Taras Bul'ba/IX

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VIII X
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IX


I
n città nessuno sapeva che una metà dei Saporogini era partita per inseguire i Tartari. Dalla torre del palazzo del Governo le sentinelle notavano soltanto che una parte dei carriaggi sfilava dietro il bosco; ma pensarono che i cosacchi si preparassero a fare un’imboscata; e cosí pensava pure l’ingegnere francese. Ma frattanto le parole del Koscevoj non andarono a vuoto, e nella città si rivelò l’insufficienza delle vettovaglie disponibili; secondo la consuetudine dei secoli passati, l’esercito non calcolò di quante cibarie aveva bisogno. Provarono a fare una sortita, ma una metà di quegli uomini arditi fu subito fatta a pezzi dai cosacchi, e l’altra metà fu ricacciata dentro senza alcun frutto. Gli ebrei, però, approfittarono di quella sortita per andare a fiutare ogni cosa: dove erano andati i Saporogini e a che fare, e con quali comandanti, e precisamente quali kurjenje, e quanti erano di numero, e quanti ne erano [p. 186 modifica]rimasti sul posto, e che cosa questi si proponevano di fare — in una parola, dopo pochi minuti, nella città erano già informati di tutto. I colonnelli si fecero animo, e si prepararono a dare battaglia. Taras se ne avvide dal movimento e dal rumore che si notava nella città, e prontamente si mise in moto: disponeva, dava ordini e istruzioni; e collocò le kurjenje in tre reparti coi carri allineati intorno intorno a guisa di barricata — un genere di combattimento in cui i cosacchi solevan essere invincibili. A due kurjenje ordinò di recarsi in imboscata; riempí una parte del campo con piuoli aguzzi, armature rotte, frantumi di lance, perché, capitando il destro, potesse cacciare lí dentro la cavalleria nemica. E quando tutto fu eseguito a dovere, tenne un discorso ai cosacchi, non allo scopo d’incoraggiarli e rianimarli — ben sapeva che anche senza il discorso essi erano forti di animo — ma cosí semplicemente, aveva voglia di dire tutto ciò che aveva nel cuore.

— Mi piace di dirvi, signori, come è fatta la nostra solidarietà. Voi udiste dai vostri padri, dai vostri nonni, in quale onore presso tutti i popoli era la nostra terra: anche dai Greci s’era fatta conoscere; anche da Costantinopoli le portavano zecchini, e aveva città magnifiche e templi, e aveva dei principi, principi di [p. 187 modifica]sangue russo, principi nostri e non cattolici miscredenti. Tutto ci portarono via i pagani, tutto andò perduto; restammo soltanto noi, orfani, sí, e come una vedova ch’ebbe un forte marito, rimase orfana al pari di noi la nostra terra. Ecco in quale momento, o signori, noi ci demmo la mano in segno di fratellanza! Ecco su che si fonda la nostra solidarietà! Non c’è un vincolo piú sacrosanto della nostra solidarietà. Il padre ama il figlio, la madre ama il figlio, il figlio ama il padre e la madre; ma non è la stessa cosa, signori! anche la belva ama il figlio suo. Ma imparentarsi in parentela di spirito e non di sangue: ecco una cosa che l’uomo soltanto può fare. Anche in altri paesi ci furono dei camerati; ma come in terra russa non furono camerati in nessun altro luogo. A piú d’uno di voi è capitato di perdersi per molto tempo in terra straniera; ebbene, anche lí vivono dei popoli! anche li c’è l’uomo creato da Dio, e tu gli parli come a uno dei tuoi; ma quando si viene al punto di comunicare una parola che venga dal cuore — ecco: non c’è! Persone intelligenti e savie, ma non son quelle! uomini come noi, ma non son quelli! No, signori, amare cosí come può amare un’anima russa amare non con la ragione o con altro [p. 188 modifica]che sia, ma con tutto ciò che Dio ti ha dato e che si trova in te — ah... — e dicendo questo, Taras gesticolava con la mano e scuoteva il capo canuto, e faceva tremare i suoi baffi; e aggiunse: — No, amare cosí non può nessuno! So bene che oggi le cose vanno male nella nostra terra: pensano soltanto ad avere i loro mulini, i loro fienili, le loro mandre di bestiame, e che restino intatte nelle cantine le loro botti suggellate piene d’idromele; prendono sa il diavolo quali usanze pagane; detestano la propria lingua; i fratelli non vogliono parlare coi fratelli; il fratello vende il fratello come la merce inanimata si vende in un mercato. Il favore d’un re straniero, anzi neppure d’un re, il meschino favore di un magnate polacco che li percuote sul muso con la sua gialla pantofola, è per loro piú caro di qualsiasi fratellanza. Ma perfino l’ultimo sguattero, quale che sia, anche se si è tutto voltolato nella fuliggine e nella servilità; pure anch’egli ha, signori, la sua briciola di sentimento russo, e questo sentimento si ridesterà quando che sia — ed egli, meschino, si percuoterà con le mani da sé nei fianchi, si prenderà tra le mani la testa, maledicendo ad alta voce la sua vita abbietta, e sarà pronto a riscattare con fatiche e pene la sua condotta [p. 189 modifica]ignominiosa. Sappiano ora tutti che significa la solidarietà in terra russa! e se ormai fossimo al punto di dover morire, a questo modo nessun di loro avrà la sorte di morire! nessuno, nessuno! Di tanto non è capace la loro natura da talpe!

Cosí parlò l’atamano, e quando ebbe finito il suo discorso, seguitava ancora a scuotere fieramente il suo capo incanutito nelle gesta cosacche. Tutti i presenti furono fortemente colpiti da un tale discorso, che penetrava loro fino al cuore. I piú anziani stessi tra le file stavano immobili, con le grige teste chinate a terra; una lagrima lentamente scorreva giú tra le palpebre rugose; essi l’asciugavano piano piano con una manica. E in fine tutti, come se si fossero prima messi d’accordo, gestirono nello stesso momento col braccio, e scossero la testa ricca d’esperienza. Certo, il vecchio Bul’ba aveva risvegliato in ciascuno di loro gran parte di quel sentimento nobile e superiore che si trova nel cuore dell’uomo reso savio dal dolore, dalle fatiche, dalle audaci imprese e da ogni sorta di disagi nella vita, o di colui che, se pure non ha fatto tali esperienze egli stesso, ha molto sentito e intuito nella gioventú con l’anima [p. 190 modifica]giovine e ricca, per la gioia perenne dei vecchi genitori che gli diedero la vita.

Ma dalla città usciva ormai l’esercito nemico, tra lo strepito dei tamburi e delle trombe, e pavoneggiandosi venivano fuori i baroni attorniati da vassalli senza numero. Il colonnello corpulento dava gli ordini. E cominciarono ad avanzare compatti contro i tàbori cosacchi, minacciando, puntando gli archibugi, mandando faville dagli occhi e brillando nelle armature di rame. Appena i cosacchi li videro arrivati a tiro di schioppo, cominciarono tutti insieme una scarica dai loro archibugi di sette palmi, e senza interruzione seguitarono a scaricare gli archibugi sul nemico. Si propagò lontano il fragoroso schioppettío per tutti i campi e i prati circostanti, fondendosi in un immane rombo ininterrotto; si coperse di fumo tutto il campo; e i Saporogini sparavano sempre, senza riprender fiato, suscitando meraviglia e stupore nel nemico, che non capiva come i cosacchi sparassero senza ricaricare i fucili. Ma nelle file posteriori non facevano che caricare e passare i fucili carichi alle file anteriori. Ormai non si vedeva piú niente per la gran quantità di fumo che avvolgeva l’uno e l’altro esercito, e non si vedeva che ora uno, ora un altro veniva a [p. 191 modifica]mancare nelle file; ma i Ljachi sentirono che le palle volavano troppo fitte e la mischia era troppo accesa; e quando indietreggiarono per appartarsi dal fumo, e si guardarono intorno, videro che molti dei loro non si trovavano piú nelle file; mentre fra i cosacchi i morti erano due o tre forse per ogni centuria. E seguitavano tuttavia i cosacchi a sparare dagli archibugi senza fare un minuto di sosta. Lo stesso ingegnere straniero fu preso d’ammirazione per una tale tattica non mai veduta, e disse subito in faccia a tutti:

— Che bravi giovani questi Saporogini! Ecco come devon battersi anche gli altri in difesa di altri paesi!

E diede il consiglio di puntare immediatamente i cannoni contro il tàbor. Mugghiarono gravemente dalle larghe fauci di bronzo i cannoni; tremò rombando lontano la terra, e due volte piú grande si stese il fumo su tutto il campo. Si sentí l’odore della polvere per le strade e per le piazze delle città vicine e lontane. Ma i tiratori presero la mira troppo alta; e troppo alto fu l’arco che le palle infocate descrissero: fischiando orrendamente nell’aria passarono sopra le teste di tutto il tàbor, e andaron lontano ad affondarsi nel suolo, strappando e lanciando in aria a grande altezza [p. 192 modifica]nugoli di terra nera. L’ingegnere francese si cacciò le mani nei capelli alla vista di una incapacità cosí fatta; e si accinse a dirigere egli stesso il tiro, non badando al fatto che i cosacchi seguitavano a sparare e spandere dappertutto una pioggia di palle.

Taras aveva veduto già da lontano che un disastro stava per toccare a tutta la kurjenja di Nesamajkov e a quella di Streblikiv, e gridò forte:

— Scostatevi subito dai carriaggi e monti ciascuno a cavallo.

Ma i cosacchi non avrebbero fatto a tempo a compiere l’una cosa e l’altra, se Ostap non avesse coi suoi dato addosso proprio nel mezzo all’artiglieria nemica, e fatto saltare le micce a sei cannoni; a quattro soltanto non riuscí a farlo, ché i Ljachi lo fecero indietreggiare. E in quel momento il capitano straniero prese egli stesso in mano una miccia, per tirare da un cannone enorme, quale i cosacchi non avevano mai veduto fin allora. Esso pareva guardare dalla sua gola immane, ed erano mille morti che di lí guardavano. E quando esso tuonò, e dietro ad esso gli altri tre, si scosse quattro volte la terra echeggiando cupamente — e quanti lutti ne seguirono! Non sarà uno solo il cosacco per cui singhiozzerà la vecchia madre, [p. 193 modifica]percuotendosi con le mani ossute i seni disfatti; non una sola rimarrà vedova in Gluchov, Nemirov, Cernigov e nelle altre città. Andrà la donna amante correndo ogni giorno al bazar, attaccandosi a tutti quelli che arrivano, cercando di fissare ciascuno di essi negli occhi, caso mai fosse tra loro quell’uno caro piú di tutti; ma molte truppe di ogni sorta passeranno per le città, e non sarà mai tra loro quell’uno caro piú di tutti.

Cosí d’un colpo scomparve una metà della kurjenja di Nesamajkov! Come d’un tratto è abbattuto dalla grandine tutto un campo coltivato in cui prima ogni spiga brillava come solido oro zecchino, cosí quelli furono colpiti e atterrati. Ma come si precipitarono allora i cosacchi! Come si ripresero tutti! Come entrò in bollore il capo-kurjenja Kukubjenko, vedendo che la migliore metà delle sue genti non c’era piú! Si lanciò coi suoi superstiti di Nesamajkov proprio. nel mezzo della mischia. Nell’impeto del suo furore tagliò come un cavolo il primo che gli capitò alle mani, buttò giú di sella molti cavalieri, raggiungendo con la sua lancia cavallo e cavaliere, si scaraventò sui cannoni, e subito ne mise a tacere uno; ma lí si accorge che si trova già all’opera il capo-kurjenja di Uman, e Stepan Guska ha già messo a tacere il cannone principale. Lasciò li quei cosacchi, e [p. 194 modifica]coi suoi si lanciò contro un’altra frotta di nemici. Dove passavano i cosacchi di Nesamajkov, lí si apriva una strada; dove essi si voltavano, c’era già subito un vicolo! Si vedeva bene come si facevano rade le file dei Ljachi, e come questi cadevano a guisa di covoni mietuti! E proprio accosto ai carriaggi era Vovtusjenko, e sul davanti Cerevicenko, e presso i carri piú lontani Degtjarjenko, e dietro a quelli il capo-kurjenja Vertychvistj. Due nobili guerrieri aveva già infilati alla lancia Degtjarjenko, e infine piombò sopra un terzo tutt’altro che arrendevole. Era un polacco destro e forte, vestito di una splendida armatura e i soli servi che menava con sé erano cinquanta. Egli raggiunse con un forte colpo Degtjarjenko, lo gettò a terra, e già vibrando su di lui la spada gridava:

— Non c’è tra voi, cani cosacchi, neppure uno che ardisca affrontarmi!

— Ecco che c’è! — gridò allora, facendosi avanti, Mosij Scilo.

Era questi un forte cosacco, che piú volte aveva avuto il comando sul mare e aveva sofferto ogni sorta di guai. Lo presero una volta i Turchi presso Trebisonda e portarono lui e i suoi sulle loro galere, li legarono mani e piedi con catene di ferro, non diedero loro cibo per intere settimane e li abbeveravano con [p. 195 modifica]ributtante acqua di mare. Tutto sostennero e tollerarono i miseri prigionieri, pur di non tradire la loro fede ortodossa. Non resistette l’atamano Mosij Scilo, calpestò coi suoi piedi la Santa Legge, con un impuro turbante si avvolse la testa peccaminosa, si acquistò la fiducia del pascià, e divenne guardarobiere sulla caravella turca e sorvegliante di tutti i prigionieri. Ne ebbero grande dolore i miseri prigionieri, perché sapevano che, se uno dei loro tradisce la fede e si unisce ai persecutori, allora è piú gravoso e amaro essere sotto le sue mani, che sotto qualsivoglia nemico dei cristiani. E cosí avvenne. Scilo li piantò tutti in nuove catene a tre a tre in fila; attorse loro intorno le corde spietate fino al bianco dell’ossa; li martoriò tutti nel collo, regalandoli di colpi sulla nuca. Quando poi i Turchi, soddisfatti d’aver trovato un servo cosí fedele, fecero un banchetto e, dimenticando la loro legge, si ubbriacarono tutti, egli portò tutte le sessantaquattro chiavi e le distribuí ai prigionieri perché si mettessero in libertà, gettassero a mare le catene e i ceppi e prendessero in cambio le sciabole e ammazzassero i Turchi. Un grande bottino fecero allora i cosacchi e pieni di gloria tornarono in patria; e per molto tempo i banduristi celebrarono Mosij Scilo. Se lo avessero eletto Koscevoj, [p. 196 modifica]sarebbe stato un cosacco addirittura meraviglioso. Una volta compiva una tale impresa, che un altro non avrebbe neppure pensata; ma un’altra volta era una pazzia quella che sopraffaceva il cosacco. Bevendo e divertendosi consumò tutto quello che aveva, s’indebitò con tutti nella Sjec e per giunta si mise a rubare come un ladro di strada: una notte asportò da una kurjenja estranea tutta un’armatura cosacca e andò a impegnarla all’osteria. Per questa azione ignominiosa fu messo nel bazar, legato a una colonna, e gli posero accanto un randello, acciocché ognuno nella misura delle sue forze gli assestasse un colpo; ma non si trovò fra tutti i Saporogini uno che sollevasse il randello contro di lui, ricordando le sue passate benemerenze. Un cosacco di tal fatta era Mosij Scilo.

— Ecco qui, ce ne sono di quelli capaci di accopparvi, cani! — gridò egli lanciandosi sull’avversario.

E già si battevano entrambi! Gli spallacci e i giustacuori ad entrambi si piegavano sotto i colpi. Il nemico polacco ruppe a Scilo la maglia di ferro, penetrando con un fendente fino alle carni: si tinse di rosso la maglia del cosacco. Ma Scilo non ci badava, e levò in alto il suo braccio nervoso (un braccio pesante e massiccio) e tirò un colpo al capo dell’avversario in [p. 197 modifica]modo da stordirlo. Volò via l’elmo di rame, vacillò risonando nell’armatura, il polacco; e Scilo si lanciò a dare il colpo di grazia a quell’uomo. privo di sensi.

Non accoppare il nemico, o cosacco, ma piuttosto voltati indietro!

Non si voltò indietro Scilo, e in quell’istante lo colpí al collo con un pugnale uno dei servi dell’ucciso. Si voltò Scilo, e avrebbe già raggiunto il temerario: ma questi sparí nel fumo della polvere. Da tutte le parti sorse uno schioppettío di armi da fuoco.

Scilo barcollò e sentí che la sua ferita era mortale. Cadde giú tenendo una mano sulla ferita, e disse rivolto ai compagni:

— Addio, egregi signori, miei camerati! Che rimanga in eterno la terra russa ortodossa, e sia onorata in eterno!

E socchiuse gli occhi illanguiditi, e l’anima cosacca si partí dalle rozze membra. Proprio in quel momento veniva già avanti Zadorognij coi suoi, rompeva le file il capo-kurjenja Vertychvistj, e s’appressava Balaban.

— Ebbene, signori — disse Taras parlando ad alta voce coi capi-kurjenje — c’è ancora polvere nelle taschette? non s’è affievolita la forza cosacca? ancora non piegano i cosacchi?

— C’è ancora polvere, o babbo, nelle [p. 198 modifica]taschette; non s’è affievolita la forza cosacca; non piegano ancora i cosacchi!

E incalzarono i cosacchi di tutta forza, e scompigliarono interamente le file nemiche. Il colonnello bassetto fece battere la ritirata e ordinò di spiegare otto bandiere per richiamare i suoi che erano dispersi per tutto il campo. I Ljachi corsero tutti alle loro insegne; ma non furono a tempo a riordinarsi che già il capo-kurjenia Kukubjenko si gettò loro proprio nel mezzo e piombò diritto sul colonnello corpulento. Non resistette il colonnello, e, voltato il cavallo, si lanciò al galoppo; ma Kukubjenko di lontano l’inseguiva per tutto il campo, impedendogli di riunirsi al suo reggimento. Si accorse di ciò, da una kurjenja laterale, Stepan Guska, e si lanciò a intercettare il fuggente, con un laccio in mano, tenendo la testa tutta piegata sulla nuca del cavallo, e, colto il momento opportuno, d’un colpo gli gettò il laccio al collo: divenne tutto rosso il colonnello, attaccandosi con tutte e due le mani alla corda del laccio e cercando di strapparla, ma già un fiero colpo gli aveva piantato nel ventre una picca mortale. E lí rimase, inchiodato al suolo. Ma anche Guska non se la cavò allegramente! Non fecero a tempo a guardarsi attorno i cosacchi, [p. 199 modifica]e videro Stepan Guska sollevato su quattro lance. Riuscí soltanto a dire il meschino:

— Possano perire tutti i nemici e arridano i secoli eterni alla terra russa!... — e subito volò via l’anima sua.

Si guardarono attorno i cosacchi, ed ecco già di fianco il cosacco Meteliza concia per le feste i Ljachi, dando colpi indiavolati a questo e a quello; ed ecco dall’altro lato incalza coi suoi il comandante Nevylickij; e presso i carriaggi mette in fuga i nemici e li stermina Zakrutyguba; e presso i carri piú lontani il terzo Pissarjenko inseguiva già tutta una frotta; e già presso altri carri erano alle prese e si battevano sui carri stessi.

— Ebbene, signori — gridò forte l’atamano Taras, facendosi innanzi a tutti — c’è ancora polvere nelle taschette? Resiste ancora la forza cosacca? Ancora non si piegano i cosacchi?

— C’è ancora, o babbo, polvere nelle taschette; resiste ancora la forza cosacca; non piegano ancora i cosacchi.

E cadde ormai dal carro Bovdjug. Diritto al cuore lo colpí una palla; ma raccolse ancora tutte le sue forze il vecchio e disse:

— Non mi duole di separarmi dal mondo. Che Dio conceda a tutti una tale fine! Sia gloria alla terra russa fino alla fine dei secoli! [p. 200 modifica]

E salí alle regioni superne l’anima di Bovdjug, a raccontare ai vecchi da lungo tempo trapassati come sanno battersi nella terra russa, e meglio ancora, come sanno morire in essa per la santa fede.

Balaban, capo-kurjenja, subito dopo cadde giú con fracasso anche lui. Tre ferite mortali l’avevano colto, da una lancia, da una palla e da un pesante squadrone. Egli era uno dei piú prodi cosacchi; molte imprese di mare aveva compiute nel tempo del suo comando, ma la piú gloriosa di tutte fu la sua spedizione sulle rive dell’Anatolia. Lí guadagnarono i cosacchi una grande quantità di zecchini, molti preziosi oggetti turchi, pugnali e armi d’ogni genere; ma patirono guai nel viaggio di ritorno: capitarono sotto il tiro dei cannoni turchi. Quando li colsero dalla caravella, una metà dei canotti cominciarono a girare su se stessi e si capovolsero facendo cadere in acqua piú d’uno; ma le canne legate ai fianchi dei canotti li salvarono dall’essere affondati. Balaban si salvò remando di tutta forza, tenendosi diritto nella direzione del sole, e con ciò rendendosi invisibile alla caravella turca. Tutta la notte poi, con tinozze di bordo e coi cappelli vuotarono l’acqua, ristopparono le falle, da mutande cosacche si tagliarono delle vele, filarono via e sfuggirono all’in[p. 201 modifica]seguimento della velocissima caravella turca. E non basta che giungessero incolumi alla Sjec; portarono anche una pianeta ricamata in oro all’archimandrita del monastero di Megigor in Kiev, e per l’Intercessione della Beata Vergine, la chiesa dei Saporogini, una cornice di argento puro. Quindi per molto tempo i banduristi celebrarono l’audacia dei cosacchi.

Ora, Balaban piegò la testa, sentendo vicina la sua agonia, e disse piano:

— Mi sembra, egregi signori, che io farò una bella morte: sette ne ho squartati, nove ne ho infilati con la lancia, non so quanti calpestati sotto le zampe del cavallo e non ricordo piú quanti ne ho colpiti con le palle del fucile. Che fiorisca in eterno la terra russa!

E l’anima sua si partí.

O cosacchi, cosacchi! non fate getto del miglior fiore del vostro esercito!

Kukubjenko è già accerchiato; non rimangono ormai se non sette uomini di tutta la kurjenja di Nesamajkov; ormai anche quelli si battono sopra le forze; ormai le vesti del comandante sono insanguinate. Taras in persona, vedendolo in quella stretta, si affrettò per salvarlo. Ma troppo tardi giunse l’aiuto dei cosacchi; una lancia gli si confisse sotto il cuore prima che fossero respinti i nemici che l’ [p. 202 modifica]accerchiavano. Lentamente egli si ripiegò tra le braccia dei compagni che lo reggevano, e sgorgò a rivi il suo giovine sangue, simile al vino prelibato che in un recipiente di vetro portavano dalla cantina i servi malaccorti; essi sdrucciolarono nell’uscire e ruppero la preziosa damigiana: tutto si sparse per terra il vino, e si mise le mani nei capelli il padrone accorso al rumore, egli che lo aveva conservato per una migliore occasione nella vita; affinché, se Dio avesse concesso negli anni della vecchiaia di rivedersi coi compagni della gioventú, fosse stato possibile insieme con loro rammentare altri tempi e migliori, quando la vita dell’uomo si menava lieta, in modo diverso e migliore...

Girò attorno lo sguardo Kukubjenko e disse:

— Ringrazio Iddio che mi è stato concesso di morire sotto i vostri occhi, o camerati! Oh, dopo di noi vivano altri piú valenti di noi, e sia gloriosa in eterno la terra russa cara al Cristo! — E volò via quella giovine anima. La sollevarono gli angeli sulle loro braccia e la portarono in cielo. Egli starà bene là. «Siedi alla mia destra!» dirà a lui il Cristo. «Tu non tradisti la solidarietà dei camerati, non compiesti un’azione disonorevole, non abbandonasti un uomo nella sciagura, custodisti e difendesti [p. 203 modifica]la Mia chiesa.» Fu un dolore per tutti la morte di Kukubjenko. Si erano già molto diradate le file dei cosacchi; molti, molti valorosi ormai erano spariti; ma non indietreggiavano e resistevano ancora i cosacchi.

— Ebbene, signori — gridò Taras rivolgendosi alle kurjenje superstiti — c’è ancora polvere nelle taschette? non si sono ottuse le sciabole? non s’è affievolita la forza cosacca? non si sono piegati i cosacchi?

— C’è ancora polvere abbastanza, o babbo; le sciabole sono ancora buone; non si è affievolita la forza cosacca; non si sono ancora piegati i cosacchi.

E i cosacchi rinnovarono i loro sforzi per modo che pareva non avessero subito alcuna perdita. Ormai tre soli dei capi-kurjenje si trovavano ancora tra i vivi; rosseggiavano dappertutto rivoli di sangue; si alzavano sempre piú alti i mucchi di cadaveri cosacchi e nemici. Levò Taras gli occhi al cielo, e già nel cielo si stendeva una lunga fila di girifalchi. Oh, non mancherà la preda a nessuno! E già intanto Meteliza era infilato da una lancia; e già la testa del secondo Pissarjenko era rotolata a terra stralunando gli occhi; e già si era abbattuto e si gonfiava per terra Ochrim Guska orrendamente squartato. — Su! — disse Taras, e fece [p. 204 modifica]segno col fazzoletto. Comprese il segnale Ostap e mosse un violento assalto, uscendo dall’imboscata, contro la cavalleria. Non resistettero all’urto violento i Ljachi, ed egli li inseguí e li spinse direttamente verso il terreno tutto irto di pali e tronconi di lance. Andarono a inciampare e cadere lí i cavalli, mentre sulle loro teste volavano Ljachi. E in quel momento, i soldati di Korsun1, schierati per ultimi dietro i carri, accortisi che i nemici erano già a tiro, cominciarono una scarica di fucileria. Si confusero e dispersero tutti i Polacchi, e s’imbaldanzirono i cosacchi. «Vittoria! vittoria!» si sentiva gridare dalle voci dei Saporogini da tutti i lati; diedero fiato alle trombe e spiegarono il vessillo della vittoria. Da ogni parte fuggivano e si nascondevano i Ljachi dispersi.

— No attenti! ancora non c’è vittoria! — disse Taras, guardando verso le porte della città; e aveva ragione.

Si aprirono le porte, e ne uscí fuori come a volo il reggimento degli usseri, il fior fiore di tutti i reggimenti di cavalleria. Tutti, dal primo all’ultimo, cavalcavano cavalli morelli indomiti; avanti a tutti si lanciava l’eroe piú ardito di tutti, piú bello di tutti; e cosí volavano i suoi [p. 205 modifica]capelli neri di sotto all’elmo di rame; svolazzava, avvolta al braccio, una preziosa sciarpa, ricamata dalle mani della prima tra le belle. Ed ecco, Taras fu atterrito, quando riconobbe che quegli era Andrea. Quegli intanto, tutto in preda alla foga e all’ardore della battaglia, avido di meritare il pegno avvolto al braccio, si lanciava come un giovine levriero, il piú bello, il piú veloce, e il piú giovine di tutta la muta. Aizzato dall’esperto cacciatore, s’avventa, lanciando nell’aria in linea retta le sue gambe, sempre curvandosi di fianco con tutto il corpo, spazzando la neve, e sorpassando dieci volte la lepre stessa, nel calore della sua corsa. Si fermò il vecchio Bul’ba a guardare come egli spianava la strada davanti a sé; metteva in fuga, stroncava, seminava colpi a destra e a manca.

Non resistette Taras, e gridò forte:

— Come? I tuoi compagni? I tuoi, figlio del diavolo i tuoi tu uccidi?

Ma Andrea non distingueva chi aveva davanti a sé, fosse uno dei suoi o un estraneo qualsiasi; non vedeva niente. Dei riccioli, dei riccioli vedeva, lunghi lunghi riccioli, e un seno simile a un cigno fluviale, e un collo di neve, e delle spalle e tutto quello che era stato creato per i baci pieni di follia.

— Ehi, giovinotti, pensate soltanto ad [p. 206 modifica]attirarmelo nel bosco; basta che lo attiriate a me! — gridò Taras.

E subito si staccarono trenta dei piú svelti cosacchi per attirarlo. Si raddrizzarono in testa gli alti berretti, e subito si lanciarono a cavallo per attraversare la via agli usseri. Urtarono di fianco i primi e li sgominarono, li staccarono dal seguito, regalarono colpi a questo e a quello, e Golokopytjenko diede ad Andrea un colpo di piatto nella schiena, e immediatamente tutti insieme si diedero alla fuga, correndo con tutta la forza cosacca. Oh, come si precipitò allora Andrea! Come gli ribollí in tutte le vene il sangue giovanile! Diede con gli acuti, sproni nei fianchi al cavallo, e volò di tutta lena dietro ai cosacchi, senza guardarsi addietro, senza vedere che dietro a lui una dozzina di uomini, appena, aveva fatto in tempo a seguirlo; ma i cosacchi volavano a tutto galoppo sui loro cavalli, e difilati voltarono entrando nel bosco. Andrea continuò ad inseguirli, e per poco non raggiunse Golokopytjenko, quando all’improvviso la mano poderosa di qualcuno afferrò per la briglia il suo cavallo. Si volse Andrea a guardare: davanti a lui era Taras! Un tremito lo prese in tutto il corpo e il volto gli si fece pallido: come uno scolaretto che he ha graffiato sbadatamente un compagno e ha ricevuto da lui un colpo di riga [p. 207 modifica]sulla fronte, divampa come fiamma, furente salta dal banco e si lancia dietro al compagno atterrito, ed è pronto a farlo a pezzi, e ad un tratto si urta nel maestro che ritorna in classe: in un attimo s’arresta lo slancio furioso e la rabbia cade giú sfinita. Allo stesso modo, in un attimo finí, come se non ci fosse mai stato, tutto l’impeto rabbioso di Andrea. E non vide innanzi a sé altro che il solo suo terribile padre.

— Ebbene, che abbiamo da fare adesso? — disse Taras guardandolo fiso negli occhi. — Di’, figliuolo, ti hanno aiutato i tuoi Ljachi?

Andrea non rispose.

— Tradire cosí! tradire la fede? tradire i tuoi? Fermati qui, scendi da cavallo!

Tutto umile, come un bambino; si lasciò andare giú dal cavallo e si fermò, né vivo né morto, innanzi a Taras.

— Sta’ lí e non ti muovere! Io ti misi al mondo, io ti ucciderò — disse Taras, e, fatto un passo indietro, si tolse di spalla il fucile.

Bianco come un cencio di tela fine, era lí Andrea; si vedeva che egli muoveva pian piano le labbra e pronunziava un nome; ma non era il nome della patria, o della madre o del fratello: era il nome della bellissima polacca. Taras sparò.

Come una spiga di grano recisa dalla falce, [p. 208 modifica]come un tenero agnello che ha sentito sotto il cuore il ferro mortale, egli chinò la testa e rotolò nell’erba senza dire una sola parola.

Si fermò il padre assassino e stette un pezzo a guardare quel corpo esanime. Anche morto era bello: il suo volto maschio, poc’anzi cosí pieno di vigore e di fascino irresistibile per le donne, rappresentava anche ora una incantevole bellezza; le sopracciglia nere come un velluto da lutto, facevano risaltare i suoi lineamenti coperti di pallore.

— Che gli mancava per essere un cosacco? — disse Taras. — Alto di statura, con le sopracciglia nere, con un volto signorile, aveva anche un braccio vigoroso nella battaglia! Si è perduto! Si è perduto ingloriosamente come un cane spregevole!

— Babbo, che hai fatto? Sei stato tu che l’hai ucciso? — domandò Ostap sopraggiungendo in quel momento.

Taras accennò di sí col capo.

Ostap guardava intensamente il cadavere negli occhi. Sentiva una gran pietà per il fratello, e disse subito:

— Copriamolo babbo di terra onorata, acciocché non abbiano ad oltraggiarlo i nemici e non vengano a lacerarne il corpo gli uccelli di rapina. [p. 209 modifica]

— Lo seppelliranno anche senza di noi! — disse Taras. — Avrà delle ploratrici e delle consolatrici.

Per un paio di minuti poi stette a pensare: lasciarlo lí perché ne facessero strazio i lupi, o rispettare in lui il valore guerresco, che un uomo prode ha il dovere di stimare in chicchessia? quand’ecco vede venire da lui a cavallo di galoppo Golokopytjenko:

— Sciagura, atamano! i Ljachi si sono fatti piú forti, nuove forze fresche sono giunte ad essi!

Non aveva finito di parlare Golokopytjenko che giunse a galoppo Vovtusjenko:

— Sciagura, atamano! giunge ancora nuova forza!

Non aveva finito Vovtusjenko che giunge correndo in fuga, ormai senza cavallo, Pissarjenko:

— Dove sei, babbo? Ti cercano i cosacchi. È già caduto il capo-kurjenja Nevylyc’kij, caduto Sadoròg’nij, caduto Cerevicenko; ma resistono i cosacchi; non vogliono morire senza vederti avanti ai loro occhi; vogliono che tu li guardi nell’ora della morte.

— A cavallo, Ostap! — disse Taras, e si affrettò per assistere ancora i cosacchi, per dare ancora ad essi uno sguardo, e perché essi in punto di morte potessero ancora volgere l’occhio [p. 210 modifica]al loro atamano. Ma non erano ancora usciti dal bosco, che già le forze nemiche avevano accerchiato il bosco da ogni lato, e tra gli alberi si vedevano dappertutto cavalieri con le sciabole e con le lance.

— Ostap, Ostap, non ti arrendere! — Taras, ed egli stesso, impugnata la spada sguainata, cominciò ad accogliere con tutti gli onori i primi che lo assalivano da tutti i lati. Su Ostap si lanciarono al galoppo in sei; ma non in buon punto lo investirono: ad uno volò subito via la testa; il secondo si voltò e batté in ritirata; il terzo si buscò un colpo di lancia nelle costole; il quarto fu piú audace; chinando la testa scansò una palla, ma la palla infocata si conficcò nel petto del cavallo — s’inalberò furiosamente il cavallo e stramazzò con fracasso a terra seppellendo il cavaliere.

— Bravo, Ostap! Bravo figlio! — gridò Taras — ecco io vengo dietro a te!

Ma egli stesso si batteva continuamente con gli assalitori. Si schermisce e attacca, Taras, distribuisce a questo e a quello regali sulla testa, e sempre guarda avanti a sé tenendo dietro con l’occhio a Ostap, e vede che daccapo gli piombano addosso almeno in otto in una volta.

— Ostap, Ostap! non ti arrendere!

Ma già lo sopraffanno, Ostap; già gli hanno [p. 211 modifica]tirato un laccio al collo, già lo legano, già lo portano via, Ostap.

— Eh, Ostap, Ostap! — gridò Taras cercando di aprirsi la via verso di lui, stroncando come un cavolo chiunque gli veniva tra i piedi.

— Eh, Ostap, Ostap!... — Ma come da un pesante macigno fu colto egli stesso in quell’istante; tutto cominciò a girare e roteare avanti ai suoi occhi; per un attimo guizzarono avanti a lui confusamente le teste, le lance, il fumo, vampe di fuoco, rami con foglie d’alberi che gli passavano come Un baleno fino sugli occhi. E poi s’abbatté, come una quercia scalzata, sul suolo. E una nebbia fitta gli avvolse gli occhi.

Note

  1. Korsun-Chersoneso Taurico, presso Sebastopoli.