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Storie fiorentine dal 1378 al 1509/XXX

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Arti del cardinale de’ Medici per riconciliarsi i fiorentini. — Matrimonio di Filippo Strozzi con la figlia di Piero de’ Medici e conseguenze in Firenze. — Continua l’azione contro Pisa. — Lega contro Venezia. Cacciati che furono e’ Medici di Firenze, e restata la cittá nel governo populare, furono e’ portamenti di Piero altieri e violenti, secondo la natura sua bestiale, e molto alieni dal ritornare nella cittá; perché egli aveva a presupporre che la cittá benché conquassata e smembrata del dominio di Pisa e delle altre terre, era pure rimasta si potente, che s’egli aveva a entrarvi per forza, bisognava che avessi una forza ed uno appoggio molto grande ed estraordinario, in modo che era tanto difficile, che e’ si accostava allo impossibile. E però doveva pensare che la principale parte che lo potessi rimettere in casa sua, sarebbe stata l’avere qualche benivolenzia nella cittá, e cosi tenere modi di addolcire gli inimici sua, mostrando di conoscere che l’avessino cacciato meritamente per lo errore di avere voluto negare el passo al re di Francia, e nondimeno scusarsene collo essere stato giovane e male consigliato; ma che aveva imparato, in modo che in futuro, se mai ritornassi nella cittá, presterebbe fede a’ cittadini da bene e prudenti, e vorrebbe che lo stato ed el governo lussi piú loro che suo; cosi ancora standosi in quiete e non suscitando movimento alcuno, né tenendo pratica del ritornare con potentati italiani o esterni, mostrare di non [p. 322 modifica] volere che per sua cagione la cittá ed el popolo ricevessi danno o lesione alcuna, e con queste vie ingegnarsi di placare el popolo e muoverlo in compassione di sé e fare scusa che gli errori sua erano proceduti dalla etá, e chiedere la tornata nella patria amorevolmente, e di essere rimesso non come capo del governo e dello stato, ma come privato cittadino. K certo era da giudicare che o questa via l’arebbe condotto alla intenzione sua, o se questa non era buona, che nessuna altra bastava.

Ma lui usò modi in tutto contrari: non era prima uscito di Firenze, che scrisse una villana lettera a Francesco Valori; cominciò a minacciare che ritornerebbe e gastigherebbe gli inimici sua; venne piu volte armato contro alla cittá, prima a’ confini di Arezzo, di poi alla porta in Casentino, a Arezzo: tenne continuamente pratiche con \iniziarli, con Milano, col re di Francia, col papa e Valentino, tutte contro alla cittá, in modo che fu cagione di tenerla continuamente in spese, sospetti, guerre ed affanni, e fu sempre uno instrumento a quegli che vollono per tempo alcuno battere la cittá. Per le quali cose non solo gli inimici sua vegghiavano sempre e’ sua andamenti e di continuo gli erano implacabili, ma ancora lo universale della cittá l’aveva in odio grande.

„ Fugli rosta la taglia drieto a lui e di poi a Giuliano suo fratelh•; furono fatte legge che proibivano lo stare in casa el ardinale ed ogni commerzio con ciascuno di loro, e poste grandissime pene a chi contrafacessi; per le quali, e di poi per la morte di Bernardo del Nero e degli altri, e’ cittadini spaventati, quando capitavano a Roma o in luogo dove e’ fussino, non conversavano con loro se non occultamente e con riguardo; in modo che e’ si faceva giudicio, e massime quando fu fatto el gonfaloniere a vita e riformati e’ disordini della cittá, che e’ Medici fussino in tutto spacciati; e’ quali oltre al non avere piú grazia nella cittá, si trovavano in gran disordine, perché Piero nelle imprese sue avendo speso tutto el mobile che gli era avanzato della ribellione, aveva ancora messo el cardinale in grande spese e disordini. [p. 323 modifica] Ma creato el gonfaloniere a vita, ed essendo circa a uno anno di poi morto Piero nel Garigliano, el cardinale e Giuliano, o perché per lo ordinario fussino di natura piú civile ed umana, o perché considerassino che e’ portamenti di Piero non erano stati a proposito, cominciorono a tenere altri modi, ed ingegnarsi di apparecchiarsi la tornata, non per forza e dispetto, ma con amore e benivolenzia, e con beneficare e’ cittadini, non con offendergli né in publico né in privato. E però non pretermettevano di fare spezie alcuna «li piacere a quegli fiorentini che stavano o capitavano a Roma, dando loro grande aiuto e favore in tutte le occorrenzie ed espedizione loro, servendo ancora di danari o di credito chi n’avessi bisogno; ed in effetto la casa, le facultá, le forze e la riputazione tutta del cardinale erano a saccomanno de’ fiorentini. Le quali cose faceva molto piú grate el cardinale Soderino, che, essendo di natura avarissimo e tutto di sé, nc servendo o facendo piacere a alcuno fiorentino, era uno paragone da fare cognoscere meglio la liberalitá e benefici del Medici.

Queste cose, divulgate a Firenze, avevano fatto che tutti quasi e’ fiorentini, a chi accadeva in Roma avere bisogno della corte o per espedizione di benefici o per altro, facevano o personalmente o con lettere capo al cardinale de’ Medici, insino ancora a quegli che erano stati loro inimici; e lui gli serviva tutti prontissimamente, in modo che non solo avevano desti alla memoria loro molti degli amici vecchi, ma ancora degli altri nella cittá; e dove, vivente Piero, soleva essere odioso quasi a ognuno el nome di quella casa, ora, mono lui, pareva che avessi favore e compassione. Il che procedeva massime da questi modi, e perché tutto lo odio che si era portato loro era proceduto da Piero; perché el cardinale e Giuliano, mentre che erano nella cittá, non avevono mai né in publico né in privato offeso persona, né di poi, se non tanto quanto erano stati mossi da Piero; ed inoltre erano sempre stati riputati di migliore cervello e natura assai che Piero. Aggiunsesi lo odio del gonfaloniere; el quale, sendo [p. 324 modifica] male voluto da tutti quegli a chi dispiaceva el Consiglio e che arebbono voluto uno stato, da mólti ancora a chi piaceva questo vivere e nondimeno dispiacevano e’ modi sua, aveva dato loro favore; e però si parlava nella cittá piú liberamente di loro che non si soleva, e non ostante le legge che proibivano e’ commerzi, molti scrivevano lettere a loro; tutti quegli che capitavano a Roma o in luoghi dove e’ fussino, non avendo eziandio bisogno di loro, o alloggiavano con loro o gli andavano a visitare. Le quali cose benché dispiacessino al gonfaloniere insino al cuore, nondimeno non se ne risentiva né cercava di farne punizione; in modo che pigliandovisi su animo, si conversava pubicamente con loro, e molti giovani da bene, e’ padri e le case di chi erano stati loro inimici nel 94, andando a Roma, si erano intrinsicati seco e parevano diventati loro amici, mossi o per fare dispetto al gonfaloniere, o perché desiderassino piu oltre, e forse di rimettergli in casa. Di questi era uno Bartolomeo Valori, el zio del quale, Francesco, era stato inimico loro capitale, prima nel cacciargli, di poi nel perseguitargli, in ultimo in fare tagliare el capo a Bernardo del Nero e gli altri; erane Piero di Braccio Martelli, el padre di chi, benché solessi essere amico di Lorenzo, si era nel 94 scoperto vivamente contro a Piero; erane Giovanni di Bardo Corsi, el padre di chi era stato inimico capitale di Lorenzo ed ammunito da lui, e però, benché e’ fussi uomo di non molta qualitá, fu nel 94 creato de’ venti, e di poi fatto dua volte gonfaloniere di giustizia; erane Gino di Neri Capponi, el padre di chi, trovandosi in Francia (piando el re Carlo passò in Italia, aveva molto perseguitato Piero, ed el zio Piero Capponi gli era stato inimico fierissimo ed in gran parte cagione di tòrgli lo stato; erane Antonio Francesco di Luca d’Antonio degli Albizzi, ancora quasi fanciullo, ma di natura molto altiera ed inquieta, el padre di chi, avendo insino a tempo di Lorenzo in odio la casa de’ Medici, si era nel 94 fatto vivo, e di poi nel tagliare el capo a’ cinque cittadini, seguitate gagliardamente le pedate di Francesco [p. 325 modifica] Valori, ed in ultimo trovandosi, in sulla ribellione di Arezzo, imbasciadore in Francia, non solo allora ed in tutta quella legazione aveva fieramente perseguitato e’ Medici, ma ancora scritte a Firenze lettere caldissime in publico, confortando a volere conservare la libertá e non volere avere per tiranni cittadini ingiuriati, poverissimi ed usi alla tirannide. Tutti costoro capitando in diversi tempi a Roma, e stati raccolti lietamente dal cardinale e Giuliano, ed intrinsicatisi con loro, avevano data la via a molti altri che, veduto che nella cittá non se ne teneva conto, usavano liberamente le case loro, non come di rubelli, ma come dello oratore fiorentino residente a Roma. Aggiugnevasi che era ferma opinione che Giovanni, figliuolo di Bernardo Rucellai, vi fussi qualche volta ito scognosciuto in poste; di che si traeva coniettura che Bernardo suo padre, avendo piú nel cuore lo odio che aveva col gonfaloniere, che lo odio ed inimicizie antiche co’ Medici, si fussi riconciliato con loro; e cosi Filippo Buondelmonti, inimicissimo del gonfaloniere, el quale per l’adrieto era stato capitale inimico e di Lorenzo e di Piero. E faceva giudicio qualche savio, che le pratiche di Bernardo fussino ite piú lá che una semplice riconciliazione, massime ne’ tempi che viveva monsignore Ascanio, e di poi in sulla venuta di Bartolomeo d’Alviano; di che nacque forse la cagione delia partita sua.

Stando in questi termini le cose de’ Medici, e parendo al cardinale che e’ modi tenuti da lui gli avessino fatto profitto, e però disegnando di continuare ad acquistarsi quanta piú amicizia e benivolenzia poteva nella cittá, publicò di volere maritare in Firenze una figliuola di Piero de’ Medici e dargli una grossa dota di cinque o seimila ducati; ed avendo tentato lo animo del gonfaloniere e trovato che, benché e’ dessi buone parole, pure quando si veniva allo strignere, che la intenzione sua era che la non si maritassi a Firenze, cominciò a tenere diverse pratiche. E benché tutti e’ giovani che avevano a tórre donna, l’avessino fatto volentieri per la qualitá della dota, pure dubitando non se ne facessi caso di stato, [p. 326 modifica] noti era nessuno che avessi ardire di tórla; e però per fare cimento di quello che n’avessi a essere, el cardinale fece publicare d’averla maritata a Francesco figliuolo di Piero di messer Luca Pitti; il che in fatto non era né aveva a essere, ma vollono tentare se a Firenze se ne faceva romore. E però el gonfaloniere che cognobbe questo tratto, ne fece fare una quarantia, per dimostrare a qualunche la togliessi, che la cittá lo punirebbe; di che si sopí chi aveva voglia di tòrla. Ma poco poi el cardinale, per mezzo di madonna Lucrezia donna di Iacopo Salviati e sua sorella, tenne pratica col gonfaloniere di darla a Giovan Batista di Paolantonio Soderini, nipote del gonfaloniere; a che el gonfaloniere prestò orecchi, e nondimeno non si concluse, o perché non lussino d’accordo della dota, o perché el gonfaloniere fussi stato da principio di questo animo, o perché se ne ritraessi dubitando di non avere carico e venirne in sospetto al popolo. Ma apiccata di poi per mezzo di messer Francesco di messer Tommaso Minerbetti arcidiacono di Santa Liperata, che era tornato da Roma, una pratica di darla a Filippo di Filippo Strozzi, garzone nobile e ricchissimo, lo effetto fu che doppo molti e molti mesi detto parentado si concluse l’anno 1508, e subito, non sendo ancora publicato, Filippo se ne andò a Napoli, e poco di poi del mese di novembre in detto anno si scoperse in Firenze e venne a luce.

Di che cominciandosi a parlare, si trovorono gli animi di d versi e vari gusti: dispiaceva al gonfaloniere insino al cuore, e diceva che essendo Filippo giovane, non aveva preso uno partito di questa natura da se medesimo, ma confortato e consigliato da altri di maggiore autoritá, e’ quali non avevono cerco di fare uno semplice parentado, ma sotto questa ombra tenere pratiche di mutare lo stato e di rimettere e’ Medici. Ed in questo parlare concorrevano con lui Antonio Canigiani, Pierfrancesco Tosinghi, Alessandro Acciaiuoli, Niccolò Valori, Alfonso Strozzi e simili, stati inimici de’ Medici e mai riconciliatisi per tempo alcuno, dando carico nominatamente a molti cittadini vecchi e giovani; in modo che pubicamente [p. 327 modifica] erano nominati come autori e consigliatori di questo paren tado, l’arcivescovo nuovo, Filippo Buondelmonti, Bernardo Rucellai, e Palla e Giovanni sua figliuoli, madonna Lucrezia. Giovanni Corsi ed Antonio Francesco degli Albizzi, compagno di Filippo e simili; e perché costoro avevano infamia ed erano in sospetto di volere mutare lo stato, moltissimi che non si scoprivano, sarebbono concorsi a ritrovare la origine e cagione di questa cosa ed a punirla gagliardamente.

Da altra parte gli Strozzi quasi tutti, sendone capi messer Antonio e Matteo, tutti quegli di che di sopra è detto che si erano intrinsicati co’ Medici, e di piú Antonio Giacomini e molti inimici del gonfaloniere, massime Giovan Batista Ridolfi ed e’ Salviati, benché questi procedessino piú copertamente, erano alla difesa del garzone, mossi chi per parentado suo, chi per affezione che avevano a’ Medici, chi per odio portavano al gonfaloniere, parendo loro, se non tirava questa impresa, dargli una bastonata. Costoro tutti di accordo confessavano essere stata grande leggerezza quella di Filippo, che avendo uno stato bellissimo, e per la nobilita della casa e per essere ricchissimo, si fussi impacciato con rubelli ed inimici dello stato ed avessi preso uno partito da poterlo mettere in pericolo assai; ma lo scusavano in quanto allo essere punito, allegando che questo era uno parentado fatto semplicemente di suo moto proprio e sanza mistura alcuna di stato e sanza consiglio e conforto di altri; e però se vi cadeva pena, non era per avere contrafatto allo stato, ma per avere tolto per donna una giá figliuola di rubello, in che non si trovava legge alcuna che punissi questo caso; e se pure vi era, era uno statuto che metteva di pena quattromila lire, el quale era giusto che si osservassi, e non si punissi alcuno a libito del gonfaloniere o altri, se non in quanto esprimevano le legge della cittá.

Sendo le cose in questi ragionamenti, gli Strozzi, ristretti insieme, andorono alla signoria, e dicendo non sapere se el parentado era fatto o se era in termini da tornare adrieto, si giustificorono, che quando fussi fatto, non era stato di loro saputa e consentimento, e che per loro non resterebbe di fare [p. 328 modifica] ogni opera di impedirlo, in caso che [non] fussi fatto. E cosi con licenzia della signoria mandorono uno in poste a Filippo con lettere a sconfortamelo; ed in particulare Alfonso, suo fratello, mostrò una lettera ricevuta da lui, dove confessava el parentado, dicendo averlo fatto per scarsitá di parentadi, e che non si curava del giudicio de’ foggiettini; il che lo aggravò apresso a molti, come se gli paressi essere di qualitá che non trovassi in Firenze parentado conveniente a lui, e cosi chiamando foggiettini e’ popolani, si facessi beffe del consiglio e governo populare; benché in fatto questa seconda parte non nacque da lui, ma fu in risposta a una lettera di Alfonso, dove gii diceva che faccendo questo parentado n’arebbe a stare a giudicio de’ foggiettini.

Ed in quegli medesimi di, avendo un poco di male Alessandro Acciaiuoli, si ragunorono una sera in casa sua Antonio Canigiani, Pierfranceseo Tosinghi e Niccolò Valori ed alcuni altri, e’ quali per essere stati aderenti di Francesco Valori si chiamavano la setta valoriana; intervennevi ancora Alfonso Strozzi che faceva contro al fratello. Consultorono costoro quello che fussi da fare di questa cosa, e fu opinione conchiudessino quello che segui; perché la mattina sequente o la altra mattina di poi, el gonfaloniere, essendo Proposto, propose due partiti, uno, che si comandassi a Filippo Strozzi che comparissi innanzi a loro per tutto di venticinque di dicembre, sotto pena di essere confinato nel reame di Napoli per anni dieci; l’altro, che si comandassi alla madre, a’ fratelli ed a chi aveva in mano del suo, che non gli rimettessino nulla sotto pena di ducati diecimila per ogni volta che contrafacessino. E si vinsono con nove fave nere de’ signori; di che apresso agli uomini di mezzo e che giudicavano sanza passione, ebbe el gonfaloniere carico, perché pareva che governandosi da sé, trattassi questo caso non come publico ed apartenente alla cittá, ma come privato, e cosi parve cosa di pessimo esemplo, che sanza consulta ed e’ modi ordinari facessi con sei fave manomettere e’ cittadini. Ebbonne carico e’ signori d’aversene lasciati menare da lui, e massime Luigi di Piero Guicciardini, [p. 329 modifica] el quale pareva che per le qualitá del padre suo e per ogni altro conto avessi avuto a considerare la importanza di questa cosa ed a contradirgli; ma loro errorono non pensando. Fattisi questi partiti ed aspettandosi se e’ compariva o no, ed essendo creati gli otto nuovi che avevano a entrare di gennaio, fu posta una querela agli otto vecchi di questo caso, e come Filippo l’aveva fatto per mutare stato; e fu opinione che el gonfaloniere, parendogli che forse gli otto creati di nuovo non fussino a suo proposito, facessi porre la querela agli otto vecchi, a fine la lasciassino andare in quarantia, dove pensava aversi a fare uno giudicio severo. Ma fu disegno vano, perché la fu posta a tempo che el termino del giudicarla andava piú lá un mezzo di che el tempo degli otto vecchi, e cosi secondo gli statuti della cittá ricadeva agli otto nuovi, a chi el tempo ricominciava a correre come dal di della querela data. E pendendo cosi la cosa si venne alla elezione della signoria nuova, dove el gonfaloniere osservando el costume, che è di confortare a fare buona elezione, ricordò al consiglio come gli avevano una bella autoritá ed uno pacifico vivere, e che lo sapessino riconoscere e conservare, volendo mettere loro con queste parole sospetto che el parentado era fatto a fine di mutare lo stato, a fine che gli eleggessino uomini secondo el gusto suo; che furono verbo ad corinthios perché, come si intese poi, e’ partiti andorono sanza riguardo e larghi al modo usato. Posesi di poi una nuova querela agli otto, la quale significava come, per essere Piero de’ Medici venuto artnata manu contro alla cittá nella ribellione di Arezzo ed in altri tempi, era per virtú di uno statuto’ nostro caduto in pena di rubeilo e lui e sua descendenti; e cosi che Filippo Strozzi aveva a essere punito, non come se avessi tolto per donna una figliuola di uno rubeilo, ma come d’avere tolto una rubella. Venne di poi uno brieve alla signoria mandato dal pontefice, che confortava e priegava che volessino non impedire questo matrimonio; a che la signoria rispose per ordine del gonfaloniere molto caldamente, pregandolo non volessi [p. 330 modifica] richiedere di queste cose, come né anche noi lo richiederemo in quello che attenessi a’ rubelli di Bologna.

Sopravenne poi el termine dei comparire, nel quale Filippo venne occultamente in Firenze, essendo confortato al comparire sicuramente da alcuni de’ signori che si pentivano de’ oartiti che avevano fatti, e cosi el gonfaloniere disse agli Strozzi che lo facessino venire; e però venne al termine, ed essendo comparito, non ostante che el gonfaloniere avessi avuto carico de’ partiti fatti sanza consulta, ed inoltre che fussi stato avvertito che non tentassi di farne piú, perché la signoria non reggerebbe, e massime da Piero Guicciardini che gliene fece intendere per mezzo di messer Giovan Vettorio, nondimeno propose che gli era bene fargli uno comandamento che non partissi de’ terreni nostri sanza licenzia dalla signoria. Ma non lo cimentò, veduto non vi essere el partito, perché messer Francesco di Bartolomeo Pandolfini, Antonio di Lione Castellani, Luigi Guicciardini e Francesco di... Calderini apertamente gliene contradissono, allegando che poi che la querela ne pendeva agli otto non era ufício della signoria impacciarsene piú, ma di lasciarla terminare agli otto; e cosi si differí nel gennaio sequente, perché la signoria che successe non volle impacciarsene; che furono Neri di Gino Capponi parente degli Strozzi, Rafaello di Alfonso Pitti, Averano di... Peruzzi, Federigo di Giuliano Gondi, Gentile di... Sassetti, Ugolino di Giuliano Mazzinghi, Biagio di... Monti, Girolamo di... dello Straffa.

E però pendendo el giudicio nelle mani degli otto, cominciò a riscaldare questo umore fieramente; perché da una parte erano caricati e’ ’cittadini nominati di sopra ed inoltre Giovan Batista Ridolfi e piú e’ Salviati riputati sua fautori, come se e’ volessino mutare lo stato; da altra era caricato el gonfaloniere in piú modi: prima che e’ doveva, come aveva fatto Lorenzo nelle fanciulle de’ Pazzi, lasciarla maritare a Firenze in qualche uomo da bene, e nondimeno non di qualitá che se n’avessi a pigliare sospetto; di poi, se pure e’ non voleva questo, sapendo che gli era qualche pratica di [p. 331 modifica] maritarla in Firenze, fare una legge che lo proibissi e cosi come savio riparare piú tosto che el male non venissi, che, venuto che fussi, averlo a medicare; e però potersi imputare alla sua negligenzia questo disordine. Inoltre soggiugnevano che se questo era delitto, s’aveva a punire ancora lui, per avere tenuta pratica di darla a Giovan Batista suo nipote; e ancora el cardinale averla tenuta a Roma, aggiugnendo la ritornata di Lorenzo figliuolo di Piero e promettendone el consenso del gonfaloniere, il che e’ non arebbe fatto sanza licenzia sua; e però conoscersi che e’ non aveva voluto fare legge proibitiva, non per negligenzia, ma perché non credendo che alcuno avessi animo di tòrla sanza sua licenzia, voleva si maritassi per ie mani sue, e darla a chi paressi a lui. E si procedeva ogni di piú caldo in queste quistione, in forma che Alfonso Strozzi disse che volendo sanare la cittá bisognava tagliare el capo allo arcivescovo, a Bernardo Rucellai, a Filippo Buondelmonti, a Giovanni Corsi ed a piú altri; ed Alessandro Acciaiuoli disse che Giovan Batista Ridolfi si faceva capo de’ giovani per fare scandolo, tanto che ne feciono quistione; ed essendo in carico grande Bernardo Rucellai che si trovava a Vinegia, scrisse una lettera alla signoria in sua giustificazione, repetendo tutti e’ processi sua insino da Lorenzo, da Piero e dal frate, pe’ quali si mostrava quanto sempre e’ fussi stato caldo che la cittá stessi in libertá ed in quiete. In ultimo gli otto, che ne erano massime capi Bernardo di Carlo Gondi, Carlo di Lionardo del Benino e Giovan Francesco Fantoni, considerando quanta divisione partoriva ogni di piú questo caso e quanto terrebbe la cittá piú inferma e sospesa se si conducessi in una quarantia, ed avendo forse notizia che ei gonfaloniere acconsentiva che la posassi, ne dettono con otto fave nere giudicio in questo effetto: condannorono Filippo in ducati cinquecento d’oro e lo confinorono nei reame di Napoli per anni tre; dichiarorono essere rubello Lorenzo figliuolo di Piero secondo la forma degli statuti che parlavano della materia, e non la femina, perche si era trovato uno altro statuto che ne eccettuava le femine. E benché questo giudicio [p. 332 modifica] a chi paressi troppo, a chi poco, pure fu universalmente riputato giudicio ragionevole, e gli otto furono commendati d’avere spento questo fuoco che ogni di piú multiplicava e si estendeva.

Furono varie opinioni quello che fussi seguito di questo caso se e’ fussi ito nella quarantia; e benché si fussi ridotto molto alla sorte degli uomini che fussino stati tratti, pure io sono di opinione che se fussino stati tratti uomini di mezzo, arebbe Filippo avuto maggiore pregiudicio; perché molti erano insospettiti che non fussino pratiche di mutare lo stato, a molti dispiaceva che la casa degli Strozzi, potente e grande, avessi avuto ardire fare una tale cosa, e però giudicavano essere bene bastonargli. E certo è opinione che se el gonfaloniere avessi da principio, quando el caso venne a luce, chiamato una pratica e voluto che o con polizze o con fave manifestassino el parere loro, ne sarebbe nato uno giudicio aspro; ma lui insospettito, secondo la natura sua, de’ cittadini, la volle governare da se medesimo; di che molti a chi dispiaceva, si stettono a vedere, molti si sdegnorono che e’ trattassi le cose publiche come private e sue proprie; e nondimeno se gli Strozzi non si fussino aiutati potentemente, el garzone capitava male; ma sendosene loro risentiti, e perché Alfonso suo fratello teneva col gonfaloniere e Lorenzo Strozzi era giovane, avendone preso la cura Matteo e governandola con consiglio occultamente ed aiuto di Iacopo Salviati, ebbe fine facile.

Seguitavasi di poi tuttavia nello strignere Pisa, e perché, secondo che di sotto si dirá, le pratiche con Francia andavano alla via della conclusione, si fece risoluzione fare ogni forza che non vi entrassi grano; ma sopravenendo nuova di Riviera di Genova, da Livorno e molti luoghi, come a Genova si caricava grano per metterlo in Pisa, con tutto che si dubitassi non fussi ordine del re di Francia, pure perché di Francia s’avevano di continuo buone lettere, e perché gli imbasciadori scrivevano queste cose essere contro alla intenzione del re, si deliberò proibirlo. E però, per fare piu forte la armata [p. 333 modifica] nostra, si mandò una parte delle nostre gente di arme con parecchi migliaia di battaglioni verso San Piero in Grado, e 1 quali si divisono, ed una parte ne andò di qua di Arno, una di lá; in modo che sopravenendo poco poi la armata inimica, non ebbe ardire andare piú innanzi, ma si ritornò presto indrieto; e si intese era cosa di poco fondamento e fatta piú tosto con ordine di genovesi privati che del publico, e non con legni della communitá di Genova, ma di privati e forestieri soldati, come mostrò lo effetto, per pochi di. E perché, se tale sussidio venissi piú potente, si deliberò ripararvi e si conchiuse fare a San Piero in Grado uno ponte in su Arno, come avevano fatto e’ padri nostri quando ebbono Pisa; le quale cose perché si facessino con piú ordine e piú riputazione, non si trovando in campo pel publico altri che Niccolò Machiavelli cancelliere de’ dieci, vi furono eletti dagli ottanta, commes sari generali Iacopo ed Alamanno Salviati con grandissima riputazione di quella casa; ma trovato poi che tutti a dua insieme avevano divieto, sendo Alamanno di meno fave, rimasono Iacopo ed Antonio da Filicaia. E perché Iacopo essendo di collegio rifiutò, fu in suo luogo Alamanno; e cosi Antonio da Filicaia ed Alamanno Salviati andorono commessaci in quello di Pisa; e lasciato Niccolò Capponi in Cascina per le provisioni necessarie, Alamanno andò a stare a San Piero in Grado ed Antonio a Librafatta al governo del campo che era dalla altra parte di Arno.

In Pisa si intendeva essere strettezza, e benché non tanta che si morissino di fame, pure carestia grande, e molti speravano che vedutosi privati dello aiuto de’ lucchesi, e come intendessino la conclusione fatta con Francia, fussino per venire a qualche accordo; e però avendo in quegli tempi el signore di Piombino avisato a Firenze come imbasciadori pisani volevano venire a lui a trattare accordo se avessino salvocondotto, parve al gonfaloniere concederlo loro, e fu mandato el Machiavello a Piombino per intendere quello che dicessino; dove sendo venuti circa venti fra cittadini e contadini di Pisa, la pratica rimase vana, perché non avevano mandato [p. 334 modifica] da conchiudere, e si comprese che non erano venuti per accordarsi, ma e’ capi che reggevano Pisa e che erano ostinatissimi avevano introdutta questa pratica per pascere lo universale loro e tenerlo disposto el meglio potevano; perché in fatto nella moltitudine erano molti che, vedutosi in povertá e stento grande, arebbono desiderato pigliare accordo.

Alla fine di questo anno si conchiuse con Francia in modo diverso dal ragionato di sopra; il che perché si intenda meglio e si abbia notizia di uno principio di movimento grande che andava a torno, s’ha a ripetere piú da alto. Poi che el re de’ romani stretto da necessitá fece vituperosamente triegua co’ viniziani, per virtú della quale le terre perdute rimanevano durante la triegua in mano de’ viniziani, con tutto che loro gli avessino a pagare le entrate, se ne andò malissimo contento verso la Fiandra dove el duca di Ghelleri colle spalle de’ franzesi molestava quello stato; e’ quali gli davano favore, perché lo imperadore, constretto difendere lo stato de’ nipoti sua, si divertissi dalle imprese di Italia. Quivi stimolato da madonna Margarita figliuola sua e che era a governo di quello dominio, stimolato da’ popoli che desideravano non guerreggiare co’ franzesi, volse lo animo a’ pensieri della pace con Francia. La quale cosa era molto desiderata da Francia, perché la guerra de’ tedeschi lo teneva in spesa grande, con pericolo di molta perdita e sanza speranza alcuna di guadagno; e però sendosi apiccata una pratica e trovatasi la materia disposta, monsignore di Roano ne andò in Fiandra a aboccarsi con madonna Margherita, e finalmente si fece conclusione e lega tra el re de’ romani, re di Francia e re di Spagna, per virtú della quale avendo ei re di Francia la investitura di Milano m certi modi, aveva a dare al re de’ romani buona somma di danari. Furono molti patti e capitoli segreti, l’effetto de’ quali era muovere di subito guerra a’ viniziani e reintegrare ognuno di questi principi degli stati che apartenevano a loro; e perché el papa era ne’ medesimi termini rispetto alle cose di Romagna, gli fu riservato el luogo a entrare nella lega, e fu fatto con sua saputa e consenso e dichiarato avessi a es[p. 335 modifica] sere arbitro delle differenzie nascessino fra questi principi e disegnato, per quanto si potè comprendere, che avessi a concorrere alla impresa o con gente o con danari. Fatto e publicato questo accordo, subito el re di Francia dette danari a Massimiano e cominciò a mettere in ordine uno esercito grossissimo per venire a tempo nuovo in Italia contro a’ viniziani e revocò da Vinegia lo imbasciadore vi teneva e licenziò quello de’ viniziani che era in Francia. Nel quale tempo essendo ritornato Roan alla corte, chiamati gli imbasciadori nostri, e mostrò loro con quanta spesa facessi la impresa contro a’ viniziani, alla quale moltissime volte era stato stimolato da noi, e che cedeva in nostra grandissima utilitá; richiese che la cittá lo servissi in presto di ducati cinquantamila, e lui ed el re di Spagna si obligherebbono alla protezione nostra per tre anni; aggiugnendo di favorirci alla impresa di Pisa, ed in caso che Pisa s’avessi fra uno anno, noi gli avessimo a dare ducati cinquantamila ed altretanti al re di Spagna; e cosi non s’avendo, non solo non vorrebbe altro, ma ci renderebbe e’ ducati cinquantamila datigli in prestanza. Scrissono gli imbasciadori a Firenze questa dimanda, e parve molto strana, perché, secondo le condizione ragionate prima, non aveva a avere un quattrino innanzi alla avuta di Pisa, e benché promettessi rendergli al caso che Pisa non si avessi, nondimeno non si faceva fondamento l’avessi a fare; pure avendosi speranza di Pisa e considerato che negandogli, era al tutto spacciata quella impresa; considerando ancora la sua venuta in Italia con uno esercito potentissimo, e quanta differenzia fussi l’averlo a avere amico o nimico, si concluse facilmente el farlo e si dette commessione agli imbasciadori che conchiudessino. E però, essendo loro in sul serrare, el re disse essere contento alla protezione nostra contro a ognuno, etiam contro allo imperadore; ma che per rispetto dello imperio non voleva si nominassi, ma si includessi con parole generale; le quale quando non bastassino, che prometteva a parole ed in fatto lo osserverebbe. Avisoronne gli oratori a [p. 336 modifica] Firenze, e si concluse non si lasciassi per questo, perché quando bene si esprimessi, non lo osserverebbe piú che gli paressi, o se pure lo osservassi, cosi lo osserverebbe promettendolo a parole. E cosi ridata la commessione, l’accordo si conchiuse ne’ modi detti di sopra, e ne venne a Firenze le nuove alla fine dello anno 1508, negli ultimi di. In detto tempo, intendendosi come monsignore di Ciamonte ne era venuto a Milano in poste per apparecchiare le cose necessarie alla espedizione contro a’ viniziani, gli fu mandato oratore Francesco Pandolfini.