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Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera LXV

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Lettera LXV

../Lettera LXIV ../Annotazioni alle lettere di Iacopo IncludiIntestazione 7 settembre 2020 75% Da definire

Lettera LXIV Annotazioni alle lettere di Iacopo
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LETTERA LXV

Mezzanotte.

Nell’orribile silenzio di questa notte io ti scrivo: questi sono i pochi, ultimi e tremebondi caratteri ch’io ti dirigo. Sol qualche momento mi avanza; e giá giá il feral bronzo suona per me l’ora estrema. Teresa! io m’avvicino a gran passi alla morte.

Arso..., consunto; appena la mia pelle, secca, aggricciata, copre le misere mie ossa. L’amore... oh, l’amore vi sparse tutto il crudele veleno! Io t’adorava, vivea lungi date..., e... ancor non moriva? Ch’io termini dunque i miei mali! Che la mia sciagurata passione s’inabissi nel vortice tremendo della eternitá!

Io non fremo al truce aspetto della morte; una cieca disperazione non mi conduce. Teresa, io sono tranquillo! L’idea del morire mi è dolce! e quanto cara è al mio cuore questa decisa risoluzione! Cosí forse giacerò meno sventurato nella tomba, e forse... sarò degno d’un tuo sospiro!... Oh!...

Quando riceverai questo foglio, sarò freddo cadavere e disteso sotto terra; i miei occhi saranno chiusi per sempre, ed il mio cuore... questo cuore, o Teresa, non palpiterá, ma gelido e spento diverrá [p. 184 modifica] pasto infelice de’ vermi. Il cielo non m’ha concesso la desiata sorte d’essere sepellito in un qualche angolo di terra non lontano dalla tua vista: allora avrei potuto sperare che tu, passando talvolta, concederesti una lagrima d’amore... o almeno di pietá, e getteresti un qualche fiore od alcune erbette sulla mia fossa. Ma non m’ami tu forse? Sí: ancor mi sovviene del tuo pianto, de’ tuoi baci... Oh Dio! che dolorose memorie a un povero disgraziato, che muore! Tu pregami pace, pace...

Ho giá ricevuto la tua ultima lettera... fatale! Ah! perdonami, Teresa; perdona all’impeto cieco d’una passione, che non vedea, non conosceva altro Dio che te sola... Sento ancora che il mio cuore combatte diviso fra Dio e Teresa!

Quel ritratto... quell’amato ritratto è tuo: lo riceverai... forse... intriso del mio sangue.

Addio: l’ora s’appressa; pochi minuti... e non sono piú. Non sono piú! o Teresa, no!... Addio.


Mi sono affacciato al balcone: oh, come trista è divenuta la notte! Piú non si vede una stella; negri nembi fasciano all’intorno la luna; un’urlante bufera schianta i rami delle querce e orrendamente mugge fra gli arbori del bosco; i spessi lampi squarciano il denso grembo delle nubi e fiammeggiano di luce atra, sanguinosa. Che oscuritá!... che orrore! Ti guardo per l’estrema fiata, o Natura; e ti trovo agitata..., dolente. È questo il lamentevole addio, che mi dái? è questo l’addio doloroso degli elementi? Io ti lascio, o Natura: tu gemi!... Calmati, madre pietosa e dolente: ricevi nel tuo seno la frale spoglia d’un infelice.


Tu, amico Angelo..., mi chiuderai gli occhi! Quante lagrime, il so, non ti costerá il terribile e duro uffizio. Il cielo t’inspirò forse ad essermi compagno nelli ultimi miei momenti, per conoscere quanto crudeli ed amari sieno i frutti delle umane passioni. Contempla il mio fine, e vivi giorni piú lunghi e meno sventurati de’ miei.

Farai sepellire il mio corpo nell’erto del monte, a piedi di quel cipresso, segnato..., ahi di qual nome! su la corteccia; e lá pur giace un misero pastore, cui amor trasse alla tomba. Le nostre ombre dolenti s’abbracceranno, mescendo assieme le lagrime e i sospiri. [p. 185 modifica]

Il ritratto di Teresa, quando lo avrai posato per pochi istanti sopra i freddi miei labbri, resterá nelle tue mani. Tu avrai cura di presentarlo a Teresa: le dirai... Taci, per pietá! che quell’anima tutta sensibile avrá compreso anche troppo. Quando mirerá il sangue congelato, rappreso su quel profilo adorato...; quando... rimembrerá che questa mia bocca, allor cascante e corrosa, gl’impresse un giorno ardenti baci...; quando... Non posso piú: moriamo... E tu raccomandami a Dio.

A un’ora.

Batte un’ora: che suono lugubre! Coraggio, Iacopo, coraggio! Palpiti forse e tremi presso alla fine de’ guai? No: la morte non è dolorosa. Un solo colpo...; e tu piú non soffri..., non peni. Mai piú?... No: Dio é tutto misericordia e pietá. Sii forte; pianta, immergi, profonda il pugnale in questo seno..., dentro a questo core, che ancora sotto il ghiaccio della morte ama, arde, abbrucia... O tu, supremo Essere degli esseri, eterno mio Creatore, mio Dio, mi perdona, m’assisti..., mi accogli! Eccomi davanti al tuo tremendo tribunale; ma tu sei buono... tu... Mia cara Teresa, mia divina Teresa, io moro..., io giá vibro il colpo... Addio!...

In questo tempo inutilmente io stancava le sponde del letto per trovare riposo. L’immagine dell’amico non partiva dalla mia mente; mi divorava una certa inquietudine, un’ansietá di rivederlo; tanto fu straordinaria e forte l’impressione di quelli amplessi e di quell’addio. Imperversava il vento e la tempesta; ond’io m’alzai per osservare il maestoso ed orrido aspetto della natura sconvolta e chiudere alcune porte della casa, che il vento fieramente dibatteva. Per sorte m’avvicinai all’uscio di Iacopo, e queruli accenti, basse interrotte strida, forti movimenti e continui mi ferirono l’anima. Iddio al certo aveva diretti i miei passi! Tendo le orecchie ed ascolto; e nuovi gemiti uscivano ed alte strida. — Iacopo! che avete? — con alta voce gridai: ma Iacopo non mi rispose.

Tralucea dalle fessure dell’uscio il lume dell’accesa candela. Invano lo chiamai piú volte e battei fortemente alla porta. Alfine da un piccolo pertugio osservai che Iacopo si strascinava col ventre sulla terra. Tremante a tal vista, corsi a destar il domestico e le persone di quella casa. Ben presto si alzarono tutti: l’uscio [p. 186 modifica] venne atterrato. Dio mio! quale atroce spettacolo fu mai quello! Giaceva tutto intriso ed inzuppato nel proprio sangue, che a rivi gli sgorgava da una profonda e larga ferita, vicina al cuore. La sua bocca, spumante di sangue, orrendamente si contorcea; una fierissima convulsione gli agitava tutte le membra. Stralunava gli occhi, tentando d’aprirli alla luce, e poi di nuovo con spaventosi sguardi li chiudea. Dopo brevi minuti cominciò poco a poco ad indebolirsi; la sua faccia divenne piú pallida e smorta, ma serena e tranquilla. Io lo sosteneva, singhiozzando, fra queste mie braccia, ed ei mi stringeva languidamente una mano, e parea che l’appressasse al suo cuore. La costernazione era dipinta in tutte le fronti e negli occhi de’ circostanti, che fra un tetro silenzio, non osando aprir bocca, si guardavano alternamente fra di loro con i gesti piú espressivi del dolore e dello spavento. Alcuni, prostrati a terra, levavano le mani al cielo, mormorando bassamente divote preci. Altri si coprivano colla destra il sembiante quasi per orrore; e chi mesto asciugavasi gli occhi e di nuovo piangeva, e chi meco pietoso si univa per dargli alcun soccorso e sostenerlo. Iacopo appena respirava; non uscivagli piú sangue dalla bocca, né piú provava le violenti scosse di quell’orrida convulsione; giá giá gli si vedeva la morte sugli occhi semichiusi e nell’immobile suo corpo. Ma qual fu mai la comune sorpresa, allor ch’egli ad un tratto, aprendo i smorti labbri, balbettò confusamente qualche parola? Ben tutti si scossero da’ loro tristi atteggiamenti, e, circondando lo spirante Iacopo, pendevano attenti ad ascoltarlo. Ma non vi fu chi l’intendesse, ché troppo era fioca e tremante la voce. Il rugghio poi del tuono assordatore e ’l fragoroso scoppio delle stridenti saette rompevano il lugubre silenzio, che regnava in quella stanza. M’accorsi però ch’esso allungava una mano verso la finestra rimpetto alla quale giacea, sollevando a grave stento la testa e facendo pur forza di tenervi fissi li deboli sguardi. Io, che si ben conosceva il suo genio, fei cenno che tosto s’aprisse il balcone, onde per l’ultima volta mirasse la faccia della natura. Non s’era vista giammai notte cotanto spaventosa. O forse il dolore e la pietá ce la dipinsero tale agli occhi nostri! Passeggiavano a cento a cento i raggruppati nugoli per l’aria bruna, fredda e agitata dalla rabbia de’ venti, che si scagliavano poi, romorosi ed assieme lottando, sopra il vicino torrente; e il cielo, ora tutto negro e tenebroso, appariva in un momento fiammeggiante e tutto di foco. Iacopo, alzando un poco i suoi moribondi lumi, stese, con [p. 187 modifica] un tronco anelito, le braccia, e parve che un mesto e languido sorriso gli spuntasse fra i labbri. Di nuovo tentò di parlare; ma, frammezzo a mal articolati accenti, lunghi sospiri e fierissime battute di cuore, con estremo sforzo di voce — Teresa — pronunciando, lanciommi una viva occhiata, chinò la testa e spirò.

La casa si riempí di querele, di pianti e d’ululati. Ognuno corse ad abbracciare la fredda spoglia e baciarla. Oh, come tutti quei buoni pastori si stettero a compiangerlo ed a pregargli pace! Niuno al certo vi avea che di lui non raccontasse qualche tratto di sensibilitá o di beneficenza, e, nel riferirlo poi, spesso gli cadeva le lagrime dalle ciglia. Arrivarono, ma troppo tardi, il medico ed un sacerdote; poiché il non breve cammino e ’l lungo infuriar della tempesta impedirono ad essi di porger pronto soccorso all’infelice. Era giá freddo cadavere!

Non descriverò il mio dolore. Iacopo, tu moristi fra queste mie braccia, ed io ne raccolsi l’estremo respiro!... Ah, perché teco non scesi nella tomba! I nostri cuori come ben s’intendevano! e come io leggeva ne’ tuoi occhi i sentimenti dell’anima!... Tu amasti... ed io!... oh, certo, il cielo mi serbò a maggiori affanni. Io vivo intanto nelle lagrime, e tu riposi eternamente tranquillo!

Lo stile, col quale erasi ferito, ed il ritratto di Teresa giacevano in terra accanto al suo corpo, bagnati ancora del suo sangue. Lo scrittoio era aperto, ed io trovai in buon ordine le sue carte. Le lettere, ch’ei scrisse nelle ultime due sere, erano piegate, ma senza suggello. Si vedea da una parte dello scrittoio il bicchiero di vino non vuoto del tutto, e da un’altra le Tombe d’Hervev, i drammi d’Arnaud, le tragedie di Voltaire ed il suo Plutarco: sopra un piccolo tavolino, ivi appresso, v’erano pochi altri libri di sentimento e di poesia, fra i quali il Petrarca ed il Werther.

La seguente notte fu sepellito, a norma de’ suoi desidèri, a piè del descritto cipresso su la cima della montagna. Né io qui narrerò con quale villereccia semplicitá fosse portato nel sepolcro. Un pianger basso, un rozzo ma soave lamentarsi, una prece affettuosa, un «oh!» sinceramente uscito dal cuore formarono le pure esequie de l’estinto giovanetto. Alcune fiaccole accese, una fila di poveri pastori erano tutta la funebre pompa. Sono ignote in quei luoghi innocenti le idee di fasto e d’ambizione. Non vi basta, o insensati mortali, che la superbia vi circondi nel tempo del viver vostro? Dovrassi ancora vederla trascinarsi carpone dietro al convoglio de’ vostri funerali? I cadaveri de’ ricchi non sapranno forse [p. 188 modifica] putrefarsi che nelle seriche spoglie?... Intervenne alla tetra funzione il buon parroco di quel villaggio. Era questi un venerabile vecchio ripieno di religione, che nel verde de’ suoi freschi anni conobbe le umane passioni ed i suoi frutti amarissimi. Pianse l’ottimo pastore all’orribile caso ch’era seguito, e (oltreché da qualche giorno avea giá piena contezza de’ suoi onesti costumi e delle sue virtú) s’informò minutamente di tutte le circostanze che accompagnarono la sua morte, e non ebbe a sdegno di scioglier fervide preci e benedirlo. — Iddio — diss’egli — è imperscrutibile ne’ suoi decreti: basta un guardo di sua misericordia per salvare un peccatore. Speriamo che la sua mano pietosa, toccando il cuore del giovanetto infelice pria di spirare, lo abbia tolto all’orribile precipizio, in cui l’anima sua dovea cadere per l’enorme peccato del suicidio. —

Frattanto, dopo aver io brevemente fatto parola della misera vita di Iacopo, lessi un articolo del suo picciolo testamento, ossia volontá, ch’io trovai fra le sue carte:

«Qualunque siasi denaro od altra cosa di prezzo, che esista dentro lo scrittoio, prego l’amico Angiolo ed il buon parroco a ripartirlo fra i piú indigenti di questi sensibili pastori. Povero è il dono, ma è un dono di cuore. Che almeno si rammentino alcuna volta, passando vicino al cipresso, d’un giovane sventurato».

Facil cosa è l’immaginarsi la sensazione che produsse negli animi de’circostanti la lettura dell’articolo. Io tacqui, e, baciando il sasso che copriva le amate ceneri, lo sparsi d’alcuni fiori, e meco tutti gittarono a gara erbe, viole e freschi rami sulla tomba1.

Una lapide di macigno ed alcuni sassi copersero l’asilo del suo riposo, colle seguenti iscrizioni, ivi rozzamente scolpite: [p. 189 modifica]


IACOPO ORTIS V.
giace
vittima della persecuzione de’suoi nemici
errò fuor della patria
seguace della virtú e del vero
visse infelice
fu sensibile amò sventuratamente
e s’uccise
li 30 giugno 1798 d’anni 22
anime oneste e sensibili
il vostro amico
dorme eterno sonno

ANGELO S.
p.


               Ebbe un cor l’infelice! arse d’amore
          di onesta donna al divin guardo e al viso.
          Ma pianse invano, invan s’accese il core...
          qui freddo giace, e solo Amor l’ha ucciso!
               Tu, cui fiera passion bolle nel core,
          arresta il piede e la mia tomba or mira.
          Contemplando il mio fin, tremi e sospira.
          Amai, m’uccisi, e resse il colpo Amore!
          Dormi sonno beato, ombra amorosa!
          assai di pianto e di sospir spargesti.
          Qui dolcemente in pace ti riposa,
               qui non avrai giorni dolenti e mesti.
          A te cresca d’intorno e l’erba e il fiore,
          e un venticel basso sospiri: — Amore!

Il cipresso, a piè del qual fu sepellito, si vedeva tutto segnato ed inciso, per mano di Iacopo, nella corteccia, del nome di Teresa [p. 190 modifica] e d’alcuni motti di amore e sentenze gravi e melanconiche. Eccone diverse:

     Veramente siam noi polvere ed ombra;
veramente la voglia è cieca, ingorda;
veramente fallace è la speranza! 2.

     La mia favola breve è giá compita
e fornito il mio tempo a mezzo gli anni!3.

     ... Vivendo, e lagrimando imparo
come nulla quaggiú diletta e dura 4.

     Amor, mosso a pietá, sui rivi e l’erbe
con le sue proprie mani ivi la pinge;
e la gentil m’ascolta e non risponde!5.

Deh, piú oltre veder negami amore!6.

Ce n’est pas trop de loi, grand Dieu, pour la combattre7.

Sonitus terroris semper in auribus8.

Omnia vincit Amor, et nos cedamus Amori9.

     ... A me non resta
altro che il pianto, e ’l pianto è delitto!10.

Poiché io m’ebbi soddisfatto ai doveri ed all’amicizia, lasciai quei funesti colli taciturno e dolente, e diedi un lamentevole addio all’ombra dell’amico. Ma con qual ripugnanza! So bene che un’incognita forza pareva mi trattenesse, mio malgrado, tra quelle rupi e quei boschi. Era forse la voce di Iacopo; ed io la sento ancora rimbombarmi sul cuore! Qui certo il lettore mi domanderá di Teresa. Sventurata! allorché le giunse la funesta nuova, parve [p. 191 modifica] un fulmine che la colpisse: cadde a terra semiviva; fu forza riporla in letto, e seriamente pensar alla sua languente salute ed alla sua vita11. Odoardo rimase inorridito: tutta la sua famiglia non risuonò che pianto e dolore.


fine della seconda ed ultima parte.

  1. Non è permesso specificare il luogo della morte di Iacopo. Basti il sapersi che spirò in un paese montuoso della Romagna, poco distante da Bertinoro. Del resto, si ripete che questa storia è vera precisamente, soltanto essendosi cambiali alcuni nomi e taciute varie notizie appartenenti alle persone o famiglie di Iacopo e di Teresa, cosí volendo la condizione de’tempi e le circostanze degli editori.
  2. Petrarca.
  3. Petrarca.
  4. Petrarca.
  5. Cassiani.
  6. Anonimo.
  7. Arnaud.
  8. Iob, cap. 15.
  9. Virgilio
  10. Alfieri.
  11. Ove sia chi brami saper piú oltre di Teresa, legga le seguenti memorie, sembrandomi cosa conveniente di separarle dalla storia di Iacopo. L’editore [della Vera storia].