Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo XV

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Capitolo XV

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CAPITOLO XV.


[Anno 1849]


Missione del Lesseps in Roma. — Storia de’ suoi negoziati dal 16 al 31 maggio 1849. — Istruzioni da lui ricevute in Parigi. — Suo abboccamento col generale Oudinot. — Armistizio con Roma. — Suoi primi sdegni contro i demagoghi. — Proposizioni del 19, scartate dall’assemblea. — Stato di Roma. — Oudinot e Lesseps dichiarano il 20 essere rotte le trattative. — Riunioni di Francesi al palazzo Colonna. — Nota stravagante emessa dal Lesseps il 24 nel ritirarsi a villa Santucci. — Ne succede altra più mite. — Nuove proposizioni del 29, egualmente scartate. — Succedono a queste nuove e finali proposizioni del 31 di maggio, rigettate sdegnosamente dal generale Oudinot. — Il governo francese ritira i poteri al Lesseps e lo richiama in Francia. — Rottura dei negoziati. — Osservazioni sulla condotta incerta, ambigua e contradittoria del Lesseps.


La misteriosa missione dell’incaricato francese de Lesseps in Roma nella seconda quindicina del maggio 1849 formerà il soggetto esclusivo del presente capitolo, il quale si chiuderà con il rifiuto delle sue definitive proposizioni per parte del generale Oudinot, il suo richiamo, la sua partenza, e la rottura conseguentemente di qualunque negoziato co’ reggitori di Roma.

Esaminando con calma la missione del Lesseps, ci si presenta sotto le apparenze di una sosta, di una tregua, che diplomaticamente traducesi in sospensione di ostilità; ma o sosta o tregua o armistizio che voglia chiamarsi, essa somministrò ai Francesi i mezzi necessari per intraprendere un assedio regolare, e questo vedemmo incominciar subito dopo la partenza del Lesseps.

[p. 498 modifica]Ferdinando de Lesseps erasi procacciato una certa fama di abile negoziatore per aver saputo ricomporre a quiete la città di Barcellona, durante i torbidi che l’afflissero nell’anno 1842, nella sua qualifica di console di Francia.

Narrammo il suo arrivo nel capitolo precedente. Ora diremo che la mattina del 15, prima di giungere in Roma, erasi recato ai campo francese di Castel di Guido ch’è una terra appartenente all’archiospedale di santo Spirito, sullo stradale di Civitavecchia, distante un tredici miglia circa da Roma. Colà lesse all’Oudinot il verbale della seduta del 7 dell’assemblea in Parigi, communicogli le istruzioni ricevute dai suo governo, e lo indusse ipso facto a desistere da qualunque apparecchio guerresco.

Prima però di narrare ciò che fece il Lesseps in Roma in esaurimento della sua missione, gioverà indagare dagli atti del governo francese qual fosse lo spirito che lo animava, quali le vere intenzioni che prevalevano in quel tempo.

Ci sembra incontestabile che non tanto il ristabilimento del papato e l’annientamento dei principio repubblicano in Roma agisser nell’animo de’ ministri francesi, o di chi dava a loro l’impulso, quanto il fermo proposito d’impedire che gli Austriaci, i quali come trionfatori del Piemonte avevano ripreso il loro impero in Italia, venisser riacquistando la perduta influenza nella penisola. Chi volesse malignare, dir potrebbe che la impresa santa e cavalleresca era aiutata da ciò che chiamasi gelosia di mestiere. Questa infine vi ebbe la sua parte. Interessava pure al governo di Francia, figlio di una repubblica professante i grandi principi dell’89, che le conquiste del viver civile e le franchigie ottenute dai popoli scampassero da un completo naufragio, frangendosi alli scogli di una restaurazione assolutista. Tutto ciò, oltre all’essere plausibile e ragionevole, risulta dalle istruzioni del ministro degli affari esteri date al Lesseps.1 Il Lesseps dunque avrebbe dovuto [p. 499 modifica]salvare, come suol dirsi, capra e cavoli, ristabilire in Roma un governo più regolare, impedire riazioni violente, opporsi al ritorno del pretto assolutismo.

Diceva il presidente del Consiglio spiegando nella seduta del 9 maggio l’oggetto della missione affidata al Lesseps: «Io vi dichiaro che fintanto che avrò in mano una parte del potere in questo paese, le armi della Francia non serviranno a restaurare abusi impossibili2 E soggiungeva: «Egli è partito con la raccomandazione espressa di mettersi immediatamente in comunicazione col governo, di tenerlo al corrente, giorno per giorno, di tutti gl’incidenti che possano sopraggiungere, e con V istruzione formale d’impiegare tutta l’influenza che può avere per far uscire dal nostro intervento garanzie serie e reali di libertà per gli Stati romani.3

Nelle istruzioni rimesse al Lesseps dal ministro degli affari esteri tra le altre cose dicevasi:

«Lo scopo che ci proponiamo è nel medesimo tempo di sottrarre gli Stati della Chiesa all’anarchia che li desola, e d’impedire che il ristabilimento di un potere regolare siavi attristato ed anche compromesso in avvenire da una cieca reazione. . . . . . . Bisogna che vi astenghiate da tutto ciò che potrebbe dar luogo agli uomini investiti in questo momento, negli Stati romani, dell’esercizio del potere, di credere o di far credere che li consideriamo come un governo regolare, ciò che loro darebbe una forza morale di cui sono stati fino ad ora sprovvisti. Bisogna, negli accomodamenti parziali che voi potrete concludere con loro, evitare ogni parola, ogni stipulazione capace di risvegliare le suscettibilità della Santa Sede e della conferenza di Gaeta, troppo facili a credere che noi siamo disposti di fare buon mercato dell’autorità e degli interessi della corte di Roma.»

[p. 500 modifica]Terminavano le dette istruzioni come segue:

«Non ho bisogno di raccomandarvi che tenghiate col Generale Oudinot rapporti intimi e fiduciosi, assolutamente necessari al buon successo della impresa alla quale voi siete chiamati a concorrere insieme.



Lo stesso ministro poi inviava il 10 maggio al generale Oudinot un dispaccio telegrafico così concepito:

«Fate dire ai Romani che non ci vogliamo congiungere coi Napoletani contro di loro. Andate negoziando nel senso delle vostre dichiarazioni. Vi s’inviano rinforzi, attendeteli. Cercate di entrare in Roma, d’accordo con gli abitanti, o, se siete forzato di attaccare, che ciò sia con la probabilità di successi i più positivi.»4

Ora che abbiam fatto conoscere le istruzioni ricevute dal Lesseps, istruzioni che costituiscono il mandato da lui ricevuto, per metterei a portata di giudicare se quelle si attenne, ovvero se ne allontanò, incominciamo a narrare ciò che fece dal momento del suo arrivo in Roma.

Come già dicemmo nel capitolo precedente, egli vi giunse in compagnia dello Accursi:5 questo peraltro vien taciuto dal Lesseps il quale parla in vece del suo esservi giunto in compagnia del signor de la Tour d’Auvergne.

La prima impressione subíta dal Lesseps fu quella che Roma era sul piede di decisa resistenza, e ne scrisse in proposito al generale Oudinot.6

L’armistizio convenuto coll’Oudinot fu portato in cognizione del pubblico il giorno 17 soltanto.7

[p. 501 modifica]È inutile il dire come appena arrivato il Lesseps in Roma si facessero una premura tutti gli uomini di governo, o quelli impiegati nei maneggio di pubblici affari, di avvicinarlo, lodarlo e con ogni sorta di lenocini tirarlo a loro. Però dagli uomini del movimento in fuori, altri non vide, nè si curaron di vederlo; chè è cosa solita nei paesi in istato di rivoluzione il partito trionfatore essere quello che parla, scrive, agisce, in tutto si mischia, e su tutto porta il «peso della sua influenza. Il partito manomesso, al contrario, ch’è sempre il più numeroso, cerca di salvar la pelle, bada a’ propri affari, non piatisce, non blatera, e se a propria salvezza è d’uopo illuminar la casa, pagare nuovi tributi, somministrare l’obolo per la colletta, vi si adatta sommessamente, nè cura di altro; se devoto crede, e se pure la fede noi consola nella comune sventura, lo allieta il balsamo della speranza. Abbiamo detto per tal modo chi vide e chi non vide il Lesseps.

Diede però il Lesseps saggio di molta fermezza nei primi giorni, e parve tenere esclusivamente per la Francia, poco o nulla mostrandosi tenero pe’ repubblicani romani.

Parve in una parola simpatizzare cogli uomini di parte mezzana, poco o nulla per gli avventati, sebbene in quei momenti non fosse sì agevole il discernere gli avventati sinceri dai simulatori di esaltazione, perchè esaltati compari van tutti.

E come se gli porse una favorevole occasione di appalesare i suoi sentimenti, non se la fece fuggire. Lesse un articolo nel Contemporaneo del 19 maggio 8 (che era il giornale del demagogo Sterbini), oltraggioso all’onore del generale Oudinot, e ue fu nauseato siffattamente, che se ne richiamò al triumvirato e fece inserire il suo richiamo nel Monitore romano del 19. Esso diceva così:

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   «Le ministre plénipotentiaire de la République française, en mission à Rome, déclare que le fait annoncé par le Contemporaneo du 18 mai 1849, ayant pour titre Condotta di Mr Oudinot, est une infame calomnie.    «Il ministro plenipotenziario della Repubblica francese, in missione a Roma, dichiara che il fatto annunciato dal Contemporaneo del 18 maggio 1849 (doveva dire del 19), avente per titolo Condotta del signor Oudinot, è una infame calunnia.
   » Rome le 18 mai 1849,
» 9 heures et 1/2 du matin.

   » Ferdinand de Lesseps
   » Roma li 18 maggio 1849
» 9 ore e 1/2 del mattino.

   «Ferdinando di Lesseps


Oltre di ciò fece tirare e distribuire un quattro o cinque mila copie della detta dichiarazione. Tutto questo denotava ben altro che simpatia pei demagoghi ch’erano nemici furenti del nome francese.

Intanto, essendo nelle intenzioni delle due parti di venire se fosse possibile ad una composizione, erano stati eletti tre commissari dell’assemblea per trattare col Lesseps. I quali nella seduta del giorno 19 di maggio riferirono un progetto di convenzione proposto dai medesimo, e preceduto da una sua lettera.

Ecco il testo della convenzione e la risposta dell’assemblea riferite dal Monitore: 9

«l.° Gli Stati romani reclamano la protezione fraterna della Repubblica francese.

«2.° Le popolazioni romane hanno il diritto di pronunciarsi liberamente sulla forma del loro governo.

«3.° Roma accoglierà l’armata francese come un’armata di fratelli. Il servizio della città si farà unitamente colle truppe romane, e le autorità civili e militari romane funzioneranno a seconda delle loro attribuzioni legali.

[p. 503 modifica]» Queste proposizioni recate all’Assemblea ebbero dopo breve discussione la seguente risposta adottata all’unanimità.


» Repubblica Romana

» In nome di Dio e del Popolo.


» L’Assemblea col rincrescimento di non poter ammettere il progetto dell’Inviato straordinario del Governo francese, affida al Triumvirato di esprimere i motivi, e di proseguire quelli uffici che riescano a stabilire i migliori rapporti fra le due Repubbliche.

» Roma li 19 maggio 1849.

» Il presidente
» C. L. Bonaparte
» I segretari
» FabrettiZambianchi
» PennacchiCocchi


Il rifiuto dell’assemblea venne notificato con circolare dal triumvirato sotto lo stesso giorno.10

Secondo dunque l’atto di sopra riportato, i Romani riconoscevano per fratelli i Francesi in campagna, ma in città riguardavano come nemici.

Sarebbe però ridicolo di parlar seriamente della volontà dei Romani. Roma, come abbiamo replicate volte esposto, era caduta sotto l’impero della più esclusiva tirannia: Mazzini era tutto, regolava tutto. Egli era in trono, papa, re, negoziatore, legislatore, cospiratore supremo, e tutto e tutti a’ suoi ordini obbedivano.

Nel triumvirato era incarnato tutto il governo, e del triumvirato era corpo, anima e vita completa il Mazzini genovese.

[p. 504 modifica]1.° Inoltre l’assemblea constava tutta intiera di Romagnoli, Marchegiani, Umbri, ec. I Romani eran quattro o cinque soltanto.

2.° Il comando militare si componeva quasi tutto di forestieri di tutte le nazioni d’Europa.11

3.° Genovese era il ministro della guerra Avezzana, e genovese pure o nizzardo il general Garibaldi, ch’era il nerbo principale dell’armata, l’impulso e il sostegno dello spirito militare.

4.° Le finanze sia che si riguardi al Manzoni ministro, ch’era di Lugo, o al comitato di finanza trasfuso in Costabili, Brambilla e Valentini, non eran certamente sotto l’impero dei Romani.

5.° Il ministero di grazia e giustizia avea Giovita Lazzarini, di Forlì, alla testa.

6.° Quello dell’interno Berti Pichat, bolognese.

7.° Bolognese pure il Rusconi ministro degli esteri.

8.° Di Romagnoli, Marchegiani, e Lombardi era la commissione delle barricate.

9.° Formicolavan di Romagnoli, Lombardi e Napolitani i circoli e le congreghe.

10.° Un Romagnolo era alla testa del giornale l’Indicatore (il Rebeggiani), un Parmegiano (il Gazola) ed un Calabrese (il Miraglia) conducevano il Positivo . Genovesi e Lombardi gli scrittori dell’Italia del popolo. Il Friulano (dall’Ongaro) dirigeva la compilazione del giornale officiale, il Monitore romano. Un Anconitano (il Borioni) era allora lo scrittore del Don Pirlone. Si leggano i nomi degli scrittori del Contemporaneo, ch’eran molti, e non vi si rinverrà un sol nome romano. Il Mamiani (di Pesaro), il Farini (di Russi) ed il Gennarelli (delle Marche) dirigevano la Speranza dell’epoca.

11.° Delegavasi per fino ad un Napoletano, il Saliceti di dettare la costituzione della romana repubblica.

[p. 505 modifica]Ov’eran dunque i Romani che comandavano, volevano e deliberavano? Noi li vediamo obbedire curvato il collo (salvo piccole eccezioni) ad una accozzaglia cosmopolitica, simile a quella della babelica torre; nè mancò di fatto la confusion delle lingue, perchè in quei tramestio di genti diverse, fra tanti accenti e dialetti svariati, non riconoscevi più la lingua del bel paese che il mar circonda, e l’Alpe, ma pareati invece sentirti aspramente rintronate le orecchie, siccome cantò Dante, da


«Diverse lingue, orribili favelle,
» Parole di dolore, accenti d’ira,
» Voci alte e fioche, e suon di man con elle.»12


Ritornando ora al Lesseps diremo che andate a vuoto le prime proposte di accordi fra le due repubbliche, si esacerbaron per un momento gli umori. Il Lesseps ne parve sdegnato, e forse lo fu realmente. Diciamo parve per lasciarci aperta la strada: imperocchè non è il primo caso in diplomazia che il portato delle parole non rappresenti la verace espressione dell’animo.

Fu conseguenza di questi sdegni veri o esagerati lo aver fatto rialzare subito all’albergo di sua residenza (Hotel d’Allemagne) la bandiera francese,13 e fattala pure rialzare nei palazzo Colonna ov’era la legazione di Francia. Si disse perfino che cogitabondo e sospettoso indossasse la francese uniforme, per non volerla più togliere, e quasi che volesse imporne. Si disse pure che severamente redarguisse taluni Francesi i quali vennegli riferito essersi battuti contro i loro nazionali il 30 aprile. Ei parve in somma che dimesse le apparenze conciliative, assumesse [p. 506 modifica]un contegno risoluto e severo, e quel che più monta, alla romana repubblica ostile.

Combinatosi quindi col generale Oudinot, volle che mediante un atto officiale da comunicarsi ai rappresentanti o ai consoli delle varie potenze in Roma residenti, venisse legalmente a conoscersi il triste risultato delle sue pratiche coi reggitori delle cose romane.

Questo atto non venne inserito nè nel giornale officiale, nè in verun altro giornale. Fu una rottura di negoziati, uno sdegno momentaneo, al quale non volle darsi pubblicità. Ne parlano però, e lo riportano tanto il Farini, quanto il Torre nelle loro storie. Noi però ne possediamo l’originale sottoscritto da entrambi, l’Oudinot ed il Lesseps, e dall’originale lo trascriviamo ch’è è in lingua francese, contraponendovi la traduzione italiana:


Testo francese. Traduzione italiana.
  «Nous soussignés, Oudinot de Reggio, Général de division, commandant en chef le corps expéditionnaire francais de la Méditerranée,
  » Et Ferdinand de Lesseps, Envoyé extraordinaire et Ministre plénipotentiaire de la République francale, en mission à Rome:
  » Vu la déclaration fai te, le 19 mai 1849, à deux heures de relevée, à messieurs les Commissaires de l' Assemblée constituante romaine;
  «Noi sottoscritti, Oudinot di Reggio, Generale di divisione, comandante in capo il corpo di spedizione francese del Mediterraneo,
  » E Ferdinando di Lesseps, Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario della Repubblica francese, in missione a Roma;
  » Visto la dichiarazione fatta, il 19 maggio 1849, a due ore antimeridiane, ai signori Commissari dell’Assemblea costituente romana;
[p. 507 modifica] [p. 508 modifica]
  » Vu le projet de convention contenant les dernières modifìcations admissibles accordées à la demande des dits Commissaires romains, lequel projet devait ètre accepté ou rejeté à la fin de la mème journée; » Visto il progetto di convenzione contenente le ultime modificazioni ammissibili accordate a richiesta dei detti Commissari romani, il qual progetto doveva essere accolto o rigettato alla fine della stessa giornata:
» Attendu qu’une lettre adressée, au dernier moment du délai fixé, annonce que l’Assemblée romaine n’a pas cru devoir donner son adhésion aux propositions; » Atteso che una lettera indirizzata, nell’ultimo momento del termine fissato, annunzia che l’Assemblea romana non ha creduto di dover dare la sua adesione alle proposizioni;
» Déclarons que les négociations sont rompues et qu’il ne reste plus aux soussignés qu’à veiller à la sùreté et aux intéròts de leurs nationaux résidant à Rome. » Dichiariamo che le negoziazioni sono rotte e che non resta altro a fare ai sottoscritti se non che vegliare alla sicurezza ed agli interessi de’ loro nazionali residenti in Roma.
» En foi de quoi la présente déclaration a été signée au quartier général du corps expéditionnaire de l’armée francaise de la Méditerranée; des copies en seront transmises à l’Assemblée constituante romaine et aux triumvirs, ainsi qu’à messieurs les représentants des puissances étrangères, afìn qu’ils puissent, s’ils le désirent, faire jouir leurs compatriotes des mèraes avantages qui sont réservés aux Français. » In fede di che la presente dichiarazione è stata sottoscritta al quartier generale del corpo di spedizione dell’armata francese del Mediterraneo; ne saran trasmesse copie all’Assemblea costituente romana ed ai triumviri, come ancora ai signori rappresentanti delle potenze straniere, affinchè possano, se lo desiderano, far godere a’ loro compatrioti gli stessi vantaggi che sono riservati ai Francesi.
» Le vingt mai mil huit cent quaranta neuf, à deux heures du matin. » Il 20 maggio 1849, a due ore del mattino.

» Le Général Oudinot de Reggio, » Il Generale Oudinot di Reggio,
» Ferdinand de Lesseps » Ferdinando di Lesseps14


In seguito ed analogamente al detto atto si convocò il 21 una riunione di tutti i Francesi al palazzo Colonna, residenza dell’ambasciata e della cancelleria francese. Vi si recarono il direttore dell’accademia di Francia, gli alunni e molti altri. Il signor de Gerando fece apprestar loro un déjeuner, e quindi interpellò tutti se volessero restare o partire, nel qual caso avrebbero ottenuto protezione, e quelli che ne abbisognassero, sussidi pecuniari.

Nello sciogliersi però della riunione s’intesero grida di viva la repubblica romana. — Il Lesseps comparve in questa prima riunione.15

Altra riunione ebbe luogo uno o due giorni dopo, ma il Lesseps intimorito dalle vociferazioni del 21 si finse indisposto e scomparve, e parlò in sua vece il principe de la Tour d’Auvergne. Rincrebbe infinitamente agli uomini di carattere turbolento, i quali avrebber voluto disfogarsi col Lesseps, di non averlo ivi trovato, e tre di questi in uniforme di guardia nazionale si abbandonarono ad ogni sorta di provocazioni contro il medesimo. 16 Pare perfino che [p. 509 modifica]alcuni fanatici attentassero alla sua vita. Un Francese anzi venne arrestato e rinchiuso in segreta.17

Riprese le trattative, sembra che non conducessero ad alcun risultato soddisfacente. Allora il Lesseps adottò il partito di spedire un rapporto a Parigi sul suo operato, per mezzo del La Tour d’Auvergne, e si ritirò il 24 al quartier generale a villa Santucci. Colà venne discusso con tutti i generali se fosse provvido o no di attaccare i Romani. Il Lesseps si oppose, volendo prima rinforzi. Alcuni generali avrebber voluto operare subito. Prevalse però generalmente il partito di attendere.

Prima peraltro di ritirarsi da Roma, diresse il Lesseps all’assemblea tale una nota, che noi qualificheremo da originalissima, per non dirla stravagante. Eccone il tenore:


«Signori Presidente, Vice Presidente, e Membri
» dell' Assemblea Costituente Romana.


» Ore 6 e 1/2 pomeridiane.

» Nella gravità delle circostanze e nel momento che va a terminarsi fatalmente una crisi che abbatterà o rialzerà per sempre la bandiera italiana, mi è imposto un ultimo dovere; quello di far conoscere pubblicamente la verità, come già l’ho fatta conoscere al mio governo, ed alle persone incaricate da voi ad entrare in trattative.

» Il pubblico si è troppo occupato di me, egli s’inquieta, s’agita; e gli eroici cittadini di Roma vedono bene, con quell’interesse popolare che distingue le masse, che alcuno l’inganna. Io l’uomo della pace, della verità e dell’umanità, io ho in mano la prova che sono già designato al pugnale dell’assassino come cagione dell’agitazione e dell’inquietezza pubblica; io non voglio essere un ostacolo per alcuno, e affine di lasciare al paese, [p. 510 modifica]all’Assemblea, al potere costituito, l’intiera libertà di riflettere, di discutere, e di decidere, io mi ritiro per alcuni giorni al quartiere generale dell’armata francese, da dove io veglierò efficacemente d’accordo col Generale in capo alla sicurezza de’ miei compatriotti inoffensivi che rimangono in Roma.

» Perduta che sarà ogni speranza, verrò io stesso a cercarli se occorre, ma gridando intanto guai! guai! alla città eterna se si tocca un solo capello ad un Francese od a qualunque altro straniero.

» Mi si è domandato da ogni parte, come volete voi che vi riceviamo da amici se non ci accordate nessuna garanzia patente e pubblica?

» La forma delle nostre istituzioni, la politica poco mascherata del Paese del quale sono l’espressione e l’organo, potevano, in vista di evitare nuove complicazioni, dispensarci dal produrre questa garanzia: ma poiché è nell’interesse di tutti, di schiudere gli occhi ai ciechi, di porre i cattivi nell’impossibilità di nuocere, e di sottrarre la maggiorità sana della popolazione dall’influenza del capo che l’inganna e l’opprime, e saprebbe all’occorrenza facendo vibrare accortamente la corda patriottica, provocare uno slancio unanime pel trionfo della più detestabile fra le cause, io produrrò chiaramente questa garanzia tanto domandata, tanto desiderata dai veri Romani che, soli sarebbero perduti per la rovina del loro paese. Una simile garanzia per la quale io non temo punto nell’interesse d’una intera società, di compromettere la mia responsabilità e il mio avvenire, eccola.

» La Repubblica francese garantisce contro qualunque invasione straniera i territori degli Stati romani occupati dalle sue truppe.

» Questo articolo aggiunto alle tre proposizioni che vi sono state presentate, confonda i nostri nemici interni ed esterni, e convinca i più increduli. La sorte del vostro paese è nelle vostre mani, non mancate ai vostri [p. 511 modifica]doveri, come non vi mancheranno l’armata francese, il suo capo, ed il ministro conciliatore: non perdete un tempo prezioso; e se avete in Roma un traditore, al quale io perdono e voi perdonerete, cercatelo e lo troverete.

» Vi prego di voler continuare a mantenere sino al mio ritorno alla porta della mia abitazione la guardia d’onore, le due ordinanze a cavallo che voi vi avevate posto a protezione della nostra bandiera, a continuare le nostre comunicazioni, e per la sicurezza de’ miei impiegati!

» Vogliate aggradire, o signori, rassicurazione della mia alta stima.

» L’Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario in missione a Roma.

» FirmatoFerdinando Lesseps18


Questa stravagantissima nota non ebbe posto nel Monitore nè in alcun altro giornale favorevole al governo repubblicano, ma lo trovò più tardi in un giornale di opposizione la Speranza dell’epoca. Non fu neppure inserita nell’opuscolo pubblicato dal Lesseps in sua giustificazione, e intitolato Ma mission à Rome ec., che abbiamo citato. Forse che al Lesseps stesso rincrebbe di averla scritta. In prova di che pochi momenti dopo ne mandò un’altra, in forma di correttivo e di controveleno, di cui parleremo più sotto.

Intanto volendo dire qualche cosa della prima, domanderemo a chi si allude quando si parla del capo che inganna ed opprime la maggiorità sana della popolazione? A chi quando si parla del pugnale preparato per ucciderlo? E quel se avete un traditore in Roma cercatelo e lo troverete? In fine quel guai! guai! alla città eterna, non è egli un capo d’opera di originalità e di esagerazione? E non [p. 512 modifica]dubitino i nostri lettori, che tale ilarità produsse, che subito una spiritosa caricatura si delineò e s’inserì nel Don Pirlone. Rappresentava il magazzino del parrucchiere Fazzi chiuso con catenacci per amor della patria, perchè se il toccare, un sol capello ad un Francese avesse potuto portar la rovina della città intera, valeva meglio che i parrucchieri chiudessero i lor negozi. Ed il malheur! malheur! à la ville éternelle spiccava a grandi lettere sulla porta del negozio. E sotto la vignetta leggevasi la spiegazione spiritosa che diceva così: «Eh i parrucchieri s’intendono di francese! piuttosto che mettere la patria in pericolo, chiudono!!!» 19

La seconda nota di cui abbiam parlato, fu inviata in città nel giorno stesso 24 di maggio, ed ivi il Lesseps dopo di essersi riferito alla prima, incomincia a propinare i correttivi e le dilucidazioni. Dice fra le altre cose: «Quindi io credo utile di dirvi in proposito dell’articolo secondo che se noi non abbiamo punto parlato del Santo Padre, è che noi non abbiamo per missione d’agitare questa questione, e che dichiarando nell’articolo terzo che non vogliamo entrare nell’amministrazione del paese, noi abbiamo la ferma intenzione di non contestare alla popolazione romana la libera discussione e la libera decisione di tutti gli interessi che si riattaccano al governo del paese.

» In una parola il nostro fine non è quello di farvi la guerra, ma di preservarvi da sventure di ogni maniera che potessero minacciarvi. Voi conserverete le vostre leggi, la vostra libertà.

» Egli è falso del pari che noi abbiamo mai avuto il pensiero d’inquietare presso voi gli stranieri e i Francesi che hanno combattuto contro di noi. Noi li consideriamo tutti come soldati al vostro servizio, e se vi fossero in questa categoria di tali che non rispettassero le vostre leggi, sta a voi il punirli, perchè noi non abbiamo mai [p. 513 modifica]immaginato di distruggere con le nostre armi il vostro governo».

Questa nota sdolcinata e cortigianesca (come di chi volesse tornare in pace) fatta succedere alla priina nel giorno stesso, è così dalla prima difforme per le idee, pe’ concetti, e per le espressioni, che è ciò che noi chiamiamo correttivo o controveleno, e che ci sembra la più mite e benevola qualificazione che possa darsele.20

Quanto alla domanda che facemmo per conoscere a chi alludesse il sospetto di voler pugnalare il Lesseps, diremo che si fece innanzi il 28 maggio un certo H. Theoleyre già cognito nei fasti di quei tempi per esagerazioni repubblicane, e ce ne dette esso subito la spiegazione, mediante una lettera che pubblicò in Roma e nella quale con un viso di bronzo attribuisce al partito gesuitico la minaccia che turbava i sonni del Lesseps.21

Altre note si scambiarono nei giorni 25 e 26 fra il Lesseps da villa Santucci ed il triumvirato,22 e finalmente il 29 inviò il primo alle autorità governative ed all’assemblea nuove proposizioni per un accomodamento, concludendo che nel caso in cui gli articoli non fossero immediatamente accettati, egli avrebbe riguardato come terminata la sua missione, e l’armata francese avrebbe ripreso tutta la sua libertà l’azione.

Ecco gli articoli proposti dal Lesseps:

«Art. 1. I Romani reclamano la protezione della Repubblica francese.

» Art. 2. La Francia non contesta punto alle popolazioni romane il diritto di pronunciarsi liberamente intorno alla forma del loro governo.

» Art. 3. L’armata francese sarà accolta dai Romani come un’armata amica. Ella prenderà gli accantonamenti [p. 514 modifica]che giudicherà convenevoli tanto per la difesa del paese quanto per la salubrità (sic) delle sue truppe. Essa rimarrà estranea all’amministrazione del paese.

» Art. 4. La Repubblica francese garantisce da qualsiasi invasione straniera i territori occupati dalle sue truppe. In conseguenza il sottoscritto, d’accordo col signor Generale in capo Oudinot di Reggio, dichiara che ove gli articoli suespressi non fossero immediatamente accettati, riguarderà la sua missione come finita, e l’armata francese riprenderà tutta la sua libertà d’azione.

» Dato dal Quartier generale dell’armata francese, Villa Santucci, 29 maggio 1849.


Alle dette proposizioni venne risposto dal municipio e dall’assemblea in senso negativo.23

Il primo si limitò a dire con dignità che coerentemente alla propria istituzione ed alle condizioni del paese, non poteva prendere alcuna parte alle proposte comunicategli col foglio del 29 di maggio.24 L’assemblea poi riconoscendo nelle nuove proposizioni del Lesseps le stesse, presso a poco, ch’erano state rigettate, doveva mantenere lo stesso contegno con lui, e quindi rimettere al triumvirato il carico della risposta.25

Il termine perentorio espresso dal Lesseps con quello immediatamente ci racconta egli medesimo che andava a spirare 24 ore dopo, cioè il giorno 30 a mezzanotte.

Vedendo però il Lesseps che al campo del generale Oudinot regnava insolito movimento, ed essendosi quindi potuto accorgere che si meditava un attacco su Roma, o per lo meno contro i suoi approcci, diresse il 30 una lettera al generale del genio Vaillant colla quale respingeva [p. 515 modifica]l’idea dell’attacco immediato, facendone sentire il pericolo e la compromissione, poiché i Romani dal 30 aprile al 30 di maggio ben altre opere di difesa avevan potuto innalzare, e il numero dei combattenti a loro disposizione erasi aumentato per lo meno di un terzo. Proponeva invece d’inviare subito una divisione francese ripartendola fra Albano, Frascati e Marino, e così prevenire un accampamento di Spagnoli e Napolitani. «Noi saremo, scriveva al Vaillant, i veri padroni di Roma circondandola invece di occuparla, e il governo della Repubblica, che non desidera la nostra entrata in Roma se non siamo d’accordo cogli abitanti, vi ringrazierà un giorno di avere contribuito a far trionfare, con la saggezza dei vostri consigli, la vera, la grande politica, spoglia di tutte le piccole questioni di amor proprio personale e di vana gloriuzza.»26

Dopo di ciò il triumvirato proponeva in data del 30 i seguenti articoli d’accomodamento, sotto ciascun de’ quali riferiamo le osservazioni di Lesseps:

«Art. 1. I Romani, pieni di fede oggi come sempre nell’amicizia e nell’appoggio fraterno della Repubblica francese, reclamano la cessazione delle stesse apparenze di ostilità, e lo stabilimento dei rapporti che devono essere l’espressione di questo appoggio fraterno.»

Il Lesseps bramava conservata la compilazione più corta del progetto francese, cangiando la parola protezione della Francia, se dispiacesse ai Romani, e rimpiazzandola coll’appoggio.

«Art. 2. I Romani hanno per garanzia del loro diritto politico l’articolo quinto della Costituzione francese.»

Rispondeva il Lesseps che avrebbe voluto cassato del tutto questo articolo, perchè i Francesi non avean bisogno che i Romani rammentasser loro uno degli articoli della loro Costituzione; e quantunque rispettassero perfettamente questo articolo, non era conveniente di menzionarlo, avendo [p. 516 modifica]servito di segnale di riunione, ed essendo stato scritto sulle barricate e alle porte di Roma allorquando si tirò sui soldati francesi il 30 di aprile.

«Art. 3. L’armata francese sarà riguardata dai Romani come un’armata amica, e accolta come tale. Prenderà, d’accordo col governo della Repubblica romana, gli accantonamenti convenienti, tanto per la difesa del paese quanto per la salubrità delle sue truppe. Resterà estranea all’amministrazione del paese.

» Roma è sacra pe’ suoi amici come pe’ suoi nemici. Non entra negli accantonamenti che sceglieranno le truppe francesi. La sua brava popolazione n’è la miglior salvaguardia.»

Il Lesseps voleva tolto il secondo paragrafo di questo articolo, perchè quantunque opinasse non essere opportuno per l’armata francese di occupare, in quel momento, la città di Roma, non dovevasi dichiarare che le porte le sarebbero chiuse. Essere anche utile che, quando i commissari romani andassero al quartier generale, si offrisse al generale in capo di venire ad abitare l’Accademia di Francia ed il convento della Trinità de’ Monti, con la guardia che avesse giudicato necessaria per la sua sicurezza.

«Art. 4. La Repubblica francese garantisce contro ogni invasione straniera i territori occupati dalle sue truppe.



Quel che precede venne comunicato dal Lesseps, per mezzo del comandante Espivent, al generale Oudinot con un suo memorandum portante la data 30 di maggio.27

Ciò non piacque affatto al generale che ritornò il memorandum, dicendo di non avere avuto il tempo di leggerlo (si rifletta bene su questo), e si convenne che meglio [p. 517 modifica]sarebbesi spiegato il Lesseps a voce nella sala del Consiglio dove riunivansi i generali tutti.

Il generale Oudinot fu irremovibile nella sua determinazione di attaccare Roma,28 ed irremovibili pure furon tutti gli altri generali.29

Finalmente dopo nuovi e lunghi dibattimenti con le autorità che comandavano a Roma, il Lesseps si ricondusse in detta città dal campo la mattina del 31. Trovò i membri del potere esecutivo romano meravigliati per la occupazione del monte Mario accaduta la notte del 30 al 31.30 Il Mazzini per inesattezza in una lettera diretta al signor de Corcelles pone la detta occupazione fra il 28 e il 29.31 Inviò allora il Lesseps nuove proposte al triumvirato il quale accettolle come una necessità.32

Fu quindi sottoscritta dai triumviri e dal Lesseps la convenzione seguente:

«Art. 1. L’appoggio della Francia è assicurato alle popolazioni degli Stati romani: queste considerano l’esercito francese come un esercito amico che viene per concorrere alla difesa del loro territio.

» Art. 2. D’accordo col Governo romano, e senza immischiarsi per nulla nell’amministrazione del paese, l’esercito francese prenderà gli accampamenti esterni, tanto per la difesa del paese che per la salubrità delle sue truppe (Truppe salubri è un concetto se non ridicolo, per lo meno poco felice; ma pure così fu scritto). Le comunicazioni saranno libere.

» Art. 3. La Repubblica francese assicura da qualunque invasione straniera i territori occupati dalle sue truppe.

[p. 518 modifica]» Art. 4. S’intende che la presente convenzione dovrà essere sottomessa alla ratificazione della Repubblica francese.

» Art. 5. In nessun caso gli effetti della presente convenzione non potranno cessare che quindici giorni dopo la comunicazione ufficiale d Ila non ratificazione.

» Fatto a Roma e al Quartier generale dell’armata francese in tre originali.

» Li 31 maggio 1849, otto ore di sera.


» Il Ministro della Repubblica francese in missione
«Ferdinando Lesseps


Questa convenzione è riportata nel Monitore romano del 2 giugno.33

Tutto ciò si convenne in Roma. La data quindi del quartiere generale che si appose all’atto fu inesatta, perchè la sottoscrizione fu fatta a Monte Cavallo; si appose bensì la data del quartier generale nella speranza che il generale Oudinot avesse accettato le proposizioni.

In seguito di tale accordo fra il Lesseps e le autorità romane, parve a queste che esso dovesse porre un termine ad ogni contesa, e ristabilire in pace i due governi e le due armate. Mancava però la cosa più essenziale, cioè l’adesione e la firma dell’Oudinot; e questa fu l’ultima operazione ove l’accordo fece naufragio, e dalla quale dipese la guerra tra Roma e Francia.

Vedemmo noi stessi, recatici a tale effetto all’albergo di Alemagna in via Condotti, residenza del Lesseps, verso le 8 pomeridiane partirne in due legni il detto Lesseps [p. 519 modifica]col suo segretario Le Duc, e l’artista svizzero Veyrassat insieme col rifugiato napoletano avvocato Ciccarelli, il quale aveva conosciuto il Lesseps in Barcellona quando vi esercitava le funzioni di console di Francia. Detto Ciccarelli è quello stesso che il Campello spedì in Parigi per l’acquisto delle armi, e che poi o perchè caduto in sospetto di disonestà o d’inabilità, o per altra qualunque causa, non potè compiere il suo mandato; su di che ci riportiamo al capitolo XII sotto la data del 7 febbraio 1849.

Recaronsi tutti presso i triumviri al Quirinale, e colà venne sottoscritta la convenzione riportata di sopra, ossia le ultime proposizioni dei signor Lesseps modificate dai triumviri stessi, d’appresso il voto dell’assemblea; e sottoscritta che fu, partiron tutti pel quartiere generale.

Colà giunti, e presentate le proposizioni all’Oudinot per la sua approvazione e sottoscrizione, vi si ricusò recisamente, chiamandola una convenzione degradante per l’armata francese; ed alle perseveranti richieste dei Lesseps vuolsi pure che lo minacciasse di arresto, se avesse più lungamente insistito.

Le particolarità di questo fatto importante vennero raccontate dall’Oudinot stesso ad Alfonso Balleydier il quale le riferisce nella sua storia sulla rivoluzione di Roma.34 Egli medesimo lo affermò a noi che scriviamo.

Il contegno aspro e severo dei generale Oudinot verso Lesseps la sera del 31 maggio potrebbe sembrare inesplicabile, ove non producessimo a sincerazione dei nostri lettori una circostanza importantissima, ed è che in quella sera già doveva conoscersi al campo la destituzione o il richiamo del Lesseps, al quale era stato ritirato il mandato dal governo francese. Il Lesseps insomma era rientrato nella condizione di semplice privato. Ciò si conobbe da un ordine del giorno che l’Oudinot emise il dì seguente e nel quale dicevasi quanto appresso:

[p. 520 modifica]

«Ordine del giorno.


» Con dispacci telegrafici dei 28 e 29 maggio, i ministri degli affari esteri e della guerra informano il generale in capo che la via delle negoziazioni è esaurita negli Stati romani, che due reggimenti d’infanteria e due compagnie del genio sono imbarcate a Tolone per venire a raggiungere l’armata e prender parte alle operazioni.

» A datare da questo giorno, le ostilità riprendono il loro corso: l’agente diplomatico è richiamato in Francia.

» Villa Santucci, 1° giugno 1849.


» Il Generale, Comandante in capo''
» Oudinot di Reggio35



Questi dispacci furono comunicati è vero la mattina del 1° giugno, ma la presunzione è che l’Oudinot li conoscesse per lo meno fin dalla sera del 31. Il Lesseps sostiene alla pagina 67 del suo opuscolo, varie volte menzionato, che la sera del 31 il generale Oudinot non poteva aver ricevuto il dispaccio del 29.

Sia dunque che il governo francese, trovandosi in forza sufficiente per incominciare un assedio regolare, avesse giudicato opportuno di far cessare la’ commedia diplomatica del Lesseps, sia che la sua condotta ambigua avesse eccitato sospetti d’inabilità e di debolezza, per non dire di parzialità verso i reggitori della romana repubblica, egli è un fatto che mediante le sovraespresse istruzioni, perdendo ogni qualifica, rientrò nel puro nulla. E questi sospetti di parzialità e d’inabilità posson trovare la loro spiegazione in una corrispondenza importantissima che tenne col conte Rayneval, e che viene riportata dal Miraglia nella sua storia.36

[p. 521 modifica]Il generale Oudinot informò il triumvirato sulle cagioni del suo rifiuto di accettare le ultime proposte, dicendo così:


«Signori Triumviri,

» Dal Quartier generale il 31 maggio 1849.

» Questa mattina ho avuto l’onore di farvi sapere che io per parte mia accettava l’ultimato che vi è stato trasmesso il 29 maggio dal signor di Lesseps.

» Con mia grande sorpresa il signor di Lesseps mi reca al suo ritorno da Roma una specie di convenzione in completa opposizione allo spirito e alle basi dell’ultimato. Sono convinto che firmandola il signor di Lesseps ha oltrepassato i suoi poteri. Le istruzioni che ho ricevute dal mio governo m’interdicono formalmente di associarmi a questo ultimo atto. Lo riguardo come non avvenuto, ed è mio dovere dichiararlo senza alcun ritardo.

» Il Generale
» Oudinot di Reggio37



Il Mazzini tre giorni dopo mise tutto a cognizione del pubblico, dando una storia succinta delle particolarità che fece inserire nel Monitore. Quantunque ciò entri nel mese di giugno, che oltrepassa il periodo impostoci nel presente capitolo, pur non ostante essendo il compimento dei negoziati col Lesseps, o l’atto finale col protagonista della commedia, crediamo di trascriverlo nel presente; aggiungendo che gli originali di questo racconto (tutti di carattere del Mazzini, in numero di cinque foglietti staccati, da lui distinti co’ numeri 1, 2, 3, 4 e 5) sono nelle nostre mani, e posson vedersi nella nostra raccolta.38

[p. 522 modifica]Si legge dunque nel Monitore: 39

«Cittadini!

Ecco la lettera colla quale il Generale Oudinot manifestava il rifiuto di aderire alla convenzione pubblicata ieri.


«Corpo della spedizione del Mediterraneo
» Il Generale in capo.


» Quartier generale di Villa Santucci
» il 31 maggio 1849.


» Signori Triumviri,

» Ho avuto l’onore di farvi sapere questa mattina che in quanto a me accetterei l’ultimatum, che vi è stato trasmesso il 29 di questo mese dal signore de Lesseps.

» Con mia grande sorpresa, il signor de Lesseps mi porta, al suo ritorno da Roma, una specie di convenzione che è in una piena opposizione eolio spirito e colle basi dell'ultimatum. Sono convinto che sottoscrivendola, il signor de Lesseps ha oltrepassato i suoi poteri. Le istruzioni che ho ricevute dal mio Governo mi vietano formalmente d’associarmi a questo ultimo atto. Lo considero come non avvenuto, ed è del mio dovere di dichiaracelo senza tardare.

» Il Generale Comandante in capo
» l' armata di spedizione del Mediterraneo
» Oudinot de Reggio



A questa lettera il Triumvirato rispose affrettatamente: «veder con sorpresa e con dolore il dissenso tra il Generale e il Ministro plenipotenziario: quel dissenso essere strano; più strano poi quando riguardava una [p. 523 modifica]convenzione il cui spirito era conforme al voto dell’Assemblea francese, e alle simpatie novellamente espresse dalla sua Nazione: delle conseguenze gravi che potevano escirne non esser noi responsabili: sperare che il dissenso cesserebbe presto.»

Il signor Lesseps, al quale fu comunicata la lettera del Generale Oudinot, rispose col documento seguente:


«Missione Straordinaria
» della Repubblica Francese a Roma

» Libertà, Eguaglianza, Fratellanza.


» Signori,

» Roma il 1° giugno 1819.

» In risposta alla comunicazione che voi mi avete indirizzata questa mattina, contenente una lettera del Generale in capo dell’armata francese e la vostra risposta. ho l’onore di dichiararvi che mantengo raccomodamento sottoscritto ieri, e che parto per Parigi onde farlo ratificare. Questo accomodamento è stato conchiuso in virtù delle mie istruzioni che mi autorizzavano a consacrarmi — esclusivamente alle negoziazioni ed ai rapporti da stabilirsi fra le autorità e le popolazioni romane. —

» Vogliate aggradire, signori, le assicurazioni dell’alta mia considerazione.

» L'Inviato straordinario e Ministro
» plenipotenziario della Repubblica
» francese in missione a Roma

» Ferdinando de Lesseps



Più tardi, il Generale Roselli spedì domanda al Generale Oudinot d’un armistizio di quindici giorni fondato sulla [p. 524 modifica]utilità comune ai due eserciti, d’impedire, come per noi si sarebbe liberi una volta d’operare le nostre forze, l’inoltrarsi agli Austriaci. Il Generale Oudinot mandò a questo pure un rifiuto, e dichiarò che non solamente considerava rotta ogni tregua e libero il corso alle ostilità, ma che avrebbe assalito la città, non però prima di lunedì.

A questo punto stanno le cose nostre. Pieni di fiducia nella giustizia della nostra causa, nel diritto incancellabile dei popoli, in Dio che lo assecura, nell’energia nostra e dei nostri fratelli, noi respingeremo la forza colla forza, e trionferemo. Le baionette e i cannoni francesi non rappresentano, parte indegna della Nazione, che una forza brutale: le nostre baionette, i nostri cannoni rappresentano un’idea, un santo principio: ogni uomo tra noi difende la propria casa, il proprio onore, la propria Patria, l’eterna Roma. Resistenza e Fede! Il popolo di Francia, se conserva senso d’onore e culto di libertà, compirà la nostra vittoria.

Roma, 2 giugno 1849.


Volendo noi dire qualche cosa su questa missione misteriosa, lo faremo nell’unico scopo di alzare un lembo del velo che la ricopre tuttora. Esporremo talune riflessioni, eleveremo alcuni dubbi, e cercherem così di estricare o di porre altrui nella via di svolgere qualche parte dello strano intrecciamento di quest’episodio delle nostre storie.

Giunge il Lesseps e giunge coll’Accursi. Se il Lesseps avea per mandato di servire il suo paese, la Francia, non doveva immischiarsi con uomini di un partito dichiarato per non compromettere il suo carattere d’imparzialità. Negoziatore conciliativo e ministro fedele di chi lo rivestiva [p. 525 modifica]di questa qualifica onorevole, null’altro all’infuori del l’adempimento del mandato conferitogli doveva animarlo. Perchè dunque giungere in compagnia dell’Accursi, ch’era uomo di partito più che dichiarato? E perchè non parlarne, quasi se ne vergognasse?

E innegabile che nel complesso la sua missione non fu delle più felici: come non fu quella di lord Minto per parte dell’Inghilterra. È innegabile che in sul fine venne quasi deriso e scacciato dal generale e dai consiglieri militari. È innegabile che a Parigi la sua inquisitoria, le sue risposte, e la soluzione della specie di processo che subì, non costituiscono una delle più belle pagine per la storia di un ambasciatore straordinario, inviato da una grande nazione com’è la francese.

È innegabile che come nei primi giorni parve osteggiare i repubblicani apertissimamente, così negli ultimi sembrò fare all’amore con Mazzini e co’ suoi partigiani. E ciò quando meno si sarebbe dovuto aspettarselo, perchè contro il Lesseps si pronunziarono grida sediziose dai repubblicani esaltati, e contro di lui, secondo ciò ch’egli stesso ci dice, venivansi aguzzando i pugnali proditorii dell’assassino. Non pareva quindi essersi amicato i repubblicani, nè essi tenerlo in conto di amico. Se dunque nello esordire della sua missione palesava idee men che amichevoli pel governo di Mazzini, come può spiegarsi che ne fosse divenuto ammiratore in sul fine, quando le idee acquistate lungi dal distoglierlo, lo dovevan confermare e consolidare in quelle ripugnanze o antipatie che parve nudrire quando giunse?

Per quale concorso di fatti una sì strana metamorfosi si venne in lui operando, sicché da nemico in amico convertirsi dovesse?

Nè si creda che ciò che diciamo sia una mera nostra congettura. È in vece una verità che traspare dagli ultimi atti suoi, e ch’egli stesso ci confessa nel suo scritto, ch’è l’apologia del proprio operato, quando dice:

[p. 526 modifica] «Io temo tanto meno di far conoscere qui l’opinione che io aveva del Mazzini col quale io era allora in aperta guerra, in quanto che, in tutto il seguito dei nostri negoziati, non ho avuto che a lodarmi della sua lealtà e della moderazione del suo carattere, che gli han meritato tutta la mia stima.»40 Termina poi questo paragrafo, lodandola nobiltà de’suoi sentimenti, la sua alta capacità, il suo coraggio.

Ecco dunque il Lesseps venuto in Roma anti-mazziniano divenir poscia (stando dentro le sue mura) ammiratore fino alle midolle e settatore sviscerato del Mazzini. Se dunque questo cambiamento radicale operossi nel Lesseps, dovrem dire, a preservazione del suo onore e della sua lealtà, che di buona fede cadde nei lacci del ligure cospiratore: e ciò tornerebbe in lode della scaltrezza italiana.

Comunque si voglia, la condotta del Lesseps incerta, inesplicabile, equivoca e contradittoria dal primo sino all’ultimo, le istruzioni del governo francese ambigue e semi-sibilline, le contradizioni inoltre che appalesaronsi fra le istruzioni del generale Oudinot e quelle del Lesseps, e la divergenza d’opinioni fra questi due personaggi, unite alle contradizioni degli atti pubblici in occasione dello sbarco dei Francesi in Civitavecchia, da noi narrate nel capitolo precedente, formano della loro spedizione e delle loro negoziazioni uno degli episodi più importanti, ma nel tempo stesso più involuti nel mistero, che ci somministri la nostra storia contemporanea.

A queste contradizioni può darsi una qualche spiegazione nel modo seguente.

La Francia in quel tempo era tanto repubblicana quanto può esserlo l’imperatore del Mogol. In prova di che, con tutto il suffragio universale, dette all’assemblea una maggiorità nel senso conservatore.

Quantunque però non repubblicana, anzi aborrente in genere dalla repubblica, avendo tuttavia un governo [p. 527 modifica]repubblicano, tener non poteva un linguaggio franco ed esplicito. Da qui quel volere una cosa e doverne dire un’altra. I Falloux, i Montalembert, i Thiers, i Tocqueville eran per la restaurazione pontificia, e nel senso di restaurazione pontificia pronunziarono i loro discorsi; ma il governo conservandosi repubblicano, non poteva tenere linguaggio e assumer carattere di monarchia. Voleva esso giù la repubblica romana, ma non osava dirlo francamente. Voleva rialzare il papato, ma si peritava nel pronunziarne la parola; e così non veniva urtando di fronte il partito volteriano in Francia. Rinnegar non potendo i grandi principî dell’89, metteva in gioco il voler salvare dal naufragio le oneste libertà: e nutricando in seno cupide speranze d’influenza in Italia, facevasi bello del voler combattere il ripristinamento in essa della influenza austriaca.

Queste varie cause cospiranti è vero ad un fine medesimo, ma per vie diverse, con forze dissimili, e con iscopo non chiaramente determinato, dettero quel carattere d’incertezza, di contradizione e di semi-sotterfugio a ciò che si disse, si scrisse, e si fece in quel tempo, sul quale, col pretesser noi la storia della missione del Lesseps, abbiamo cercato di spargere, colle nostre deboli forze, qualche luce in questo capitolo.





Note

  1. Vedi Lesseps, Ma mission à Rome, mai 1849 ec, (Firenze 1849), nel vol. V delle Miscellanee, n. 14, pag. 5.
  2. Vedi Lesseps, Ma mission ec., pag. 19.
  3. Vedi Lesseps, Ma mission ec., pag. 19.
  4. Vedi Lesseps, Ma mission ec., pag. 25.
  5. Vedi D’Ambrosio, Relazione della campagna mililare fatta dal corpo napolitano negli stati della Chiesa l’anno 1849, nelle Miscellance, vol. XXI, n. 6, pag. 31.
  6. Vedi Lesseps, op. cit., pag. 25.
  7. Vedi Monitore, pag. 169. — Vedi Documenti, vol. IX, n. 67.
  8. Vedi il Contemporaneo, n. 112.
  9. Vedi il Monitore, pag. 481. — Vedi Documenti n. 70 e 72 vol. IX.
  10. Vedi Monitore, pag. 485.
  11. Vedi la data del 27 di aprile nel capitolo precedente.
  12. Vedi Dante, Inferno, canto III.
  13. Vedi Monitore, pag. 481.
  14. Vedi Autografi di personaggi politici, n. 49. — Vedi Farini, vol. IV, pag. 10S. — Vedi Torre, vol. II, pag. 80.
  15. Vedi il Monitore, pag. 490. — Vedi la Pallade, n. 546. — Vedi Documenti, vol. IX, pag. 2, n. 73.
  16. Vedi Lesseps, op. cit. pag. 33.
  17. Vedi Lesseps, ivi.
  18. Vedi Speranza dell’epoca del 2 giugno, pagina seconda. — Vedi l’Avvenire di Firenze del 30 maggio, nel volume contenente un numero di maggio dei giornali italiani. — Vedi Sommario storico ec., vol. II, pag. 219.
  19. Vedi il Don Pirlone, n. 214.
  20. Vedi Speranza dell’epoca del 2 giugno, pagina seconda. Vedi Sommario storico, ec., vol. II, pag. 222.
  21. Vedi Monitore, pag. 517.
  22. Vedi detto del 28 maggio, pag. 511 e 512.
  23. Vedi Monitore, pag. 524.
  24. Vedi detto.
  25. Vedi detto.
  26. Vedi Lesseps, Ma mission ec., pag. 45.
  27. Vedi Lesseps, op. cit., pag. 16, 17, 18 e 19.
  28. Vedi Lesseps, op. cit., pag. 49.
  29. Vedi Miraglia, pag. 240.
  30. Vedi Vaillant, Siege de Rome ec., pag. 21 — Vedi l'Album del 22 settembre, pag. 243. Vedi Documenti, vol. IX, n. 95.
  31. Vedi Documenti, vol. IX, n. 95.
  32. Vedi Lesseps, opera citata, pag. 53.
  33. Vedi Monitore del 2 giugno, pag. 533. — Vedi Documenti, vol. IX, n. 87 e 88
  34. Vedi Balleydier, vol. II, pag. 187, 18S e seguenti.
  35. Vedi Documenti, vol. IX, n. 89. — Vedi Miraglia, pag. 242. —
    Balleydier, vol. II, pag. 192. — Vaillant, pag. 20.
  36. Vedi Miraglia, ptg. 220 e seguenti.
  37. Vedi Miraglia, pag. 242.
  38. Vedi Autografi di personaggi politici, dal n. 29 al 33.
  39. Vedi il Monitore, pag. 507.
  40. Vedi Lesseps, op. cit, pag. 37.