Un giorno

Da Wikisource.
Grazia Deledda

1898 Indice:Deledda - L'ospite, Cappelli, 1898.djvu Letteratura Un giorno Intestazione 16 febbraio 2020 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta L'ospite - Un giorno - Don Evèno - Due miracoli
[p. 59 modifica]

UN GIORNO


Jame, col cappello di paglia sotto il braccio, le gambe accavalcate e un omero appoggiato fortemente sul muro intonacato di fresco, ascoltava la santa messa annoiandosi in modo orribile ed evidente.

Era un giovinetto di sedici in diciassette anni, sottile, alto e bianco come una fanciulla; le sue sopracciglie nere e fini parevano tracciate col pennello, e quando le sue labbra, bellissime, di un color rosa pallido rasato, si aprivano per ridere, era tutto un incanto su quel viso raffaellesco.

I denti bianchi, iridati, splendevano; splendevano gli occhi castanei, limpidissimi, che nel moto del riso si socchiudevano graziosamente, e sul pallore quasi diafano delle guance si formavano due fossette, le quali sul viso di una fanciulla sarebbero state d’un fascino irresistibile.

Quella mattina però non aveva punta voglia di ridere: si annojava a morte. [p. 60 modifica]

Era salito lassù, a cavallo, sperando di divertirsi nella festa campestre, e trovava invece insipida e noiosa ogni particolarità.

Non c’erano che contadini e contadine; un sole violento fiammeggiava per l’alta pianura mietuta di recente, e Jame non trovava una persona di sua simpatia. Gli uomini lo disgustavano: le donne, che del resto lo tenevano come un bimbo, l’annoiavano, ed egli si pentiva d’esser venuto, e sentiva le lagrime alla gola, per il dispetto e l’uggia.

Nella chiesetta il caldo era asfissiante addirittura; e non una panca, un contromuro per sedersi.

Il giovine vice— parroco, ajutato da due chierichetti di un paese vicino, cantavano la messa con certe voci stridule da cicala, che invece di spandersi per la chiesa sfuggivano nei fori praticati vicino all’altare, perdendosi con tristezza per le siepi e le stoppie del pianoro.

Gli uomini in corsetto rosso slacciato, ritti, impalati, col berretto fra le mani, dicevano il rosario, tutti davanti all’altare; mentre le donne, inginocchiate per terra in fondo alla chiesa non godevano un’acca della messa, e stavano zitte, [p. 61 modifica] guardandosi l’un l’altra con invidia i grandi fazzoletti ricamati.

Nel centro stava Jame; aveva in faccia la vecchia porta spalancata, dallo sfondo luminoso, inghirlandato di rovi, e vedeva in lontananza grandi macchie di oleandro fiorito che guardava con intenso desio.

— Andrò a pescare — pensava per confortarsi un poco. E nel più profondo segreto del cuore augurava un accidente a don Antonio, che non finiva più di cantare la messa. Avrebbe voluto scappar subito, ma c’era lì davanti Predu Pischeddu, il suo balio, che si girava ogni tanto. Se Jame fosse scappato a metà messa, il balio non avrebbe mancato di recarne il rapporto scandaloso a donna Francisca, la madre severa del giovinetto.

Già due volte Predu Pischeddu aveva projettato delle occhiate bièche al figlio di latte di sua moglie, per la posizione poco garbata che teneva; ma fin lì Jame non s’era dato per inteso, e così si seccava orrendamente ma non si muoveva.

Ma ad un tratto si scosse tutto intero, prese involontariamente il contegno rigido e rispettoso dei paesani, e un leggiero rossore, segno in lui di piacere e di sorpresa, gli colorì le guancie e la fronte. [p. 62 modifica]

Avveniva una cosa semplicissima, che però lassù, nella povera bizzarra chiesetta, assumeva le proporzioni di un grande avvenimento. Entravano dei forestieri, due giovinotti e una signorina vestita di bianco, che fino alla soglia della chiesa era salita ridendo, zoppicando un poco, sotto l’ombrellino rosso trasparente.

— Chi sono? — pensò subito Jame.

La signorina introdusse la mano nella vecchia pila di pietra, ma non trovò evidentemente che polvere; tuttavia si segnò lo stesso, con rapidità, e gettò uno sguardo sicuro fra le donne, cercandone una di sua conoscenza.

I suoi compagni, fermi sulla porta, le dissero qualche parola, ed intanto tutti i devoti si voltavano a guardare curiosamente. E Jame pensò subito che quei tre fossero della famiglia Serrara, ricca famiglia della città vicina, di cui i Pischeddu tenevano a mezzadria un podere, posto a metà strada fra la città e il villaggio, perchè la moglie di Predu Pischeddu, la sua balia, si era levata premurosamente andando incontro alla giovinetta, che le strinse la mano e le parlò con vivacità.

Con gli occhi socchiusi, per sembrare indifferente, Jame guardava, e avrebbe [p. 63 modifica] voluto anche ascoltare, ma il rumore sempre più entusiastico delle voci cantanti la messa e il rosario, non gli permettevano di udir nulla.

Zia Angela, la balia, tornò ad accoccolarsi nel suo angolo, e la signorina passò vicino a Jame, senza guardarlo; poi si ficcò con disinvoltura fra gli uomini, cercando un cantuccio buono per inginocchiarsi.

Zoppicava sempre: leggermente, — doveva esser per l’effetto della cavalcata, — e lasciava dietro di sè un vago profumo che avvolse Jame in un’onda di delizie e d’incanti.

Da quel momento egli non si annoiò più, e non guardò più lo sfondo della porta. Il profumo della bianca e sottile apparizione inattesa gli recava un soffio di vita e di supremo piacere.

Era la grande città lontana, ove frequentava i primi anni del liceo, che tornava a lui per mezzo della giovinetta della piccola città vicina?

Jame non sapeva dirselo, ma sentiva in un lampo svanire la struggente nostalgia che da due mesi lo tormentava in quel paesetto selvaggio, ove pure era nato e vissuto fino a pochi anni prima. Si accorse [p. 64 modifica] che i due giovinotti, fermi sempre sulla porta, lo guardavano, a lor volta, con curiosità, e arrossì, ma prese un’aria più che mai indifferente, e guardò innanzi a sè.

Lei s’era spinta fino all’altare, e s’era appoggiata al muro con stanchezza: Jame ne vedeva la sottile figura bianca, tra il rosso infinito dei corsetti paesani, e, Dio ci scampi e liberi, gli sembrava più bella della vecchia Santa Cecilia, pur così delicata nella sua antichità, che pareva stesse per spiccar il volo dall’altarino barocco. E guardando Santa Cecilia, Jame ebbe un moto di rabbia contro i compaesani suoi. L’avevano abbigliata così stranamente, gettandole dei fazzoletti ricamati sulle spalle, sulla tunica bianca, dappertutto, in un modo goffamente orientale, che senza dubbio i forestieri avrebbero riso.

— Come si chiama? — pensava intanto. — Quanti anni ha? Sedici... venti? È maritata? Saranno proprio i Serrara? Dio mio, se potessi avvicinarmi!...

E cambiò posto, e manovrò tanto che alla fine della messa le si trovò vicino. Là, in fondo, c’era quasi oscuro; trionfava la luce gialla dei ceri, e Jame potè vedere che lei era realmente bionda, proprio bionda. [p. 65 modifica]

Se ne stava inginocchiata, con le mani appoggiate al manico dell’ombrellino, ma non pregava; guardava qua e là, voltandosi, alzando la faccia in su, e la paglia del suo semplice cappello ondulato, guarnito di un solo merletto bianco, scintillava ad ogni sua mossa, sotto la luce delle candele di cera. Sì, era bionda e bianca, con grandi occhi verdi, glauchi veramente, forse anche azzurri, ma resi verdi dal riflesso azzurro delle ciglia e sopracciglia nere. Era così sottile, poi, così sottile! E pareva tanto innocente.

Jame si tormentava continuamente, chiedendosi il nome e l’età della fanciulla, e avrebbe voluto uscir subito per informarsene, ma intanto desiderava che quella messa, prima tanto noiosa per lui, non terminasse più.

Pur troppo terminò, e Jame dovette uscir fuori, mentre un gruppo di donne circondava la signorina toccandole la mano. Ed ella trovava una parola gentile per tutti.

— Balio, — disse Jame a zio Predu, nella spianata, — chi sono quei signori?

— I miei padroni.

— Oh! E perchè son venuti?

— E tu perchè sei venuto! — [p. 66 modifica] domandò zio Predu, squadrandolo da capo a piedi.

— Bella, perchè mi è sembrato così!

— E anche a loro è sembrato così! Ehi, ehi, Marcu Fiscale, che il diavolo ti cavalchi, perchè sei arrivato ora? — gridò Predu, agitando le braccia verso un uomo che arrivava giusto allora, a messa finita. Quindi si allontanò di corsa, e Jame restò senza altre spiegazioni sui Serrara.

Siccome il banchetto comune (era il priore della festa che lo dava a spese sue) si doveva fare sulla riva del fiume, tutti risalirono a cavallo, con le donne in groppa, e ben presto la chiesetta scomparve. Jame si era avanzato, passando boriosamente sulla sua superba cavalla grigia, davanti ai due Serrara, che preparavano le loro cavalcature e quella della signorina.

Vide ch’erano armati di fucili e di rivoltelle, e un po’ più lontano udì che dicevano fra loro:

— È il figlio di donna Francisca Chercu, sai; donna Francisca, non ricordi?...

— Ah, sì, un bel ragazzo...

Egli ne arrossì dal piacere. Erano i fratelli di lei quei due, o chi erano? Forse lo sposo uno di essi? Dio mio buono, [p. 67 modifica] Jame provò una puntura al cuore, si voltò come guardando in lontananza, ma in realtà per esaminare i due giovanotti. Si rassomigliavano un po’ fra loro, ma a lei non rassomigliava punto. Sì, dovevano esserle fratelli. E riprese a caracollare, tirandosi il cappello sugli occhi.

La luce del sole era intensa, abbagliante, riflessa dalle ondulazioni leggere del suolo che le stoppie rase, vellutate, rendevano assolutamente color d’oro. Parevano grandi tappeti, splendidi, gialli, e il cielo, guardato dopo aver tenuto un po’ gli occhi fissi sul loro vivo colore, sembrava pallido e trasparente.

Ma il caldo diminuiva all’appressarsi del fiume. Salivano su, su, grandi macchie di oleandri altissimi, dai freschissimi fiori rosa, e di sambuchi palustri pur essi fioriti di grandi grappoli color violetto, e poi si diramavano nell’orizzonte, al di là delle rive bianche e petrose del fiume verde, e sfumavano nell’aria grigio perla, imbalsamando tutto il paesaggio di profumi leggermente amari.

Laggiù l’estate non esisteva più. Era una forte e calda primavera, era una malìa di cui solo Jame sentiva l’arcana potenza. [p. 68 modifica]

Il suo cuore si faceva grande, immenso, e raccoglieva tutti gli splendori dell’orizzonte, dei monti calcarei che sembravano di marmo, delle pianure lontane che si perdevano alle falde delle montagne con la linea verdissima dei lentischi lussureggianti. E attraversò il fiume. Nel mezzo delle acque verdi gorgoglianti, mentre la cavalla beveva, Jame guardò la gente che sopravveniva.

Sentì il riso alto di lei, poi la vide sbucare da una macchia di oleandro, con l’ombrello aperto come un grande papavero infuocato.

Galoppava, cercando di mettersi in prima fila per non ricever la polvere sollevata da gli altri cavalli, e rideva perchè c’era un giovinotto, con la fidanzata in groppa, che non si lasciava sorpassare.

Così arrivarono insieme al fiume, e lei entrò arditamente nell’acqua.

— Francesca, Francesca, bada! Chiudi l’ombrello... Oh, se cadi! — gridò quasi spaventato uno dei suoi due compagni.

— Non fa nulla! — rispose lei.

E s’inoltrò, sempre con l’ombrellino aperto. Lo spruzzare e il volteggiare dell’acqua però sembrò darle un po’ di [p. 69 modifica] vertigine, perchè cessò di ridere, e s’aggrappò paurosamente alla sella.

Ad Jame, sempre fermo in mezzo al fiume, parve vederla cadere, e si sentì serrare la gola. Eppure perchè ebbe il perfido desiderio di vederla cadere davvero?

La sua cavalla, dal freno luccicante che gocciolava d’acqua, non beveva più, ma Jame restava ancora lì.

Ah, si chiamava Francesca dunque? Come la mamma sua! Francesca, Francesca! Mai questo nome volgare, già diventatogli immensamente simpatico dopo la lettura della Piccola Fadette di Giorgio Sand (Jame diceva che dopo Anna Karenine, la Piccola Fadette era il più bel romanzo ch’egli aveva letto, in vita sua), questo nome dunque non gli era sembrato mai più dolce di così, e non lo dimenticò mai più.

Lo ripeterono i picchi che gorgheggiavano tra i sambuchi, e l’acqua lo portò via con sè, nella sua verde freschezza, dove? lontano, laggiù nel mare, che vaporeggiava dietro l’estremo orizzonte! Anche il cavallo di Francesca si mise a bere, poi alzò fieramente la testa, si scosse tutto e nitrì.

Ella mise un leggero grido, diventò [p. 70 modifica] bianca e lasciò cadere l’ombrello nell’acqua.

— Lo vedi, lo vedi, Francesca? — gridò il suo compagno, spronando il cavallo.

Ma prima ch’egli arrivasse, Jame mantenne forte la briglia del cavallo di Francesca, e disse, col viso rossissimo:

— Non tema, non tema!

Poi si chinò, tanto, tanto, che quasi precipitò lui.

— Badi... badi... che cade! — esclamò Francesca. Ma quando egli le porse l’ombrello, sorrise e mormorò confusa:

— Oh, scusi... grazie...

Così fu fatta la conoscenza.

Quando uscirono dall’acqua, il cuore di Jame batteva a martello, ed ogni cosa gli girava attorno, così non seppe neppur rispondere una parola al fratello di lei che, sopraggiunto con molti altri sgridava la fanciulla per essersi arrischiata sola, e ringraziava lui di averla salvata.

Da quel momento però Jame non si separò più da lei. La condusse a veder i luoghi, una chiesa diroccata, ch’era stata [p. 71 modifica] distrutta per cercarvi un tesoro, e una grotta, e le sorgenti vicine del fiume, per cui attraversarono dei luoghi pericolosi, pieni di roccie e di vegetazioni selvaggie.

I piedini di Francesca scivolavano sempre, e due volte ella cadde, facendosi un po’ di male. Ma Jame l’ajutava sempre, dopo qualche timida esitazione. Arrossiva spesso, ma chiacchierava come un bimbo, dicendo sovente cose stupide e inutili. E se Francesca rideva troppo in alto, egli si morsicava le labbra, domandandosi se lei non lo prendeva per un fanciullo un po’ matto.

Non avrebbe fatto meglio ad ammirarla di lontano? Tanto la sera ella sarebbe partita e non si sarebbero forse riveduti mai più.

Intanto le ore gli sfuggivano rapidamente, ed egli, pur godendosele intensamente, provava un’angoscia infinita al pensiero del domani.

Domani il mondo sarebbe vuoto per lui, e il ricordo dell’ieri avrebbe torturato inesorabilmente il suo cuore.

A mezzo giorno intanto, Francesca ignorava ancora il nome del suo bizzarro adoratore ed amico.

In quell’ora visitavano la grotta, [p. 72 modifica] oscura e profonda. Le fanciulle paesane, che accompagnavano la signorina nelle sue escursioni, non vollero entrare nella grotta, per paura dei pipistrelli che dicevano esser là dentro.

Così Francesca e Jame entrarono soli; l’ingresso era difficile, oscuro, ostruito da enormi caprifichi selvaggi.

Francesca dopo qualche passo si afferrò forte a Jame, e disse:

— Dio mio, anch’io ho tanta paura! C’è entrato altre volte lei?.. dica?..

— Non tema, non tema... — esclamò Jame come in mezzo del fiume. — Sì, ci sono entrato tante volte... Ma ci dev’essere una torcia qui... aspetti che l’accendo.

— Oh, non mi lasci — diss’ella, paurosa come una bimba. — Oh, se l’avessi saputo avrei fatto venire Antonio o Carmine... Oh, zia Anghela, zia Anghela, — gridò poi, — perchè non venite?.. Dio mio, Gesù mio, cosa m’è passato sopra la testa?..

Era un pipistrello. Avanzavano sempre. Francesca aveva preso la mano di Jame e gliela stringeva forte; se ella stessa fosse stata calma avrebbe sentito tremare quella mano, ma ella tremava di più, per la [p. 73 modifica] paura e il disgusto pieno di ribrezzo che le causavano i pipistrelli.

— Come si chiama lei? — domandò, calmandosi alla luce della torcia, che finalmente Jame aveva rinvenuto.

— Jame... Jame Cherchu.

— Ah, Jame Cherchu. Figlio di donna Francisca? Jame vuol dire Giacomo non è vero? Ci viene molta gente a questa grotta?

— Sì... dicono esservi dei tesori.

— Che cosa stupida prendersi tanta fatica per venir qui? Non ci sono che dei pipistrelli: che ribrezzo mi fanno! Avevo paura per questo, non per altro... E rise d’aver tremato, mentre girava rapidamente intorno alla grotta.

Non c’era in realtà nulla di particolare, tranne una colonna nel centro, e qualche stalattite splendente alla luce della torcia che Jame agitava in alto. Ma ciò che a Jame sembrava meraviglioso, che mai aveva veduto dentro la grotta, e che ora l’illuminava d’un magico bagliore, era lei stessa, col suo vestito bianco, un mazzo di oleandri nella cintura, e i capelli rosseggianti al chiarore tetro e corruscante della torcia.

A Jame pareva una fata, e [p. 74 modifica] socchiudeva gli occhi con intensi desiderii infiniti, che gli davano una dolorosa voluttà di pianto. Oh, perchè non cadeva una frana all’ingresso della grotta?

Restare, restar lì, per tutta l’eternità, con lei, incantati da una potente malìa che permettesse loro di non aver mai fame, nè sete, nè sonno, e che non facesse mai consumare la torcia... non era questo il paradiso, che Jame, da bravo studente, dubitava e metteva in derisione quando sua madre non poteva sentirlo?

Addossato alla roccia, scuotendo sempre la torcia, fece il sogno più bello e poetico della sua vita. La voce di Francesca, che camminava sempre intorno alla grotta, esaminando curiosamente ogni cosa e parlando, gli giungeva come di lontano, da regni misteriosi fino allora per lui sconosciuti, o traveduti in altri sogni fatti da solo, troppo vaghi e pallidi per dargli l’incanto del presente.

Ma ben presto il sogno svanì.

— Andiamo — disse la fanciulla. — Andiamo! — ripetè più in alto, visto che Jame non si muoveva. — Ah, non spenga la torcia... io ho paura... ah...

Ma la torcia era spenta.

— Non tema! Non abbia paura, mi dia [p. 75 modifica] la mano, — disse Jame. E fu lui ad afferrarla questa volta; ma non si mosse mentre ella gridava.

— Perchè l’ha spenta? Che sciocchezza attraversare l’andito all’oscuro... Dio mio, che cado... Zia Anghela, zia Anghela!... Torni ad accenderla.

— No, — diss’egli ridendo di cuore, — bisogna lasciar qui la torcia per comodo dei visitatori.

— Accenda un fiammifero allora.

— Ma venga dunque! Che paura! Siamo già fuori. Quanti anni ha lei?...

— Ventidue! — diss’ella e non seppe mai che Jame aveva spento la torcia per farle questa domanda.

Egli impallidì, e pensò rapidamente:

— Ed io ne ho sedici! Quando prenderò la laurea ella sarà vicina ai trenta, e sarà maritata da molto tempo...

· · · · · · · · · · · · · · ·
· · · · · · · · · · · · · · ·
· · · · · · · · · · · · · · ·

— Dove dunque sei stata? — le domandò premurosamente Antonio, quando ritornò nell’accampamento dei bravi paesani, che cucinavano allegramente, già disponendosi al pranzo.

— Che bellezza, lasciarmi sola! — [p. 76 modifica] diss’ella quasi piangendo. E narrò di tutte le cose vedute, mentre Antonio rideva, posando famigliarmente una mano sulla spalla di Jame. Anche Carmine s’intrattenne a lungo col giovinetto: e lo invitò a bere nel suo piccolo fiasco di rum, interrogandolo sopra i suoi studi e i suoi progetti.

— Si farà prete! — disse il balio, avvicinandosi colle mani sulla schiena.

— Già, sì! — esclamò egli con sincera risata.

— Si figuri! — continuò Predu Pischeddu ammiccando con gli occhi maligni. — È un donnaiuolo numero uno. Gliela lascino, gliela lascino così sola la signorina Francesca.

A questa enorme uscita Jame arrossì fino alle lacrime, e gettando un’occhiata terribile sul balio si domandò per la millesima volta s’egli l’amava o l’odiava, che lo perseguitava così.

Ma i Serrara risero forte, e Francesca continuò a restare presso il ragazzo.

Il pranzo servito sotto una immensa tettoia di oleandri fu lungo e solenne. Nel suo angolo però Francesca sentì molte donne mormorare, perchè le portate non venivano servite come si costumava per tradizione. [p. 77 modifica]

E si divertì assai, ma dopo il pranzo, mentre le donne cominciavano a ballare il duru-duru insensibili al sole ardentissimo, fu assalita da un atroce dolor di testa e da una smania invincibile di ritorno.

Voleva che i cavalli fossero subito sellati e a stento i fratelli, i Pischeddu e molti altri la persuasero di restare almeno qualche ora, finchè il sole declinasse un poco.

— No, andiamo, subito, subito... io muoio altrimenti... — disse quasi lagrimando.

Poi si gettò sopra un fascio di rami d’oleandro, sotto la tettoia, e sembrò invasa da un intenso disgusto.

— Come? — gridò Jame, ch’era stato un momento lontano. — Lei vuol partire? — E si chinò per entrare, e così chino restò a lungo, con una evidente angoscia dipinta sul viso.

— Sì, — rispos’ella senza neppur guardarlo, — mi annojo e mi sento male...

— Che cos’ha, che cosa ha? Si sente molto male?

— Sì, alla testa... il sole...

— Sì, il sole! — ripetè Jame con gli occhi spalancati. — Ma appunto per ciò non deve partire ora, con questo sole. [p. 78 modifica]Starà quì... torneremo insieme al villaggio... partiranno domani... verranno in casa...

— Eh, sì! Non ci vuol altro! — gridò Francesca, mentre negli occhi aperti d’Jame passava un raggio di beatitudine che lo rasserenava. — Partiremo fra poco...

Egli sospirò forte. Lo fece apposta? Non si sa, ma ad ogni modo Francesca se ne accorse e lo guardò di sottecchi. Poi gli fece posto sul suo fresco sedile, e lo invitò a sedersi. Ma Jame, pur entrando sotto la tettoja, restò ritto: eppure avrebbe dato dieci anni di vita e la metà del suo patrimonio (era figlio unico) per potersi sedere là!

Al di fuori le fanciulle ballavano il ballo tondo, con pochi giovinotti, uno dei quali intonava la musica monotona e bizzarra. Più in là, gruppi di uomini giocavano a carte o alla morra, e sotto un’altra tettoja, ove c’era un liquorista, si vedevano i due Serrara che parlavano con zio Predu ed altri paesani dall’aspetto borioso di benestanti.

E sempre, là, in fondo, la linea rosea degli oleandri sfumati tra i vapori ossidati dell’aria immobile, e il fiume che ora, al sole del pomeriggio, ripetendo la ballata amorosa dei danzatori, scorreva [p. 79 modifica]verde-azzurro come gli occhi di lei.

— Restano qui fino a domani? — domandò Francesca. Ma Jame non rispose. Oh, cos’era dunque questo fatale incantamento? Oh, come egli adorava Francesca; come sentiva di doverla amare per sempre! Oh, come, mentre il sangue gli assaliva con ondate di fuoco tutta la testa per poi lasciarlo freddo e pallido da morirne, come desiderava inginocchiarsele vicino e dirle, nascondendole il viso su una spalla:

— Non, non lasciarmi... non lasciarmi mai più... Perché io domani, te lontana, morrò... perché non posso vivere senza di te!

— Restano quì? — ripeté Francesca.

— No lo so — rispose Jame. Poi si scosse e domandò ancora, a sua volta:

— Ma è davvero che lei parte?

— E dunque? Vuole che resti quì?

Gli sorrise dicendo così, e mentr’egli rabbrividiva, cadde anch’essa in una visione profonda.

Pensava alla dolcezza del vespero lassù; del vespero cinereo, smorto, quando il fiume sarebbe stato bianco, e gli oleandri, immobili sempre su uno sfondo più denso e meno luminoso, avrebbero sbattuti i loro [p. 80 modifica]fiori sulle acque tranquille e silenziose. E pensava al suo amore lontano, che era al di là dell’orizzonte vaporoso, al di là del mare, al suo amore intenso e sovrumano, al suo ideale struggente e adorato, col quale avrebbe voluto morire lassù, in uno di quei vespri misteriosi e profondi...

— Jame, — disse ad un tratto, — che sono quelle cose laggiù, in mezzo all’acqua?

— Son vacche che s’abbeverano, non vede?

— No, non le distinguo bene. Non ho la vista molto acuta... come lei...

Lo guardò negli occhi, e parve finalmente accorgersi della suprema bellezza di quel volto, perchè restò estatica a guardarlo. I loro occhi s’incontrarono per un secondo, ma questo bastò perchè Jame si sentisse completamente affascinato.

Francesca lo vide impallidire in un modo strano, e scorse le sue lunghe palpebre sbattersi rapidamente, nel modo con cui i bambini precedono il loro pianto.

Volle chiedergli che aveva, che cosa si sentiva, ma non potè. Si domandò invece dolorosamente:

— Perchè son venuta?

Poi, come traverso un velo, vide Jame [p. 81 modifica]allontanarsi lesto, quasi fuggendo, e ricadde sopra il fascio degli oleandri, con aria profondamente annojata, chiedendosi se doveva ridere o piangere.

Per tutto il resto della sera non rivide Jame, nè desiderò rivederlo.

Le donne ballavano sempre, senza parlare, senza ridere, con ritmo cadenzato e melanconico; a momenti però si esaltavano, il circolo si allargava, si restringeva, con un brivido serpentino, e i piedi, calzati con bizzarre scarpine di cuoio ricamato, strisciavano, s’alzavano, battevano il suolo e fremevano. Fra tutte c’era, bellissima, una fanciulla dai capelli neri e gli occhi celesti; il sudore imperlava il suo viso e la sua fronte splendeva al sole.

— Come è stupida la vita! — pensava Francesca, guardando sempre la bella danzatrice. E tutta quella semplice gente che si divertiva nel sole le dava un gran fastidio, una intensa pietà!

Ma neppur la sua vita le sembrava bella, e un senso opprimente di vuoto, di vano, la rattristava.

Così passò una brutta sera e si pentì [p. 82 modifica]di esser venuta. Contava i minuti, il tempo fuggente, e pensava:

— Domani a quest’ora sarò a casa, ricamando, ricordando.

Poi si spinse nell’avvenire e si domandò se Jame doveva ricomparire nella sua vita, più tardi.

— Ma non è uno sciocco? — pensò poi, coscienziosamente. — Chissà! Forse è lui il destinato a diventar mio marito.

Rise fra sè di quest’idea, pensò a lui, all’altro, e si disse:

— Fra otto giorni Jame mi avrà dimenticato... poveretto. Perchè poveretto?

Non seppe spiegarsi il perchè aveva chiamato così Jame, e si sentì mortificata al pensiero che la passione subitanea del suo giovine amico potesse morir presto, subito, lo stesso giorno.

Poi continuò a guardare la fanciulla dagli occhi celesti aspettando l’ora del ritorno.

Finalmente i cavalli furono sellati e la comitiva ripartì. Era un dolcissimo tramonto, e le ombre degli oleandri, allungantisi sul fiume, parevano abbandonarsi ad un supremo riposo.

— Addio! — disse Francesca fra sè. Ora che avrebbe voluto restar lassù, per [p. 83 modifica]sognare nel vespro, doveva partire, — e forse non sarebbe ripassata mai più in quei luoghi. E colse un oleandro per ricordo.

Jame non si vedeva, ed ella ne domandò notizie a suo fratello.

— Precede; mi ha detto che aspetterebbe nella chiesa, ove diranno il vespero.

Infatti lo ritrovarono là, vicino al suo cavallo legato ad un albero.

I Serrara volevano procedere oltre, ma zio Predu li costrinse ad avvicinarsi almeno a cavallo al liquorista che aveva trasportato sin là le sue tende, per bere un’ultima goccia di vino.

Francesca però restò a cavallo, in mezzo alle stoppie, e si congedò melanconicamente da zia Angela e dalle altre paesane, che poi sfilarono in chiesa. Poi si trovò sola con Jame, in un magico cerchio d’oro, fra cielo e terra.

— Addio, Jame — gli disse stendendogli la mano.

— Addio — rispose egli senza osare di guardarla.

— Non verrà dunque a trovarci? Non verrà mai nella città?

— Perchè? — domandò egli con amarezza. — Anche loro non son voluti venire al villaggio. [p. 84 modifica]

— Non potevamo, — rispos’ella con dolcezza, — verremo un’altra volta. Arrivederci dunque, Jame, e grazie...

I fratelli tornavano.

Jame alzò i suoi occhi fino a quelli di lei, ed essa, rabbrividendo per uno strano angoscioso piacere, comprese che egli avrebbe tardato a dimenticarla, che l’avrebbe amata come nessuno ancora l’aveva amata mai.

E siccome gli stava vicino, a testa nuda, mentre le persone che s’avvicinavano venivano nascoste da una piccola giravolta, gli accarezzò rapidamente i capelli e gli diede l’oleandro.

Ma poi si domandò spaventata se aveva fatto bene o male, perchè Jame tornò a impallidire mortalmente.

Parve cadere, ma invece osò baciare il piccolo piede di Francesca.

E quando tutto sparve, e si trovò solo nel paesaggio risplendente d’uno splendore che però moriva con tristezza, davanti all’oro bruciato dell’occidente, tra il canto melanconico che usciva dalla chiesa, si portò le mani al volto e pianse...