nostro Ordine et ancora li cinque Martiri. Qui direi io, che non si dice, che quei invocassero li loro Santi, presupponendo nei loro cuori forse, che sapessero di essere scomunicati; ma si voltarono a chiamar li Santi nostri, pensando, che come alieni el non sapessero cosa alcuna della loro scomunica. Essendo pervenuti al nome di S. Francesco, lo replicarono tre volte, gridando più alto, e più di testa che potessero mai. Ma tacettero quel verso: Hinimicos Sanctae Ecclesiae; il che fu certo cosa ammirevole e notevole che da loro istessi si giudicassero per nemici e ribelli della Santa Chiesa. Ma li frati nostri stavano nella loro mansione afflitti dalla fame e dal freddo, rispondendo solamente nei loro cuori a quello che loro cantavano, amen. E molti parziali di Fra Girolamo stavano intorno a’ frati poverelli e l’affliggevano con parole villane e minaccie, riprendendoli che per la paura stavano in silenzio e che era venuto il tempo che, dichiarata la verità, sarebbero puniti delle persecuzioni fatte al Santo Profeta per invidia; ai quai nient’altro rispondevano, se non se non era lecito di orar pubblicamente dov’eran presenti li scomunicati e disobbedienti al Sommo Pontefice e ribelli di S. Madre Chiesa. Erano ancora posti nel mezzo a molti armati come agnelli fra i lupi, e quei benché mostrassero di essere posti qui in sussidio e difesa del palagio, nulladimeno se lo sperimento fussi seguito in favore di Fra Girolamo, erano le rovine de’ Frati. Ma Iddio il quale non si fa beffe dell’orazione delli umili, né dei voti de’ supplichevoli, ebbe compassione di loro, li quali puramente e semplicemente per la difesa del suo onore e per lo Stato della S. Chiesa, e per la liberazione delle anime, erano entrati a combattere disarmati avendo fidanza solamente in lui. Ed ecco [p. 374 modifica]li cuori di molti giovani li quai erano de’ più nobili e de’ più ricchi della Città, che del tutto armati sedevano sopra cavalli bardati, e ciascheduno di loro aveva otto o dieci uomini a piedi; costoro con gran strepito entrarono in Piazza in favore e difesa de’ Frati, la qual compagnia nel volgo si chiamò il Compagnaccio; e ben parve che Iddio la mandasse loro e che la fussi loro a uopo. Mentre che si facevano queste cose, tuttavia si negoziava dell’entrare nel fuoco e del modo. Onde fra Domenico Fattoraccio avuta licenza da Fra Girolamo, salendo in Palazzo, andò avanti ai Signori. Ma Fra Francesco e Fra Giuliano già più tempo avanti con alcuni altri l’avevano aspettato in Palazzo, standosi in quel mezzo nella Cappella de’ Signori ferventemente raccomandandosi a Dio. Quando Fra Domenico Fattoraccio fu giunto avanti la Signoria, un dottore de Gualterotto andò per chiamare li nostri Frati, et aprendo l’uscio della cappella e vedendo che li frati nostri erano in ginocchioni con le braccia distese a modo di Croce (come che questo modo d’orare è proprio del nostro ordine), e che oravano con molte lagrime e singhiozzi, fatto attonito e stupido, stette per buono spazio di tempo immobile e sopra di sè. Finalmente, quasi che ritornassi nei sentimenti, disse: Certo che questi frati vanno in ventate, e noi saremo distrutti e dispersi: le quai parole dinotano, che vi era de’ fautori di Fra Girolamo. E così li frati nostri andarono avanti ai Signori, dinanzi li quai essendo ambedue le parti, li frati nostri domandarono che ad ambidue fussero mutati li vestimenti; e così subito fu fatto: li Padri Predicatori ancora pregorono che lasciassero entrar Fra Domenico Fattoraccio col crocifìsso in mano; il che ottenuto, dimandorono che egli entrasse con la pianeta in dosso, e questo ancora fu loro concesso. Dissero di poi: vogliamo ancora che lui porti il Corpo di Cristo nella mano destra. Ma li nostri padri udendo questo, con grand’orrore e ruggimento, sendosi tutti raccapricciti, solamente al sentire una tanto nefanda proposta, mai vollero nè potettero acconsentire; e che erano a fare sperimento di Fra Domenico e non del Sacramento, e che questo era in vilipendio del Santissimo Sagramene, del quale loro in tutte le cose erano più che certi e nulla dubitavano. Ma se, semplicemente dissero, voi volete entrare, noi acconsentiamo, e siamo parati a sottoporci al [p. 375 modifica]tormento del fuoco; ma col Santissimo, Iddio ci guardi, che questa cosa venga nelle menti nostre, che noi vogliamo mettere a sperimento il Santissimo Sagramento. E li Padri Predicatori non volsero acconsentire che Fra Domenico Fattoraccio entrassi senza il Sagramento. Il che vedendo li Signori e conoscendo che erano stati sbeffati da Fra Girolamo, per allora licenziorono tutti. È da sapere che ciascheduna dimandita e concessione, Fra Domenico sempre scendeva di Palazzo nella piazza a Fra Girolamo, che stette sempre in ginocchioni avanti all’altare, non lasciando mai il Sagramento, e gli domandava la benedizione, el consentimento, el consiglio, e poi di nuovo saliva in Palazzo; e prolungando la cosa con tedio grandissimo del popolo che v’era innumerabile; e cinque o sei volte fece in questo modo, mettendo tempo in mezzo. E tutto il popolo stava con grandissimo desiderio, aspettando di vedere questa novitade. E benchè el venisse un gran rovescio d’acqua sulla Piazza, quanto che mai lussi stato visto, dimaniera che l’aere pareva tutto pieno di demoni, el popolo nulladimeno stava l’ermo per tutto. E così li frati stettero qui digiuni, afflitti per la fame, e per il freddo, per infino alle 22 ore del detto giorno. Ma sendo licenziati, accompagnati da gran comitiva di popolo, se ne ritornorono per insino in S. Croce; dove per li putti furono sonate le campane e li campanelli della Chiesa; e li frati cantorno il Te Deum laudamus. Fra Girolamo ancora lui tornato a S. Marco con canti et inni, sonò la campana, e così parato salendo in pulpito disse, che li frati non erano volsuti entrare. Il Papa con tutta la Corte Romana, poichè ebbe certa nuova di questo successo per suoi Brevi ne ringraziò, e Fra Francesco della Puglia e tutti li frati che stavano a S. Salvadore. E li magnifici Signori Fiorentini in pieno Consiglio della Città vinsero un partito che in tal giorno per anni 28 ogn’anno fussero pagate a’ frati nostri senz’altro stanziamento dieci scudi dal Camarlingo del Monte per una pietanza; il qual partito l’anno 1580 io che scrivo l’ho trovato fra le scritture del luogo. E tanto basti aver detto di questo Cimento del fuoco, il quale ho posto perchè cosa notevole, e perchè i frati patirono in quei tempi assai.