Una cena d'Alboino re

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Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1843 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti Una cena d'Alboino re Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

Convegno degli spiriti Solitudine e raccoglimenti dello spirito
Questo testo fa parte della raccolta IV. Dalle 'Ballate'
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IV

UNA CENA D’ALBOINO RE


     Fervean di canti, fervean di suoni
di re Alboino l’ampie magioni;
e, in mezzo ai duchi giunti al convegno
                                   dal vasto regno,


     5sparsa di gemme, lucente d’oro,
di quelle mense fregio e decoro,
piú dell’usato bella e gioconda,
                                   sedea Rosmonda.


     Gli orli spumanti di vino eletto,
10volan le tazze per il banchetto;
fumosa ai capi l'ebrezza ascende;
                                   e trema e splende


     di fosca luce l’occhio regale
come la punta del suo pugnale.
15Scoppian le risa, lunghe e feroci
                                   stridon le voci.


     Disser di queste belle contrade
oppresse e vinte dalle lor spade;
plausero a questi colli vestiti
                                   20di tante viti.

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     Fragili fiori piú che colonne
chiamâr, codardi! le nostre donne;
le disser liete, superbe e belle,
                                   ma tutte ancelle!


     25E al vil susurro dell’orgia rea
Rosmunda bella forse gemea,
per colpe orrende non ancor fatta
                                   di quella schiatta.


     — Prenci e baroni, paggi e scudieri,
30ecco il piú bello de’ miei pensieri. —
Cosí, nell’ebro furor del vino,
                                   parla Alboino.


     — Vedete questa, che ho qui d’accanto,
lieta, superba? che mi ama tanto?
35La vera gemma quest’è, per Dio,
                                   del serto mio.


     Vuoi tu trapunta d’oro ogni veste?
trecento all’anno banchetti e feste?
Ricca è l’Italia, ma ricca assai:
                                   40chiedi, ed avrai.


     Ma, poiché denno questi miei prodi
nei lor castelli dir le tue lodi,
e notte e giorno render gelose
                                   fanciulle e spose;


     45sien dunque istrutti d’ogni tuo merto.
Che tu sei buona, frate Roberto
l’ha predicato. Che tu sei casta,
                                   io ’l dico, e basta!

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     Agil di forme, sottil di piede,
50che tu sei bella, ciascun lo vede.
Or via, Rosmunda, dá’ loro un saggio
                                   del tuo coraggio. —


     E, a lei porgendo con un sorriso
il nudo teschio del padre ucciso:
55— Or via, Rosmunda, forte esser devi:
                                   Rosmunda, bevi!


     Per me il suo sangue, per te il mio vino
bella Rosmunda, questo è destino:
tu l’hai baciato prima ch’ei mora;
                                   60bacialo ancora.


     E tu, spolpato re Cunimondo,
addio. Tu vieni dall’altro mondo.
Ecco la stella di mia famiglia:
                                   bacia tua figlia. —


     65Del re briaco piacque lo scherno,
e un lungo eruppe plauso d’inferno.
— Re Cunimondo, bene arrivato!
                                   dove sei stato?


     Perché la mano piú non ci tocchi?
70Per Dio, che avvenne? Tu hai perso gli occhi
Oh sconsacrato figliuol di Roma,
                                   dove hai la chioma?...


     Real cugino, lancia smarrita,
dammi novelle dell’altra vita.
75Poi di due cose rendimi istrutto,
                                   tu che sai tutto.

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     Pingui di cibo, scarsi di guerre,
starem molt’anni su queste terre?
E a quali patti Dio ce la dona
                                   80questa corona?


     Ospite bianco mutolo e cieco,
bacia la rosa ch’io tengo meco,
ve’ che i tuoi baci pallida aspetta
                                   la poveretta. —


     85E il re briaco, cosí dicendo,
giocherellava col teschio orrendo;
e a lei, che gli occhi fremendo torse,
                                   ratto lo porse.


     — Ferma, Alboino! da’labbri miei
90la prova infame voler non déi.
— Bevi, Rosmunda! non piú parole!
                                   cosí si vuole. —


     Bevea Rosmunda. Ma con lo sguardo
parea dicesse: — Re longobardo,
95se la vendetta qui non mi langue,
                                   berrò il tuo sangue! —


     E, dopo un anno da quel convito,
dormiva solo l’ebro marito.
Aprí una notte l’erma sua cella
                                   100Rosmunda bella...


     E con un forte vago soldato
il regicidio fu patteggiato...
Ed ecco all’alba sommessamente
                                   picchiar si sente.

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     105— Sei tu, Almachilde? — Son io. — Che porti?
— Che un lungo sonno dormono i morti! —
Ond’ella, tratto l’aspro cimiero
                                   dal suo guerriero:


     — Questa corona, dolce mio bene,
110questa corona piú ti conviene.
Ella era turpe; rendila degna;
                                   baciami, e regna. —


     Se iniqua storia vi raccontai,
quello ch’è storia non cangia mai.
115Nel torbid’evo, quando l’Italia
                                   fu data a bália,


     di casi atroci ne avvenner molti:
ma ai nostri tempi, civili e colti,
spose e mariti, popoli e troni
                                   120son tutti buoni.