Timoleone (Alfieri, 1946)/Atto quinto
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ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Timoleone, Echilo.
Echilo Ah! vieni:
la madre udrai...
Timol. Che udrò, ch’io giá nol sappia?
Echilo Veder ti vuole, a te gran cose...
Timol. Udirti
forse or con essa ad ingannarmi ardisci?
Echilo Io? — Ciò che far m’elessi, or or l’udisti.
Sol che tu scampi! e salvo or sei.
Timol. Che parli?
Salvo, da che? Ti spiega.
Echilo A me perdona,
se una cosa ti tacqui...
Timol. Ah! forse osasti?...
Echilo Non ti sdegnar. Dalla tua madre io dianzi
sí dubbj accenti udia; timor sí vero
scorgea per te nel suo cor palpitante;
sí calde istanze ella men fea, che ad ogni
costo quí trarti io volli. Ai fidi nostri
pensai ch’alto periglio sovrastava,
ma pur tel tacqui; era pur troppo io certo,
che mai da loro a patto alcun spiccarti
io non potrei, se a te il dicea.
A comune periglio osi tu schermo
farmi d’infame ostello? Ah! mal cominci.
Echilo Ammenderò con miglior fin, tel giuro,
cotal principio: ma, te salvo io volli.
Timol. Or, che sai dunque tu?... qual è il periglio?...
Echilo Poco di certo io so; ma tutto io temo:
e mi vi si sforza il baldanzoso volto
del securo Timofane; e l’aspetto
tremante della madre irresoluta.
Que’ satelliti suoi, che dal nostr’oro
compri, promesso avean spíar suoi passi,
e farne dotti noi, scoperti e uccisi
sono ad un tempo. In chi fidar non resta.
Scoperto è pure il convenuto loco
dell’adunanza nostra.
Timol. — Oh fatal giorno!...
Temuto dí! giunto sei tu? — Traditi,
dubbio non v’ha, noi siamo... Oggi e il coraggio,
e il patrio amor, tutto addoppiar n’è d’uopo.
Forza a noi non fu mai d’alma piú saldi
mostrarci, ch’oggi; e, che peggio è, mostrarci
finti, com’oggi, non fu forza mai.
Echilo Tosto volar l’avviso ai nostri io fea,
ch’era periglio in adunarsi. Duolmi,
oh ciel! che a messo non sicuro forse
io l’addossai: ma brevitá di tempo,
ed ansietá di te primier sottrarre,
m’han fatto incauto.
Timol. Ogni uom sottrar tu prima
di me dovevi. E qual potea ventura
miglior toccarmi? io colla patria spento
cadea: qual serbo altro desio, che morte? —
Misero me!... Perché salvarmi? a quale
dura vicenda resto?
Echilo In salvo or sei:
Demarista frattanto.
Timol. — Esperto appieno
tiranno è giá Timofane: ei sa tutte
troncar le vie; d’ogni alma insignorirsi;
spíar le menti; ed atterrire altrui
quanto atterrito egli è.
Echilo Ma ancor ben tutto
antiveder non sa.
Timol. Misero!...
Echilo Il volle;
ei stesso il volle: ogni pietá m’ha tolta.
Oh ciel! chi sa?... forse or gli amici nostri...
Timol. Due di lor, de’ piú prodi, a noi da lungi
vedea venire: Ortàgora, e Timéo:
ma fei lor cenno di ritrarsi.
Echilo Errasti.
Che non li vidi anch’io!
Timol. Se a morte viensi,
bastiam quí noi.
Echilo Troppi anco siam, se viensi
a sforzata vendetta, è ver; ma gli altri
per lor mezzo avvisar poteansi forse.
Timol. Perché nulla tacermi? Uscir fia ’l meglio...
Echilo Vien gente, o parmi: odi tu?
Timol. L’odo; e i passi
di donna son: forse è la madre.
Echilo È dessa.
SCENA SECONDA
Demarista, Timoleone, Echilo.
Echilo, oh quanto mi prestasti insigne,
pietoso ufficio! il mio figliuol riveggo...
Timol. Gioja cotanta, or donde?
Forse hai tu infranto del tiranno il core?
La universal nobil sublime gioja
di libertade pristina mi apporti? —
Ah, no! che ancor ti veggio in volto sculta
regal superbia. Or, di che godi? Ahi folle!...
Demar. Di rivederti, d’abbracciarti io godo.
Piú non sperava, che i tuoi passi omai
rivolgeresti alla mia stanza...
Timol. Stanza
d’inganno è questa, e di dolor, non tua;
o almen, non l’è di chi m’è madre. Or chiesto
m’hai forse quí, perch’io ten tragga? Vieni;
m’è assai gran palma il racquistar la madre;
del racquistar la patria poi, mi sia
felice augurio.
Demar. ...O figlio, ognor persisti
duro cosí?...
Timol. Donna, persisti ognora
di cosí picciol core? Altro hai che dirmi?
Demar. Dir ti vorrei; ma...
Timol. Tu non l’osi; il veggio.
Ma assai piú giá, che udir non voglio, hai detto,
col tuo silenzio. E che? tu tremi?... Intendo:
regina sei: sei di tiranno madre.
Nulla a me che risponderti rimane.
D’albergar quí, di quí morir sei degna.
Uopo non t’era a ciò chiamarmi: il sai
ch’io non ti son piú figlio. — Echilo, vieni;
d’iniquo loco usciamo.
Demar. Ah! no... T’arresta...
uscir non dei.
Timol. Lasciami: uscirne io voglio,
né in eterno tornarvi. Esiglio, e morte,
ed onta, e strazj io voglio, anzi che serva
Echilo Corinto
or quí ci vuol; non dei tu uscirne...
Demar. Uscirne
omai non puoi.
Timol. Chi ’l vieta a me?
SCENA TERZA
Timofane, Demarista, Timoleone, Echilo.
Forza, qual può fare a fratel fratello,
io far ti vo’. Lascia che al sen ti stringa;
che al fato, ai Numi, ad Echilo, alla madre
d’averti salvo io renda grazie.
Timol. Hai dunque
di nuova strage?... Ah! sí: nei torbidi occhi,
l’uccision recente ti si legge.
Ahi crudo tu!... — Mal di salvarmi festi.
Timof. In loco omai di securtá stiam tutti;
dove né a voi nuocer persona al mondo,
né a me il potete voi.
Timol. — Pensa, deh! pensa,
se ancor giovarti non possiam noi forse.
Timof. Sí; col v’arrender di buon grado, e tosto,
al mio poter; col dar voi primi agli altri
di obbedirmi l’esemplo.
Echilo D’obbedirti?
Timol. Noi primi?
Timof. Sí: poiché divider meco
tu nieghi il regno. A voi fors’io cedea,
se aperti mezzi usato aveste. Io franco
oprai con voi; la mia schiettezza farvi
schietti dovea...
Timol. La forza hai tu da prima
poscia usar, lieve t’era. Io, per tornarti
cittadino, adoprar dovea da prima
teco la forza, e non mai l’arte.
Echilo Ed io,
ad alta voce io forse non tel dissi,
che nemico m’avresti? e che, non cinti
di satelliti noi, d’ogni possanza
ancor che ignudi, e soli, a te tremendi
pur noi saremmo? e che da noi dovresti
guardarti ognor? — Men generosi fummo,
o siam, di te?
Timof. Dicestelo; e mercede
ampia or ven torna. Escluder io voi soli
volli da questa ultima strage, e il siete.
Confonder piú l’ingratitudin vostra
cosí mi piacque; e non turbar la gioja
del mio regno novello. — Omai lusinga
non entri in voi. Le tenebre di notte,
che ai vostri rei consessi prestar velo
solean finor, furo ai vostri empj amici
l’estreme queste. A lor l’avviso vostro
non perveniva, no: quel loco stesso
al tradimento sacro, ove di furto
si radunano, a tutti a un tempo tomba
s’è fatto or giá.
Timol. Che ascolto?
Echilo Oh ciel!...
Timof. Le audaci
lettere vostre a’ Micenéi, son queste;
ecco; ritornan giá: chi le recava,
è spento anch’ei. Vuoi piú? que’ due, che intorno
alle mie soglie ivano errando in arme,
Ortàgora e Timéo, dovuta morte
trovaro anch’essi. — Ove piú vuoi, lo sguardo
in giro manda, e obbedíenza scorgi,
ad arrenderti a me? Che puoi tu farmi,
se arrender non ti vuoi? Ben vi ho convinti,
che a me nemici rimanete soli;
che vili altrui, non men che a me, vi ho fatti.
Timol. E soli noi tu riserbare in vita
mai non dovevi. Io tel ripeto ancora:
nulla tu festi, se noi non uccidi.
Echilo Mai non sperar di riaverne amici.
Né lusinga, né tempo il può, né forza...
Timol. Né madre il può, qual io la veggio starsi
tacita, e piena di superbia e d’onta.
Echilo A vil non n’abbi. In me primier tua scure
il carnefice volga. Ancor non hai
gustato il sangue di congiunti: il prova;
ti aggradirá: — né sangue altro ti resta
piú necessario a spargere, che il mio.
Timol. Me pria di tutti svena. Un nuovo oltraggio
mi fai, nel risparmiarmi. Ogni piú sacra
cosa m’hai tolto: io son per te cosperso
d’eterna infamia: a che tardar? mi uccidi.
Timof. Pena maggior darò per ora ai vostri
cuori ostinati: il rimirarmi in trono;
e l’obbedirmi.
Timol. — Hai risoluto dunque
di non uccider noi?
Timof. Di non curarvi
ho risoluto.
Timol. E regnerai?
Timof. Giá regno.
Timol. Misero me!... Tu il vuoi... Ch’io almen nol vegga1.
Echilo Muori, tiranno, dunque.
Demar. Oh cielo! ah figlio!...
Timol. A me quel ferro:
la patria è salva.
Echilo Ah! per la patria vivi.
Demar. Guardie, accorrete...!2 Al traditor...
Timof. No, madre...
Timol. Dammi quel ferro; in me...
Echilo No, mai...
Timof. Soldati,
scostatevi; l’impongo;... omai piú sangue
versar non dessi.
Demar. Echilo pera...
Timof. In niuno
si volgan l’armi;... espressamente io ’l vieto...
itene: il voglio3.
Demar. E tu, crudel fratello,
scellerato... Ma, oh ciel! tu piangi?...
Timof. Io volli
o scettro, o morte: ma salvarti a un tempo
volli, o fratello. A morte almen dovea
trarmi il tuo braccio, che giá un dí scampommi:
per te il morir m’era men duro...
Echilo Ei nacque
a te fratel, non io: soltanto ad esso
spettava il cenno; il ferro a me spettava.
Demar. Barbari!... Voi; ch’ei trucidar non volle...
Timof. Deh! non gli far piú omai rampogne, o madre.
Giá in lui soverchio è il duolo; un mar di pianto,
vedi, il ciglio gl’inonda. — Io ti perdono,
fratello; e a me tu pur perdona... Io moro
ammirator di tua virtú... Se impreso
io non avessi a far... la patria... serva,...
impreso avrei di liberarla:... è questa
non vi ti trasse amor di gloria insano;
ottimo cuor di cittadin ti trasse
a svenare il fratello... A te la madre
io raccomando... In lui, tu madre, un vero
figliuol ravvisa,... e un uom... piú che mortale. —
Timol. Ei muore! Ahi lasso me!... Madre, tu m’hai
quí tratto a forza... O fratel mio, ben tosto
ti seguirò.
Echilo Deh!...
Demar. Figlio!...
Timol. A che rimango?
Ai rimorsi,... alle lagrime... Giá in petto
le agitatrici furie orride sento...
Pace per me non v’ha piú mai...
Echilo Deh! m’odi:
gli ajuti primi all’egra patria almeno
negar non dei...
Timol. Tormi d’ogni uomo agli occhi
deggio; e del sole ognor sfuggir la luce...
di duol morir, se non di ferro, io deggio.
Demar. Misera!... Oh ciel!... che fo? Perduto ho un figlio...
e l’altro a me non resta...
Timol. Oh madre!...
Echilo Ah! vieni,
togliamci a questa lagrimevol vista. —
Convincer dei, Timoleone, il mondo,
che il fratel no, ma che il tiranno hai spento.