Trattato completo di agricoltura/Volume I/Coltivazione della vite/9

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Maniere diverse di allevare la vigna

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maniere diverse di allevare la vigna.

§ 503. La vigna può essere formata con viti allevate in alto sulle piante ed a pergola; oppure a mezza altezza come nei filari a ghirlanda e gabbiolo; e bassa a ceppo, come si usa in Francia, in Ispagna ed in alcuni luoghi del Piemonte.

Questi diversi modi di tenere la vite non possono essere adottati indifferentemente, ma sono strettamente collegati alle circostanze del clima, del terreno e del rimanente sistema di coltivazione. [p. 490 modifica]

Quanto meno il clima sarà caldo, la vite dovrà tenersi tanto più bassa, perchè possa ricevere maggiormente il calore riverberato dal terreno. Nei climi temperati, quanto più il terreno sarà sciolto ed asciutto, sì alleverà bassa onde impedire che i raggi solari lo asciughino troppo presto. Nei terreni forti ed umidi, si educherà un poco più alta per lasciare più libera la ventilazione e facile l’ingresso ai raggi solari. In generale, anche nei climi caldi, la vite dà sempre uva migliore quanto più è tenuta bassa. Dove però si coltivino promiscuamente altri cereali, il gambo della vite non deve essere più basso di metri uno.

Non tutte le viti poi, anzi le migliori, non vogliono essere educate molto alte; soltanto le bianche e le rossastre riescono meglio salendo in alto e distendendosi lungamente.

§ 504. Viti sulle piante. L’uso di tener le viti sulle piante è proprio dei paesi caldi dell’Italia, sin quasi alla sponda destra del Po. Colà il sole è abbastanza forte perchè l’uva maturi quasi sempre prima della metà di settembre. Si usa anche da noi l’innalzare le viti sulle piante allo scopo di meglio lavorare il terreno sottoposto, ma d’ordinario si ha un’uva scadente, se si paragona a quella di vite bassa, coltivata nella stessa località; e tutti conoscono quanto valga l’uva d’orto, ove concorre anche un terreno troppo ricco di concimi animali.

Le piante che servono di sostegno sono: il pioppo nei paesi caldi, e che da noi non converrebbe ombreggiando di troppo il terreno; l’olmo ed il ciliegio al piano e nei climi temperati; l’oppio od acero al colle ed al monte.

In questo caso non si fanno fosse ma formelle o buche, larghe 2m,00 in quadro e profonde 1m,00, mantenendo fra loro una distanza tale che ogni pianta goda una superficie di 25m,00. Nella formella si disponga dapprima la pianta, la quale deve avere una grossezza di 0m,06, ed all’ingiro, alla distanza di 0m,50, si dispongono tre o quattro magliuoli o barbatelle. In tutto il resto si pratica nei modi già indicati per l’impianto.

La pianta che deve servire di sostegno nel secondo anno si taglierà a quell’altezza che credete opportuna, ed in quell’anno vi si lasciano sole tre o quattro cacciate, che nel terzo anno vengono recise a 0m,50 di lunghezza, e che non dovranno avere più di due cacciate per ciascuna, in modo da formare tre o quattro biforcazioni; nel quinto anno si [p. 491 modifica]continua a suddividere o si mantengono più robuste le biforcazioni ottenute nel terzo, ecc.

In questi anni la vite si educa nei modi già esposti finchè nel quinto anno s’innalza 145.il gambo sino alla prima ramificazione della pianta. Nel sesto, i tralci ottenuti, un solo per gambo, o due al più intrecciati fra loro, si accavallano alle prime biforcazioni, fissandoveli con salici (fig. 145). Questi tralci si possono lasciare liberamente pendenti, o congiungere con quelli delle piante vicine, a guisa di rete al di sopra del suolo. Presso il collo della vite, ossia al luogo della piegatura, si devono conservare dei mozziconi, i quali servono a preparare i tralci per l’anno vegnente.

Nel tratto successivo la pianta deve essere regolata a norma dell’aumento della vite, onde non produca un troppo esteso ed inutile ombreggiamento.

Questo metodo di tenere le viti, quantunque sia il meno dispendioso, perchè risparmia il legname di sostegno, la paleria, molti salici e mano d’opera, pure non conviene ai climi temperati, perchè l’uva riesce sempre più acquosa, meno colorita e meno dolce, per cui si ottiene un vino scadente.

Alcuni per ovviare all’ombreggiamento prodotto dalla pianta viva, pensarono di sostituire alla pianta viva bronconi e pali secchi; ma in questo caso la spesa si sarebbe aumentata di molto senza un vantaggio sensibile nella qualità dell’uva.

§ 505. Vite a pergola. Per disporre la vite a pergola si fanno delle fosse longitudinali, piantandovi i gambi a 1m,00 a 1m,50 di distanza fra loro. Su questa linea nel 4.° anno si dispongono lunghe maneggie onde il nuovo tralcio salga molto alto; nel 5.° lo si taglia alla giusta altezza, e nel 6.°, si fissa una doppia fila di paloni, l’una sulla linea della piantagione e l’altra dicontro a 2m,50 di distanza, attraverso i quali si fermano alcune pertiche in modo da formarne come un telajo, alto da terra circa metri 2, o 2m,50. La vite poi si distende sopra questo telajo, e si allunga conservando una porzione di tralcio vecchio (fig. 146).

L’allevamento della pergola è il più dispendioso per la gran quantità di legname, di salici, e di mano d’opera. L’uva [p. 492 modifica]invece146. è la peggiore di ogni naltra perchè i grappoli pendenti al disotto del telajo, non vedendo quasi mai il sole, asciugano difficilmente, maturano tardi e marciscono presto. Proverbiale è insomma l’infelicità del vino di toppia o pergola.

§ 506. Vite in filari. La vite in filare si usa al piano, specialmente ove si coltivano promiscuamente i cereali, essendovi tra un filare e l’altro uno spazio bastante, di metri 15 non meno, e più ancora, se tra un filare e l’altro, oltre ai cereali si coltivassero delle linee di gelso.

La vite dei filari deve avere un gambo alto 1m,00 circa, onde non impedire il lavoro del terreno, e la vegetazione dei cereali. L’impianto si fa in fosse longitudinali, in direzione da mezzogiorno a tramontana.

Questi filari possono essere disposti a ghirlanda, piantando le viti sulla stessa linea, alla distanza di metri 1 circa; oppure a gabbiolo, formando invece tanti quadrati lunghi metri 1,00, larghi 0m,80, i cui lati siano occupati da otto in dieci piedi di vite, dodici al più. Questi quadrati o gabbioli si terranno distanti fra loro almeno metri quattro.

L’errore più comune nell’impianto di questi filari, è quello del soverchio numero dei magliuoli o delle barbatelle. In quelli a ghirlanda talvolta non trovasi fra loro una distanza di 0m,20; e nei quadrati o gabbioli si contano spesso da 20 sino a 30 gambi di vite. È scusabile che nell’impianto, specialmente se di magliuoli, si abbia a metterne qualcuno di più pel caso che non tutti mettessero le radici, ma abbisognerebbe che nell’anno seguente si levassero con diligenza i superflui. Intanto questi filari ristretti nelle loro radici dal lavoro fatto colla vanga o coll’aratro, e dal soverchio numero di gambi in confronto del terreno, presto deperiscono e non fanno che ombreggiare inutilmente il terreno.

Per allevare questi filari, se a ghirlanda, nel 4.° anno, lungo la linea delle viti, si dispongono tante pertiche munite di rametti laterali, sulle quali arrampichi il nuovo tralcio; queste pertiche si uniscono tra loro con una maneggia al [p. 493 modifica]traverso, posta all’altezza cui si vuol formare il capo della vite; e formati i tralci, nel quinto o nel sesto anno si tirano ai pali, metà per ciascuna parte del filare. Nei filari a gabbiolo, nel quarto anno si dispongono le pertiche all’ingiro del quadrato, e si fissano tra loro ad un quadrato formato di pezzi di maneggia, che li circonda, e che si tiene parimenti all’altezza cui si vuol formare il capo. Avuti i tralci, si tirano ai pali ciascuno dalla sua parte, potendosi, quando la vite sia in forza, unire fra loro i tralci degli angoli dei gabbioli vicini, a guisa di festoni, che poi si sostengono con piccoli pali nel mezzo.

Per maggior sostegno a questi filari quasi dappertutto si vedono interposte alcune piante di olmo, di ciliegio ed anche di gelso selvatico. Queste forniscono anche buon numero di maneggie e di pertiche ogni tre o quattro anni, ed anche tutti gli anni istituendo sui rami della stessa pianta una rotazione di quattro anni, per cui vi sia continuamente del legname nuovo e del vecchio; con ciò la pianta sarebbe ridotta al minimo grado di ombreggiamento possibile e costante. Dove però il legname non sia molto costoso, o dove si possa istituire separatamente un boschetto ceduo, io ritengo che si debba tralasciare di metter piante nella vigna per evitare l’ombreggiamento, e perchè sottraggono in parte il nutrimento alla vite, o ne costringono di troppo le radici. Quando però si dovesse mettere qualche pianta suggerisco d’impiantare gelsi selvatici, come provengono dal seme, perchè sieno più durevoli, i quali, educati a capitozza, ogni tre anni darebbero un buon legname; nel primo anno, dopo lo scalvo autunnale, si lasceranno crescere tutti i rami, e nel secondo e nel terzo si potranno spogliare dalla foglia in primavera, avvertendo di non potarli accorciandone i rami, ma di lasciarli interi e mondarli soltanto dai ramicelli laterali. In questo modo avremo un buon legname di aumento rapido, avremo maggior quantità di foglia pei bigatti, minor ombreggiamento per la vite dopo la sfogliatura, ed inoltre si avrà una pianta che non manda molti polloni dalle radici come fanno l’olmo, l’oppio, ecc., e che si potrà allevare rigogliosa, essendo che fin d’ora vi dico che il concime adattato per la vite è eziandio quello che conviene al gelso.

La vite a filare, quando fosse impiantata e curata nei debiti modi, non ombreggiata da piante, nè concimata con sostanze animali, potrebbe dare un vino eccellente; ma sgraziatamente egli è appunto in questi filari che maggiormente [p. 494 modifica]si nota il deterioramento nella qualità delle uve, perchè sono quelle che, interposte alla coltivazione dei cereali, necessariamente devono appropriarsi il concime da stalla; e sono pur quelle cui di solito si trascurano le cure annuali, o che sono destinate a divenire il magazzino ed il ricettacolo dei sassi e della gramigna del campo.

§ 507. Il ronco è il modo più opportuno di disporre la vigna al colle ed al monte, riducendo il terreno a scaglioni (panchine o gradinate) più o meno larghe, e distanti fra di loro a norma del maggior o minor pendio del terreno, dirigendoli da levante a ponente, e facendo in modo che per la distanza, e per la differenza d’altezza, le viti d’un piano non abbiano ad ombreggiare quelle dell’altro superiore. Questo modo di coltivare la vite è certamente assai dispendioso, ma quando ii clima, il terreno e l’esposizione siano favorevoli, è certamente la vigna che dà l’uva migliore.

La fossa della vite si faccia piuttosto sul margine dello scaglione, onde le radici risentano meglio l’influenza dei raggi solari ed asciughino più presto dopo le pioggie. Su questi scaglioni le viti si dispongono come nei filari a ghirlanda, fuorchè devonsi tener più basse di gambo; si possono disporre anche a gabbioli di quattro gambi e non più, distanti fra loro da 2m,50 ai 3m,00; nel primo caso i tralci si tirano a pali posti sul davanti e conficcati sul piano inclinato che unisce uno scaglione all’altro; nel secondo, i tralci si tirano sul davanti ed anche ai lati, unendoli a quelli de’ vicini gabbioli.

Dove poi lo spazio sia ristretto, e che vogliasi diminuire di molto l’ombreggiamento, si usa disporre la vite a spalliera, come alla figura 147.

In questi ronchi, almeno dove si voglia fare un vino sicuramente buono, si dovrebbe escludere la coltivazione promiscua di ogni cereale che richieda concime animale; ma ordinariamente sulle banchine si coltiva ogni sorta di prodotto, che per lo più viene concimato con profusione, per l’abbondanza del concime da stalla, effetto dei frequenti pascoli che esistono al colle ed al monte. Io dunque vorrei che non si [p. 495 modifica]tollerasse che qualche raro gelso, e che il piano delle banchine fosse occupato soltanto dalle viti, e quindi non più largo di metri 1, utilizzando il resto col dare un’inclinazione più dolce alle rive. Così il piano inclinato erboso sarebbe più produttivo perchè, essendo meno ripido, assorbirebbe e riterrebbe maggiormente l’umidità, invece di franare troppo facilmente; l’erba potrebbe essere falciata e fatta disseccare più comodamente sullo stesso piano; la concimazione sarebbe possibile senza che avvenga un subito dilavamento; e perciò si avrebbero due prodotti, ciascuno de’ quali avrebbe le sue cure ed il suo concime speciale. Ciononostante quando il pendío del colle e dei monte fosse molto dolce, per non tenere troppo distanti fra loro i filari onde non s’ombreggino, e per non consumare troppo spazio di terreno, si può seguire il costume dell’alto novarese, cioè di convertire il terreno esclusivamente a vigna, dirigendo i filari a ghirlanda, od a gabbiolo di 3 o 4 gambi, dall’alto al basso, e possibilmente da mezzodì a tramontana, distanti fra loro circa 2m,50, e tenuti sur una specie di rialzo o porca, divisa da un solco, che serve a regolare il deflusso delle acque piovane, ed anche a scemare l’umidità naturale del terreno, quando fosse argilloso.

§ 508. Nei climi temperati, ove il terreno sia discretamente sciolto, e che abbia pendenza sufficiente al libero scolo delle acque verso il lato del mezzogiorno, il miglior modo di tenere la vite è quello a ceppata bassa, come si usa nel mezzodì della Francia, nella Spagna, in molte località lungo il Reno ed in Ungheria.

Il terreno allora dev’essere ridotto completamente a vigna, facendo tante fosse distanti fra loro da metri 2m,00 a 2m,50, larghe 0m,80, profonde 0m,60 o più, secondo che il terreno sia più o meno buono e profondo. In queste fosse si dispongono le barbatelle distanti fra loro 1m,00. Se trattasi di magliuoli converrà invece lavorare ripetutamente e profondamente il terreno, concimandolo bene dapprima, e piantarli colla forcella, mantenendo le distanze indicate.

Queste distanze però possono subire alcune modificazioni. Nei climi e nei terreni asciutti sarà bene diminuirle onde il terreno conservi maggior umidità. Lo stesso dicasi dei terreni profondi e buoni; nei terreni magri, poco profondi e cretosi, e nei climi meno che temperati, si dovrà invece aumentare la distanza, onde lasciar maggior adito al sole ed alla ventilazione per asciugare e riscaldare il terreno. Per media però [p. 496 modifica]si potrebbe assegnare ad ogni pianta una superficie di metri 2,50, ossia 40 gambi per ogni aro, e 4000 per ogni ettaro.

Fatto l’impianto, sarà bene, nei primi due anni, abbandonare a sè la vite, tenendola però zappata e monda dalle cattive erbe; alla fine del secondo anno od al principio del terzo si taglia la vite ben presso terra, e vi si appone un sostegno o ramo su cui arrampicare, alto almeno un metro. Dapprincipio vi si fanno salire due tralci soltanto; in agosto uno vien levato, conservando il più robusto. Nell’autunno del terzo anno o primavera del quarto si taglia questo tralcio all’altezza di 0m,10 a 0m,30 dal suolo, secondo la sua natura più o meno umida, lasciandovi un occhio o due al più. Nell’anno vegnente si allunga di un altro occhio, conservandone due della cacciata dell’occhio lasciato l’anno prima, e così s’incomincia ad avere una biforcazione; nel terzo anno si lascia un terzo occhio sur un pezzo del tralcio sorto lo stesso anno e così la vigna resta triforcata (fig. 148). In tal modo si procede sino ad avere quattro o cinque biforcazioni principali a seconda del vigore della pianta. La potatura di questi ceppi 148.149.consiste nel conservare le prime due cacciate sorte sul legno dell’anno antecedente, le quali si lasciano intatte (fig. 149) o si troncano al disopra della 4.a o 5.a gemma. In certo qual modo l’educazione di queste ceppate, se vengono tagliate, rassomiglia alla nostra maniera di educare i gelsi da siepe, anzi vi posso dire che presentano la stessa figura, sebbene un poco più raccolta.

Di solito, allevando la vite in questo modo, col tempo si [p. 497 modifica]ommette ogni sostegno, poichè, innalzandosi gradatamente, acquista abbastanza robustezza da sostenersi da sè stessa: e solo nei terreni troppo grassi la vite abbisogna di appoggio. Nei primi tre anni si può utilizzare lo spazio intermedio con qualche coltivazione che non faccia danno alla vite, e che non richieda concime animale, come sarebbe quella del pomo di terra; nel quarto, la vite comincia a dar uva e ad allargarsi, ed allora il terreno deve restare pienamente a sua disposizione.

I vantaggi di questa maniera di coltivare la vite sono i seguenti: la vite e l'uva risentono di più il calore riverberato dal terreno; i tralci dovendo in seguito piegarsi in basso, non assorbono essi soli l'umore della vite, il quale maggiormente si concentra nei grappoli; l’uva che sorge nella prima porzione del tralcio resta sospesa dal terreno, e non coperta dalle foglie; le poche foglie che sono presso i grappoli, siccome sorte e maturate per le prime, cadono avanti la vendemmia e lasciano allo scoperto i grappoli. Se il clima è temperato, il terreno sciolto, e l’annata molto calda ed asciutta, i tralci pendenti impediscono il troppo asciugare del terreno e conservano il calore durante la notte, impedendone la troppo facile irradiazione verso l’atmosfera. Se invece l’anno fosse piovoso, il terreno un poco freddo, ed il clima meno che temperato, si potrà lasciar maggior adito al sole ed al vento, tagliando via, due occhi sopra il grappolo, i tralci pendenti e serpeggianti al suolo. Infine l’uva matura più presto ed è più zuccherina. La spesa è assai minore non occorrendo legname, nè salici; la mano d’opera più facile e pronta; il concime e le altre cure riescono le più convenienti, e fatte a tempo più opportuno, null’altro essendovi che ne impedisca l’esecuzione.