Storie fiorentine dal 1378 al 1509/XXIX

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RAPPORTI DI FIRENZE CON PISA E LUCCA
COSIMO DE’ PAZZI ARCIVESCOVO DI FIRENZE (1508)


1508. Seguitò lo anno 1508, nel principio del quale essendo posate le cose dello imperadore si entrò in consulta di dare el guasto a’ pisani, el quale l’anno dinanzi non si era dato, ed essendosene fatta pratica ne’ dieci tra e’ primi cittadini, furono quasi tutti di parere che non si dessi. Allegavanne piú ragioni: l’una, che questo come si era veduto con effetto, se bene aveva recato difficultà a’ pisani, non ci aveva però data Pisa, perché non mancava tuttavia chi gli aiutassi; l’altra, che gli era da credere che el re di Francia per averci veduti inclinati alle cose dello imperadore, ed e’ viniziani per lo antico odio verso la città e la ambizione di farsi signori di Italia non sarebbono contenti che noi avessimo Pisa; e però come intendessino che noi la strignessimo, non mancherebbono di dare loro aiuto, e forse sí potente, che noi entrerremo in qualche difficultà e tireremoci adosso qualche cattivo umore. Ed era forse ancora in qualcuno, benché non lo allegassino apertamente, entrato scrupulo di conscienzia, perché questo conduceva molti villani in tanta estremità, che le famiglie di molti, e massime le donne, ne capitavano male.

Questo era el parere de’ piú savi cittadini; da altra parte el gonfaloniere, che sempre fu caldo a ogni impresa di Pisa, era di contraria opinione, e vedendo che nelle pratiche strette non era ordine a condurla la messe negli ottanta con una pratica larga, dove da principio si rimessono al parere de’ piú savi, il che non satisfaccendo al gonfaloniere, non cessò mai di riproporla e sollecitarla, in modo che a ultimo si fece deliberazione che si dessi. Aiutoronlo assai a tirare questa pratica le lettere di Niccolò di Piero Capponi, el quale essendo commessario generale a Cascina, successore di Alessandro Nasi, scriveva caldamente che se questo guasto si dava, le cose di Pisa si conducevano in tanta estremità, che e’ contadini farebbono tumulto in Pisa, non volendo aspettare di perdere le loro ricolte, o se pure aspettassino, la fame in ultimo gli sforzerebbe a cedere. El gonfaloniere ancora disse agli ottanta, avere in Pisa tale pratica che, come la gente nostre vi si accostassino, era da sperarne assai. Cosí si dette el guasto, e molto largamente perché e’ pisani erano sí deboli di gente che e’ non potettono impedirlo in alcuno modo, e nondimeno la loro ostinazione era tanta, che non feciono movimento alcuno. E quella pratica tenuta dal gonfaloniere riuscí vana, che la teneva un sensaluzzo chiamato Marco del Pecchia con messer Francesco del Lante cittadino pisano, perfido inimico nostro, e per uccellare. E cosí sempre e’ savi riputorono sciocchezza el prestarvi fede, benché el gonfaloniere, troppo semplice e credolo in queste cose, vi facessi su fondamento grande.

Poco poi che e’ fu dato el guasto, el re di Francia mandò a Firenze uno imbasciadore chiamato messer Michele de’ Ricci napoletano, uomo d’assai negli stati, e benché si dubitassi che la imbasciata avessi a essere spiacevole, perché el re si teneva poco contento di noi, nondimeno riuscí piú dolce, richiedendo benché agevolmente, che non si molestassino e’ pisani; il che in fatto non era la intenzione del re, ma voleva tirarci per questo mezzo a promettergli danari, in caso che lui non ci impedissi la recuperazione di Pisa. Furono deputati a udirlo e praticare seco, due de’ dieci, messer Giovan Vettorio Soderini ed Alamanno Salviati, e quattro altri cittadini: messer Francesco Gualterotti, Lorenzo Morelli, Giovan Batista Ridolfi e Piero Guicciardini. Ed in effetto si introdusse una pratica, che el re non soccorressi Pisa, operassi che e’ genovesi e lucchesi non lo soccorressino, e noi fussimo obligati a dargli una certa somma di danari, e cosí al re di Spagna, che si obligava non aiutargli, in caso che noi recuperassimo Pisa in termine di uno anno dal dí dello accordo fatto, e non altrimenti o in modo alcuno. Ed essendo apiccato questo ragionamento in Firenze, dove era anche venuto per questa materia uno oratore del re di Spagna o di Ragona, le re di Francia revocò lo imbasciadore suo; in modo che questa pratica si ritirò tutta in Francia e doppo molti dibattiti si faceva questa conclusione: che el re si obligassi alla nostra protezione, non ci impedire nelle cose di Pisa, anzi aiutarci di tutti quegli favori che lo richiedessimo, ed in spezie comandare a’ genovesi e lucchesi che non gli aiutassino; obligare el re di Spagna alle cose medesime, ed e converso noi fussimo obligati dare a lui centomila ducati, al re di Ragona cinquantamila ducati, e tutto si intendessi in caso che Pisa si acquistassi in termine di uno anno dal dí dello accordo fatto, altrimenti ogni accordo ed ogni obligazione dall’una parte e l’altra spirassi e si intendessi vana.

Consultossi questa cosa in molte pratiche, e consigliò vivamente messer Francesco Gualterotti che e’ si tagliassi ogni ragionamento, perché considerata la natura de’ franzesi, che sono sanza fede e non vogliono stare a ragione, lo effetto sarebbe che questo accordo non ci darebbe Pisa, e nondimeno con cavillazione e per forza ci trarrebbono di mano questa somma di danari. El gonfaloniere, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini, Alamanno ed Iacopo Salviati erano di contraria opinione, presupponendo che, come era chiarissimo, non si componendo con questi dua re, Pisa non si poteva avere; dove componendosi, ed egli osservassino la fede, era da avervi speranza grandissima; e quando la si avessi, benché la somma del danaio fussi grossa, pure che e’ sarebbono bene spesi, rispetto al travaglio in che ci teneva continuamente el non avere Pisa, ed el pericolo in che ci potrebbe un dí mettere, essere da credere che gli osserverebbono la fede per la utilità del danaio che risultava loro; e quando non la osservassino, o, pure osservandola, Pisa per altra cagione non s’avessi, che in questo caso noi non eravamo obligati a dare loro nulla; e se e’ fussino disposti volerci con forza o con inganni trarre di mano danari, che eziandio non faccendo questo acordo non mancherebbe loro modi e vie. Conchiusesi adunche, per queste ragione e per la autorità di chi la consigliava ne’ numeri piccoli e ne’ grandi, questa parte; ma nacque difficultà, perché si dubitò che questo accordo che andava per le mani del re di Francia, non fussi approvato da Ragona per darsigli minore somma di danari; e però fu scritto agli imbasciadori si ingegnassino praticare e conchiudere questo accordo ancora collo oratore del re di Spagna, che vi era; e quando non riuscissi, conchiudessino al modo di sopra con Francia. Ma nelle deliberazione ed in queste difficultà e pratiche si consumò tanto tempo, che accadendo a Roan, per la cagione che di sotto si dirà, a andare in Fiandra, ogni conclusione rimase sospesa insino alla tornata sua.

Erasi in questo tempo eletto oratore a monsignore di Ciamonte a Milano, Alessandro Nasi, el quale andando trovò lui di pochi giorni innanzi essere cavalcato in Francia, in modo che gli fu dato commessione che andassi in Francia, e congiunto con Giovanni Ridolfi, che satisfaceva poco, attendessi alla pratica di questo accordo.

Poco di poi che queste pratiche cominciorono con Francia, la città volta a avere Pisa per farne per tôrre loro el sussidio che vi potessi entrare per acqua, condusse con alcuni legni el Bardellotto, figliuolo del Bardella corsale genovese, confidatasi di lui massime per essere compagno di quelli legni Neri di Napoleone Cambi ed alcuni altri fiorentini. Ed essendo questi legni in Porto Pisano, el re, veduto che noi andavamo adagio allo accordo, dubitando che non fussi fatto a arte e che Pisa non s’avessi in questo mezzo, e cosí di non avere a toccare danari, comandò al Bardellotto come suo suddito, si partissi da’ soldi nostri. A che essendo egli necessitato ubidire, bisognò, perché el re lo lasciassi stare, promettere al re che se Pisa si riaveva durante la pratica dello accordo, che noi osserveremo le medesime condizione a che ci obligavamo faccendo lo accordo. Ma poco poi sendosi scoperto uno brigantino carico di grano che andava a Pisa, el Bardellotto e Neri, parendo loro averlo a mano salva, temerariamente con pochi de’ loro legni, lo assalirono, in modo che scoprendosi tre altri brigantini di pisani che venivano di Corsica, furono presi co[n] que’ legni; e però essendo la città disarmata al porto, si condusse con certe galee el Bardella suo padre, e seguitando nello strignere piú e’ pisani si dette el guasto alle biade, e cosí si conducevano ogni dí in piú estremità.

Fecesi in questi tempi lega ed accordo co’ lucchesi il che, perché si intenda meglio, s’ha a repetere piú da alto. E’ lucchesi ne’ tempi antichissimi furono molte volte collegati della città ed amici grandissimi, ma poi che la città ebbe acquistata la Valdinievole, che soleva essere loro, ed ultimamente Pisa, insospettiti e cominciando a temere della potenzia nostra, ci cominciorono a avere in odio, el quale si accrebbe in infinito quando, nelle guerre del duca Filippo, la città fece piú volte pruova di sforzare Lucca, e cosí quella inimicizia accidentale nata per proprio sospetto, si convertí in odio grandissimo vero e naturale, e nondimeno per paura, rispetto alla vicinità e potenzia nostra, e massime poi che fu acquistata Pietrasanta e Serezzana, erano constretti temporeggiare e passare tempo el meglio che potevano.

Ma nel 94, come noi perdemo Pisa, vedendoci deboli e sbandati, e giudicando mentre che Pisa era fuora delle mani nostre, di essere sicuri, attesono con ogni studio a conservarla, faccendo qualche volta con aperte dimostrazione, come quando al tempo di Pagolo Vitelli vi mandorono trecento fanti, ma non cessando mai occultamente di favorirgli, con stimolare el re di Francia e gli altri príncipi a soccorregli, intendersi con genovesi e sanesi alla difesa loro, con tenergli di continuo confortati, dare loro sempre sussidi di vettovaglie e qualche volta di danari. Di che loro anche feciono bene, perché e’ pisani quando avevano necessità, potendo usare el loro paese come Pisa, vendevano quasi tutte le robe loro a buono mercato in Lucca, di che tutte le cose di Pisa o la maggiore parte, prima quelle di piú valuta e di poi, crescendo la necessità, tutte le altre, eziandio le minime, si venderono e smaltirono in Lucca cosí le prede che e’ menavano de’ terreni nostri in modo che e’ lucchesi arricchirono di questa guerra e feciono in tutte le imprese e disegni nostri grandissimi danni e nocumenti.

Il che si conosceva ed intendeva a Firenze; ma perché loro, sapendosi bene governare, tenevano sempre tributato Ciamonte o qualcun altro de’ primi di corte di Francia, erano in protezione del re e favoriti da lui, in modo che la città per non offendere el re non aveva ardire di manomettergli e benché qualche volta fussino fatti loro de’ danni e delle prede non in nome publico della città, ma sotto colori vari, per potersene giustificare e difendere in Francia, nondimeno perché erano rari e di poca qualità per e’ rispetti con che s’avevano a usare, non facevano effetto nel rimuovergli da’ modi loro. Ma scoprendosi nel conversare co’ franzesi di mano in mano la loro natura, e che el procedere dolcemente co’ lucchesi era stato el piggiore disegno, perché e’ non era dubio che se si fussino offesi gagliardamente sarebbono venuti a qualche composizione e fatto pensiero di volere vicinare bene e fatte le offese vi erano mille modi a giustificarsene e mitigare Francia, e però cominciorono molte volte nelle pratiche e’ piú savi cittadini a ricordare che e’ sarebbe bene a insegnare loro vivere e trattargli altrimenti che pel passato. Ma perché el gonfaloniere non la intendeva ancora bene ed era pieno di sospetto, si soprasedé piú anni al farne nulla; essendo cosí la sorte della città, che le deliberazione che non gli piacevano, se bene fussino aprovate da tutti gli altri, trovassino difficilmente esito.

Ma poco poi cominciandosi ancora lui a voltare a questa via, deliberò fare una legge di escludere a’ lucchesi tutti e’ commerzi e commodità de’ paesi nostri, proibire lo scrivere e conversare con loro, ed in effetto non si impacciare con loro come con inimici, di che nasceva che Gherardo Corsini, Lanfredino Lanfredini ed alcuni altri cittadini nostri che avevano trafichi e mercantie con Buonvisi ed altri cittadini lucchesi, bisognava si dividessino e separassino. E si mosse el gonfaloniere, o perché stimassi che questa legge darebbe difficultà a’ lucchesi e gli premerebbe assai, o perché volessi offendere e tôrre quello aviamento utile a alcuni cittadini nostri che vi trafficavano, massime a Lanfredino Lanfredini che nelle cose dello stato non si intendeva seco, ed in privato, circa a questi traffichi con lucchesi, aveva avuto disparere con Tommaso Soderini suo nipote. E perché e’ pensò, come questa cosa si introducessi in pratica, sarebbe impedita, fatto una sera per altre faccende chiamare gli ottanta, fece subito sanza che altri ne sapessi nulla, fermarla; e di poi vintala tra signori e collegi, la propose negli ottanta, ed avendovi parlato su e mostro quanto danno recava questa legge a’ lucchesi, la vinse. Il che sendosi publicato per la città, molti cittadini di credito gli dettono carico, allegando con molte ragione che questa provisione non dava noia alcuna a’ lucchesi, ma recava danno a alcuni particulari cittadini nostri; e nondimeno per lo universale odio de’ lucchesi passò in consiglio grande facilmente.

Vinta questa legge, e’ lucchesi, o perché in fatto la dessi noia loro, o perché paressi uno segno tale di volergli per inimici che pensassino s’arebbe a procedere piú oltre, mandorono non molto poi a Firenze imbasciadori messer Gian Marco de’ Medici e messer Bono... ed essendo deputati a praticare con loro alcuni de’ primi cittadini, finalmente, perché gli erano ostinati a volere che noi cedessimo le ragione di Pietrasanta, non si conchiuse nulla. Di poi questo anno 1508, mentre si praticava col re, intendendosi come per la via di Lucca entrava di continuo grano in Pisa, si deliberò in una pratica de’ dieci, scrivere al commessario di Cascina che facessi uno assalto a Vioreggio e gli trattassi in questo insulto quanto piú poteva da inimici, ed oltre agli altri cittadini, el gonfaloniere la riscaldò forte. Ma messer Francesco Gualterotti, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini, Alamanno ed Iacopo Salviati, che non si trovorono nella pratica per essere assenti alle ville loro, la biasimorono forte, dicendo che era stato in tempo alieno, perché e’ non era bene, vegghiando le pratiche di Pisa con Francia, introdurre nuove difficultà; e parve questa ragione molto verisimile, ed el gonfaloniere gustandola se ne pentí in modo che, se fussino stati a tempo, arebbono rivocato la commessione al commessario. Ma era tardi, perché el commessario subito aviò una parte di gente in verso Vioreggio, le quali abruciando magazzini, rubando ed ardendo drappi, menandone bestiame di ogni regione, feciono a’ lucchesi un danno grande, in modo che loro risentitisi assai ed impauriti, benché si dolessino in Francia, a Roma ed in ogni luogo, mandorono a Firenze, per tentare gli animi nostri, oratore uno Giampaolo Giglio mercatante che non aveva in Lucca molta autorità. El quale introducendo pratiche d’accordo, trovando gli animi de’ primi cittadini bene disposti ed avendo riferito a Lucca, mandorono imbasciadori messer Gian Marco de’ Medici e detto Giampaolo, e si cominciò la cosa a apiccare di buone gambe, perché e’ lucchesi erano stati ributtati in Francia, poi che furono udite le giustificazione nostre; e si comprese che quello assalto, benché contro alla opinione de’ piú savi, fu pure utile e fece fede che el procedere con tanti rispetti, el volere tanto antivedere ed el farsi tanta paura, è qualche volta cosí nocivo come utile.

La città desiderava lo accordo, massime gli uomini prudenti, perché e’ si cognosceva che levandosi a’ pisani l’aiuto de’ lucchesi, rimanevano privati di uno potente sussidio e che era atto a tenergli vivi; e cosí come pareva quasi impossibile avergli per fame, mentre che Lucca gli aiutava, cosí pareva facile, privandogli di quello favore ed essendo chiusa la via di mare, a domargli. Ma si dubitava che e’ lucchesi non cercassino questo accordo per assicurarsi di noi e nondimeno non mancassino di favorire occultamente e’ pisani, pure attenuandosi questo sospetto efficacemente da’ lucchesi che mostravano di cognoscere che Pisa era sí debole e consumata che non poteva reggersi lungamente da se medesima, e che era necessario che cadessi nelle mani nostre o che venissi in mano di uno potente che bastassi a difendergli da noi, e quando fussi questo secondo, che Lucca rimarrebbe in pericolo e paura della grandezza sua, e però essere loro piú utile, quando fussino contenti di qualche particularità, che Pisa venisse nelle mani nostre col mezzo ed aiuto loro, e si reintegrassi tra noi la antiqua amicizia, furono adunche deputati a praticare con loro uno de’ dieci, Lorenzo Morelli, e quattro altri cittadini, messer Giovan Vettorio Soderini, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini ed Alamanno Salviati, essendo assente messer Francesco Gualterotti che si trovava a Pistoia capitano.

E venendosi a’ particulari, e’ lucchesi mostravano due cose: l’una, che questo accordo ci era utilissimo, perché el privare e’ pisani del loro sussidio e de’ commerzi e commodità, de’ paesi loro, non era altro che darci Pisa nelle mani, l’altra, che ogni volta che Pietrasanta e Mutrone fussino in mano de’ fiorentini, la città di Lucca non potere mai essere sicura della sua libertà, e però bisognare, a fondare bene questa amicizia, che noi cedessimo loro le ragione di Pietrasanta e di Mutrone, la quale cosa noi non dovavamo molto stimare, perché queste terre erano in mano loro, e di poi, che se noi volavamo vedere el vero, le ragione nostre quanto a Pietrasanta erano debole, Mutrone essere luogo rovinato e disfatto, e sí piccola cosa, che in uno caso di tanta utilità non si doveva considerare. E se si rispondessi che noi non daremo, perché quando noi avessimo dato, non eravamo bene sicuri che ci avessino a osservare la fede, replicare che erano contenti che la cessione non si facessi assoluta e pura, ma condizionata, in caso che fra uno termine onesto Pisa si riavessi, aggiugnendo che faccendosi tale cessione, servirebbono qualche anno di certo numero di gente d’arme pagate a loro spese.

Queste erano insomma le dimande de’ lucchesi, le quale sendosi cominciate a discorrere tra e’ cittadini deputati, furono le opinione varie. Al gonfaloniere, messer Giovan Vettorio e Piero Guicciardini pareva fussi da acconsentirle, allegavanne che se si faceva questo accordo, o e’ lucchesi osserverebbono la fede, o no; osservandola, che el separare e’ lucchesi da’ pisani era sanza dubio di tanta utilità che gli era buona spesa cedere Pietrasanta, se non la osserverebbono e non si recuperassi Pisa, non si intendeva fatto nulla, e che questa speranza di ottenere le cessione gli farebbe piú pronti a osservarci la fede, acciò che, recuperandosi Pisa, conseguissino lo intento loro; essere ancora da considerare e fare qualche capitale di quella somma di danari che ci servivano; ed in effetto questo partito mostrare tanto utile, che doveva preponderare a qualche infamia che seguiva dal cedere, e massime perché avavamo poche ragione in Pietrasanta, ed e’ lucchesi, doppo qualche dibattito, erano calati quanto a Mutrone. Furono Lorenzo Morelli, Giovan Batista ed Alamanno di contrario parere, perché questa cessione pareva loro di tanto vituperio, che in nessuno modo la volevano acconsentire, e di poi consultandosene nella pratica de’ dieci, si accordorono quasi tutti a questa sentenzia, e che si pigliassi qualche altro modo di assicurargli, offendendo meno che fussi possibile lo onore nostro. E però esclusi e’ lucchesi da questo accordo, doppo molti dibattiti si introdusse una altra forma: che e’ si facessi lega ed amicizia per qualche onesto tempo, la quale, se Pisa si avessi infra uno certo termino, si intendessi prorogata per anni dodici, e cosí si venivano a assicurare e’ lucchesi, se non in tutto, almeno per uno tempo lungo, el quale innanzi che passassi potevano nascere vari accidenti, ed avere piú rispetto alle ragioni della città, le quali non si venivano a tôrre via in tutto, ma a differire. Ed in effetto risolvendosi in questo modo, si abozzò che el tempo della lega fussi di primo colpo anni tre; e di poi disputandosi quale era el tempo da porre alla riavuta di Pisa, pareva a Piero Guicciardini che el termine dovessi essere di uno anno, per fare maggiore stimolo a lucchesi di procedere bene, e di poi perché questo accordo si fondava in sulla speranza che noi avevamo di assediare Pisa, la quale, se non colpiva in questo anno, si veniva in gran parte a annullare.

A Giovan Batista ed Alamanno parve il contrario, e che dovessino essere tre anni come durava la lega; perché se fra uno anno non s’avessi Pisa, la lega durerebbe ancora due anni, e nondimeno sendo passata la condizione del prorogarla, procederebbono malignamente, e noi ci troveremo avergli assicurati sanza frutto alcuno per anni dua. E benché e’ si replicassi che e’ sarebbe in potestà nostra al fine del termino primo prorogare per un altro o due anni pure non si mutando loro di opinione, e perché la cosa non pareva di molto momento, acconsentirono, tutti a cinque, a tre anni. Ed avendone fatta la bozza, el gonfaloniere, quando la si propose negli ottanta, la propose col termine di uno anno; e cosí sendo approvata e data la autorità a’ dieci, che fra uno certo tempo potessino conchiudere la lega con quelle condizione, gli oratori lucchesi adombrati di sí piccolo tempo, ne vollono riferire a Lucca, ed andatovi messer Gian Marco in persona, ritornò col mandato di poterla conchiudere, quando si dessi el tempo de’ tre anni e non altrimenti. E però chiamati gli ottanta, si propose questo modo, ed eziandio si ripropose el primo modo vinto l’altra volta, perché l’autorità de’ dieci era spirata; e non si vincendo né l’uno né l’altro, conciosiaché molti, per odio de’ lucchesi o perché l’accordo pareva poco onorevole, lo contradicessino, pure riscaldando el gonfaloniere el modo di uno anno solo, si vinse a punto quello; tanto che si comprese quella sera, che e’ voleva piú tosto rompere l’accordo che acconsentire al modo de’ tre anni.

La cagione potette essere varia: o perché mutato proposito, gli dispiacessi al tutto fare accordo co’ lucchesi, el quale prima gli soleva piacere, ed essendo certo che e’ lucchesi non lo accetterebbono, cosí lo voleva impedire per questa via; o perché, secondo la natura sua, volessi piú tosto rompere l’accordo con danno della città, che acconsentire a quello modo commendato contro alla opinione sua da Giovan Batista Ridolfi ed Alamanno. Ricusoronlo al tutto e’ lucchesi e volevonsi partire a rotta, ma dolendosene molti de’ primi cittadini, e’ dieci dissono al gonfaloniere volerne conferire con gli ottanta, e non gli licenziare altrimenti che col parere loro, e però sendo convocati gli ottanta, el gonfaloniere credendo non si ottenessi, fece dire da messer Marcello cancelliere primo, che questa briga d’avergli chiamati non dava loro la signoria, ma e’ dieci; e nondimeno come si venne a’ pareri, vi parlorono su tanto caldamente molti de’ primi cittadini, ed intra gli altri Piero Guicciardini, che si vinse con gran consenso.

E cosí si conchiuse una lega co’ lucchesi per tre anni, da prorogarsi per dodici, colle condizione predette, aggiugnendo alcuni capitoli circa al levare e’ commerzi ed alleggerire certe gabelle; e si conchiuse mandare a Lucca uno imbasciadore, e per intratenergli e per velettare gli andamenti loro; ma chiamati gli ottanta per crearlo, lo cercorono tanto disonestamente qualcuno, massime Piero Ardinghelli e Lorenzo Martelli, che avendo ferme molte fave, con tutto si squittinassi la sera quattro volte e vi andassino a partito tutti e’ primi uomini della città, non si vinse mai; richiamoronsi l’altra sera, e la seconda volta rimase fatto Piero Guicciardini, el quale avendo rifiutato fu in suo luogo eletto Giovan Batista Bartolini. A Lucca si ratificò lo accordo, e nondimeno sendo imputati gli imbasciadori di avere passato la commessione, massime in non avere rinnovata una lega vecchia, furono ammuniti e confinati in Lucca per certo tempo; e mandati imbasciadori a Firenze, cercorono di ottenerlo, ma non fu acconsentito loro. Era tanto dispiaciuta la disonestà del bucherare ed el disordine nato da questa ambizione, che si fece una legge, che ogni volta che gli ottanta si ragunavano a eleggere imbasciadori o commessari o altri ufici, avessino a giurare di non dare fava nera né nominare alcuno da chi o per conto di chi fussino stati richiesti e pregati, cosa di gran carico di chi aveva bucherato, massime di Piero Ardinghelli, el quale giovane di tale riputazione e qualità che questi onori gli sarebbono corsi drieto, aveva, giucandosi quasi tutte le sustanzie sue, toltisigli da se medesimo.

Nel medesimo anno, poi che in tutto fu rotta la pratica del Cappone con lo arcivescovo di Firenze, si apiccò una pratica nuova che ebbe effetto. Aveva el gonfaloniere impedito sí vivamente la elezione del Cappone, che sentendosi dare carico d’averlo fatto perché fussi el fratello, cominciò per scaricarsi a dire che la intenzione sua era che eziandio el fratello non fussi arcivescovo, ma che e’ si dessi a qualche uomo da bene e buono che fussi atto a reformare el clero, e fussi fiorentino; e di già aveva fatto scrivere qualche volta lettere dalla signoria in questa sentenzia al pontefice, o perché in fatto cosí fussi la intenzione sua, o pure per scaricarsi e dondolare con queste pratiche la cosa, insino a tanto che venissi la morte dello arcivescovo già vecchio, in sulla quale sperava che el papa fussi per conferirlo al cardinale suo.

Da altra banda el cardinale de’ Medici, in potestà di chi era el fare questa renunzia, perché lo arcivescovo si era rimesso in tutto a lui della elezione della persona, considerando che se non se ne pigliava partito che poi morendo lo arcivescovo sarebbe facile cosa che el Soderino avendo favore dalla città ne fussi compiaciuto, e disposto fare ogni cosa perché questo non seguissi, volse gli occhi in sul vescovo de’ Pazzi, parendogli che le qualità e la riputazione sue fussi tale, che el gonfaloniere non potrebbe fare scrivergli contro in nome publico come aveva fatto al Cappone, e cosí che el disegno suo fussi da riuscire, ed inoltre pensando guadagnarsi con questo beneficio lui e la casa sua. E però fattane conclusione col vescovo e con lo arcivescovo e provisto alla ricompensa della entrata, non mancava se non avere lettere dalla signoria in suo favore, acciò che el papa subito vi conscendessi. E cosí scrittone a Firenze a’ sue parenti, el gonfaloniere mostrandosene molto allegro e contento, fatto chiamare e’ collegi, propose la lettera, la quale essendosi vinta alle due o le tre volte e scrittasi a Roma pochi dí doppo la arrivata, messer Cosimo de’ Pazzi fu pronunziato in concestorio arcivescovo di Firenze, di che si rallegrò assai lo universale della città, perché era riputato prelato dotto savio e costumato. Fu bene opinione che el gonfaloniere n’avessi dispiacere per due conti: l’uno, per vederne privato el fratello, l’altro, perché pareva da credere che l’arcivescovo non fussi uomo da lasciarsi maneggiare da lui, ed inoltre che gli avessi, e naturalmente e per essere diventato amico de’ Medici, a essere piú tosto inimico che no; e però pareva da credere che e’ si pentissi d’averlo tolto al Cappone, el quale, se bene gli era inimico, era di natura e cervello sí bestiale, e fattone sí poco conto, che el gonfaloniere non aveva da stimarlo. E si notò che el gonfaloniere non fece fare la lettera in commendazione di messer Cosimo dalla signoria sola, ma volse el partito de’ collegi; di che benché si potessi giustificare averlo fatto perché el papa vedessi el consenso piú universale della città, e cosí la lettera fussi piú efficace, pure dette ombra che e’ non fussi proceduto acciò che non si vincendo la lettera, non si scrivessi, la quale e’ non poteva per altro modo contradire, rispetto alla buona fama di messer Cosimo; nondimeno chi non si lasciò ingannare dalla passione, se bene e’ facessi concetto che al gonfaloniere dispiacessi, confessò non se ne essere veduto in lui segno alcuno, con tutto che e’ fussi certo che el cardinale Soderino cercassi a Roma, con ogni modo diretto ed indiretto, impedirlo. Entrò di poi lo arcivescovo nuovo in Firenze con allegrezza grande dello universale, per essere state piú di trent’anni la chiesa nostra nelle mani dello Orsino el quale non vi era quasi mai venuto, ma l’aveva amministrata qualche volta con vicari, qualche volta affittatala, e vendutone non solo el temporale, ma ancora lo spirituale.

Posata questa parte dello arcivescovado, successe a Firenze uno accidente che tenne molti dí alterata la città e fu per essere di momento grandissima, il che, acciò che meglio si intenda, s’ha a ripetere da piú alto principio.